• Reverse Charge

    Reverse charge settore logistica: codice tributo per versare

    Con la Risoluzione n 47 del 28 luglio, le Entrate istituiscono il codice tributo per il versamento, tramite modello F24, dell’imposta sul valore aggiunto IVA 

    dovuta dal committente in nome e per conto del prestatore a seguito dell’esercizio dell’opzione di cui all’articolo 1, comma 59, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, vediamo tutti i dettagli per pagare.

    Opzione IVA dal committente settore logistica: codice tributo per versare

    La Risoluzione ricorda che l’articolo 17, sesto comma, lettera a-quinquies), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall’articolo 1, comma 57, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, prevede l’applicazione del regime dell’inversione contabile alle prestazioni di servizi ivi previste, effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, rese nei confronti di imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione di merci e prestazione di servizi di logistica.
    Il comma 58 dell’articolo 1 della legge n. 207 del 2024 subordina l’efficacia della disposizione di cui alla citata lettera a-quinquies) al rilascio, da parte del
    Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre
    2006.
    Nelle more dellaautorizzazione, il comma 59 del richiamato articolo 1 della legge n. 207 del 2024 ha previsto un regime opzionale stabilendo
    ch
    e “per le prestazioni di servizi ivi previste, rese nei confronti di imprese che svolgono attività di trasporto e movimentazione di merci e prestazione di servizi di logistica, il prestatore e il committente possono optare affinché il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni rese sia effettuato dal committente in nome e per conto del prestatore, che è solidalmente responsabile dell’imposta dovuta.  La medesima opzione può essere esercitata nei rapporti tra l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori. In tal caso, si applicano le disposizioni di cui al quarto periodo e resta ferma la responsabilità solidale dei subappaltatori per l’imposta dovuta.  Nel caso di cui al primo periodo, la fattura è emessa ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 dal prestatore e l’imposta è versata dal committente ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza possibilità di compensazione, entro il termine di cui all’articolo 18 del medesimo decreto legislativo, riferito al mese successivo alla data di emissione della fattura da parte del prestatore”.
    Con il Provvedimento N delle entrate del 28 luglio 2025 è stato approvato il modello di comunicazione dell’opzione per le prestazioni
    di servizi rese nei confronti di imprese che svolgono attività di trasporto, movimentazione merci e servizi di logistica
    di cui all’articolo 1, comma 60, della legge n. 207 del 2024, nonché le relative istruzioni.
    Tanto premesso, per consentire il versamento, tramite il modello F24, delle somme in argomento, si istituisce il seguente codice tributo:

    • “6045” denominato “IVA – inversione contabile settore logistica –regime opzionale di cui all’articolo 1, comma 59, della legge 30
      dicembre 2024, n. 207”.

    In sede di compilazione del modello di versamento F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario” esclusivamente in corrispondenza delle

    somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, con l’indicazione nei campi “rateazione/regione/prov./mese rif.” e “anno di riferimento”, del mese e

    dell’anno d’imposta per cui si effettua il pagamento, rispettivamente, nei formati “00MM” e “AAAA”

  • Reverse Charge

    Reverse charge: come fatturare in caso di aggiornamento prezzi energia

    Con il principio di diritto n 2 del 12 agosto le Entrate hanno chiarito le modalità di fatturazione e rettifica degli imponibili in aumento o in diminuzione nel reverse charge per il settore gas. Dettagli della risposta ADE.

    Reverse charge e modalità di fatturazione per le cessioni di gas

    Le Entrate con il principio di diritto del 12 agosto scorso si occupano di reverse chiarge e aumenti nel prezzo dell'energia fatturati prima del 2015.

    Viene innanzitutto ricordato che l'articolo 17, sesto comma, lettera d quater), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 introdotto dall'articolo 1, comma 629, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 prevede, a partire dal 2015, l'applicazione dell'IVA con il meccanismo dell'inversione contabile (c.d. ''reverse charge'') alle «cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo rivenditore ai sensi dell'articolo 7 bis, comma 3, lettera a)».

