-
Scomputo dell’imposta estera sui dividendi sottoposti a imposta sostitutiva
Nel diritto interno italiano, l’articolo 165 comma 1 del TUIR disciplina un credito d’imposta attribuito alle persone fisiche per evitare la doppia imposizione dei redditi prodotti all’estero; la norma, per concedere il credito, tra le altre cose richiede che tali redditi imponibili concorrano alla formazione del reddito complessivo.
Così si giunge all’oggetto del contendere; infatti, in conseguenza di tale prescrizione, sarebbero esclusi dal credito d’imposta i dividendi esteri assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta, quando prelevata direttamente dall’intermediario residente, oppure a imposta sostitutiva, quando liquidata direttamente dal contribuente in sede dichiarativa.
Si ricorderà infatti che i redditi da partecipazioni estere non qualificate, se percepiti per il tramite di un intermediario residente, sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta del 26%, ex articolo 27 comma 4 DPR 600/73, da calcolarsi sui dividenti percepiti al netto dell’imposta già versata all’estero.
E similmente, i medesimi redditi percepiti dal contribuente italiano per il tramite di un intermediario non residente sono sottoposti a imposta sostitutiva, sempre con aliquota del 26%, ex articolo 18 comma 1 del TUIR.
Il nuovo orientamento giurisprudenziale
Con la sentenza numero 10204 del 16 aprile 2024, che segue la medesima linea interpretativa già tracciata dalla sentenza 25698/2022, la Corte di Cassazione afferma il diritto allo scomputo dell’imposta estera sui dividendi, anche se questi sono stati tassati in Italia con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva.
Il punto affermato nel 2022 e ribadito nel 2024 dalla Corte è la prevalenza di quanto stabilito dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni sul tema, rispetto al dettato normativo interno.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il credito di imposta va concesso in presenza di alcuni presupposti:
- la percezione del dividendo estero da partecipazione non qualificata da parte di un contribuente persona fisica fiscalmente residente in Italia;
- l’effettiva tassazione in entrambi i paesi (quello della società emittente e quello del contribuente ricevente);
- l’inclusione del dividendo nella base imponibile di una delle imposte coperte dalla Convenzione contro le doppie imposizioni, tra le quali, nella generalità dei casi, si annoverano anche la ritenuta a titolo d’imposta e l’imposta sostitutiva.
Con maggiore precisione formale, la Corte di Cassazione, con la sentenza 10204/2024, precisa che l’imposta estera può essere detratta in tutti i casi in cui:
- esiste un trattato contro le doppie imposizioni tra Italia e stato estero di emissione del dividendo;
- questo trattato presenti una clausola che preveda che il credito d’imposta non spetta se il reddito è assoggettato a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d’imposta “su richiesta del beneficiario”.
È questa una formulazione negativa per affermare che il credito d’imposta in trattazione spetti ogni qual volta il reddito sia sottoposto a imposta sostitutiva o ritenuta a titolo d’imposta in modo obbligatorio, come appunto è nell’attuale contesto normativo nazionale.
Una tale clausola è prevista non solo sul trattato tra USA e Italia, preso in esame dalla sentenza 10204/2024, ma è di solito presente nella maggior parte di trattati stipulati con altri paesi.
Scomputo o rimborso
Per usufruire del credito d’imposta, la strada più semplice è lo scomputo in dichiarazione annuale dei redditi; possibile tuttavia solo per il caso dell’imposta sostitutiva e per l’annualità corrente.
Nel caso in cui il contribuente voglia recuperare il credito d’imposta, nel caso in cui il dividendo sia stato assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta, o per gli anni ormai passati in entrambe le situazioni, la strada da seguire è quella dell’istanza di rimborso, da presentarsi entro i 48 mesi dal versamento dell’imposta.
