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Reverse charge: novità 2025 nella logistica
La Legge di Bilancio 2025 in vigore dal 1° gennaio, tra l'altro prevede novità per il reverse charge nel settore della logistica.
In dettaglio, la novità dovrebbe prevedere qualora fosse autorizzata dalla UE, l'inversione contabile (o reverse charge) alle prestazioni di servizi effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali caratterizzati da un prevalente utilizzo di manodopera e beni strumentali di proprietà del committente, rese nei confronti di imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione merci e servizi di logistica.
Attenzione al fatto che l’efficacia della suddetta disposizione è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, di una autorizzazione.
Vediamo i dettagli.
Reverse charge: arriva per gli appalti per movimentazione merci
Ricordiamo che il meccanismo dell'inversione contabile, o reverse charge, (quinto comma dell'articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972), comporta che gli obblighi relativi all'applicazione dell'IVA debbano essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore.
La novità di cui si tratta prevede che in attesa della piena operatività delle disposizioni di cui all’articolo 17, sesto comma, lettera a-quinquies), del D.P.R. n. 633 del 1972, come sostituito dal comma 57 sopra illustrato, per le prestazioni di servizi ivi previste, rese nei confronti di imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione merci e servizi di logistica, il prestatore e il committente possono optare affinché il pagamento dell’IVA sulle prestazioni rese venga effettuato dal committente in nome e per conto del prestatore, che è solidalmente responsabile dell’imposta dovuta.
In tali casi, la fattura è emessa ai sensi dell’articolo 21 del D.P.R. n. 633 del 1972 dal soggetto prestatore e l’imposta è versata dal soggetto committente ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, senza possibilità di compensazione, entro il termine di cui all’articolo 18 del medesimo decreto, riferito al mese successivo alla data di emissione della fattura da parte del prestatore.
Si prevede, inoltre, che nel caso in cui l’imposta risulti non dovuta, il diritto al rimborso spetta al soggetto committente a condizione che esso dimostri l’effettivo versamento dell’imposta.
Nei confronti del committente si rende applicabile la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro, del cui pagamento è solidalmente tenuto il prestatore.
Si rinvia a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione dei termini e delle modalità di attuazione di quanto sopra previsto.
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Reverge Charge: doppia registrazione per far emergere le op. imponibili
Con Ordinanza n 31274 depositata il 6 dicembre 2024 la Cassazione statuisce il seguente importante principio:
“reverse charge” – di acquisti intracomunitari, nel caso di registrazione, ai fini dell’IVA, delle fatture in acquisto nel solo registro degli acquisiti, senza integrazione dell’imposta, non vale ad escludere la sanzionabilità della violazione ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997, né a configurare un’ipotesi di minore gravità, la circostanza che l’Amministrazione disponga delle informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei requisiti sostanziali legittimanti comunque il diritto alla detrazione, poiché la doppia registrazione della fattura previa integrazione dell’imposta persegue lo scopo sostanziale di far di per sé emergere le operazioni imponibili, con contestuale liquidazione dell’imposta dovuta direttamente dal cessionario, rendendo nel contempo possibile l’esperimento dei controlli in capo a questi”.
Vediamo il caso di specie.
Reverge Charge: doppia registrazione per far emergere le op. imponibili
La controversia nasce da un atto di contestazione di sanzioni inviato da parte dell’Agenzia riguardante violazioni in materia di imposta sul valore aggiunto, per gli anni 2007 e 2008, per omessa o inesatta annotazione, sui registri di cui agli articoli 23 e 24 del decreto Iva, di fatture relative a prestazioni imponibili o ad acquisti intracomunitari di beni da parte di una società in nome collettivo.
La società contribuente impugnava l'atto presso la Ctp che dichiarava dovute unicamente le sanzioni per le violazioni di carattere formale inerenti all’omessa doppia registrazione delle autofatture negli appositi registri.
L’ufficio proponeva appello che veniva accolto integralmente dai giudici di secondo grado, ritenendo essi che, pur non essendo stata contestata una maggiore imposta, per le operazioni poste in essere, la società ricorrente, comunque, risultava aver violato le disposizioni normative Iva per gli acquisti intracomunitari, essendosi limitata a registrare le fatture d’acquisto esclusivamente nel registro degli acquisti, senza integrazione dell’Iva.
I giudici spiegano che il contribuente avrebbe dovuto procedere prima all’integrazione Iva delle fatture e poi alla successiva annotazione delle stesse, sia nel registro vendite che nel registro acquisti, così da neutralizzare l’imposta.
Secondo i giudici l’incompletezza e la non regolarità delle registrazioni contabili, per cui sono state configurate le violazioni contestate, legittimamente sono state sanzionate dall’ufficio, a norma del richiamato articolo 6, comma 1, del Dlgs n. 471/1997.
La società proponeva ricorso per Cassazione contestando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo numero 471/1997, in relazione ai numeri 3) e 5) dell’articolo 360 del codice di procedura civile, in quanto, in caso di “reverse charge” secondo il contribuente: “in assenza di limiti, oggettivi o soggettivi, all’esercizio della detrazione, l’operazione è fiscalmente neutrale in quanto l’imposta a debito è esattamente pari a quella a credito”.
L’Amministrazione inoltre, secondo la stessa società ricorrente, disponeva di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza di detti requisiti sostanziali; non potendosi il diritto alla detrazione negare nei casi in cui l’operatore nazionale non ha applicato – o non ha applicato correttamente – la procedura dell’inversione contabile.
L’ordinanza di Cassazione di cui si tratta smentisce del tutto la tesi del contribuente affermando il principio su indicato.
La doppia registrazione della fattura, previa integrazione dell’imposta, ha lo scopo di garantire la corretta gestione dell’Iva nei casi di autofatturazione o di reverse charge, rispettando sia gli obblighi contabili che quelli fiscali. Questa procedura è prevista per adeguarsi alle normative italiane e comunitarie sull’imposta.
È di fondamentale importanza la corretta liquidazione dell’imposta: la doppia registrazione consente di integrare l’importo dell’Iva dovuta, calcolandola sull’acquisto di beni o servizi, per poi evidenziarla sia come Iva a debito (nel registro vendite) sia come Iva a credito (nel registro acquisti).
La Cassazione evidenzia che: scopo principale della doppia registrazione della fattura previa integrazione dell’imposta è assicurare il rispetto degli obblighi comunitari in materia di imposta sul valore aggiunto, garantendo la corretta liquidazione e detrazione dell’imposta, oltre a mantenere la trasparenza nella contabilità.
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Omissione del reverse charge: le sanzioni applicabili
Il reverse charge è quel meccanismo di inversione contabile in base al quale il cedente o prestatore emette una fattura senza applicazione dell’IVA e spetta al cessionario o committente applicare l’imposta e liquidarla.
Per il cessionario o committente ciò si configura nell’emissione di una autofattura o nell’integrazione della fattura emessa dal cedente o prestatore, a seconda dei casi, e nella doppia annotazione nel registro IVA degli acquisti e delle vendite.
In conseguenza di tale meccanismo, eccezione fatta per i casi in cui l’IVA risulta indetraibile (per le caratteriste dell’operazione o per il pro-rata di detraibilità dell’impresa), di norma l’operazione, in termini di saldi IVA, risulta neutrale per il cessionario o committente.
La recente ordinanza numero 27176 della Corte di Cassazione, pubblicata il 22 settembre 2023, illustra l’impianto sanzionatorio dell’omissione dell’applicazione del reverse charge, da parte del cedente o prestatore, una volta che questi abbia ricevuto una fattura senza applicazione dell’imposta.
Violazione formale
L’ordinanza 27176/2023 della Corte di Cassazione chiarisce la natura delle sanzioni che devono essere applicate al caso in cui il cedente o prestatore omette di mettere in atto il meccanismo del reverse charge; il che si configura nell’omessa emissione dell’autofattura o nell’omessa integrazione della fattura ricevuta e, in conseguenza di ciò, nella manca indicazione sui registri IVA delle vendite e degli acquisti.
La Corte di Cassazione inizia col spiegare che “anche secondo la giurisprudenza unionale, in caso di inosservanza degli obblighi contabili nel sistema di reverse charge, pur spettando la detrazione dell’IVA, debbano essere comunque irrogate le sanzioni, potendo la violazione degli obblighi contabili generale una potenziale evasione di imposta, nell’ipotesi di detraibilità limitata”.
Definita la necessita di irrogare sanzioni, bisognerà chiarire quali siano queste sanzioni da applicare, partendo dalla loro qualificazione.
Infatti le sanzioni cambiano a seconda della natura delle violazioni, e queste “sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull'imposta o sul versamento, sono formali se pregiudicano l'esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile, sull'imposta o sul versamento, e sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo”.
In conseguenza del fatto che tramite il meccanismo del reverse charge l’operazione per il cedente o prestatore è, dal punto di vista dell’IVA, sostanzialmente neutra, “nessun pagamento è in concreto dovuto all'erario e, dunque, non si verifica, in linea di principio, alcun omesso versamento dell’imposta”.
Quindi, potendosi escludere la qualificazione della fattispecie come violazione sostanziale, però secondo la Corte di Cassazione la fattispecie “non ha certamente natura meramente formale”. Quindi quella in esame costituisce una violazione formale, sempre che la violazione non abbia riflessi sulla base imponibile, in conseguenza di eventuali limitazioni alla detraibilità dell’operazione o in capo all’impresa.
Spiega la Corte infatti che queste violazioni “ove non abbiano riflessi sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o del versamento del tributo, configurano violazioni di carattere formale, poiché la normativa ha lo scopo di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un pregiudizio all'esercizio delle attività di controllo, secondo una valutazione astratta e compiuta ex ante, anche quando l'inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti e sulla determinazione dell'imponibile”.
Sanzioni
Le sanzioni irrogabili sono quelle previste dall’articolo 6, comma 9 bis, del Decreto Legislativo 471/1997, nella sua forma attualmente in vigore dopo le modificazioni operate dal Decreto Legislativo 158/2015.
L’articolo in questione prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro per il cessionario o committente che omette di porre in essere, in tutto o in parte, gli adempimenti connessi col meccanismo del reverse charge.