    In particolare, l'articolo 7 bis, comma 3, del decreto IVA dispone che, «Le cessioni di gas attraverso un sistema di gas naturale situato nel territorio dell'Unione o una rete connessa a tale sistema, le cessioni di energia elettrica e le cessioni di calore o di freddo mediante le reti di riscaldamento o di raffreddamento si considerano effettuate nel territorio dello Stato:

    • a) quando il cessionario è un soggetto passivo rivenditore stabilito nel territorio dello Stato. Per soggetto passivo rivenditore si intende un soggetto passivo la cui principale attività in relazione all'acquisto di gas, di energia elettrica, di calore o di freddo è costituita dalla rivendita di detti beni ed il cui consumo personale di detti prodotti è trascurabile;
    • b) quando il cessionario è un soggetto diverso dal rivenditore, se i beni sono usati o consumati nel territorio dello Stato. Se la totalità o parte dei beni non è di fatto utilizzata dal cessionario, limitatamente alla parte non usata o non consumata, le cessioni anzidette si considerano comunque effettuate nel territorio dello Stato quando sono poste in essere nei confronti di soggetti, compresi quelli che non agiscono nell'esercizio di impresa, arte o professioni, stabiliti nel territorio dello Stato; non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni poste in essere nei confronti di stabili organizzazioni all'estero, per le quali sono effettuati gli acquisti da parte di soggetti domiciliati o residenti in Italia».

    In altre parole, l'adempimento dell'imposta secondo il meccanismo dell'inversione contabile prorogato fino al 31 dicembre 2026 dalla Direttiva 2022/890/UE, recepita in Italia con il decretolegge 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122 comporta, in deroga alle regole ordinarie, che gli obblighi relativi all'applicazione dell'IVA debbano essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore.

    Tanto premesso, laddove per effetto dell'''aggiornamento dei prezzi relativi all'energia ceduta'', si verifichi una variazione in aumento della base imponibile delle cessioni di energia elettrica già effettuate nel periodo ante 2015, i maggiori ''compensi ricevuti'' ad integrazione di quelli già percepiti ante 2015 andranno fatturati ordinariamente addebitando l'IVA in rivalsa, in quanto in origine non sono state emesse fatture in regime di inversione contabile.

    In definitiva, il regime di ''reverse charge'' non si applica a note di credito riferite a fatture emesse anteriormente all'entrata in vigore dell'applicazione del regime di inversione contabile.

    Allegati:
  • Reverse Charge

    Omissione del reverse charge: le sanzioni applicabili

    Il reverse charge è quel meccanismo di inversione contabile in base al quale il cedente o prestatore emette una fattura senza applicazione dell’IVA e spetta al cessionario o committente applicare l’imposta e liquidarla.

    Per il cessionario o committente ciò si configura nell’emissione di una autofattura o nell’integrazione della fattura emessa dal cedente o prestatore, a seconda dei casi, e nella doppia annotazione nel registro IVA degli acquisti e delle vendite.

    In conseguenza di tale meccanismo, eccezione fatta per i casi in cui l’IVA risulta indetraibile (per le caratteriste dell’operazione o per il pro-rata di detraibilità dell’impresa), di norma l’operazione, in termini di saldi IVA, risulta neutrale per il cessionario o committente.

    La recente ordinanza numero 27176 della Corte di Cassazione, pubblicata il 22 settembre 2023, illustra l’impianto sanzionatorio dell’omissione dell’applicazione del reverse charge, da parte del cedente o prestatore, una volta che questi abbia ricevuto una fattura senza applicazione dell’imposta.

    Violazione formale

    L’ordinanza 27176/2023 della Corte di Cassazione chiarisce la natura delle sanzioni che devono essere applicate al caso in cui il cedente o prestatore omette di mettere in atto il meccanismo del reverse charge; il che si configura nell’omessa emissione dell’autofattura o nell’omessa integrazione della fattura ricevuta e, in conseguenza di ciò, nella manca indicazione sui registri IVA delle vendite e degli acquisti.

    La Corte di Cassazione inizia col spiegare che “anche secondo la giurisprudenza unionale, in caso di inosservanza degli obblighi contabili nel sistema di reverse charge, pur spettando la detrazione dell’IVA, debbano essere comunque irrogate le sanzioni, potendo la violazione degli obblighi contabili generale una potenziale evasione di imposta, nell’ipotesi di detraibilità limitata”.

    Definita la necessita di irrogare sanzioni, bisognerà chiarire quali siano queste sanzioni da applicare, partendo dalla loro qualificazione.