-
Redditi Campione d’Italia: fissata la riduzione forfettaria 2023
Con Provvedimento n 32991 dell'8 febbraio delle Entrate, su parere conforme della Banca d’Italia pervenuto con nota n. 238275 del 6 febbraio 2024, viene determinata nel 33,27 per cento la riduzione forfetaria del cambio di cui all’articolo 188-bis, commi 1 e 2, del TUIR da applicare ai redditi, diversi da quelli di impresa, delle persone fisiche iscritte nei registri anagrafici del Comune di Campione d’Italia, nonché ai redditi di lavoro autonomo di professionisti e con studi nel Comune di Campione d’Italia, prodotti in franchi svizzeri nel territorio dello stesso comune, e/o in Svizzera, e ai redditi d’impresa realizzati dalle imprese individuali, dalle società di persone e da società ed enti di cui all’articolo 73 del TUIR, iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Como e aventi la sede sociale operativa, o un’unità locale, nel Comune di Campione d’Italia, prodotti in franchi svizzeri nel Comune di Campione d’Italia
Si ricorda che l’art. 1 comma 632 della L. 147/2013, come modificato, stabilisce che, per tenere conto delle variazioni del cambio tra franco svizzero ed euro, la percentuale di riduzione forfetaria, definita per i soggetti sopraindicati nella misura del 30% dall’art. 188-bis commi 1 e 2 del TUIR, è annualmente maggiorata o ridotta, in misura pari allo scostamento percentuale medio annuale registrato tra le due valute.
Tale rideterminazione va effettuata con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate entro il 15 febbraio di ciascun anno e non può comunque essere inferiore al 30%.
Allegati: -
Assonime sull’affrancamento con rimpatrio degli utili delle società partecipate estere
L’articolo 1, commi da 87 a 95, della Legge numero 197 del 2022 prevede la possibilità, per i soci titolari di partecipazioni in società estere, nel contesto dello svolgimento di una attività, di affrancare gli utili e le riserve di utili realizzati da società estere, assolvendo una imposta sostitutiva, al fine da poterli distribuire senza doverli assoggettare a ulteriore imposizione fiscale in Italia.
La normativa
Sono interessati dalla norma gli utili e le riserve di utili dell’esercizio precedente a quello in corso giorno 1 gennaio 2022 (quindi, nella maggior parte delle situazioni, quelli risultanti dal bilancio 2021) che non siano ancora stati distribuiti giorno 1 gennaio 2023.
Dal punto di vista tecnico l’imposta sostitutiva sarebbe dovuta per l’affrancamento, il quale però è sostitutivo delle imposte sui redditi.
La norma fa riferimento generico agli utili e alle riserve di utili prodotti all’estero, ma per un semplice calcolo di convenienza fiscale del regime opzionale, i destinatari sono gli utili formati in società residenti in paesi a fiscalità privilegiata, soggetti a sfavorevole tassazione.
L’obiettivo della norma è quello di favorire l’emersione di questi utili e il successivo rimpatrio e mantenimento nell’economia dell’azienda italiana; in ragione di ciò i destinatari della misura opzionale sono coloro che esercitano attività d’impresa, sia in forma individuale che collettiva d’impresa (sono quindi escluse le persone fisiche non imprenditori); e, per favorire il mantenimento in azienda degli utili e delle riserve di utili affrancati, è prevista una riduzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva nel caso in cui:
- gli utili affrancati vengano rimpatriati in Italia, presso il soggetto controllante, entro il termine di scadenza del versamento del saldo delle imposte sui redditi del periodo d’imposta 2023 (ad oggi previsto per il 30 giugno 2024);
- gli utili rimpatriati vengano accantonati in una apposita riserva di utili del patrimonio netto per un periodo non inferiore a due esercizi, prima di procedere all’eventuale distribuzione.
Aliquota ordinaria
Aliquota ridotta
Società
9%
6%
Imprenditore individuale
30%
27%
L’imposta sostitutiva dovuta, ottenuta applicando l’aliquota agli utili, deve essere versata in un’unica soluzione entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi del periodo d’imposta 2022, senza possibilità di avvalersi della compensazione orizzontale.
In ragione del fatto che gli utili della società partecipata possono essere monetizzati non solo attraverso la distribuzione, ma anche attraverso la cessione della partecipazione, la normativa prevede che, in una tale situazione, l’importo degli utili affrancati incrementerà il costo della partecipazione e che la successiva distribuzione ne determinerà una riduzione.
Le rilevazioni di Assonime
Il 2 marzo 2023 Assonime ha pubblicato una circolare, la numero 5, dedicata per intero all’argomento.
La circolare, per lo specifico caso del rimpatrio senza distribuzione, ha rilevato alcune sensibilità che probabilmente verranno tecnicamente chiarite quando il ministero competente emanerà l’apposito decreto attuativo, previsto per la fine del mese di marzo.
