• Privacy

    Mancata verifica su richieste di informazioni assicurative: multa del Garante

    Con provvedimento n. 389 del 10 luglio 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha accertato una grave violazione della normativa in materia di privacy da parte di una compagnia assicurativa, sanzionata con 80.000 euro. 

    Il caso ha origine da un reclamo presentato ai sensi dell’art. 77 del Regolamento (UE) 2016/679, che ha evidenziato la comunicazione non autorizzata di informazioni personali relative a tre polizze vita a un indirizzo email estraneo alla titolare.

    Secondo quanto ricostruito, la compagnia aveva ricevuto diverse richieste contenenti informazioni dettagliate sulle polizze, corredate da firma autografa e altri dati identificativi. In buona fede, ritenendo legittime le richieste, l’azienda ha fornito riscontro a tali comunicazioni tra il 2021 e il 2023, senza verificare con certezza l’identità del mittente. Solo nel settembre 2024, a seguito della segnalazione della reale intestataria, è emerso che le comunicazioni erano state inviate da un soggetto terzo che si era finto lei, utilizzando un indirizzo email tedesco mai registrato dalla cliente, in un caso di "phishing" contro il quale la compagnia non aveva messo in atto le dovute precauzioni.

    L’istruttoria del Garante e le responsabilità accertate

    La compagnia ha riferito di aver agito con diligenza e in buona fede, spiegando che le richieste apparivano verosimili per la presenza di dettagli specifici, come importi e date dei versamenti, e la firma autografa dell’intestataria. Tuttavia, il Garante ha sottolineato che la cliente non aveva mai fornito un indirizzo email per ricevere comunicazioni ufficiali e  che pertanto l’azienda avrebbe dovuto adottare misure più rigorose per verificare l’identità del richiedente.

    Nel corso dell’istruttoria è emerso che, pur essendo a conoscenza del disconoscimento dell’indirizzo email già da settembre 2024, la compagnia ha notificato la violazione all’Autorità solo a gennaio 2025, superando il termine di 72 ore previsto dall’art. 33 del Regolamento (UE) 2016/679. Secondo le Linee guida 9/2022 del Comitato europeo per la protezione dei dati, il titolare del trattamento è considerato “a conoscenza” della violazione non appena ha ragionevole certezza che si sia verificato un incidente di sicurezza.

    Il Garante ha evidenziato come la mancanza di verifica preventiva e il ritardo nella notifica abbiano costituito violazioni dei principi di liceità, correttezza e sicurezza dei dati (art. 5, par. 1, lett. a) e f), e art. 33, par. 1 del Regolamento), dichiarando illecito il trattamento dei dati personali da parte della compagnia

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    La sanzione e le misure correttive adottate

    Alla luce della natura colposa della violazione e del fatto che questa ha interessato dati personali riferiti a polizze vita, il Garante ha disposto una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 80.000 euro. Nella determinazione dell’importo sono state considerate anche le misure correttive adottate dalla compagnia, tra cui:

    • sospensione immediata delle comunicazioni all’indirizzo email disconosciuto;
    • avvio di una revisione delle procedure aziendali per rafforzare i controlli sull’identità dei richiedenti;
    • collaborazione con l’Autorità durante il procedimento;
    • assenza di precedenti specifici.

    Inoltre, la società ha presentato denuncia contro ignoti e ha previsto che, in futuro, le richieste relative ai rapporti contrattuali potranno essere evase solo in presenza di specifiche condizioni, come l’uso di recapiti certificati o l’allegazione di un documento di identità.

    Il Garante ha disposto la pubblicazione dell’ordinanza di ingiunzione sul proprio sito istituzionale, come previsto dall’art. 166 del Codice in materia di protezione dei dati personali, per garantire la massima trasparenza e informare cittadini e operatori sulle conseguenze delle violazioni in materia di trattamento dei dati personali.

  • Privacy

    Colloqui post-malattia e privacy: pesante sanzione dal Garante

    Con un provvedimento del 10 luglio 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato una società per aver trattato in modo illecito i dati dei lavoratori in occasione di colloqui di rientro dopo assenze per motivi di salute. 

    L’uso di un modulo specifico per raccogliere informazioni personali, seppur finalizzato al reinserimento lavorativo, è risultato non conforme al Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e alla normativa nazionale in materia di privacy.