    Infatti le sanzioni cambiano a seconda della natura delle violazioni, e queste “sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull'imposta o sul versamento, sono formali se pregiudicano l'esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile, sull'imposta o sul versamento, e sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo”.

    In conseguenza del fatto che tramite il meccanismo del reverse charge l’operazione per il cedente o prestatore è, dal punto di vista dell’IVA, sostanzialmente neutra, “nessun pagamento è in concreto dovuto all'erario e, dunque, non si verifica, in linea di principio, alcun omesso versamento dell’imposta”.

    Quindi, potendosi escludere la qualificazione della fattispecie come violazione sostanziale, però secondo la Corte di Cassazione la fattispecie “non ha certamente natura meramente formale”. Quindi quella in esame costituisce una violazione formale, sempre che la violazione non abbia riflessi sulla base imponibile, in conseguenza di eventuali limitazioni alla detraibilità dell’operazione o in capo all’impresa.

    Spiega la Corte infatti che queste violazioni “ove non abbiano riflessi sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o del versamento del tributo, configurano violazioni di carattere formale, poiché la normativa ha lo scopo di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un pregiudizio all'esercizio delle attività di controllo, secondo una valutazione astratta e compiuta ex ante, anche quando l'inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti e sulla determinazione dell'imponibile”.

    Sanzioni

    Le sanzioni irrogabili sono quelle previste dall’articolo 6, comma 9 bis, del Decreto Legislativo 471/1997, nella sua forma attualmente in vigore dopo le modificazioni operate dal Decreto Legislativo 158/2015.

    L’articolo in questione prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro per il cessionario o committente che omette di porre in essere, in tutto o in parte, gli adempimenti connessi col meccanismo del reverse charge.

    Qualora l’operazione oggetto di inversione contabile non risulti neanche annotata nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, trova applicazione la sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

    Inoltre, nei casi in cui il mancato assolvimento del reverse charge comporti una indebita detrazione, come visto ad esempio in caso di pro-rata o di operazione non detraibile, la violazione assumerà una connotazione sostanziale e torneranno ad essere applicabili le ordinarie sanzioni in tema di dichiarazione infedele e di illegittima detrazione.

  • Reverse Charge

    Oro da investimento: la forma non è requisito sostanziale

    L’articolo 10 comma 1 numero 11 del DRP 633/72, che recepisce gli articoli 344 e 346 della Direttiva 2006/112/CE, stabilisce che sono esenti dall’Imposta sul Valore Aggiunto le cessioni di oro da investimento (e dei titoli rappresentativi dello stesso).

    La successiva Legge 7/2000, all’articolo 1, definisce più chiaramente l’oro da investimento come “l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli”.

    Quindi, la normativa italiana in tema di IVA, distingue tra:

    • oro da investimento: in regime di esenzione dall’IVA;
    • oro industriale: in regime di imponibilità con il meccanismo del reverse charge ex articolo 17 comma 5 del DPR 633/72.

    Secondo una lettura letterale della norma, per poter inquadrare la fattispecie di oro da investimento e poter, di conseguenza, godere del regime di esenzione dall’IVA, l’acquisto in oro deve rispettare, congiuntamente, tre requisiti:

    1. peso: superiore a 1 grammo;
    2. purezza: pari o superiore a 995 millesimi;
    3. forma: lingotti o placchette.

    Al venir meno di uno solo tre requisiti, l’oggetto in oro non può essere considerato oro da investimento ma oro industriale, con le relative conseguenze in termini di imposizione fiscale indiretta; ma, se il peso e la purezza sono requisiti sostanziali indiscutibili, lo stesso non si può dire per la forma: infatti, il Comitato IVA della Commissione Europea, con il White Paper numero 1000 del 19 ottobre 2020, ha precisato che il requisito della forma non è vincolante, aprendo le porte a una lettura estensiva della norma che permetta il regime di esenzione a prescindere dalla forma assunta.

    La prassi italiana non si è allineata alle indicazioni unionali, per cui non è raro che venga contestata la mancanza del requisito della forma. Proprio di questo si è occupata la sentenza numero 13742 del 18 maggio 2023 della Corte di Cassazione, secondo la quale “ va sottolineato che appaiono decisivi i requisiti relativi al peso e alla purezza più che alla forma”, in quanto “i servizi della Commissione Europea, su quesito di uno Stato membro, hanno suggerito (Working paper n. 1000 del 19 ottobre 2020) che – pur in assenza di puntuali linee-guida – potrebbero rientrare nel regime di esenzione anche le cessioni di oro con forme diverse dal lingotto o placchetta (ossia, in forma ovale o tonda o irregolare) purché siano rispettati i requisiti sostanziali della purezza e del peso, sempreché il bene sia accettato dal mercato di riferimento”; recependo così di fatto le indicazioni della Commissione Europea.

