• Crisi d'impresa

    Concordato fallimentare con terzo assuntore: quale imposta di registro si applica

    Con la Risoluzione n. 13 del 19 febbraio le Entrate hanno replicato a dubbi sul concordato fallimentare con terzo assuntore.

    L'Ordine istante ha chiesto di chiarire la tassazione applicabile, ai fini dell'imposta di registro, al decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore, disciplinato dall'articolo 124 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 estensibile anche al concordato nella liquidazione giudiziale prevista dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi d'impresa), agli artt. 240-253.

    Come ricordato dall'istante il concordato fallimentare «rappresenta una particolare modalità di chiusura del fallimento a mezzo della quale l'imprenditore fallito definisce i rapporti pregressi con il pagamento, anche parziale, dei creditori e ottiene la liberazione dei beni soggetti alla procedura fallimentare» e che «la proposta di concordato può essere presentata sia dal fallito (a determinate condizioni), da parte di uno o più creditori o da un terzo, e deve essere approvata dai creditori e poi omologata dal Tribunale».
    A tale riguardo, l'Ordine precisa che la fattispecie oggetto di quesito concerne i decreti di omologa del concordato fallimentare con intervento di un terzo assuntore, procedura nella quale «quest'ultimo si obbliga a soddisfare i crediti concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accollo (art. 1273 c.c.), dietro la cessione delle attività fallimentari».

    Vediamo i chiarimenti ADE.

    Concordato fallimentare con terzo assuntore: imposizione di registro

    La problematica interpretativa riguarda la determinazione della base imponibile dell'imposta proporzionale di registro alle disposizioni negoziali contenute nel decreto di omologa del concordato fallimentare con terzo assuntore, disciplinato dagli articoli da 124 a 140 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 [cd. legge fallimentare (LF)].
    Tale procedura si caratterizza per la duplice circostanza che l'assuntore, da un lato, si obbliga con i propri mezzi a soddisfare i creditori concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accolloe dall'altro lato, acquisisce, di regola, per effetto della sentenza di omologa le attività fallimentari.
    In particolare, nel concordato fallimentare con terzo assuntore è possibile distinguere due effetti:

    • uno obbligatorio, che si realizza con l'assunzione degli obblighi derivanti dal concordato da parte del terzo e si sostanzia in una sorta di accollo dei debiti dell'imprenditore fallito da parte dell'assuntore;
    • uno traslativo, ossia il trasferimento all'assuntore del patrimonio fallimentare.

    La Suprema Corte ha stabilito che «al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, va applicato il criterio di tassazione correlato all'art. 8, lett. a), della tariffa, parte prima, allegata al cit. d.P.R. n. 131 del 1986, con commisurazione dell'imposta di registro in misura proporzionale al valore dei beni e dei diritti

    fallimentari trasferiti, tenuto conto che l'aliquota applicabile dipende dalle voci dell'attivo trasferito (cessioni di crediti, cessione di beni, trasferimento dell'attivo) – mentre il contestuale accollo dei debiti – collegato a detta cessione dei beni fallimentari – è escluso dalla tassazione ex art. 21 comma 3, cit. e dalla base imponibile»

    La tesi della Corte muove dalla considerazione che gli effetti del concordato con assuntore derivano direttamente dalla legge, tale per cui non può essere paragonato ad un accordo negoziale siglato tra le parti.

    In particolare, la Corte ha osservato che nel concordato fallimentare, gli obblighi di pagamento del terzo assuntore, «non possono intendersi alla stregua del prezzo dei beni ceduti (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 43, c. 2) in quanto l'assunzione di detti debiti costituisce effetto legale naturale ed imprescindibile, del mezzo di liquidazione alternativo alla procedura fallimentare (mezzo che, come tale, rimane sottoposto al controllo degli organi fallimentari) e, tenuto conto che nella fattispecie in esame non siamo in presenza di un mero contratto con correlativi corrispettivi, per il quale vigono le diverse regole di cui alla citata disposizione. (…).

    In altri termini, analizzando la disciplina fallimentare, si osserva come l'assunzione delle passività rappresenti un effetto fisiologico del concordato con terzo assuntore, in quanto disposta direttamente dalla legge e correlata anche all'interesse del terzo assuntore che, animato da intenti legittimamente speculativi, mira a conseguire, dal ricavato della vendita dei beni e dall'esperimento delle azioni, un quid, economicamente apprezzabile, rispetto ai debiti

    che si è accollato»

    Pertanto, secondo la Cassazione, alla fattispecie in esame deve trovare applicazione la disposizione di cui all'articolo 21, comma 3, del T.U.R., ai sensi del quale «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati ad altre disposizioni (…)» e l'imposta di registro in misura proporzionale deve dunque essere applicata su una base imponibile corrispondente al valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti.

    Alla luce dell'indirizzo assunto dalla Suprema Corte, che viene recepito in questa sede, si devono ritenere superati i chiarimenti forniti sulla questione in esame dalla richiamata circolare n. 27/E del 2012.

    In conclusione, il decreto di omologa di un concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore disciplinato dall'articolo 124 e seguenti della Legge Fallimentare, deve essere ricondotto all'ambito applicativo del citato articolo 21, comma 3 del TUR, e quindi l'imposta proporzionale di registro troverà applicazione sui beni dell'attivo fallimentare, oggetto di trasferimento, identificato analiticamente nei singoli beni che lo compongono ed applicando per ciascuno di essi, in base alla relativa natura, l'imposta di registro prevista nella tariffa.

    Le medesime conclusioni valgono anche per quanto concerne il trattamento dell'imposta di registro alla procedura di concordato nella liquidazione giudiziale, disciplinato dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, agli articoli 240-253, in quanto tale istituto non presenta differenze sostanziali rispetto al previgente ''concordato fallimentare'.

    Allegati:
  • Crisi d'impresa

    Esonero Contributo CIGS per Aziende in Crisi: istruzioni INPS

    Il Messaggio  INPS  n. 283 del 24 gennaio 2025 chiarisce i criteri per l'esonero dal versamento del contributo addizionale previsto dall'art. 8, comma 8-bis, del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, convertito dalla L. 20 maggio 1988, n. 160, in relazione alle aziende in procedure concorsuali con prosecuzione dell’esercizio d’impresa e che beneficiano di integrazioni salariali straordinarie. 

    L’esonero è stato introdotto per sostenere le aziende in difficoltà e incentivare la continuità aziendale, un obiettivo perseguito dalla riforma del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), che ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267). 

    Secondo il messaggio, il legislatore ha attribuito un ruolo residuale alla liquidazione giudiziale, promuovendo invece  meccanismi di ristrutturazione e continuità aziendale per salvaguardare i livelli occupazionali e soddisfare i creditori.

    Esonero contributivo CIGS aziende in crisi: la decorrenza

    Nel dettaglio, il messaggio  ricorda  che la circolare 4 2018 del Ministero del lavoro  aveva precisato i riferimenti  per determinare la decorrenza e il termine dell'esonero dal contributo addizionale , con date di inizio variabili a seconda della procedura, come segue: 

    • – nel caso del fallimento con esercizio provvisorio, dalla data di deposito della sentenza  dichiarativa di cui all’articolo 16 della legge Fallimentare (cfr., attualmente, l’art. 49 del CCII);
    • – nel caso del concordato preventivo con continuità aziendale (inclusa l’ipotesi del c.d.  concordato in bianco di cui all’articolo 161, comma 6, della legge Fallimentare), dalla data del decreto di ammissione alla procedura di cui all’articolo 163 della legge Fallimentare (cfr., attualmente, gli artt. 44 e 47 del CCII);
    • – nel caso degli accordi di ristrutturazione del debito, dalla data di pubblicazione degli stessi  nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 182-bis della legge Fallimentare (cfr.  attualmente, l’art. 57 del CCII);
    • – nel caso di liquidazione coatta amministrativa, a partire dal giorno di ammissione alla procedura concorsuale, ai sensi dell’articolo 195 della legge Fallimentare, ferma restando l’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio d’impresa (cfr., attualmente, gli artt. 293 e seguenti del CCII);
    • – nel caso di amministrazione straordinaria, dalla dichiarazione dello stato di insolvenza (cfr.  l’art. 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e l’art. 2 del decreto-legge 23 dicembre  2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, e successive modificazioni).

    Tali  chiarimenti  sono stati integrati con l’indicazione del termine finale di fruizione dello  stesso, tenuto conto anche della novella introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e

    dell’Insolvenza.