    Il caso: questionario per il rientro al lavoro

    La vicenda trae origine da una segnalazione sindacale relativa alla prassi aziendale di sottoporre i dipendenti, dopo periodi di assenza per malattia, infortunio o ricovero, a un colloquio strutturato con un proprio responsabile. In tale occasione veniva compilato un modulo denominato Return to Work Interview (RTWI), successivamente archiviato nelle risorse umane.

    La finalità dichiarata dall’azienda era quella di tutelare la salute e il benessere psico-fisico dei lavoratori e facilitare il loro reinserimento. Tuttavia, il Garante ha riscontrato che il modulo poteva raccogliere dati sanitari, anche indirettamente, in violazione delle disposizioni che riservano tali trattamenti al solo medico competente. Inoltre, non veniva fornita un’informativa adeguata né era garantita la libertà del consenso.

    La decisione del Garante: gravi violazioni accertate

    L’Autorità ha  evidenziato dunque diverse serie  criticità, tra cui:

    1. Mancanza di un’informativa chiara e completa: le poche righe presenti all’inizio del modulo non descrivevano in modo esaustivo il trattamento dei dati. Anche le informazioni fornite nei portali aziendali risultavano generiche e non riferibili allo specifico trattamento.
    2. Trattamento illecito di dati sanitari: alcune domande contenute nel modulo potevano comportare, direttamente o attraverso i commenti del lavoratore, la rivelazione di dati sensibili. Secondo il GDPR, tali trattamenti devono essere autorizzati dal diritto dell’Unione o nazionale, oppure essere effettuati esclusivamente dal medico competente, come previsto dal D.lgs. 81/2008.
    3. Base giuridica inadeguata: la società faceva riferimento alternativamente a obblighi di legge (art. 2087 c.c.), consenso o legittimo interesse. Il Garante ha ribadito che, nel rapporto di lavoro, il consenso non è di norma valido a causa del disequilibrio tra le parti, e che il trattamento di dati sanitari richiede presupposti specifici.
    4. Violazione dei principi di minimizzazione e limitazione della conservazione: le informazioni raccolte erano in parte superflue, già note all’ufficio del personale, e conservate fino a 10 anni, senza criteri chiari per la loro cancellazione.

    Le misure: sanzione e obbligo di cancellazione –

    Il Garante ha concluso che il trattamento non rispettava diversi articoli del Regolamento (in particolare artt. 5, 6, 9, 13 e 88) e l’art. 113 del Codice Privacy. 

    Ha quindi disposto:

    • Il divieto di proseguire nel trattamento dei dati raccolti tramite i moduli;
    • La cancellazione dei dati già acquisiti, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento;
    • L’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari a 50.000 euro.

    Il provvedimento è stato pubblicato sul sito dell’Autorità, anche per l’alto numero di lavoratori coinvolti e la durata della violazione, protrattasi dal 2020.

    Questo caso sottolinea l’importanza, per le aziende, di coniugare le buone prassi organizzative con il rispetto della normativa in materia di privacy. 

    Inoltre, anche iniziative finalizzate alla tutela del benessere lavorativo devono essere progettate nel rispetto del principio di liceità e della normativa sul trattamento dei dati. In particolare, quando si sfiorano dati relativi alla salute, occorre che il trattamento sia strettamente necessario, autorizzato dalla legge e condotto da soggetti legittimati.

  • Privacy

    Geolocalizzazione lavoratori in smart working: sanzione del Garante Privacy

    Il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto nei confronti di un ente pubblico regionale, in seguito a un reclamo presentato da una dipendente e a una segnalazione del Dipartimento della Funzione Pubblica. Entrambe le segnalazioni riguardavano l’uso, da parte dell’ente, di sistemi di geolocalizzazione per controllare i lavoratori in smart working tramite l’applicazione “Time Relax”.

    In particolare, l’ente richiedeva ai dipendenti in lavoro agile di effettuare timbrature in entrata e uscita tramite dispositivi elettronici, abilitando la localizzazione, per verificare la compatibilità della posizione effettiva con quanto previsto negli accordi individuali. In almeno un caso, tali informazioni sono state utilizzate per avviare un procedimento disciplinare nei confronti della persona interessata.

    Ecco i dettagli sulla decisione del Garante in  merito.