    Quindi, in definitiva, la Corte di Cassazione, apre la strada a una interpretazione estensiva della normativa; secondo questa i requisiti sostanziali di peso e purezza sarebbero determinanti in modo congiunto per l’accesso al beneficio dell’esenzione dall’IVA, a differenza di quello formale che può considerarsi accessorio e non determinante.

    In considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità italiana giudica attendibili le indicazioni della Commissione Europea sul tema, è lecito attendersi un conseguente allineamento della prassi italiana.

  • Reverse Charge

    Assonime: l’importanza del numero di identificazione IVA per le cessioni intra UE

    Pochi impianti normativi presentano un grado così elevato di complessità e un numero così elevato di particolarità come quello che sta alla base dell’Imposta sul Valore Aggiunto.

    L’IVA, in inglese VAT, è la generale imposta sui consumi, armonizzata a livello unionale,  il cui fondamento giuridico è definito direttamente dall’Unione Europea con l’emanazione di direttive che ne regolano il funzionamento complessivo.

    La Circolare Assonime numero 24 del 26 luglio 2022 approfondisce, tra le altre cose, un aspetto a volte trascurato dagli operatori, ma che, alla luce delle recenti modifiche normative, assume una rilevanza non più secondaria.

    La Circolare analizza le modifiche normative, apportate alla disciplina IVA nazionale, contenute nel Decreto Legislativo 192/2021, entrato in vigore il giorno 1 dicembre 2021, che recepisce la Direttiva 2018/1910/UE.

    La Direttiva 2018/1910/UE tratta delle ormai famose soluzioni rapide, altrimenti dette quick fixes, in materia di scambi comunitari, attraverso le quali, tra le altre cose, è stato dato maggior rilievo al numero di identificazione IVA (la nostra partita IVA) per gli scambi commerciali intracomunitari, e per il cui recepimento il Legislatore italiano ha aspettato l’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.

    Per quanto oggetto di questo articolo, la Direttiva 2018/1910/UE ha modificato quella parte della Direttiva IVA che definiva il perimetro della cessione intracomunitaria non imponibile (ai fini IVA) nel paese d’origine, modificando il ruolo che assume il numero di identificazione IVA delle imprese interessate.

    Con maggiore precisione, ciò che cambia è il ruolo che assume il VAT Information Exchange System (abbreviato in VIES), l’iscrizione presso il quale assume adesso rilevanza sostanziale.

    Il VIES è un sistema di scambio di dati tra gli Stati dell’Unione Europea, che permette di convalidare a livello unionale il codice identificativo IVA al fine di contrastare le possibili frodi che possono essere sviluppate triangolando operazioni intracomunitarie tra diverse società, al fine di generare crediti fiscali inesistenti.

    Secondo le prescrizioni della nuova normativa l’iscrizione al VIES costituisce requisito imprescindibile per poter considerare l’operazione non imponibile nel paese di origine, insieme al requisito concreto del trasporto fuori dal territorio dello Stato. Nel caso in cui l’acquirente non risulti iscritto al VIES, l’operazione non potrà essere considerata non imponibile ai fini IVA e il venditore dovrà applicare e versare l’IVA nel paese d’origine.

    In Italia, in passato, prima della novellazione normativa, in mancanza di una norma specifica, la questione è stata molto dibattuta, e quello dell’iscrizione al VIES veniva considerato un requisito più formale che sostanziale per qualificare un’operazione come non imponibile per mancanza del requisito della territorialità; oggi, con in conseguenza della modifica operata a livello unionale, l’iscrizione al VIES diviene requisito formale e sostanziale, elemento imprescindibile per l’attribuzione della non imponibilità all’operazione transfrontaliera.

    La Circolare numero 24 di Assonime precisa che il venditore, prima di effettuare una operazione intracomunitaria, dovrà:

    1. iscriversi al VIES, utilizzando il numero di partita IVA rilasciato dallo Stato europeo d’origine o in cui è stabilito;
    2. verificare che l’acquirente sia a sua volta iscritto al VIES.