    Esonero contributo CIGS aziende in crisi: istruzioni operative aggiornate

    Il messaggio precisa che a seguito di interlocuzioni con il Ministero del lavoro  la durata dell'esonero si differenza come segue:

    1. –    in caso di fallimento (o liquidazione giudiziale) con autorizzazione all’esercizio provvisorio, l’esonero dal versamento del contributo addizionale spetta limitatamente alla durata dello stesso;
    2. –    in caso di concordato preventivo con continuazione dell’attività, l’esonero dal pagamento del contributo addizionale viene meno dal momento in cui interviene il provvedimento di omologa in quanto, per effetto dell’omologazione, il debitore torna in bonis e riacquista la possibilità di disporre del proprio patrimonio e di gestire l’azienda;
    3. –    in caso di accordi di ristrutturazione, il contributo addizionale torna a essere dovuto una volta intervenuta l’omologa del piano di ristrutturazione, tenuto conto che tale circostanza consente di considerare il debitore rientrato in bonis, analogamente a quanto prospettato per il concordato preventivo;
    4. –    in caso di liquidazione coatta amministrativa, l’esonero dal versamento del contributo addizionale spetta a partire dal provvedimento che la ordina, ferma restando l’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio d’impresa, fino alla chiusura della procedura (cfr. l’art. 313 del CCII);
    5. –    in caso di amministrazione straordinaria, l’esonero dal versamento del contributo addizionale è riconosciuto dalla dichiarazione dello stato di insolvenza fino al termine indicato dall’articolo 27, commi 2 e 2-bis[3], del decreto legislativo n. 270/1999, per la realizzazione, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, del "programma di cessione dei complessi aziendali" o del “programma di cessione dei complessi di beni e contratti” (non superiore a un anno) o del "programma di ristrutturazione" (non superiore a due anni), fatte salve le previsioni dell’articolo 4, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 347/2003[4] e di eventuali discipline speciali, derogatorie alla disciplina ordinaria.

    Il messaggio sottolinea inoltre l’importanza di rispettare le condizioni normative specifiche per ogni procedura, richiamando le disposizioni del D.Lgs. 270/1999 e del D.L. 347/2003, per a evitare abusi e a rendere più efficiente la gestione delle crisi d'impresa.

  • Crisi d'impresa

    Il terzo Correttivo del Codice della Crisi d’impresa 2024 pubblicato in GU

    Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 27 settembre 2024, il D.lgs. del 13 settembre 2024 n. 136 che introduce una serie di modifiche e disposizioni correttive e integrative al Codice della Crisi d’Impresa e Insolvenza.

    Scarica il testo del Dlgs del 13.09.2024 n. 136

    Il terzo Decreto correttivo al Decreto Legislativo recante Disposizioni Integrative e Correttive al Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza” (CCII) ha concluso il proprio iter d’approvazione lo scorso 27 settembre 2024, essendo stato definitivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale. 

    La struttura di tale “Decreto correttivo” è suddivisa in due Capi, caratterizzati da 57 articoli in totale: 

    • gli artt. 1 – 51 compongono il Capo I e dispongono le modifiche tecniche al CCII; 
    • il Capo II, agli artt. 52 – 57, contiene poi le disposizioni transitorie abrogative e di coordinamento del CCII. 

    Dall’originaria entrata in vigore della normativa, sono apparsi diversi aspetti critici che avrebbero necessitato di interventi migliorativi e chiarificatori, al fine di porre in atto un processo che avrebbe agevolato una migliore e completa applicazione del CCII e delle procedure stesse ivi contenute. 

    In particolar modo le principali tematiche che hanno caratterizzato l’ultimo decreto correttivo sono:

    • la segnalazione dell’anticipata emersione della crisi
    • la stipulazione di accordi fiscali transattivi nella Composizione Negoziata della Crisi 
    • il cram-down fiscale, la transazione fiscale e contributiva negli accordi di ristrutturazione e nei concordati preventivi
    • il concordato preventivo
    • la liquidazione giudiziale
    • il contenuto minimo del piano attestato di risanamento
    • l’esdebitazione.

    Allegati:
  • Crisi d'impresa

    Crisi d’impresa: il correttivo ter arriva alle Commissioni

    Comincia l'iter di approvazione definitiva dello schema di Dlgs integrativo del Dlgs n 14/2019, correttivo ter delle regole per la Crisi d'Impresa, approvato in via preliminare dal CdM lo scorso 10 maggio.