Un primo nodo da sciogliere è se, per soddisfare il requisito del rimpatrio, sia necessario una formale distribuzione di utili dalla società controllata a quella controllante, oppure se il requisito possa essere risolto anche con modalità alternative indirette, come, ad esempio, l’incorporazione della società controllata estera nella controllante italiana.
Altra questione non chiara è se il rimpatrio possa essere considerato realizzato anche nel momento in cui gli utili di origine estera confluiscano in una società controllata dall’impresa che ha esercitato l’opzione; in ragione del fatto che la norma fa esplicito riferimento al socio controllante, è possibile che, in caso di gruppo societario, le riserve debbano confluire alla capogruppo che provvederà poi all’accantonamento.
Proprio in relazione alla costituzione e al monitoraggio della riserva di utili da accantonare, Assonime ha rilevato poi ulteriori sensibilità.
Questione tecnicamente da chiarire, di non secondaria importanza, è come si dovrà soddisfare l’obbligo di iscrizione della riserva di utili nel caso in cui la società italiana presenti una perdita d’esercizio; la soluzione più semplice sarebbe la possibilità di utilizzare altre riserve già iscritte in patrimonio netto, ma si dovrà anche considerare l’ipotesi, non per forza accademica, che siano iscritte solo riserve obbligatorie.
Altra questione da definire è il computo preciso del periodo biennale di siano sorveglianza, durante il quale gli utili accantonati non possono essere distribuiti; in relazione ciò le ipotesi sono sostanzialmente tre:
- che per il computo del biennio inizi dalla data dell’effettivo rimpatrio;
- che il computo del biennio faccia riferimento al primo giorno del periodo d’imposta nel quale il rimpatrio è avvenuto;
- che il computo del biennio faccia riferimento al primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui è avvenuto il rimpatrio, considerato che la riserva vincolata sarà definitiva nel momento in cui il bilancio è approvato.
Nel caso in cui i requisiti dell’effettivo rimpatrio e del mantenimento biennale della riserva indisponibile non siano entrambi soddisfatti, la normativa prevede una recapture dell’agevolazione consistente nella riduzione dell’aliquota adottata. Secondo Assonime la situazione che dovrebbe, in base alla logica sottostante alla misura agevolativa, comportare la perdita dell’agevolazione è solo il caso in cui la riserva vincolata venga meno per distribuzione ai soci degli utili rimpatriati, e non per le ipotesi alternative di riduzione della riserva senza effettiva distribuzione degli utili ai soci, come può essere, ad esempio, la riduzione della riserva in conseguenza delle perdite subite dall’impresa.
Assonime nota infine che il beneficio fiscale derivante dal rientro dei capitali con accantonamento biennale non è circoscritto alla sola riduzione del 3% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva dovuta per l’affrancamento, in quanto a questa dovrà essere sommato il risparmio fiscale derivante dall’ACE sugli utili rimpatriati e accantonati a patrimonio netto.
Infatti, anche in mancanza di un esplicito riferimento normativo, secondo Assonime, dato che trova applicazione la normativa ACE ordinaria, questi accantonamenti a riserva, che derivano dalla realizzazione di un utile d’esercizio estero, potranno concorrere alla formazione della base ACE, come avviene per gli utili nazionali dell’impresa accantonati a riserva, senza necessità che tali riserve siano destinate a uno specifico investimento.
-
Tassazione immobile venduto in paese UE: il caso del residente in Italia
Con Risposta a interpello n. 122 del 20 gennaio le Entrate chiariscono dubbi sulla assoggettabilità ad imposizione in Italia di reddito derivante dalla vendita di immobile acquistato nei Paesi Bassi, da parte di un soggetto che vive e lavora in Italia e in Spagna.
Il contribuente dichiara di aver venduto un immobile, acquistato più di cinque anni prima, nei Paesi Bassi, ricavandone una plusvalenza già assoggettata a imposizione in Olanda. La sua domanda riguarda il trattamento fiscale da riservare a tale introito in Italia.