    Smart working e geolocalizzazione: le violazioni evidenziate dal Garante

    Il Garante ha riscontrato nell'attività del ente  numerose violazioni della normativa in materia di protezione dei dati personali, in particolare del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e del Codice Privacy (D.lgs. 196/2003). Le principali criticità sono:

    • Illiceità del trattamento dei dati

    Il monitoraggio della posizione geografica dei lavoratori risultava finalizzato a verificare il rispetto delle condizioni dell’accordo di lavoro agile, rappresentando un controllo diretto dell’attività lavorativa. Tale finalità non è ammessa dalla legge e contrasta con i principi di proporzionalità e rispetto della libertà morale del lavoratore.

    • Assenza di base giuridica idonea

    L’ente ha giustificato il trattamento facendo riferimento a una propria delibera e a un accordo con i sindacati. Tuttavia, secondo il Garante, questi atti non bastano a legittimare il trattamento. Inoltre, il consenso del lavoratore, richiesto dall’app per attivare la localizzazione, non è considerato valido in ambito lavorativo a causa dello squilibrio tra le parti.

    • Violazione dei principi di minimizzazione e finalità

    La raccolta sistematica di coordinate GPS eccedeva quanto strettamente necessario per la gestione del rapporto di lavoro, comportando un’intrusione nella sfera privata non giustificata.

    • Informativa carente

    I documenti aziendali non contenevano tutte le informazioni previste dall’art. 13 del GDPR. I lavoratori non erano adeguatamente informati su come e perché venivano trattati i loro dati di geolocalizzazione.

    • Assenza di valutazione d’impatto

    L’ente non aveva effettuato la valutazione preventiva dei rischi sui diritti e le libertà delle persone interessate, nonostante il trattamento implicasse un elevato grado di rischio.

    • Uso improprio a fini disciplinari

    I dati geolocalizzati sono stati utilizzati per avviare un procedimento disciplinare, anche se successivamente sospeso. Secondo il Garante, questo utilizzo era illecito, essendo basato su dati raccolti per altre finalità e comunque senza una base giuridica adeguata.

    La decisione e i limiti alla sorveglianza sul lavoro agile

    l Garante ha  quindi dichiarato illecito il trattamento e ha comminato una sanzione amministrativa pecuniaria di 50.000 euro. Ha inoltre disposto la pubblicazione dell’ordinanza sul proprio sito istituzionale per ragioni di trasparenza e funzione deterrente, data la gravità della condotta e il numero significativo di lavoratori coinvolti.

    L’ente, da parte sua, ha dichiarato di aver interrotto il trattamento contestato e disattivato la funzione di geolocalizzazione dell’applicazione, adottando misure correttive in autotutela.

    Il provvedimento ribadisce il  principio cardine  generale per cui il controllo dell’attività lavorativa deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, senza trasformarsi in sorveglianza invasiva.

    Il datore di lavoro può ricorrere a strumenti tecnologici solo se strettamente necessari per finalità organizzative, produttive, di sicurezza o tutela del patrimonio, e comunque solo in forma indiretta e limitata. Ogni trattamento di dati personali deve poggiare su basi giuridiche solide, essere proporzionato e preceduto da un’attenta valutazione dei rischi.

    Va anche sottolineato  il principio  dell’inadeguatezza del consenso del lavoratore come fondamento giuridico nei rapporti di lavoro, riaffermando l’esigenza di tutele rafforzate nei contesti contrattuali asimmetrici come quello tra dipendente e datore pubblico o privato.

  • Privacy

    Dati sui social per l’intelligenza artificiale: come opporsi entro maggio

    Dal 30 maggio 2025 Meta, la società proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp, inizierà a utilizzare i dati personali degli utenti per addestrare i propri sistemi di intelligenza artificiale (IA). È quanto annunciava  il Garante per la protezione dei dati personali in un comunicato di marzo 2025 invitando  tutti a informarsi e, se lo desiderano, a esercitare il diritto di opposizione entro la fine del mese.

    L’utilizzo dei dati per l’IA non riguarda solo chi ha un account sui social Meta, ma potenzialmente anche chi non è iscritto, se i propri dati sono stati condivisi da altri utenti. Per questo è importante agire subito, compilando gli appositi moduli messi a disposizione online sulle piattaforme social.

    Il termine si avvicina: vediamo piu in dettaglio di cosa si tratta.