    In mancanza dell’iscrizione al VIES, precisa Assonime, anche nel caso in cui la controparte sia un soggetto passivo regolarmente dotato di codice identificativo IVA, la cessione intracomunitaria resterà comunque soggetta a IVA nel paese del venditore.

    La Circolare di Assonime puntualizza anche che la Commissione europea, in sede di note esplicative, ha fornito le seguenti precisazioni:

    • il numero di partita IVA dell’acquirente non deve necessariamente essere stato rilasciato dallo stesso paese europeo di destinazione degli acquisti;
    • le modalità di comunicazione del codice identificativo IVA tra le parti è lasciato alla loro discrezione, non essendo richieste particolari formalità dalla normativa;
    • se, al momento dell’emissione della fattura, l’acquirente non è stato in grado di comunicare al venditore il numero di partita IVA iscritto al VIES, questi dovrà emettere il documento applicando l’IVA nel paese d’origine; ma, nel momento in cui l’acquirente comunicherà l’identificativo, il venditore dovrà rettificare di conseguenza la fattura;
    • qualora l’acquirente aderisca a un Gruppo IVA, questo dovrà comunicare al venditore il numero di identificazione IVA del Gruppo.
  • Reverse Charge

    Subappalti in edilizia: reverse charge e fatturazione elettronica

    Il reverse charge nel settore edile trova applicazione tra subappaltatore ed appaltatore entrambi con codice Ateco sezione F – costruzioni.

    Dal 2007 trova applicazione il reverse charge, di cui all’articolo 17, comma 6, lett. a) del DPR 633/1972, per le prestazioni di servizi rese dai subappaltatori nel settore edilizio.

    Tale meccanismo prevede che l’appaltatore sia il debitore d’imposta dell’operazione (integrazione della fattura con IVA e annotazione della stessa sul registro delle vendite e sul registro degli acquisti).

    La descritta fattispecie di “reverse charge interno” non va confusa con quella introdotta dal 2015 per operazioni diverse dai subappalti edili, di cui all’articolo 17, comma 6, lett. a-ter) del DPR 633/1972: trattasi, in particolare, delle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento degli edifici, rese anch’esse nei confronti di soggetti passivi IVA.


    Requisiti per l’applicazione del reverse charge nei subappalti edili

    Il meccanismo dell’inversione contabile nel settore edile richiede le seguenti condizioni:

    • l’operazione deve interessare almeno tre soggetti, vale a dire il committente, l’appaltatore e almeno un subappaltatore;
    • si è in presenza di contratto di appalto (subappalto) o di un contratto d’opera (ad eccezione delle forniture con posa in opera);
    • appaltatore e subappaltatori devono effettuare una prestazione rientrante nella sezione F della classificazione delle attività economiche ATECO (settore costruzioni).

    In altri termini, il reverse charge si applica nel rapporto instaurato dal subappaltatore con l’appaltatore principale (o con un altro subappaltatore) mentre non trova applicazione tra quest’ultimo (appaltatore) ed il proprio committente.

    L’appaltatore fattura con IVA al proprio committente mentre i subappaltatori, al verificarsi delle condizioni sopra riepilogate, fatturano in reverse charge, ai sensi dell’art. 17, co. 6, lett. a) del DPR 633/1972.

    Fatturazione elettronica

    Il subappaltatore che emette la fattura elettronica, ad oggi, deve riportare all’interno del tracciato xml il codice “Natura operazione” N6 – inversione contabile.

    Con provvedimento prot. 166579 del 20 aprile 2020, l’Agenzia delle entrate ha pubblicato la nuova versione del tracciato xml della fattura elettronica versione 1.6.1 che prevede, tra le altre modifiche, l’introduzione di un maggior grado di dettaglio dei codici “Natura operazione”.

    Dal 1° ottobre al 31 dicembre 2020 il nuovo tracciato convivrà con il precedente (versione 1.5), mentre dal 1° gennaio 2021 diventerà obbligatorio. Pertanto, dal 2021 l’emissione di una fattura in reverse charge nell’ambito dei subappalti edili richiederà l’utilizzo di un codice “Natura operazione” specifico, ossia “N6.3 inversione contabile – subappalto nel settore edile”.