Le Entrate specificano che in relazione al reddito derivante dall'alienazione del bene immobile ubicato nei Paesi Bassi, occorre far riferimento, sotto il profilo della normativa internazionale, all'articolo 13 della Convenzione per evitare la doppia imposizione tra l'Italia ed i Paesi Bassi, firmata all'Aja l'8 maggio 1990 e ratificata con legge 26 luglio 1993, n. 305 (Convenzione o il Trattato tra Italia e Paesi Bassi).
In particolare, al paragrafo 1, viene prevista la tassazione concorrente in Italia ed Olanda degli utili che un residente di uno degli Stati ritrae dall'alienazione di beni immobili, situati nell'altro Stato, di cui all'articolo 6 della stessa Convenzione.
Si rileva, pertanto, che nell'ipotesi di una residenza italiana della contribuente il reddito in esame, realizzato dall'Istante nell'anno di riferimento, ai sensi della Convenzione citata, è assoggettabile ad imposizione sia in Italia, sia nei Paesi Bassi.
Sul piano della vigente normativa italiana, si evidenzia che, nel presupposto che il contribuente sia fiscalmente residente in Italia, lo stesso è assoggettata ad imposizione nel nostro Paese, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del TUIR, sul suo reddito complessivo, formato da tutti i redditi posseduti per l'intero periodo d'imposta, al netto degli oneri deducibili ai sensi dell'articolo 10 del medesimo TUIR.
In particolare, per quel che concerne il reddito in esame, l'articolo 67, comma 1, lettera b), del TUIR prevede l'imposizione delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che, per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione, sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Al riguardo, si osserva che la citata disposizione normativa non è circoscritta alle sole plusvalenze generate dalla vendita di immobili ubicati nei confini nazionali ma, risultando come elemento determinante la presenza di un soggetto cedente residente in Italia, ricomprende anche le plusvalenze derivanti dalla vendita di beni immobili situati all'estero.
Si rileva, tuttavia, che, in base a quanto disposto dal citato articolo 67, comma 1, lettera b), del TUIR, in caso di cessione a titolo oneroso di immobili acquistati o costruiti da oltre cinque anni non è prevista alcuna imposizione di tali plusvalenze.
In conclusione, spiega l'agenzia, nel presupposto della veridicità e completezza della fattispecie rappresentata nell'istanza, si osserva che il reddito in esame non dovrà essere assoggettato ad imposizione nel nostro Paese e, di conseguenza, non dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi, presentata dal Contribuente, relativa all'anno d'imposta di riferimento.
-
Brexit: trattamento fiscale utili distribuiti alla controllante britannica
Con la Risposta a interpello n 117 del 20 gennaio le Entrate replicano al seguente quesito posto da una società italiana, che distribuisce utili alla controllante società britannica.
L'istante osserva come, nel caso di distribuzione di dividendi da parte di una società italiana ad una società residente in uno Stato membro dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo, trovi applicazione la ritenuta ridotta del 1,20 per cento a titolo d'imposta, ai sensi del comma 3ter dell'articolo 27 del DPR 29 settembre 1973, n.600.
Inoltre, in presenza di determinate condizioni, tale ritenuta non è operata in virtù dell'articolo 27 bis dello stesso DPR n. 600 del 1973, attuativo della c.d. direttiva madrefiglia (2011/96/UE).
Il dubbio interpretativo prospettato dall'istante attiene al trattamento fiscale degli utili distribuiti alla controllante britannica a seguito della Brexit.
Poiché, infatti, non può trovare applicazione la richiamata disciplina riservata agli Stati membri, l'istante chiede se, nel caso di specie, possa operare la ritenuta prevista dalla Convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329
L'istante ritiene che ai dividendi corrisposti alla controllante sia applicabile il trattamento fiscale previsto dalla Convenzione, in quanto fonte gerarchicamente sovraordinata rispetto alla normativa nazionale.
Pertanto, qualora l'assemblea dei soci deliberasse la distribuzione di utili, sulla quota spettante alla controllante estera sarebbe applicata una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 5 per cento.
L'agenzia replica, ricordando che il 30 gennaio 2020 l'Unione europea ha ratificato l'accordo di recesso con il Regno Unito che, dalla mezzanotte del 31 gennaio 2020, è diventato un Paese terzo.
Ciò ha segnato l'inizio di un periodo transitorio che si è protratto fino al 31 dicembre 2020, in cui ha continuato a trovare provvisoriamente applicazione il diritto unionale, incluse le libertà fondamentali sancite dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea.