    Cosa farà Meta con i nostri dati

    Meta ha annunciato che userà i contenuti pubblici pubblicati dagli utenti maggiorenni – come post, commenti, foto, didascalie – e anche le informazioni inserite nelle chat con i servizi di IA (ad esempio su WhatsApp), per migliorare i suoi sistemi di intelligenza artificiale. In particolare, questi dati alimenteranno strumenti come il chatbot Meta AI o i modelli linguistici come Llama.

    Questo trattamento sarà basato sul “legittimo interesse” di Meta. Tuttavia, il Garante ha sottolineato che il Regolamento europeo (GDPR) riconosce agli utenti il diritto di opporsi a questo uso dei propri dati.

    Il Garante ricorda anche che il diritto di opposizione non riguarda solo Meta. Anche altri sistemi di intelligenza artificiale – come quelli sviluppati da OpenAI (ChatGPT), DeepSeek o Google – possono essere soggetti alla stessa regola. È sempre possibile chiedere che i propri dati non vengano utilizzati per addestrare algoritmi.

    Opposizione per l’uso dei propri dati sui sociale: cosa fare

    Chi non vuole che i propri contenuti vengano utilizzati da Meta per l’IA deve compilare un modulo online che le piattaforme sono obbligate a rendere disponibili, ai seguenti link:

    ATTENZIONE : chi esercita l’opposizione entro fine maggio potrà impedire che tutti i propri dati personali vengano usati. 

    Chi invece si oppone dopo, riuscirà a bloccare solo l’uso dei dati pubblicati dopo la data dell’opposizione. I dati già raccolti fino a quel momento resteranno a disposizione di Meta per l’addestramento dei suoi sistemi.

    Va inoltre  tenuto presente che anche i dati dei non utenti e dei minori sono a rischio: anche chi non è registrato a Facebook o Instagram potrebbe vedere i propri dati coinvolti, se ad esempio appaiono in foto o testi pubblicati da altri. In questo caso si può usare il modulo per i non utenti.

    Privacy dei dati e intelligenza artificiale: cosa sta facendo il Garante

    Nel frattempo, l’Autorità italiana per la privacy sta collaborando con le altre autorità europee per valutare la legittimità del comportamento di Meta. 

    Si punta a capire se esistano le basi legali per un uso così esteso dei dati personali, e se il diritto di opposizione sia davvero garantito in modo semplice, effettivo e completo. In particolare, è stato richiesto a Meta di chiarire anche l’uso delle immagini di minorenni postate da adulti.

    In sintesi: chi utilizza Facebook, Instagram o anche solo ha la propria immagine o informazioni online, dovrebbe valutare con attenzione se desidera che i propri dati alimentino i sistemi di intelligenza artificiale. Se la risposta è no, è fondamentale agire entro fine maggio 2025.

    Ricordiamo che sul tema  già nel 2023  il Garante aveva  avviato una indagine conoscitiva  e l'anno scorso ha deliberato un provvedimento sui rischi e i possibili interventi per la tutela dei dati.

    Lo alleghiamo  qui per maggiore informazione: Web scraping ed intelligenza artificiale generativa: nota informativa e possibili azioni di contrasto

  • Privacy

    Mail dipendenti: illegittimi i controlli retroattivi

    Nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 807 del 13 gennaio scorso vengono chiariti ulteriormente i vincoli  che la normativa del lavoro e il Regolamento sulla privacy  pongono ai datori di lavoro in merito all'utilizzo   dei dispositivi elettronici aziendali . La nuova pronuncia si occupa in particolare di un caso di  licenziamento a seguito  di indagini sul pc di un dipendente a causa di fondati sospetti di attività illecita , nel quale la Suprema corte  conferma la decisione di merito sottolineando   che il  controllo  sui  periodi precedenti il sospetto, è vietato,  per cui le eventuali  informazioni  acquisite non sono  utilizzabili a fini  di una contestazione disciplinare verso il dipendente.

    Controllo posta elettronica : i limiti dello Statuto dei lavoratori e Jobs At

    La Cassazione afferma ancora una volta come , i controlli tecnologici sugli strumenti digitali aziendali, sebbene ammessi dallo Statuto dei lavoratori modificato dal Jobs Act del 2015, devono rispettare specifici parametri di bilanciamento tra  il rispetto della privacy del lavoratore e le esigenze di tutela degli interessi aziendali.