    Si evidenzia che il termine ultimo dei pareri delle Commissioni è il giorno 24 agosto.

    Il correttivo del Codice della crisi e dell’insolvenza contiene numerose modifiche poste anche al fine di chiarire i dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione del DLgs. 14/2019.

    Vediamo alcune anticipazioni.

    Correttivo ter Crisi d’impresa: le anticipazioni

    Come specificato dal comunicato stampa dello stesso esecutivo, lo schema di decreto legislativo è composto di oltre 50 articoli, recante disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14/2019. 

    Si tratta del terzo correttivo apportato al Codice e si inserisce nel quadro degli impegni assunti col PNRR.

    In particolare, lo schema di decreto legislativo approvato in prima lettura dal Consiglio provvede a correggere taluni difetti di coordinamento normativo emersi a seguito dei precedenti correttivi, a emendare alcuni errori materiali ed aggiornare i riferimenti normativi, nonché a fornire chiarimenti ad alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione del codice. 

    Leggi: Revisore legale e obblighi segnalazione precrisi d'impresa per un approfondimento.

    Il presidente del CNDCEC de Nuccio in una nota di ieri 10 giugno dichiarava:

    “Decisamente apprezzabili  le modifiche all’art. 25-octies in cui viene rivisto il meccanismo della segnalazione anticipata per l’emersione della crisi di impresa. In particolare, per quanto di più stretto interesse dei Commercialisti, il testo del decreto contiene la riformulazione, sollecitata da tempo dal Consiglio Nazionale, dell’art. 25-octies prevendendo l’attenuazione o anche l’esclusione della responsabilità per i sindaci che siano attivati tempestivamente con la segnalazione all’organo amministrativo, ma anche circoscrivendo in modo adeguato i termini e le condizioni per considerare tempestiva tale segnalazione: sessanta giorni dalla conoscenza effettiva (e non dalla teorica conoscibilità) delle condizioni di crisi. Un traguardo storico che si accompagna alla modifica dei presupposti della responsabilità dei sindaci prevista dall’art. 2407 approvata dalla Camera la settimana scorsa, ed è altresì di buon auspicio per quella che sarà la revisione dei reati fallimentari, in corso, per la quale il Consiglio Nazionale ha in più occasioni sollecitato di veder ripristinato il perimetro del “dolo eventuale” con la prova necessaria della intenzionalità”.

    Inoltre viene anche specificato che tra le novità di rilievo vi sono:

    • le modifiche approvate anche quelle all’art. 356 del Codice.
    • la modifica alla composizione negoziata. Il Codice della crisi è stato integrato con una disposizione di nuovo conio recante la disciplina di accordi transattivi per i crediti tributari.

    Su quest'ultimo tema sempre De Nuccio ha specificato che “Trattandosi di un accordo di natura privatistica che viene validato dal tribunale con i creditori pubblici si confida nella novità per favorire la diffusione della composizione negoziata e la riuscita delle trattative nei casi in cui l’indebitamento principale sia verso l’Erario"

    Si attendono testi in bozza del provvedimento per ulteriori dettagli.

  • Crisi d'impresa

    Ristrutturazioni debiti: regole ADE per accordi presentati dal 1.02

    Con Provvedimento n 21447 del 29 gennaio le Entrate pubblicano le regole per gli adempimenti in materia di transazione di cui all’art. 63 CCII nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, a seguito di quanto previsto dal DL Anticipi.

    Crisi d'impresa: regole ADE dal 1.02 per transazioni per ristrutturazioni debiti

    In dettaglio, con il provvedimento in oggetto si prevede che:

    • per le proposte di transazione fiscale aventi ad oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, formulate nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII),
    • l’adesione alla proposta, nei casi disciplinati dal successivo punto 2, è espressa con la sottoscrizione dell’atto negoziale da parte della competente Direzione provinciale o regionale, su parere conforme dell’Ufficio tutela del credito erariale e gestione delle crisi aziendali della Direzione centrale piccole e medie imprese.

    La competenza a rendere il parere conforme riguarda le proposte di transazione fiscale che prevedono:

    • una falcidia del debito originario, comprensivo dei relativi accessori, così come indicato nella proposta presentata dal debitore, superiore al 70 per cento e, contestualmente, all’importo di euro 30.000.000 (trenta milioni).