Terminato il periodo transitorio, i rapporti tra Unione europea e Regno Unito sono regolati dall'Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra:
- l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica, da una parte,
- e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, dall'altra.
Nonostante l'Accordo in esame promuova un forte partenariato tra Unione europea e Regno Unito, tale Paese non può comunque essere considerato al pari di uno Stato membro, non facendo ormai più parte né del mercato unico né dell'unione doganale e non essendo più coinvolto negli accordi internazionali dell'Unione.
Pertanto, le Entrate concordano con l'istante nel ritenere che nel caso in esame non trovano applicazione né l'articolo 27, comma 3ter, del DPR n.600 del 1973, né il successivo 27bis del medesimo DPR.
Tuttavia, la normativa nazionale deve essere coordinata con quella convenzionale, la cui prevalenza sull'ordinamento interno è ammessa dall'articolo 169 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
In particolare, viene in rilievo l'articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del Trattato, secondo cui i ''dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l'effettivo beneficiario, l'imposta così applicata non può eccedere:
a) il 5 per cento dell'ammontare lordo dei dividendi se l'effettivo beneficiario è una società che controlla direttamente o indirettamente, almeno il 10 per cento del potere di voto della società che paga i dividendi''.
Considerato che, nel caso di specie, nel presupposto che la dichiarata partecipazione comporti almeno il 10% del potere di voto della società italiana che paga il dividendo si ritiene applicabile la ritenuta convenzionale nella misura del 5%.
Resta inteso che l'operatività del Trattato è subordinata al ricorrere anche delle altre condizioni ivi previste, ossia che la controllante britannica integri la nozione di persona residente ai fini convenzionali e sia beneficiaria effettiva dei dividendi.
Allegati: -
Esterometro 2019: ecco come funziona
Gli adempimenti ai fini IVA riguardanti le operazioni con l’estero, già di per sé articolati, dal 1° gennaio 2019 dovranno interfacciarsi con la fatturazione elettronica che è diventata obbligatoria in Italia per le operazioni in ambito B2B.
In linea di principio le operazioni con l'estero sono escluse dall’obbligo di fatturazione elettronica ma è stato introdotto un nuovo adempimento, il c.d. esterometro, per comunicare le operazioni effettuate da e verso operatori non residenti. Per evitare l’esterometro si può optare per la fatturazione elettronica delle operazioni attive verso l’estero. I soggetti passivi esteri identificati in Italia, se in un primo tempo sembravano dover rientrare tra i soggetti obbligati alla fatturazione elettronica (articolo 1, comma 909, della legge n. 205 del 2017) con la Circolare n. 13/E del 2 luglio 2018 e con l’art. 15 del Decreto fiscale sono stati esclusi dall’obbligo di fatturazione elettronica, in vigore dal 1° gennaio 2019.
Dopo annunci di slittamenti da una parte e minacce di astensione collettiva dall'altra, in extremis il giorno prima della scadenza inziale prevista il 28 febbraio 2019 è stata concessa la proroga al 30 aprile 2019 per gli esterometri relativi alle operazioni dei mesi di gennaio e febbraio 2019.
Questo articolo è un estratto della Circolare del Giorno 230/2018 Fatturazione soggetti esteri identificati redatta dagli stessi autori e disponibile anche nell'abbonamento alla Circolare del Giorno
Esterometro 2019: cos’è e quali operazioni include
Con l’introduzione della fatturazione elettronica scompare lo “spesometro” ossia la comunicazione generalizzata di tutte le fatture attive e passive comprese le bollette doganali. Il termine per inviare l’ultima comunicazione delle operazioni del secondo semestre 2018 era previsto il 28 febbraio 2019 ma in seguito alle polemiche e alle richieste degli operatori, in extremis è stata concessa la proroga al 30 aprile 2019 anche per lo spesometro.
Rimangono confermate nel 2019, con regole invariate, le comunicazioni Intrastat per le operazioni con soggetti comunitari. A partire dalle fatture emesse o registrate dal 1° gennaio 2019, è introdotta una nuova comunicazione delle fatture relative ad operazioni transfrontaliere, il cosiddetto “esterometro”. Gli operatori IVA residenti comunicano le operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato.
