• Adempimenti Iva

    Iva integratori alimentari: quale aliquota applicare

    Il DL Anticipi prevede novità anche in tema di IVA per gli integratori alimentari. Vediamo quali.

    Iva integratori alimentari: quale aliquota applicare

    Con l’articolo 4-bis, introdotto in sede referente, si dispone l’applicazione dell’aliquota agevolata IVA al 10 per cento agli integratori alimentari. 

    Viene modificato il punto 80 della tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 il quale prevede che siano assoggettate all’aliquota IVA agevolata del 10 per cento (in luogo di quella ordinaria del 22 per cento) le preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove, esclusi gli sciroppi di qualsiasi natura. 

    Per effetto della modifica in arrivo, sono ricomprese tra le preparazioni alimentari assoggettate all’aliquota del 10 per cento anche gli integratori alimentari, di cui al decreto legislativo n. 169 del 2004, in quanto preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove, classificabili nella voce doganale 2106 della nomenclatura combinata di cui all'allegato 1 del regolamento di esecuzione (UE) 2017/1925 della Commissione del 12 ottobre 2017 che modifica l'allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune. 

    Ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 169 del 2004, per integratori alimentari si intendono i prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate.

  • Adempimenti Iva

    Nota variazione in diminuzione: quando emetterla in pendenza di giudizio

    Con Risposta a interpello n. 471 del 29 novembre 2023 le Entrate si occupa di un caso di chiusura del fallimento ''in pendenza di giudizi'' ai fini di stabilire da quando decorre ''dies a quo'' per l'emissione della nota di variazione in diminuzione – articolo 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

    Nel caso di specie, Anche nel caso oggetto di interpello, dunque, trattandosi di procedura concorsuale avviata  prima del  26 maggio  2021,  non  può che  trovare  applicazione il precedente disposto dell'articolo 26 del decreto IVA che, ­fissando il dies a quo per l'emissione delle note di variazione in diminuzione al momento in cui si ha certezza dell'infruttuosità della procedura concorsuale ­nell'ipotesi di chiusura del fallimento ''in pendenza di giudizi'', richiede di attendere il termine dei predetti giudizi e l'esecutività dell'eventuale piano supplementare di riparto. 

    Vediamo i dettagli dell'interpello.

    Nota variazione in pendenza di giudizio: il caso di specie

    L'istante riferisce di aver maturato nel corso dell'esercizio 2013 nei confronti del suo cliente un significativo credito rimasto insoluto, 

    Nel 2014 il Tribunale di Milano emette la sentenza dichiarativa di fallimento della società, nell'aprile 2015 il Tribunale ammette la Società al passivo fallimentare per l'intero importo (oltre spese per decreto ingiuntivo) in qualità di chirografo; nel marzo 2023 il Tribunale comunica alla Società il rendiconto del Curatore in vista della chiusura del fallimento (nel quale nessuna somma è prevista per la società); nel giugno 2023 il Curatore comunica alla Società che il Tribunale di Milano ha decretato la chiusura del fallimento ''in pendenza di giudizi'' ai sensi dell'art. 118, comma 2 della Legge Fallimentare. 

    Ciò  premesso, l'istante chiede di  sapere «a partire da quale momento può emettere la relativa nota di variazione in diminuzione, ai sensi dell'articolo 26, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per ''stornare'' le fatture originariamente emesse nei confronti del cliente fallito e recuperare almeno l'importo relativo all'imposta». 

    Nota variazione in pendenza di giudizio: quando emetterla

    Le Entrate evidenziano che, l'articolo 26, comma 2, del decreto IVA, nella versione vigente ante  26 maggio  2021,  stabiliva che:

    «Se  un'operazione per la  quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, […] per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose […], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25».

    La disposizione disciplinava le variazioni in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni in aumento previste al comma 1 del medesimo articolo 26, ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi espressamente previste. 

    Tra queste figurava il «mancato  pagamento  in  tutto  o  in  parte  a  causa  di procedure concorsuali […] rimaste infruttuose».  

    Al  riguardo, con la circolare  17 aprile  2000 n. 77/E, è stato chiarito che «tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo. Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l'acclarata insolvenza dell'importo fatturato e l'assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall'altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso»

    Sempre  il  medesimo documento di  prassi ha  precisato che nel fallimento, in particolare, «al fine di individuare l'infruttuosità della procedura occorre fare riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto, oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso». 

    Successivamente, con la risoluzione del 16 maggio 2008, n. 195/E è stato, altresì, precisato che «Il legislatore ha, dunque, limitato la rilevanza del mancato pagamento alle  ipotesi  di ''procedure  concorsuali o  di procedure esecutive rimaste infruttuose'', perché solo in tali ipotesi si ha una ragionevole certezza dell'incapienza del patrimonio del debitore. Il mancato pagamento assume, quindi, rilievo costitutivo nelle sole ipotesi in cui il creditore abbia esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito ma non abbia trovato soddisfacimento»

    Dello stesso tenore la pronuncia della Corte di cassazione 27 gennaio 2014, n. 1541, ove  è  stato  chiarito che «In tema di IVA, la variazione prevista dal secondo comma dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con riguardo all'ipotesi in cui  sia  stata emessa  fattura per un'operazione successivamente venuta  meno per mancato pagamento a causa del sopravvenuto fallimento della  debitrice, richiede la necessaria partecipazione del creditore alla relativa procedura concorsuale e la prova del vano esperimento del recupero del suo credito in quella sede, che è desumibile, esclusivamente,  dall'infruttuosa  ripartizione  finale dell'attivo o,  in  mancanza, dalla definitività del provvedimento di chiusura del fallimento». 

    Con ogni evidenza, quindi, per le procedure concorsuali aperte in data antecedente il 26 maggio  2021, il presupposto che consente di  emettere  la nota  di variazione in diminuzione per  «mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali  […]  rimaste  infruttuose»  si  realizza allorquando la  pretesa creditoria rimane insoddisfatta «per  insussistenza di  somme  disponibili, una  volta ultimata  la ripartizione dell'attivo», ovvero quando «si ha una ragionevole certezza dell'incapienza del patrimonio del debitore»

    Orbene, in base all'articolo 118 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (vigente ratione temporis), «La chiusura della procedura di fallimento» quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo «non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio ai sensi dell'articolo 43. […] Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all'articolo 119»

    Applicando,  dunque, i  principi enucleati dai  suddetti documenti di  prassi all'ipotesi di chiusura del fallimento ''in pendenza di giudizi'' se ne trae che le note di variazione emesse ex articolo 26, comma 2, del decreto IVA, nella versione vigente ante  26 maggio  2021,  potranno  essere  emesse, in linea  generale,  solo  al termine  dei giudizi pendenti, a seguito dell'esecutività dell'eventuale piano supplementare di riparto (momento in cui si avrà certezza delle somme definitivamente distribuite ai creditori). 

    D'altronde, se è pur vero che l'attuale formulazione dell'articolo 26 del decreto IVA ­ come modificato dall'articolo 18 del decreto­legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106 ­ con riferimento alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, consente:

    • al  comma  3­bis,  di  emettere  note  di  variazione  in  diminuzione  «in  caso  di mancato  pagamento  del  corrispettivo, in tutto  o in  parte,  da  parte  del  cessionario  o committente: a) a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale […]»; ­
    • al comma 5­bis, di emettere note di variazione in aumento «Nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3­bis, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte […]»; 

    è anche vero che, il comma 2 del citato articolo 18 dispone espressamente che, «Le disposizioni di cui all'articolo 26, comma 3­bis, lettera a), e comma 5, secondo periodo, del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal comma 1, si applicano alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021 compreso», così lasciando inalterata la disciplina previgente con riguardo alle procedure pregresse. 

    Anche nel caso oggetto di interpello, dunque, trattandosi di procedura concorsuale avviata  prima  del  26  maggio  2021,  non  può che  trovare  applicazione il precedente disposto dell'articolo 26 del decreto IVA che, ­fissando il dies a quo per l'emissione delle note di variazione in diminuzione al momento in cui si ha certezza dell'infruttuosità della procedura concorsuale ­nell'ipotesi di chiusura del fallimento ''in pendenza di giudizi'', richiede di attendere il termine dei predetti giudizi e l'esecutività dell'eventuale piano supplementare di riparto. 

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  • Adempimenti Iva

    Credito d’imposta: non compensabile con IVA versata in eccesso

    Con la Risposta a interpello n 460 del 13 novembre le Entrate replicano ad un quesito sul credito d'imposta, nel caso di specie in favore dei soggetti che operano nel settore turistico/ ricettivo,  ex  articolo  1,  del  decreto–legge  n.  152  del  2021, chiarendo che si tratta di indebito recupero se il credito è compensato con un debito IVA non sussistente.

    L'istante, fa  presente che ha eseguito presso la propria struttura ricettiva/residence alcuni lavori, volti ad incrementarne l'efficienza energetica, al fine di beneficiare del credito di imposta riconosciuto dall'articolo  1,  commi  1 e  2,  del  decreto­ legge  6  novembre 2021, n. 152, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma  1, legge 29 dicembre 2021, n. 233, e ha inviato apposita istanza  al Ministero del Turismo. 

    A seguito di decreto di concessione dei benefici l'istante è risultata assegnataria di una somma a titolo di contributo a fondo perduto e a titolo di credito d'imposta.

    L'istante, riferisce di aver interpellato il Ministero del Turismo in merito alle modalità di cessione del credito d'imposta e, al contempo, di avere difficoltà ad utilizzare il medesimo in compensazione entro il  termine ultimo  fissato al  31  dicembre 2025.

    Ciò  premesso,  l'istante  chiede  se  sia  possibile  utilizzare il  credito in  parola «in  compensazione,  con  il  versamento di  iva non effettivamente dovuta nel corso dell'esercizio 2025, salvo chiedere successivamente il rimborso della stessa da parte dell'amministrazione finanziaria. […] Se l'impostazione viene condivisa  dall'Amministrazione,  si  chiede se il  codice  causale del rimborso da inserire in Dichiarazione Iva per la richiesta di rimborso risulti essere il n. 8, ovvero altra causale»

    L'agenzia, dopo aver ricordato la normativa di riferimento e le modalità di fruizione del credito, sottolinea che con avviso pubblico del Ministero del Turismo, pubblicato il 23 dicembre 2021 ­ recante le modalità applicative per l'erogazione di contributi e crediti d'imposta in oggetto, all'articolo 9 è stato chiarito che il credito di imposta è utilizzabile «entro e non oltre il 31 dicembre 2025», sicché, nell'ipotesi di non avvenuta compensazione o cessione del  credito entro e non oltre il 31 dicembre 2025, la facoltà di beneficiare dell'agevolazione  in parola viene meno, restando preclusa ogni possibilità di rimborso. 

    Ciò premesso, con riferimento allo specifico quesito sottoposto alla  scrivente, non può essere condivisa la soluzione prospettata dall'istante, con cui si  propone  di compensare tramite modello F24 il credito agevolativo con un debito IVA artatamente indicato nel modello di pagamento, in quanto non corrispondente al debito d'imposta determinato in conformità a quanto stabilito dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100.

    L'agenzia conclude affermando che tale espediente, infatti, avrebbe il solo fine di maturare in sede di dichiarazione annuale una eccedenza a credito IVA da chiedere a rimborso, eludendo, con l'''invenzione'' di un debito IVA non sussistente, i limiti di utilizzo del credito d'imposta di cui si discute, mutandone ''arbitrariamente'' la natura da agevolazione ad eccedenza IVA.

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  • Adempimenti Iva

    Pista ciclopedonale in house providing: trattamento IVA contributi pubblici

    Con Risposta a interpello n 433 del 20 settembre le Entrate chiarisco il trattamento IVA dei contributi pubblici per la gestione di un tratto della pista ciclopedonale, affidata in house providing (Articolo 2, comma 2, lettera a) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633).

    In particolare, precisano che il contributo versato dal Comune per la gestione di un tratto della pista ciclopedonale costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi, quindi l'operazione è soggetta ad IVA con l’aliquota ordinaria. 

    Vediamo il dettaglio dell'interpello.

    L'istante riferisce di essere una società sottoposta al controllo analogo di più Comuni e vuole stipulare con il Comune X una Convenzione pluriennale della durata di 18 anni, avente ad oggetto la concessione di una tratta della pista ciclopedonale e delle relative pertinenze, 

    Con riferimento a tale bozza la Società precisa che: 

    • 1. si tratta di un affidamento in house providing e a titolo gratuito nel senso che non è dovuto al Comune X alcun canone; 
    • 2. assume la gestione della tratta della pista ciclopedonale ''per la cui fruizione non è previsto alcun pagamento da parte dell'utenza''; 
    • 3. essendo gli  ''introiti attesi comunque limitati nella loro entità, in quanto ricavabili esclusivamente da limitate sub­concessioni (per sottoservizi, attraversamenti, accessi) e dallo sfruttamento economico diretto di alcuni beni pertinenziali (parcheggi) ovvero dal loro affidamento per usi speciali/eccezionali a favore di terzi (punti ristoro, nolo bici ecc.)'', il Comune X si obbliga a un duplice intervento finanziario, consistente: ­  
      • in un versamento in conto aumento di capitale, così da fornire all'Istante le risorse sufficienti a eseguire alcuni lavori di manutenzione straordinaria sulla tratta assegnata; ­    
      • nel riconoscimento di una somma di denaro a titolo  di contributo annuale, finalizzato a garantire l'equilibrio  economico­finanziario della Società, soggetto a revisione per adeguarlo all'interesse pubblico e agli effettivi risultati consuntivi della gestione.

    Le entrate specificano che nel caso di specie, mancando un chiaro riferimento normativo in base al quale qualificare le somme elargite dal Comune X, occorre fare riferimento ai criteri suppletivi, indicati nella circolare n. 34/E del 2013, nell'ordine gerarchico specificato al paragrafo 2, tra cui assume un ruolo preminente il concreto assetto degli interessi che le parti intendono perseguire con la Convenzione.

    Oggetto della Concessione è dunque un'opera ''tiepida'', ossia un bene in grado di autofinanziarsi  solo parzialmente, il  che  comporta un  obbligo  di  contribuzione  in capo all'Amministrazione che però non può essere ritenuto una mera elargizione di denaro  poiché diretto a remunerare,  unitamente  al  diritto di  sfruttamento economico riconosciuto  all'Istante, gli  specifici  obblighi  da  quest'ultimo assunti,  tra  cui  la manutenzione ordinaria  e  straordinaria e l'uso gratuito  della  pista  da  parte  della collettività. 

    Quanto a dire che la controprestazione  del Comune X consiste  sia nel riconoscimento del diritto di  sfruttamento economico della pista  e delle relative pertinenze, sia nel pagamento di un canone periodico. 

    Tra il Comune X e l'Istante è dunque rinvenibile un rapporto contrattuale, caratterizzato dal sinallagma tra l'obbligo dell'Istante di svolgere una serie di  attività correlate  alla riqualificazione e alla valorizzazione del bene oggetto di Concessione e l'obbligo assunto dall'ente di pagare un canone periodico a integrazione dei proventi rinvenibili dall'esercizio del diritto allo sfruttamento economico di tale bene da parte della Società (cfr. risposta n. 211 del 2020 e prassi ivi richiamata).

    Viene anche sottolineato che, sebbene la Convenzione non sia stipulata nel rispetto delle  regole  dell'evidenza  pubblica  di  cui  al Codice degli  appalti  pubblici in quanto trattasi di affidamento di un bene demaniale e per di più a una società in house, detta circostanza non è dirimente ai fini in esame. 

    Al riguardo, la circolare n. 34/E del 2013, al paragrafo 1.2, lettera b), chiarisce che si è in presenza di un contributo a carattere corrispettivo anche quando la controprestazione è assunta dal beneficiario in base a un contratto stipulato ''… al di fuori o in deroga alle norme del codice dei contratti pubblici: ciò avviene quando il contratto a prestazioni corrispettive regola rapporti per settori esclusi a norma dello stesso codice, ovvero quando i rapporti sono costituiti con soggetti dai particolari requisiti per i quali gli affidamenti sono effettuati al di fuori delle regole del medesimo codice (per es: le società operanti secondo il modello organizzativo dell'in house providing), con la conseguenza che sirendono applicabili tutte le norme tributarie che regolano tali fattispecie''.

    In conclusione, per quanto sino a ora rilevato, si ritiene che il contributo annuale pagato  dal  Comune  X  costituisca  il corrispettivo  della prestazione  di  servizi che la Società dovrà effettuare dopo la stipula della Convenzione e come tale soggetto a IVA con aliquota ordinaria

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  • Adempimenti Iva

    Trasformazione agevolata in società semplice: chiarimenti sull’IVA

    Con Risposta n 431 del 18 settembre le Entrate chiariscono aspetti della:

    • trasformazione agevolata in società semplice (ex articolo 1, commi 101– 106, della legge del 22 dicembre 2022, n. 197) 
    • e rettifica della detrazione dell'IVA relativa ai beni estromessi.

    Nel dettaglio, viene sottolineato che, la Società istante ha detratto integralmente l'IVA sui beni oggetto di estromissione, evidenziando il relativo credito nella dichiarazione annuale IVA 2008, poi definitivamente perso per la disciplina sulle società di comodo. 

    Se quindi la trasformazione avviene entro il prossimo 30 settembre, non sussiste alcun obbligo di rettifica in capo alla Società essendo ormai  trascorso il  periodo di tutela fiscale dei beni oggetto di  estromissione,  mentre l'estromissione darà luogo a un'operazione esente da IVA, salvo diversa opzione per il regime di imponibilità. 

    Vediamo più in dettaglio i chiarimenti dell'Agenzia.

    Trasformazione agevolata in società semplice: le norme in breve

    L'Istante riferisce la sua intenzione di usufruire della disciplina della trasformazione agevolata in società semplice prevista dalla Legge di Bilancio 2023,  (Leggi anche: La trasformazione agevolata in società semplice senza ''modificare l'oggetto della propria attività, per come sopra individuata''. 

    Ricordiamo brevemente che si tratta di una misura agevolativa valida fino al 30 settembre 2023 e che ripropone quella in precedenza già disciplinata dall'articolo 1, commi 115­120, della legge del 28 dicembre 2015, n. 208. 

    In  particolare, con le disposizioni citate si prevede la possibilità per le società che hanno per oggetto esclusivo o principale  la gestione di beni immobili, diversi da quelli strumentali per destinazione, o beni mobili iscritti nei pubblici registri, non  utilizzati come strumentali, di trasformarsi  in società semplici e di consentire l'assegnazione e la cessione agevolata ai soci di tali beni.  

    Ai  fini delle imposte indirette, tuttavia, non è prevista alcuna agevolazione.  

    In particolare, l'assegnazione dei beni ai soci realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, equiparata a una cessione di beni a titolo oneroso ai sensi dell'articolo 16, comma 1, della Direttiva IVA recepito nell'articolo 2, secondo comma, n. 6), del Decreto IVA.

    Di conseguenza ai fini IVA rilevano tutte le assegnazioni di beni per le quali la società abbia detratto, integralmente o parzialmente, l'IVA addebitatale in via di rivalsa al momento dell'acquisto, dell'importazione o dell'effettuazione degli investimenti prima indicati. Viceversa, esulano dall'ambito applicativo del tributo le fattispecie di assegnazione di beni in relazione alle quali era preclusa la detrazione dell'IVA all'atto dell'acquisto (cfr. circolare n. 26/E del 2016). 

    Il Contribuente istante cita la circolare n. 37/E del 2016, secondo cui ''in tutte le ipotesi di estromissione di un bene per la cessazione dell'esercizio dell'attività economica per il quale si è usufruito della detrazione d'imposta a monte, l'Iva sul bene estromesso va applicata anche oltre il termine previsto per la rettifica alla detrazione'' (paragrafo 8 e Corte di Giustizia dell'Unione Europea, C­229/2015). 

    Pertanto, chiede se in sede di assegnazione dei beni immobili qui in discussione, debba riversare l'IVA a credito di fatto mai utilizzata  e/o l'importo limitato scaturente ''dalla compensazione che ha comportato una riduzione ''risibile'' dell'ammontare del credito Iva (anno 2007) mai utilizzato''

    Trasformazione agevolata in società semplice: chiarimenti sull'IVA

    Le entrate ripercorrono i chiarimenti della circolare 1° giugno 2016, n. 26/E.

    Essa ha chiarito che, stante l'assenza del requisito della commercialità in  capo alla società semplice, la trasformazione di  una società commerciale in una società semplice realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio d'impresa a  cui sono applicabili le disposizioni previste dalla norma di riferimento, tranne che per «quei beni per i quali non è stata operata, all'atto dell'acquisto, la detrazione dell'imposta di cui all'articolo 19;», la cui estromissione dall'attività d'impresa non è soggetta a IVA

    La medesima circolare precisa che quando l'estromissione ha per oggetto beni immobili abitativi o  strumentali trovano applicazione le regole ordinarie di cui all'articolo 10, primo comma, nn. 8­bis) e 8­ter) del Decreto IVA che prevedono il regime ''naturale'' dell'esenzione, riconoscendo nello stesso tempo la possibilità di applicare il regime di imponibilità mediante espressa opzione nell'atto di ''trasferimento''. 

    Nel caso di specie, poiché la Società ha detratto integralmente l'IVA sugli immobili, la loro estromissione dal regime d'impresa per effetto della trasformazione realizza un'operazione rilevante ai fini IVA, in regime di esenzione a meno che l'Istante non opti per il regime di imponibilità.

    Dato che l'estromissione può riguardare beni ammortizzabili, per i quali è stata detratta in tutto o in parte l'IVA, la circolare n. 37/E del 2016, richiamando i chiarimenti resi dalla Corte di Giustizia  dell'Unione  Europea nella  sentenza 16  giugno  2016, C­229/15, precisa l'autonomia di tale presupposto (n.d.r. estromissione) rispetto alle regole sulla rettifica della detrazione (n.d.r. di cui all'articolo 19­bis2 del Decreto IVA). 

    In particolare la Corte ha spiegato come l'assoggettamento ad imposta di cui trattasi  ''non si fonda sulla premessa secondo cui la detrazione completa o parziale dell'IVA, operata al momento dell'acquisto di beni oggetto di possesso in caso di cessazione dell'attività economica imponibile, sia superiore o inferiore a quella che il soggetto passivo aveva diritto di effettuare, bensì sulla realizzazione di una nuova operazione  imponibile  alla  data  della  cessazione  dell'attività  economica''.  

    Da ciò discende che in tutte le ipotesi di estromissione di un bene per la cessazione dell'esercizio dell'attività economica per il quale si è usufruito della detrazione d'imposta a monte, l'Iva sul bene estromesso va applicata anche oltre il termine previsto per la rettifica alla detrazione.

    Nella citata sentenza, in particolare, la Corte di Giustizia stabilisce che:

    •  1.  ''l'assoggettamento ad imposta (…) deve aver luogo (…) quando un bene che abbia dato diritto ad una detrazione dell'IVA conserva un valore residuo al momento della  cessazione  dell'attività  economica  imponibile,  indipendentemente  dal  periodo trascorso tra la data dell'acquisizione di detto bene e quella della cessazione dell'attività stessa'' (punto 39); 
    • 2.   ragion per cui,  ''in caso di cessazione dell'attività economica imponibile di un soggetto passivo, il possesso di beni da parte di quest'ultimo, allorché tali beni hanno dato diritto ad una detrazione dell'IVA al momento del loro acquisto, può essere assimilato ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso e soggetta all'IVA, se il periodo di rettifica previsto dall'articolo 187 della direttiva IVA è scaduto'' (punto 40). 

    Anche se con riferimento alle assegnazioni fuori campo IVA, la circolare 37/E del  2016,  al  paragrafo  9,  nel  chiarire  che  ''…la rettifica della detrazione deve essere operata, non solo per le assegnazioni in regime di esenzione, ma anche per quelle fuori campo IVA'', precisa che ''L'obbligo di operare la rettifica dell'IVA detratta al momento dell'acquisto e le modalità con le quali va operata dipende dal ''regime'' applicato ai beni ammortizzabili in sede di assegnazione e dalla circostanza che l'assegnazione avvenga nel corso del relativo periodo di tutela fiscale (dieci anni per i fabbricati, cinque anni per gli altri beni)''. 

    Da quanto sino a ora richiamato consegue che in caso di beni per i quali è stata operata in tutto o in parte la detrazione dell'imposta addebitata in via di rivalsa: ­ 

    • la rilevanza IVA della loro estromissione dal regime d'impresa è regolata da  presupposti  autonomi  e  diversi  rispetto  a  quelli  che  disciplinano la  rettifica  della detrazione; ­  
    • i principi che  regolano la detrazione impongono di adempiere all'obbligo di rettifica se la cessione avviene nel periodo di tutela fiscale, mentre quelli che disciplinano l'estromissione ne determinano sempre la rilevanza ai fini IVA, fermo restando che detta operazione può dare origine a una cessione di beni imponibile, non imponibile o esente.

    Nel caso di specie, da quanto riferito dal Contribuente, come sopra sinteticamente ricordato, la Società ha detratto integralmente l'IVA sui beni oggetto di estromissione, evidenziando il relativo credito nella dichiarazione annuale IVA 2008, poi definitivamente perso per la disciplina sulle società di comodo. 

    Se quindi la trasformazione avviene entro il prossimo 30 settembre, non sussiste alcun obbligo di rettifica in capo alla Società essendo ormai  trascorso il  periodo di tutela  fiscale dei  beni  oggetto di  estromissione,  mentre  l'estromissione  darà  luogo  a un'operazione esente da IVA, salvo diversa opzione per il regime di imponibilità.

  • Adempimenti Iva

    Remunerazione aggiuntiva farmacie e IVA: chiarimenti delle Entrate

    Con Consulenza Giuridica n 2 del 15 settembre le Entrate forniscono chiarimenti sulla emunerazione aggiuntiva per le farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN ai fini IVA.

    In particolare, viene precisato che tale remunerazione riconosciuta alle farmacie in via sperimentale per gli anni 2021 e 2022 e portata a regime dalla legge di Bilancio 2023 (articolo 1, comma 532, legge n. 197/2022), non è soggetta a Iva.

    Una associazione di categoria, in rappresentanza di oltre 18.000 farmacie private convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), chiede chiarimenti in merito alla natura della "remunerazione aggiuntiva" introdotta dalla legge di bilancio 2023. 

    In particolare, chiede se detta remunerazione sia un contributo a fondo perduto, escluso dal campo di applicazione dell'IVA.

    Le entrate nel dettaglio, chiariscono che con le risposte a interpello nn. 219 e 227 del 2022 viene qualificato non rilevante ai fini IVA la remunerazione aggiuntiva a favore delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN, disposta dal decreto legge 22 marzo 2021 n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, e meglio specificata nel relativo decreto attuativo (D.M. 11 agosto 2021). 

    Il comma 532 unitamente al relativo decreto attuativo 30 marzo 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 maggio 2023, dispongono a regime una remunerazione aggiuntiva a favore delle farmacie, finalizzata a «salvaguardare la rete di prossimità rappresentata» da queste ultime. 

    Tale remunerazione è riconosciuta «anche sulla base degli esiti della sperimentazione prevista dall'articolo 20, commi 4, 5 e 6, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41» e, dunque, deve ritenersi in continuità con quest'ultima previsione. 

    Inoltre, analogamente a quella riconosciuta in via sperimentale, anche «la remunerazione aggiuntiva (n.d.r. della legge di bilancio 2023) … non concorre alla determinazione della spesa farmaceutica convenzionata, ai fini del raggiungimento del limite di cui all'art. 1, comma 475, della legge 30 dicembre 2020, n. 178»

    L'erogazione di tali somme avviene al verificarsi di presupposti predefiniti e non è commisurata al prezzo dei farmaci (essendo riconosciuta in relazione alle singole confezioni cedute, a prescindere dal prezzo), né modifica il prezzo al pubblico del farmaco. 

    Peraltro, specifica l'agenzia, l'elemento di novità rispetto alla precedente normativa e rappresentato dal fatto che "la remunerazione aggiuntiva prevista dal presente decreto concorre al calcolo del fatturato annuo del servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 1, comma 40-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni e integrazioni", si ritiene dovuto alla presenza di un tetto massimo di spesa, la cui copertura è data a valere proprio sulle risorse di cui all'articolo 1, commi 34 e 34 -bis , della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 

    Pertanto l'erogazione è interrotta qualora risultino esaurite le risorse stanziate dalla norma e le eventuali somme erogate in eccesso devono essere recuperate.

    Tali disposizioni inducono dunque a ritenere che le conclusioni delle risposte n. 219 e n. 227 del 2022, nel senso della non rilevanza ai fini IVA della remunerazione aggiuntiva a favore delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN, siano valide anche in relazione alla remunerazione aggiuntiva introdotta a regime dalla legge di bilancio 2023. 

    Allegati:
  • Adempimenti Iva

    Cessione fabbricato in leasing: la base imponibile IVA

    Con Risposta a interpello n 405  del 31 luglio le Entrate chiariscono le modalità di determinazione della base imponibile IVA della cessione di un fabbricato in un rapporto di leasing.

    La società istante operante nel settore della produzione di insaccati e prodotti di carne ha conseguito per la maggior parte del proprio fatturato presso la sede operativa mediante anche un contratto di locazione finanziaria immobiliare, edifici ed  impianti tecnologicamente all'avanguardia.

    Tuttavia, un vasto incendio ha quasi completamente distrutto l'intero impianto  lasciando  in  stato  di  rovina  e  degrado  l'immobile  che deve  essere  considerato un  collabente da  inquadrare nella categoria  catastale F/2.  

    Le  autorità competenti hanno imposto l'abbattimento dell'intera struttura, la rimozione dei detriti e la bonifica del suolo, p

    L'Istante  dichiara  che,  anche  per  esplicito obbligo contrattuale e  accordi  sopraggiunti con la Compagnia di Leasing, occorre trasferire l'immobile collabente dalla società concedente, cioè la società BETA, alla società utilizzatrice ALFA. 

    Il contratto  di  leasing  dovrà ritenersi risolto di diritto alla data in cui sarà verificato l'evento

    In caso di distruzione dell'immobile  l'Utilizzatore avrà l'obbligo di rendersi acquirente del terreno, del rudere e di ogni altro  diritto relativo ad un prezzo imponibile pari all'indennizzo; tale prezzo imponibile sarà dovuto con valuta corrispondente alla data in cui si sarà verificato l'evento e quindi sarà stato risolto il contratto, indipendentemente dalla data  in cui verrà stipulato il rogito notarile di compravendita.

    Una succesiva clausola prevede che in tutti quei casi ove si faccia riferimento ad  un indennizzo  spettante al Concedente e l'indennizzo non  è  determinato, esso deve  essere  quantificato  come la  ''somma di tutti quei canoni non ancora scaduti alla data della risoluzione del contratto  e del prezzo di eventuale acquisto finale…''. 

    L'Istante aggiunge di aver sottoscritto con una Compagnia assicuratrice una polizza che copriva anche il rischio di incendio, con appendice di vincolo a favore  della società concedente.

    In  virtù  del  fatto  che  si  deve  procedere  al  rogito  notarile  di trasferimento  del  terreno  e  dei  fabbricati  collabenti  dalla  società concedente  alla  società  utilizzatrice,  l'Istante  necessita  di  chiarimenti  sulla  natura  di  ''corrispettivo''  o  di  ''indennizzo''  dell'importo che dovrà essere erogato alla compagnia di leasing e sull'eventuale valore da tassare ai fini dell'IVA. 

    Il dubbio interpretativo posto dalla  società istante è  relativo  alla  qualificazione dell'importo che dovrà essere erogato alla compagnia di leasing. 