    Le disposizioni di cui all’articolo 4-quinquies, commi 5 e 6, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, come attuate dal presente provvedimento, si applicano alle proposte di transazione fiscale presentate agli uffici dell’Agenzia delle entrate a partire dal 1° febbraio 2024. 

    Il provvedimento è emanato in attuazione di quanto disposto dall’articolo 1-bis, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 2023, n. 103 – come modificato dall’articolo 4-quinquies, comma 5, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191 – secondo cui «nei casi in cui l’adesione alla proposta di transazione abbia ad oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate e preveda una falcidia del debito originario, comprensivo dei relativi accessori, superiore alla percentuale e all’importo definiti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, il parere conforme di cui all’articolo 63, comma 2, terzo periodo, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019 è espresso, per l’Agenzia delle entrate, dalla struttura centrale individuata con il medesimo provvedimento».

    Il provvedimento individua dunque: 

    • la struttura centrale cui è devoluta la competenza ad esprimere il parere conforme di cui all’articolo 63, comma 2, terzo periodo, del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019;
    • la soglia percentuale ed in valore assoluto della falcidia del debito originario proposta, al di sopra della quale il predetto parere è espresso dalla struttura centrale individuata; 
    • la decorrenza delle nuove disposizioni

    come sopra dettagliate. 

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  • Crisi d'impresa

    Plusvalenza da cessione di marchi: imponibilità IRAP nel concordato preventivo

    Con la Risposta a interpello n 27 del 31 gennaio le Entrate replicano ad un istante che domandava chiarimenti in merito all'eventuale rilevanza ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) della plusvalenza realizzata a seguito della cessione di un marchio d'impresa nel caso di "procedura di concordato preventivo liquidatorio omologato nel 2020". 

    Secondo l'Agenzia la plusvalenza derivante dalla cessione del solo marchio d’impresa è imponibile ai fini IRAP secondo le regole ordinarie. 

    Vediamo il perché.

    Plusvalenza da cessione marchi: imponibilità IRAP nel concordato preventivo 

    Nell’ambito della procedura di concordato preventivo, il liquidatore giudiziale ha ceduto un marchio detenuto in proprietà, realizzando una plusvalenza rispetto al valore iscritto nel libro dei beni ammortizzabili e nei conti sociali. 

    L'istante asserisce che la plusvalenza non rileva al fine del calcolo della base imponibile IRES, ai sensi dell'articolo 88, comma 5, del Tuir; ma chiede se concorra alla formazione della base imponibile ai fini IRAP.

    L’Agenzia in prima istanza ha replicato inquadrando giuridicamente il concordato preventivo regolato attualmente dall’articolo 84 del Dlgs n. 14/2019 (“Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), confermando che per la determinazione della base imponibile IRES, per espressa previsione legislativa, la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non comporta il realizzo di eventuali plusvalenze o minusvalenze (articolo 86, comma 5, del Tuir).

    Successivamente l'agenzia aggiunge che per quanto riguarda l’IRAP il principio generale, così come ridisegnato dalla legge finanziaria 2008, è quello della “presa diretta da bilancio” delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi, senza il riconoscimento delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito come avveniva in passato attraverso l’abrogato articolo 11bis del Decreto IRAP. 

    Attualmente, le modalità di calcolo del tributo sono più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.

    Nel caso di specie essendo l’istante una società di capitali la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), nonché dei componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda, così come risultanti dal conto economico dell'esercizio.

    L'Agenzia richiama la circolare n. 27/2009 che ha definito rilevanti ai fini Irap le plusvalenze e le minusvalenze emergenti in sede di realizzo dei beni strumentali, in coerenza con quanto avviene per la cessione di immobili patrimoniali, con la sola esclusione dalla base imponibile Irap delle plus o minusvalenze realizzate in sede di cessione d’azienda (in quanto ''operazione che genera sempre componenti straordinarie''). 

    Nello specifico ''non sarebbe coerente un sistema in cui assumono rilievo le plus/minusvalenze derivanti dalla cessione di immobili patrimoniali e non anche quelle derivanti dalla cessione dei beni strumentali che ordinariamente partecipano al processo produttivo. Né si può trascurare la circostanza che le componenti reddituali che si contabilizzano in sede di realizzo dei beni strumentali sono indirettamente collegate a costi che hanno concorso alla formazione della base imponibile IRAP nei periodi d'imposta precedenti, attraverso quote di ammortamento. Una interpretazione di tipo sistematico porta, in definitiva, a ritenere pienamente rilevanti le plusvalenze e le minusvalenze emergenti in sede di realizzo dei beni strumentali”.