Qualora l’operazione oggetto di inversione contabile non risulti neanche annotata nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, trova applicazione la sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.
Inoltre, nei casi in cui il mancato assolvimento del reverse charge comporti una indebita detrazione, come visto ad esempio in caso di pro-rata o di operazione non detraibile, la violazione assumerà una connotazione sostanziale e torneranno ad essere applicabili le ordinarie sanzioni in tema di dichiarazione infedele e di illegittima detrazione.
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Assonime: l’importanza del numero di identificazione IVA per le cessioni intra UE
Pochi impianti normativi presentano un grado così elevato di complessità e un numero così elevato di particolarità come quello che sta alla base dell’Imposta sul Valore Aggiunto.
L’IVA, in inglese VAT, è la generale imposta sui consumi, armonizzata a livello unionale, il cui fondamento giuridico è definito direttamente dall’Unione Europea con l’emanazione di direttive che ne regolano il funzionamento complessivo.
La Circolare Assonime numero 24 del 26 luglio 2022 approfondisce, tra le altre cose, un aspetto a volte trascurato dagli operatori, ma che, alla luce delle recenti modifiche normative, assume una rilevanza non più secondaria.
La Circolare analizza le modifiche normative, apportate alla disciplina IVA nazionale, contenute nel Decreto Legislativo 192/2021, entrato in vigore il giorno 1 dicembre 2021, che recepisce la Direttiva 2018/1910/UE.
La Direttiva 2018/1910/UE tratta delle ormai famose soluzioni rapide, altrimenti dette quick fixes, in materia di scambi comunitari, attraverso le quali, tra le altre cose, è stato dato maggior rilievo al numero di identificazione IVA (la nostra partita IVA) per gli scambi commerciali intracomunitari, e per il cui recepimento il Legislatore italiano ha aspettato l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
Per quanto oggetto di questo articolo, la Direttiva 2018/1910/UE ha modificato quella parte della Direttiva IVA che definiva il perimetro della cessione intracomunitaria non imponibile (ai fini IVA) nel paese d’origine, modificando il ruolo che assume il numero di identificazione IVA delle imprese interessate.
Con maggiore precisione, ciò che cambia è il ruolo che assume il VAT Information Exchange System (abbreviato in VIES), l’iscrizione presso il quale assume adesso rilevanza sostanziale.
Il VIES è un sistema di scambio di dati tra gli Stati dell’Unione Europea, che permette di convalidare a livello unionale il codice identificativo IVA al fine di contrastare le possibili frodi che possono essere sviluppate triangolando operazioni intracomunitarie tra diverse società, al fine di generare crediti fiscali inesistenti.
Secondo le prescrizioni della nuova normativa l’iscrizione al VIES costituisce requisito imprescindibile per poter considerare l’operazione non imponibile nel paese di origine, insieme al requisito concreto del trasporto fuori dal territorio dello Stato. Nel caso in cui l’acquirente non risulti iscritto al VIES, l’operazione non potrà essere considerata non imponibile ai fini IVA e il venditore dovrà applicare e versare l’IVA nel paese d’origine.
In Italia, in passato, prima della novellazione normativa, in mancanza di una norma specifica, la questione è stata molto dibattuta, e quello dell’iscrizione al VIES veniva considerato un requisito più formale che sostanziale per qualificare un’operazione come non imponibile per mancanza del requisito della territorialità; oggi, con in conseguenza della modifica operata a livello unionale, l’iscrizione al VIES diviene requisito formale e sostanziale, elemento imprescindibile per l’attribuzione della non imponibilità all’operazione transfrontaliera.
La Circolare numero 24 di Assonime precisa che il venditore, prima di effettuare una operazione intracomunitaria, dovrà:
- iscriversi al VIES, utilizzando il numero di partita IVA rilasciato dallo Stato europeo d’origine o in cui è stabilito;
- verificare che l’acquirente sia a sua volta iscritto al VIES.
In mancanza dell’iscrizione al VIES, precisa Assonime, anche nel caso in cui la controparte sia un soggetto passivo regolarmente dotato di codice identificativo IVA, la cessione intracomunitaria resterà comunque soggetta a IVA nel paese del venditore.
La Circolare di Assonime puntualizza anche che la Commissione europea, in sede di note esplicative, ha fornito le seguenti precisazioni:
- il numero di partita IVA dell’acquirente non deve necessariamente essere stato rilasciato dallo stesso paese europeo di destinazione degli acquisti;
- le modalità di comunicazione del codice identificativo IVA tra le parti è lasciato alla loro discrezione, non essendo richieste particolari formalità dalla normativa;
- se, al momento dell’emissione della fattura, l’acquirente non è stato in grado di comunicare al venditore il numero di partita IVA iscritto al VIES, questi dovrà emettere il documento applicando l’IVA nel paese d’origine; ma, nel momento in cui l’acquirente comunicherà l’identificativo, il venditore dovrà rettificare di conseguenza la fattura;
- qualora l’acquirente aderisca a un Gruppo IVA, questo dovrà comunicare al venditore il numero di identificazione IVA del Gruppo.