• Scritture Contabili

    Operazioni inesistenti: il ruolo degli indizi presuntivi

    Con l’ordinanza n. 25044 dell’11 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in tema di operazioni soggettivamente inesistenti:

    • L’Amministrazione finanziaria può dimostrare anche in via presuntiva, sulla base di indizi oggettivi, la consapevolezza del cessionario di partecipare a una frode fiscale”.

    Elemento decisivo, nella fattispecie, in cui la cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che aveva annullato il recupero dell’Iva nei confronti di una società coinvolta in un articolato sistema di frode, è stato individuato nella retrocessione di una parte rilevante del corrispettivo a un soggetto diverso dall’emittente la fattura.

    Tale circostanzaè stata definita prova determinante della consapevolezza del contribuente.
    La Corte ha inoltre chiarito che la neutralità tecnica dell’Iva nel meccanismo del reverse charge non può sanare l’indetraibilità dell’imposta se l’operazione si inserisce in un contesto fraudolento.

    Operazioni inesistenti: il ruolo degli indizi presuntivi

    La vicenda trae origine da un processo complesso di frode Iva nel settore delle sponsorizzazioni sportive internazionali, documentato in un verbale della Guardia di finanza.
    Secondo gli accertamenti, due soggetti italiani avevano creato società con sede fittizia nel Regno Unito e in Irlanda, prive di personale e struttura d’impresa, utilizzate per emettere fatture false o gonfiate relative a prestazioni di sponsorizzazione nei campionati mondiali Superbike e Supersport.

    Il meccanismo prevedeva che i Team Corse italiani (sponsee) cedessero spazi pubblicitari sulle moto a società estere di comodo a prezzi irrisori. 

    Queste ultime rivendevano poi gli spazi alle società sponsor italiane, tra cui la contribuente, a corrispettivi esorbitanti

    Dopo il pagamento delle fatture, parte delle somme veniva restituita in contanti alle società sponsorizzate, tramite conti correnti svizzeri e austriaci riconducibili al sodalizio criminale.

    Sulla base del processo verbale di constatazione (PVC), l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato l’Iva detratta e negato la deducibilità dei costi, ritenendo le operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti per circa l’84% degli importi fatturati.

    La Ctr aveva annullato l’accertamento, ma l’Agenzia propose ricorso per Cassazione denunciando erronea valutazione del thema decidendum e travisamento degli elementi indiziari.

    Accogliendo il primo motivo di ricorso, la Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata in materia di frodi Iva.
    In particolare, ha ribadito la ripartizione dell’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti:

    • l'amministrazione finanziaria deve dimostrare, anche in via presuntiva e mediante indizi oggettivi, che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una frode. Non è necessario provare la partecipazione diretta all’accordo criminoso.
    • il contribuente: ha l’onere di fornire prova contraria, dimostrando di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per evitare di essere coinvolto nella frode.

    Nel caso concreto, la Corte ha evidenziato che la Ctr aveva trascurato elementi probatori decisivi, come:

    • la retrocessione di parte del corrispettivo a soggetti diversi dagli emittenti delle fatture;
    • la fittizietà strutturale delle società estere;
    • la sproporzione evidente dei corrispettivi rispetto a quelli applicati dai main sponsor del campionato.

    La Cassazione ha inoltre chiarito che il contribuente non può limitarsi a invocare la regolarità contabile o la congruità dei pagamenti, né l’assenza di vantaggi economici, poiché tali circostanze non escludono la consapevolezza della frode e sono facilmente simulabili.


    Inoltre viene accolto anche il terzo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto erronea l’affermazione della Ctr secondo cui il reverse charge renderebbe l’operazione neutrale ai fini dell’Iva, escludendo qualsiasi danno per l’Erario.
    Richiamando l’articolo 47 del D.L. n. 331/1993 e la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, oltre alle Sezioni Unite (Cass. n. 22727/2022), la Cassazione ha ribadito che: 

    • “La neutralità tecnica dell’Iva non può prevalere sui principi anti-abuso: il diritto alla detrazione è escluso quando il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una frode”.

    In altre parole, anche se il meccanismo contabile del reverse charge comporta la registrazione simultanea dell’imposta a debito e a credito, l’Iva resta indetraibile se l’operazione è fittizia o fraudolenta.

  • Scritture Contabili

    Bollo e tasse libri sociali: calcolo sulle righe per quelli digitali

    Con la Risposta a interpello n 42 del 20 febbraio le Entrate replicano ad una Società Cooperativa facente parte di un gruppo bancario cooperativo, che ha domandato chiarimenti sulla Tassa di Concessione Governativa (TCG) e sull’Imposta di bollo relative alla tenuta digitale dei libri sociali, in conformità all’articolo 2215-bis del Codice Civile.

