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Società di comodo e rimborso IVA: principio della Cassazione
La Corte di Cassazione con Ordinanza n 21887/2025 si pronuncia su un nodo rilevante per i professionisti fiscali: il diniego al rimborso IVA per le società di comodo.
La Suprema Corte ha cassato la decisione di una CTR , rilevando un contrasto tra l’art. 30 della L. 724/1994 e i principi contenuti nella Direttiva UE 2006/112/CE.
Il caso di specie riguarda una società S.r.l., attiva nel settore turistico, che aveva richiesto la disapplicazione del regime sulle società non operative per l’anno d’imposta 2009.
Alla base della richiesta, il sequestro penale dell’immobile aziendale, intervenuto per presunti abusi edilizi riferibili alla precedente proprietà.
Conseguentemente, la società non era riuscita a realizzare ricavi superiori alle soglie minime richieste dall’art. 30 della L. 724/1994.
Da ciò derivava il rigetto da parte dell’Agenzia delle Entrate del rimborso IVA chiesto nel 2010.
In primo grado la CTP aveva accolto le ragioni della contribuente ma in appello, la CTR aveva ribaltato il verdetto: secondo i giudici regionali, mancavano prove sufficienti a dimostrare l’impedimento oggettivo e straordinario che avrebbe giustificato la disapplicazione della norma.
Società di comodo e rimborso IVA: Italia contraria al diritto UE per la Cassazione
La società è ricorda in Cassazione la quale ha accolto il ricorso.
Elemento determinante è stata la sentenza CGUE del 7 marzo 2024 (causa C-341/22 – Feudi di San Gregorio).
La Corte europea ha sancito due principi fondamentali:
- il soggetto passivo IVA non può essere escluso solo perché non ha superato soglie minime di ricavo;
- il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere negato per la sola insufficienza dei ricavi, pena la violazione dei principi di neutralità e proporzionalità.
La Cassazione ha quindi chiarito che l’art. 30 L. 724/1994 deve essere disapplicato quando produce effetti contrari alla Direttiva 2006/112.
Il giudice tributario, alla luce di questa giurisprudenza, deve verificare se la società ha svolto operazioni rilevanti ai fini IVA, anche se con ricavi modesti.
Il mancato superamento della soglia di operatività non può automaticamente escludere il diritto alla detrazione o al rimborso dell’IVA.
La Cassazione ribadisce che serve comunque la prova dell’esercizio effettivo dell’attività economica, ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE.
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Beni di terzi: corretta contabilizzazione per la Cassazione
La recente Ordinanza n. 11509 del 2 maggio 2025 della Cassazione permette di effettuare alcune considerazioni sulla corretta contabilizzazione delle spese di ristrutturazione sostenute da una società su immobili non di proprietà.
Beni di terzi: corretta contabilizzazione spese
Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito di impresa in capo ad una società Sas, ai sensi dell'art. 30dellalegge n. 724 del 1994; in particolare l'ufficio contestava alla società di aver irregolarmente contabilizzato tra le immobilizzazioni materiali nel conto immobili le spese di ristrutturazione sostenute su un edificio di proprietà di terzo (e in particolare del socio B.B. che lo aveva concesso in comodato alla società), mentre tali oneri avrebbero dovuto essere contabilizzati tra le immobilizzazioni immateriali; ciò aveva determinato una irregolarità:
- sia nel calcolo del test di operatività
- sia nella redazione dello studio di settore, la cui congruità era posta a fondamento della esclusione dalla disciplina predetta.
La CTP accoglieva i ricorsi proposti da società e soci e la Commissione tributaria regionale rigettava l'appello erariale ritenendo che la società fosse congrua e coerente ai fini degli studi di settore, per cui era da ritenersi sussistente l'esclusione prevista dall'art. 30, comma 2, lett. 6-sexies, dellalegge n. 724 del 1994.
La ctr evidenziava che la qualificazione della spesa per immobili come operata dal contribuente era corretta, dovendosi fare riferimento alla natura sostanziale del bene e non al titolo di disponibilità del medesimo.
Inoltre evidenziava che l'assimilazione della predetta spesa all'investimento su immobili di proprietà risultava rafforzata dalla durata del contratto di comodato, che era a tempo indeterminato, il che faceva optare per la considerazione dell'effettiva operatività della società perché rendeva evidente che la logica economica dell'operazione era costituire una società con il fine di ristrutturare l'immobile e metterlo a frutto, destinandolo ad attività ricettiva mediante affitto di ramo d'azienda.
Contro tale decisione l'agenzia proponeva ricorso per Cassazione con un primo e unico motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c..
La difesa erariale deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, lett. c) n. 6-sexies, dellalegge n. 724 del 1994, dell'art. 62delD.L. n. 331 del 1993, dell'art. 5t.u.i.r., nonché dei principi contabili nazionali di cui ai nn. 16 e 24 quali usi normativi richiamati dall'art. 2219 c.c. e dalla legislazione fiscale (art. 22D.P.R. n. 600 del 1973), del decreto MEF del 20 marzo 2007 e susseguente provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 27 marzo 2007.
