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Residente in Lussemburgo: tassazione per gli utili di società italiana
Con Risposta a interpello n 6 del 17 gennaio le Entrate replicano ad un soggetto residente all'estero, iscritto AIRE, che percepisce redditi di lavoro dipendente in Lussenburgo e intende costituire in Italia una S.R.L.S. di cui sarà l'unico socio e amministratore, a cui dedicherà il 20 25 % del suo tempo.
Tale Società avrà come attività principale il brokeraggio assicurativo (codice ATECO 66.22.01), che si svolgerà esclusivamente in Italia.
In relazione a tali circostanze, l'Istante chiede chiarimenti, anche ai sensi della Convenzione tra l'Italia e il Lussemburgo per evitare le doppie imposizioni, ratificata con legge 14 agosto 1982, n. 747 sul trattamento fiscale di:- redditi da lavoro dipendente percepiti in Lussemburgo (primo quesito);
- utili prodotti della Società (secondo quesito).
Vediamo i chiarimenti ADE sulla imposizione esclusiva in Lussemburgo del reddito da lavoro dipendente ivi prodotto da un cittadino ivi residente e imposizione esclusiva in Italia degli utili prodotti da una società di brokeraggio assicurativo residente senza una stabile organizzazione in Lussemburgo.
Residente in Lussemburgo: tassazione per gli utili di società italiana
Le Entrate evidenziano quanto segue:
- nell'assunto di una residenza fiscale dell'Istante in Lussemburgo, l'articolo 3, comma 1, del Testo Unico dell'Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 prevede che ''l'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato''. Pertanto, il Contribuente, qualora sia fiscalmente residente all'estero, sarà soggetto ad imposizione in Italia soltanto sui redditi prodotti nel nostro Paese, individuati secondo i criteri previsti dall'articolo 23 del TUIR, il quale, al comma 1, lettera c), stabilisce che i redditi da lavoro dipendente si considerano prodotti in Italia se l'attività lavorativa è stata prestata nel territorio dello Stato. Da ciò ne consegue che, se l'attività di lavoro dipendente non è svolta in Italia, ma esclusivamente in Lussemburgo (Stato di residenza del Contribuente), i redditi che ne derivano non sono soggetti a tassazione in Italia. Tali conclusioni non sono derogate dalle disposizioni della Convenzione applicabili al caso di specie, a cui occorre dare prevalenza sul diritto interno secondo quanto sancito dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600. Ed infatti, l'articolo 15 della Convenzione, relativo ai redditi da lavoro subordinato, al paragrafo 1, prevede che ''i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato''.
Pertanto, anche secondo il diritto convenzionale, se l'Istante è fiscalmente residente e svolge attività di lavoro subordinato solamente in Lussemburgo, è soggetto ad imposizione per i redditi che ne derivano soltanto in tale Paese. - per gli utili di cui tratta l'istante si osserva che, nell'assunto di una residenza fiscale della Società in Italia e dello svolgimento dell'attività interamente nel nostro Paese, senza alcuna stabile organizzazione all'estero circostanze non riscontrabili in questa sede, gli utili costituiscono un reddito imponibile esclusivamente in Italia, ai sensi del combinato disposto degli articoli 73, comma 1, lettera a), 81 e 83 del TUIR.
Peraltro, la potestà impositiva esclusiva dell'Italia è confermata dall'articolo 7 della Convenzione, relativo agli utili delle imprese, che stabilisce che ''Gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata''. Da ciò ne deriva che, anche secondo la Convenzione (di cui si ribadisce la prevalenza sul diritto interno), se la Società è fiscalmente residente e svolge la propria attività esclusivamente in Italia, senza una stabile organizzazione all'estero, i redditi alla stessa imputabili sono soggetti a tassazione soltanto nel nostro Paese.
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Criptovalute: la tassazione dell’attività di staking
Una delle motivazioni per cui buona parte della dottrina non condivide l’assimilazione fiscale delle criptovalute alle valute straniere, voluta dalla prassi, è che le criptoattività presentano delle caratteristiche peculiari difficilmente associabili ad altro.
Una di queste è l’attività cosiddetta di staking, la cui remunerazione, per la sua peculiarità, è soggetta a un trattamento fiscale che non può trovare facile assimilazione nella normativa fiscale che interessa le valute fiat e che finora è stata caratterizzata dall’incertezza.
Alcune recenti pronunce dell’Agenzia delle Entrate, tra le quali l’ultima e più esauriente è la Risposta a interpello numero 437 del 26 agosto 2022, quanto meno forniscono una guida sul comportamento da adottare, a prescindere dalla condivisibilità dell’interpretazione.
Ciò che appare evidente è quanto i redditi derivanti dallo sfruttamento delle criptoattività, nel senso più esteso del termine, necessitino di una trattazione organica e specifica, possibilmente armonizzata; necessità che probabilmente troverà risposta nell’ormai famoso Regolamento MiCa sulle in corso di esplorazione in sede unionale.
Lo staking è una attività tipica delle criptovalute, direttamente collegato alle caratteristiche tecniche della blockchain: lo staking, semplificando per brevità, è il processo utilizzato dalla blockchain di una criptovaluta per raggiungere il consenso distribuito necessario alla creazione di un nuovo blocco della medesima blockchain.
La creazione del nuovo blocco avviene, quindi, attraverso un processo di validazione e convalida che utilizza le stesse criptovalute già esistenti.
Le criptovalute utilizzate in questo processo, pur restando nelle mani (o per meglio dire nel wallet) del loro proprietario, subiscono un temporaneo vincolo di indisponibilità, per il quale il contribuente viene remunerato con altre criptovalute.
L’attività di staking è uno dei servizi messi a disposizione dalle piattaforme telematiche specializzate nella compravendita di criptovalute, gli exchange; i quali fungono da intermediari, trattenendo una commissione come corrispettivo per l’utilizzo del sistema informatico, e accreditando sul portafoglio virtuale del cliente le criptovalute che gli spettano come tornaconto.
Il trattamento fiscale derivante dal vincolo di indisponibilità è stato oggetto di analisi specifica da parte della prassi.
La materia è sensibile in quanto l’attività, per le sue caratteristiche, fiscalmente presenta dei bordi poco definiti.
Rispondendo all’interpello, l’Agenzia delle Entrate considera applicabili, per l’attività di staking, le previsioni dell’articolo 44 comma 1 lettera h del TUIR, norma di chiusura dei redditi di capitale, con la quale si assimilano alla fattispecie “gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale”, in quanto, come precisato dall’Agenzia, “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale”.
Senza entrare nel merito dell’opportunità di questo inquadramento normativo, in attesa che l’intera materia venga analiticamente disciplinata anche dal punto di vista fiscale, al contribuente basti sapere che, allo stato attuale, l’attività di staking dalla prassi viene considerata un reddito di capitale, per cui potrà comportarsi di conseguenza nell’adempiere agli obblighi fiscali.
Più concretamente, in base al trattamento fiscale previsto per i redditi di capitale percepiti da persone fisiche fuori dall’attività d’impresa, ex articolo 44 comma 1 lettera h del TUIR, come precisato dall’Agenzia delle Entrate in occasione della Risposta a interpello numero 437/2022, che rettifica la risposta a Interpello numero 433/2022 di qualche giorno prima, la remunerazione in criptovalute dell’attività di staking, se accreditate sul wallet tenuto presso una società italiana, sarà soggetta a ritenuta a titolo d’acconto del 26% ex articolo 26 comma 5 del DPR 600/73.
Quindi l’exchange residente in Italia, che accredita al contribuente italiano (persona fisica fuori dall’attività d’impresa) delle criptovalute derivanti da attività di staking, dovrà assumere il ruolo di sostituto d’imposta e applicare una ritenuta a titolo d’acconto del 26%; imposta che dovrà essere poi definita, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, nella sezione I-A, dedicata ai redditi di capitale, del quadro RL del modello Redditi PF.
Sul modello Redditi PF i redditi da attività di staking rappresenteranno redditi imponibili e dovranno essere esposti al lordo delle ritenute sul rigo RL2, insieme alle ritenute a titolo d’acconto subite.
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