    In particolare veniva domandato:

    • se la Tassa di Concessione Governativa (TCG) e l’Imposta di Bollo siano dovute per i libri sociali tenuti in modalità digitale, considerando che i riferimenti normativi parlano di “pagine”, un concetto legato ai supporti cartacei.
    • se la TCG sia effettivamente dovuta, dato che l’art. 23 della Tariffa del d.P.R. n. 641/1972 si riferisce ai libri sociali cartacei e non menziona esplicitamente quelli digitali.
    • quale criterio utilizzare per il calcolo dell’imposta di bollo sui libri sociali digitali, in particolare per determinare cosa si intenda per “registrazione” ai fini della tassazione.
    • quali siano le modalità di versamento della TCG e dell’imposta di bollo per i libri digitali.

    Viene replicato che entrambi i tributi sono dovuti anche per i libri tenuti in formato digitale vediamo i dettagli delle modalità di calcolo e versamento.

    Bollo e tasse libri sociali: dovute anche per quelli digitali

    Le Entrate confermano quanto chiarito con interpello precedente ossia il n 346/2021 (cui si rimanda per approfondimenti).

    In dettaglio, anche per i libri sociali con la tenuta in modalità digitale occorre pagare la tassa di concessione governativa TCG e l’imposta di bollo per singole righe parametrata a una pagina virtuale di 25 righe.

    L’Agenzia richiama la Risposta ad interpello n. 346 del 17 maggio 2021, dove viene specificato che:

    • se i libri sono cartacei, l’imposta pari 16 euro è dovuta ogni 100 pagine o frazione, da assolvere prima dell’uso del registro.
    • se i libri sono digitali, bisogna fare riferimento al D.M. 17 giugno 2014, il quale all’art. 6, comma 3, che prevede l'imposta di bollo sia dovuta ogni 2.500 registrazioni o frazione di esse.

    L’Agenzia richiama anche la Risoluzione 161/E del 9 luglio 2007, chiarendo che:

    • per registrazione si intende ogni singolo accadimento contabile (ad esempio, ogni cespite nel libro degli inventari o ogni operazione in partita doppia nel libro giornale).
    • nei libri sociali, la registrazione si riferisce alla singola riga di verbale o all’annotazione dell’ingresso/uscita di un socio.
    • la base di calcolo per i libri sociali è 100 pagine = 2.500 righe.

    L’Agenzia conferma che il pagamento dell’imposta di bollo per i libri digitali deve essere effettuato mediante modello F24 (codice tributo 2501) entro 120 giorni dalla chiusura del periodo d’imposta, come stabilito dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997.

  • Scritture Contabili

    Bonifici a cavallo d’anno: chiarimenti ADE sulla rilevanza fiscale

    L’agenzia delle Entrate in una delle risposte ai quesiti presentate nel corso di Telefisco 2024 del 1 febbraio replica a dubbi sulla deduzione dei costi secondo il principio di cassa dando rilievo all'ordine di pagamento del bonifico.

    Relativamente alla non coincidenza tra il pagamento effettuato con bonifico e il relativo addebito (successivo) dello stesso sul conto corrente viene sinteticamente evidenziato che nessuna rilevanza ai fini fiscali è da attribuirsi al momento in cui materialmente avviene poi l’addebito sul conto corrente dell’erogante.

    Deduzione costi per cassa: chiarimenti ADE su bonifico a cavallo d'anno

    Un professionista chiedeva la corretta competenza del costo ai fini della deducibilità dello stesso nell’ipotesi di bonifico effettuato il giorno 29 dicembre 2023, ma poi addebitato sul conto corrente il giorno 2 gennaio 2024.

    L’agenzia ha replicato ritenendo di poter applicare quanto già chiarito, nella risoluzione 23 aprile 2007, n. 77/E, riguardante il caso di un pagamento on line dei contributi mediante l’utilizzo della carta di credito.

    Nel documento di prassi è stato chiarito che «il momento maggiormente rilevante, nel caso in cui i contributi vengano versati con carta di credito on-line, è quello in cui viene utilizzata la carta di credito» e, di conseguenza, i contributi si considerano versati dal professionista nel momento stesso in cui manifesta la volontà di sostenere l’onere dando ordine di pagamento alla banca.

    Il momento successivo in cui avviene l’addebito sul conto corrente del professionista da parte della banca, secondo il chiarimento delle Entrate riguarda un rapporto interno che coinvolge delegante e delegato irrilevante ai fini fiscali.

    La risposta è interessante poiché applicabile in modo trasversale in ogni ipotesi di applicazione del principio di cassa, ad esempio:

    • all’impresa in contabilità semplificata, 
    • alla deduzione di un onere in dichiarazione dei redditi per un privato,
    • alle detrazioni fiscali legate ai bonus edilizi.