Sono escluse dall’obbligo di comunicazione (quindi sono comunicate solo facoltativamente) le operazioni per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche.
Si riepilogano di seguito le operazioni da includere della comunicazione “esterometro”:
- fatture emesse verso soggetti comunitari non stabiliti anche se identificati ai fini IVA in Italia, per i quali non è stata emessa fattura elettronica tramite SdI;
- fatture ricevute da soggetti comunitari non stabiliti;
- fatture emesse per servizi generici verso soggetti extracomunitari per cui non è stata emessa la fattura elettronica e per le quali non c’è una bolletta doganale;
- autofatture per servizi ricevuti da soggetti extracomunitari;
- autofatture per acquisti di beni provenienti da magazzini italiani di fornitori extraUe.
Esterometro 2019: cosa indicare
Nella nuova comunicazione occorre pertanto indicare anche le fatture emesse o ricevute da soggetti esteri non stabiliti ma solo identificati direttamente nel territorio dello Stato oppure con rappresentante fiscale. A tal fine occorre indicare nell’esterometro l’acquisto di merce che si trova in Italia con fattura ricevuta:
- da fornitore comunitario (integrazione della fattura senza Intrastat);
- da fornitore extracomunitario (autofattura).
Allo stesso modo occorre indicare nell’esterometro le fatture emesse per vendita di beni con consegna in Italia nei confronti di un cliente estero identificato in Italia.
A differenza delle precedenti, le fatture attive e passive che hanno come controparte un soggetto stabilito nel territorio dello Stato, non sono incluse nell’esterometro.
È possibile inoltre non comunicare l’operazione nell’esterometro se viene emessa fattura elettronica con indicazione, tra i dati anagrafici del cessionario, del Codice Destinatario “XXXXXXX” (esclusivamente per i dati delle fatture emesse).Affinché il file xml sia accettato dal sistema dell’Agenzia delle Entrate predisposto per la ricezione dei file (di seguito Sistema Ricevente), il responsabile della trasmissione (il soggetto obbligato o un suo delegato) deve apporvi una firma elettronica (qualificata o basata su certificati Entrate) oppure, solo in caso di invio del file tramite upload sull’interfaccia web del servizio “Fatture e Corrispettivi”, il sigillo elettronico dell’Agenzia delle Entrate.
EMISSIONE FATTURA ELETTRONICA VERSO TIPOLOGIA CLIENTE Non residenti, non stabiliti ma identificati Non residenti, non stabiliti, non identificati CODICE DESTINATARIO “0000000” “XXXXXXX” FIRMA ELETTRONICA NO SI OBBLIGO DI RIPORTARE L’OPERAZIONE NELL’ESTEROMETRO NO NO
E' possibile trasmettere i dati con un file compresso (.zip) non firmato se tutti i file xml in esso contenuti sono firmati. Se, invece, i file xml non sono tutti firmati, il file compresso deve essere obbligatoriamente firmato.Esterometro 2019: informazioni da trasmettere
Con riferimento alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, gli operatori IVA residenti trasmettono con l’esterometro le seguenti informazioni:
- i dati identificativi del cedente/prestatore,
- i dati identificativi del cessionario/committente,
- la data del documento comprovante l’operazione,
- la data di registrazione (per i soli documenti ricevuti e le relative note di variazione),
- il numero del documento,
- la base imponibile,
- l’aliquota IVA applicata e l’imposta ovvero, ove l’operazione non comporti l’annotazione dell’imposta nel documento, la tipologia dell’operazione.
Esterometro 2019: modalità di trasmissione
È possibile trasmettere i dati con un file compresso (.zip) non firmato se tutti i file xml in esso contenuti sono firmati. Se, invece, i file xml non sono tutti firmati, il file compresso deve essere obbligatoriamente firmato.
Il file può essere inviato dall’interfaccia “Fatture e corrispettivi”. Non è possibile trasmettere i file dati fattura (“Esterometro”) attraverso la piattaforma Desktop telematico. La trasmissione telematica è effettuata entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello della data del documento emesso ovvero a quello della data di ricezione del documento comprovante l’operazione. Per data di ricezione si intende la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione dell’IVA.
La prima comunicazione mensile delle operazioni di gennaio doveva essere inviata entro il 28 febbraio 2019 ma come detto è stata prorogata al 30 aprile 2019.