    In relazione specificamente ai marchi d’impresa, l'articolo 5, comma 3, ultimo periodo del decreto Irap riconosce espressamente la rilevanza ai fini del tributo regionale dei costi d’acquisto, stabilendo che '”sono comunque ammesse in deduzione quote di ammortamento del costo sostenuto per l'acquisizione di marchi d'impresa e a titolo di avviamento in misura non superiore a un diciottesimo del costo indipendentemente dall'imputazione al conto economico”.

    Non essendo previste specifiche disposizioni per la determinazione del valore della produzione in relazione a operazioni realizzate in attuazione di un concordato preventivo, secondo l'agenzia trova applicazione l’ordinaria disciplina Irap, se i componenti reddituali siano correttamente classificati ai fini contabili nelle voci di conto economico rilevanti ai fini del tributo, tranne che nel caso già citato di operazioni di cessioni d’azienda.

    In conclusione l’Agenzia ritiene che la plusvalenza realizzata a seguito della cessione del solo marchio d'impresa avvenuta nell'ambito di concordato preventivo assuma rilevanza ai fini Irap secondo le regole ordinarie (articoli 4 e 5 del Dlgs n. 446/1997), stante la sua classificazione contabile, anche per espresso riconoscimento della società istante, nella voce A.5) del conto economico.

    Secondo l'agenzia in sintesi, occorre distinguere l’ambito IRES, per il quale l’articolo 86, comma 5, del Tuir stabilisce espressamente che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni. 

    Dal 2008 per l’Irap vale invece il principio della presa diretta dal bilancio, che sostituisce il meccanismo precedente per cui rilevavano ai fini Irap le variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito, cosicché si è determinato lo sganciamento dell'IRAP dall’IRES.

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  • Crisi d'impresa

    Beni da pignorare: operativo l’accesso ai dati per gli ufficiali giudiziari

    Con un comunicato stampa del 3 ottobre il Ministero della giustizia informa del fatto che dal mese di ottobre è pienamente attiva e operativa la convenzione tra il Ministero della giustizia e l'Agenzia delle entrate che consente l'accesso autonomo degli ufficiali giudiziari alle banche dati ADE, utili ai fini della ricerca telematica di beni con titolo esecutivo da pignorare su richiesta di creditore o da sottoporre a procedura concorsuale da parte del curatore della liquidazione giudiziale.
    La convenzione, siglata a giugno dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e dal Direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, introduce, infatti, la possibilità che siano i creditori a richiedere agli ufficiali giudiziari l'accesso alle banche dati telematiche.
    Il Dipartimento per la Transizione digitale della giustizia ha completato il processo di connessione alle banche dati di Agenzia delle entrate da parte di tutti gli uffici NEP (Uffici Notificazioni, Esecuzioni e Protesti) che possono ora accedere direttamente e reperire agevolmente i dati sui beni da sottoporre a esecuzione forzata o a procedure concorsuali.
    Gli ufficiali giudiziari possono ricercare i beni da sottoporre a esecuzione, nel rispetto della disciplina del codice della privacy, direttamente dalle banche dati interconnesse, all'interno dell'Anagrafe tributaria, comprensiva dell'archivio dei rapporti tributari, senza oneri aggiunti per la finanza pubblica. 

    Le nuove procedure imprimono una notevole accelerazione nelle attività di indagine: le risposte sono fornite in pochi minuti agli ufficiali giudiziari rendendo agevole e fluido lo svolgimento delle attività e limitando sensibilmente l'impiego di risorse.
    Ricordiamo che già con una nota del 21 agosto il Ministero della Giustizia informava del fatto che a partire dal 22 agosto 2023 è operativo con valore legale l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate per le finalità di cui all'articolo 492-bis c.p.c., ossia per la ricerca, con modalità telematiche, dei beni da pignorare.

    Si specificava che si tratta dell’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario attraverso il Sistema di Interscambio flussi Dati (SID) alle seguenti banche dati: 

    • a) Dichiarazioni dei Redditi e Certificazione unica;
    • b) atti del Registro; 
    • c) archivio dei Rapporti finanziari