    Cessione fabbricato in leasing: chiarimenti sulla base imponibile IVA

    Le entrate riassumo tutto il caso prima di esporre il proprio parere e sottolineano che in linea generale, ai fini IVA, i canoni di leasing immobiliare sono assimilati e, dunque, assoggettati ad IVA secondo le stesse regole previste per le locazioni di immobili. 

    Diversamente, gli importi versati dall'utilizzatore  a titolo di riscatto finale del bene sono soggetti alle regole IVA previste per le cessioni di immobili (cfr. circolare 18/E/2013, par. 3.5). 

    Ciò premesso, al fine di individuare il regime IVA applicabile al trasferimento del rudere in questione e stabilire la rilevanza ai fini IVA delle somme che la società istante  è  tenuta  a  corrispondere  alla Compagnia  di Leasing in  virtù degli  impegni contrattuali assunti,  è necessario esaminare  le condizioni generali del contratto di locazione finanziaria immobiliare sottoscritto dalle parti. 

    In particolare, ai fini che qui interessano, la clausola n. 17 disciplina la risoluzione anticipata  del contratto in  caso di  distruzione totale dell'immobile, prevedendo espressamente che l'Utilizzatore avrà l'obbligo di rendersi acquirente del terreno, del  rudere e di ogni altro diritto relativo ad un prezzo imponibile pari all'indennizzo di cui  alla successiva clausola 23)

    La successiva clausola n. 21, rubricata ''Risoluzione anticipata ed effetti'' dispone che in ogni  ipotesi di perimento  o  di  perdita  dell'immobile, al  Concedente  resteranno acquisiti per l'intero loro ammontare il canone regolato alla firma, i canoni  periodici  già in  precedenza  pagati ed  ogni altra  somma a qualsiasi titolo corrisposta; l'Utilizzatore avrà l'obbligo di corrispondere immediatamente tutto quanto dovuto per  canoni  scaduti  e  non pagati,  interessi  convenzionali,  di  mora,  commissioni,  spese  e quant'altro già maturato alla data di risoluzione del contratto.[…]

    La clausola n. 23, rubricata ''Indennizzo a favore del Concedente'', inoltre, dispone  che se l'''indennizzo'' non è diversamente determinato nel suo ammontare, esso ''deve  essere  quantificato  come  la  somma  di  tutti  i  canoni  non  ancora  scaduti  alla  data  di  risoluzione del contratto e del prezzo di eventuale acquisto finale…''. 

    Dalla disamina delle clausole contrattuali citate, contrariamente a quanto asserito dall'Istante, si desume che la somma da erogare alla società di leasing concedente, a seguito della risoluzione anticipata del contratto, non costituisce il ristoro del danno derivante dall'incendio che ha coinvolto l'impianto oggetto del contratto di leasing, bensì come stabilito espressamente dalla clausola n. 17 del contratto ­il prezzo da saldare per il  passaggio di proprietà del bene medesimo.  

    Detto passaggio di proprietà dell'immobile costituisce, dunque, un elemento significativo che depone a  favore della qualificazione della somma in questione come corrispettivo.  

    Ad avviso delle Entrate, depone a favore di tale qualificazione il criterio di determinazione dell'ammontare di detta somma indicato dalla citata clausola 23 del contratto, in base al quale detto ammontare è costituito dalla somma di tutti i canoni non  ancora scaduti alla data di risoluzione anticipata del contratto e del maxicanone finale. 

    Ciò posto, si ritiene, pertanto, che il trasferimento del rudere di cui trattasi alla  società istante costituisca una cessione da assoggettare ad IVA secondo le regole previste per le cessioni di immobili. 

    In proposito, si fa presente che se, come asserito dalla società istante, all'atto del trasferimento il rudere sia effettivamente inquadrabile come collabente nella categoria catastale F/2, in base a elementi oggettivi che ne certifichino lo stato di fatto, la cessione  dovrà essere assoggettata ad IVA con applicazione dell'aliquota nella misura ordinaria (cfr. Risposta n. 554 del 2022). 

    Per completezza di  trattazione, si  fa  presente, infine,  che ad  avviso della scrivente, la base imponibile di detta cessione non  possa essere decurtata,  ai sensi  dell'art. 15, comma 1, numero 1) del D.P.R. 633 del 1972, dell'ammontare relativo al rimborso assicurativo che, secondo quanto asserito dalla società istante, sarà veicolato  direttamente dalla Compagnia assicuratrice alla Società di Leasing. 

    Ciò in quanto, come rappresentato  anche  dall'Istante, detto  ammontare  sarà  corrisposto  alla  società  di  leasing  a  compensazione in  tutto  o  in  parte  dell'importo  (rectius, corrispettivo) dovuto a quest'ultima a seguito della  risoluzione anticipata del  contratto di leasing.