     In particolare, le verifiche sono ammesse:

    • solo in presenza di un fondato sospetto  di attività illecite e 
    •  devono limitarsi ai dati raccolti successivamente al suo insorgere .

     Qualsiasi verifica retrospettiva, come quella effettuata nel caso analizzato, viola l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che consente controlli unicamente ex post.

     Inoltre, viene precisato che l’informativa sulla privacy  regolarmente visionata e accettata dal dipendente , non può sanare l’illegittimità di controlli eseguiti in violazione delle norme, poiché tale adempimento ha finalità diverse. 

    La sentenza sottolinea   che l’azione disciplinare può basarsi solo su dati raccolti nel rispetto di questi limiti, impedendo al datore di lavoro di utilizzare prove raccolte in modo improprio o di cercare conferme di un sospetto esplorando dati archiviati precedentemente.

  • Privacy

    Nuovo Codice della Privacy – Codice in materia di protezione dei dati personali

    Pubblichiamo il testo del Nuovo Codice in materia di protezione dei dati personali (Dlgs del 30.06.2003 n. 196) recante “Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”.

    Le novità introdotte dal decreto legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni dalla legge 29 aprile 2024, n. 56 sono riportate in rosso.

    Il presente testo coordinato è reso disponibile al solo scopo informativo e non ha valore ufficiale.

    Allegati:
  • Privacy

    Riconoscimento facciale dipendenti: no del Garante Privacy

    Il Garante per la privacy ricorda che il Regolamento per la protezione dei dati personali non consente l'utilizzo del riconoscimento facciale per controllare le presenze sul posto di lavoro in quanto viola la privacy dei dipendenti. 

    A questo proposito infatti è stato reso noto che sono stati emanati 5 provvedimenti sanzionatori contro altrettante aziende di igiene ambientale  riunite in associazione temporanea impegnate in siti di smaltimento rifiuti,   per trattamento illecito dei dati biometrici dei lavoratori . (Provvedimenti n. 9995680, 9995701, 9995741, 9995762, 9995785)

    Vediamo di seguito i dettagli sul provvedimento più severo emanato nei confronti della capogruppo con sanzione di 70mila euro  per diverse violazioni al Regolamento.

    Videsorveglianza con riconoscimento biometrico: il caso piu grave

    Il Garante privacy era intervenuto a seguito dei reclami di numerosi dipendenti  di aziende attive nel settore dei servizi ambientali che segnalavano l'obbligo per l'accesso al sito di lavoro, di utilizzare un rilevatore biometrico, basato sul riconoscimento facciale.

    A seguito di sopralluoghi e indagini del Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza è stato accertato che  per l'attività di un gruppo di imprese in associazione temporanea operanti in vari siti di smaltimento rifiuti  la società capogruppo aveva fatto installare apparecchi biometrici di rilevamento presenze ,operanti per più di un anno.

    Con memorie difensive la Società aveva dichiarato che il fenomeno dell’assenteismo, segnatamente accompagnato da timbrature fraudolente  aveva dato origine a  pesanti contenziosi in ambito  lavoristico […] che  hanno avuto esiti negativi proprio perché la società era impossibilitata a verificare con certezza l’effettivo orario di lavoro prestato in quanto venivano utilizzati fogli presenze cartacei.”;

    Inoltre “la società,  sulla base della dichiarazione e certificazione di conformità dell’apparato biometrico fornita dal produttore  in cui veniva dichiarato che il dispositivo era pienamente conforme al GDPR, riteneva di potere utilizzare lo stesso ai sensi dell’art. 9 c.2, par. b. del Regolamento”  in 9 siti operativi collegati  con  il numero di 13 apparecchi utilizzati per il controllo di un totale di 218 dipendenti

    La guardia di finanza segnalava  in particolare  che :

    •  “gli apparati sono installati al fine di effettuare la rilevazione delle presenze tramite confronto uno a molti dell’impronta biometrica del volto dei dipendenti . La società fornitrice ha fornito il manuale di utilizzo  e un tecnico  effettuava la formazione sull’utilizzo del dispositivo al capocantiere” 
    • “i dati biometrici degli interessati risiedono esclusivamente nel dispositivo e non sono accessibili da remoto, né in locale, se non per la cancellazione, che può essere effettuata solo direttamente sul dispositivo” .
    • Veniva anche verbalizzato che  “probabilmente su molti dispositivi installati è stata mantenuta la password di default, presente sul dispositivo della sede principale" 
    • “il dispositivo è dotato di uno speciale algoritmo per criptare i dati biometrici in modo non reversibile” (verbale cit., p. 4); 
    • i    template biometrici cifrati, acquisti in fase di registrazione dei lavoratori ,   risultavano associati ai suddetti codici numerici, senza alcuna memorizzazione nel dispositivo del nome e cognome degli interessati”.

    Dati biometrici : normativa e parere del Garante

    Nella propria analisi l'autorità osserva  primariamente che  il trattamento di dati biometrici (di regola vietato ai sensi dell’art. 9, par. 1 del Regolamento) è consentito esclusivamente qualora ricorra una delle condizioni indicate dall’art. 9, par. 2 del Regolamento e, con riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando il trattamento sia “necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento … in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato”

    Viene riconosciuto che le finalità di rilevazione delle presenze dei dipendenti e di verifica dell’osservanza dell’orario di lavoro possano rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 9, par. 2, lett. b) del Regolamento, tuttavia il trattamento dei dati biometrici è consentito solo “nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri […]

    Allo   stato,  l’ordinamento vigente non consente il trattamento di dati biometrici dei dipendenti per finalità di rilevazione della presenza in servizio. In particolare ricorda che il decreto legge  10/5/2023, n. 51,  con l’art. 8-ter ha prorogato al 31 dicembre 2025 la sospensione dell’installazione e utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale “in luoghi pubblici o aperti al pubblico, da parte delle autorità pubbliche o di soggetti privati”, ciò al fine di “disciplinare conformemente i requisiti di ammissibilità, le condizioni e le garanzie relativi all'impiego di tali  sistemi"  come già ribadito  dal Garante con i provvedimenti n. 369 2022 (doc. web n. 9832838) e n. 16  2021 (doc. web n. 9542071).

    L’utilizzo del dato biometrico nel contesto dell’ordinaria gestione del rapporto di lavoro  non è dunque conforme ai principi di minimizzazione e proporzionalità del trattamento.

    II Garante precisa che  per gli stessi fini  sul luogo di lavoro avrebbero potuto essere adottate misure utili allo scopo ma meno invasive per i diritti degli interessati (es. controlli automatici mediante badge, verifiche dirette, etc.).

    In secondo luogo il Garante ricorda che il datore di lavoro, inoltre, è tenuto ad applicare i principi generali del trattamento, in particolare quelli di liceità, correttezza e trasparenza, minimizzazione, integrità e riservatezza dei dati  . 

    La società ha operato invece senza rispettare il principio di trasparenza,  che prevede l’obbligo di indicare ai propri dipendenti  quali siano le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati effettuati  nonché degli strumenti attraverso i quali  sono effettuati.

    Ancora,  è stato violato l'obbligo di indicare il responsabile del trattamento dei dati personali , che era affidato alla società fornitrice dei dispositivi

    Infine, la circostanza che il produttore e il fornitore dei dispositivi di riconoscimento facciale avessero prodotto una “dichiarazione e certificazione di conformità non può far venir meno la responsabilità della Società, considerato che il titolare del trattamento, alla luce di quanto stabilito dall’art. 5, par. 2, del Regolamento, in base al c.d. principio di responsabilizzazione, “è competente per il rispetto [dei principi generali del trattamento] e in grado di comprovarlo”.

    Controllo biometrico lavoratori: le conclusioni del Garante privacy

    In conseguenza di queste risultanze la società capogruppo è stata sanzionata con ammenda di 70mila euro  considerando, a sfavore della Società,

    1. la natura della violazione che ha riguardato i principi generali e le condizioni di liceità del trattamento e il trattamento di dati particolari,
    2.   la durata della violazione che si è protratta per più di un anno e il numero significativo degli interessati coinvolti;
    3.  con riferimento al carattere doloso o colposo della violazione e al grado di responsabilità del titolare, è stata presa in considerazione la condotta della Società e il grado di responsabilità della stessa che non si è conformata alla disciplina in materia di protezione dei dati relativamente a una pluralità di disposizioni;

    Invece, a favore della Società, si è tenuto conto della cooperazione con l’Autorità di controllo e della decisione di sospendere le attività di trattamento dopo l’inizio delle attività ispettive.