La Cassazione con la recente Ordinanza n. 11509 del 2 maggio 2025 statuitsce che nel merito il ricorso erariale è fondato.
La disciplina delineata dall'art. 30 della L. 724 del 1994 mira a disincentivare la costituzione di società "di comodo", ovvero il ricorso all'utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell'amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale.
Il disfavore dell'ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario, ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall'art. 2248c.c., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria, trova spiegazione nella distonia tra l'interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.
La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (Cass. 24/02/2020, n. 4850).
La presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi ed ha carattere relativo.
In particolare, secondo il primo comma dell'art. 30 della L. n. 724 del 1994, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società.
Tale presunzione può, tuttavia, essere vinta mediante la dimostrazione, il cui onere grava sul contribuente, di situazioni oggettive ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell'imprenditore che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.
Infine, per quanto nella causa specificamente rileva, la disciplina non si applica nel caso previsto dall'art. 30, comma 1, lett. c) n. 6 sexies, della legge n. 724 del 1994, e cioè alle società che risultino congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.
La Corte ha chiarito che le spese incrementative di beni non di proprietà dell'impresa, che li utilizza in virtù di un contratto di locazione o di comodato, debbano essere iscritte tra le immobilizzazioni materiali solo ove al termine del periodo di locazione o di comodato possano essere rimosse dall'utilizzatore ed avere un impiego a prescindere dal bene a cui accedono; viceversa, qualora si tratti di opere non separabili dal bene altrui, devono essere iscritte tra le immobilizzazioni immateriali.
Si tratta di un principio logico che trova conferma nel principio contabile OIC 24, appendice A.22, il quale prevede che i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni non dell'impresa (anche in leasing) sono capitalizzabili ed iscrivibili tra le "altre" immobilizzazioni immateriali se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi (ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità); altrimenti sono iscrivibili tra le "immobilizzazioni materiali" nella specifica voce di appartenenza.
Secondo la Cassazione la CTR ha sbagliato nel ritenere che la dichiarazione di dette spese tra le immobilizzazioni materiali, ai fini dello studio di settore, fosse corretta, espressamente negando rilevanza al dato che l'immobile fosse di terzi e in ragione della mera durata del comodato, dando quindi rilievo ad elementi irrilevanti per una corretta contabilizzazione.
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Società di comodo: cambiano i calcoli presunti per alcuni beni
ll DLgs. di riforma di Irpef e Ires approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri, e atteso in GU, stando alla bozza modificata in modo consistente dopo il passaggio alle Commissioni tecniche, apporta anche cambiamenti alla disciplina delle società non operative di cui all’art. 30 della L. 724/94.
Sinteticamente si rideterminano le aliquote da applicare ad alcune categorie di beni nel calcolo dei ricavi e del reddito minimo presunti.
Società di comodo: cambiano i calcoli presunti per alcuni beni
Il 4 dicembre viene approvata la Riforma Ires-Iperf che contiene anche novità per le società di comodo.
Il testo circolato dal preconsiglio dei ministri indica che, all'art 20 rubricato Modifiche al regime delle società di comodo si prevedono modifiche alle percentuali da utilizzare per determinare i valori di redditività presunta di alcuni beni.
Nella Relazione illustrativa al decreto, si precisa inoltre che sono state recepite le osservazioni di cui alla lettera m) del parere reso dalla Commissione Finanze della Camera, in cui si richiedeva di dare attuazione all’art. 9 comma 1 lett. b) della L. 111/2023 mediante la rideterminazione delle aliquote dei beni la cui redditività presunta non risulta in linea con i valori medi di mercato.
L’art. 20 del DLgs. appena approvato recepisce quanto osservato nel parere individuando nuove aliquote, pur non prevedendone una revisione periodica.
Nelle more della revisione della disciplina di contrasto al mero godimento dei beni messi a disposizione dei soci e dei loro familiari gratuitamente o a fronte di un corrispettivo inferiore al valore normale, nell’ambito della disciplina delle società di comodo, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, all’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono apportate le seguenti modificazioni:
- a) al comma 1:
- 1) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
- «a) l’1 per cento al valore dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e delle quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all’articolo 5 del medesimo testo unico, anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;»;
- 2) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
- «b) il 3 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in locazione finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 2,5 per cento; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 2 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell’0,50 per cento;»;
- 3) dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:
- «b-bis) il 6 per cento delle immobilizzazioni costituite da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, anche in locazione finanziaria;»;
- b) al comma 3:
- 1) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
- «a) lo 0,75 per cento sul valore dei beni indicati nella lettera a) del comma 1;»;
- 2) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
- «b) il 2,38 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili, anche in locazione finanziaria; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 2 per cento; per le immobilizzazioni costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei due precedenti la predetta percentuale è ulteriormente ridotta al 1,5 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dello 0,45 per cento;»;
- 3) dopo la lettera b) è aggiunta la seguente:
- «b-bis) il 4,75 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni indicati nell'articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, anche in locazione finanziaria;».
- a) al comma 1: