Quota 100 e incumulabilità con redditi da lavoro: decisione ai giudici
Con la sentenza n. 162 del 4 novembre 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’articolo 14, comma 3, del decreto-legge 4/2019, che disciplina la pensione anticipata “Quota 100”. La decisione — che segue di pochi mesi la controversa pronuncia della Cassazione n. 30994 del 2024 — consolida di fatto l’orientamento più rigoroso sull’incumulabilità totale tra il trattamento pensionistico anticipato e i redditi da lavoro dipendente o autonomo (escluso quello occasionale entro 5.000 euro annui).
La Consulta è intervenuta su un caso concreto: un pensionato “quota 100” che aveva lavorato una sola giornata come bracciante agricolo percependo 83,91 euro lordi, e al quale l’INPS aveva richiesto la restituzione di 23.949 euro, equivalenti all’intera annualità 2020 di pensione .
Il giudice di Ravenna aveva rimesso la questione alla Corte, ritenendo sproporzionata e irragionevole una misura che priva dell’intero trattamento pensionistico anche chi svolge un’attività lavorativa minima e temporanea.
La Corte, tuttavia, ha ritenuto che non vi siano i presupposti per pronunciarsi nel merito: la disposizione non indica espressamente la sanzione della sospensione annuale, e la lettura estensiva della Cassazione del 2024, richiamata dal giudice rimettente, non è ancora “diritto vivente”.
In sostanza, secondo i giudici costituzionali, il Tribunale avrebbe potuto adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, limitando la sospensione della pensione ai soli mesi di effettivo cumulo. L’interpretazione della Cassazione, infatti, non ha ancora raggiunto la stabilità necessaria per essere considerata vincolante o consolidata, essendo stata contestata da diversi giudici di merito.
Di conseguenza, la Corte ha dichiarato inammissibile la questione, lasciando formalmente intatto il quadro normativo ma anche la sua incertezza interpretativa. Una decisione che mantiene in vita il contrasto tra l’approccio rigido dell’INPS e quello più proporzionato auspicato da parte della dottrina e della magistratura del lavoro
La Cassazione del 2024 e il principio della “incumulabilità assoluta”
La sentenza della Cassazione n. 30994 del 4 dicembre 2024 rappresenta il punto di svolta da cui origina il conflitto di interpretazioni. Con quella pronuncia, la Suprema Corte aveva chiarito che la pensione “Quota 100” — misura introdotta in via straordinaria e con requisiti di favore rispetto al sistema ordinario — è totalmente incompatibile con qualsiasi reddito da lavoro dipendente o autonomo (ad eccezione di quello occasionale nei limiti previsti).
Secondo i giudici di legittimità, la “ratio” della norma è chiaramente solidaristica: chi sceglie di accedere a un trattamento anticipato deve uscire realmente dal mercato del lavoro, liberando posizioni per le nuove generazioni. La percezione di redditi, anche minimi o di breve durata, contraddice il presupposto stesso della misura, che si configura come un privilegio pensionistico rispetto ai canali ordinari.
Per la Cassazione, dunque, il cumulo con redditi di lavoro comporta la sospensione integrale della pensione per l’intero anno solare, non limitatamente ai mesi lavorati. Tale conseguenza, sebbene severa, viene giustificata come coerente con l’obiettivo di “favorire il ricambio generazionale e la sostenibilità del sistema previdenziale”.
Né la misura, secondo i giudici, può dirsi in contrasto con l’articolo 38 della Costituzione, poiché il diritto alla pensione anticipata “Quota 100” non rientra nella sfera dei diritti previdenziali fondamentali, ma in quella delle facoltà discrezionali del legislatore.
La pronuncia del 2024 — poi richiamata dalla Corte costituzionale nella sentenza odierna — ha dunque imposto una linea di rigido disincentivo verso ogni forma di prosecuzione o ripresa dell’attività lavorativa, anche marginale, da parte dei pensionati “quota 100”.
Una posizione che l’INPS aveva già anticipato nella circolare 117/2019, stabilendo la sospensione del trattamento per tutto l’anno in caso di percezione di redditi da lavoro, e che la Cassazione ha pienamente avallato.
Le implicazioni della Consulta 2025: tra incertezza applicativa e principio di proporzionalità
La sentenza n. 162/2025 non ribalta la posizione della Cassazione, ma la rimette in discussione sotto il profilo dell’applicazione uniforme della norma.
Secondo la Corte, l’orientamento del 2024 non ha ancora la stabilità interpretativa per costituire diritto vivente, e pertanto i giudici di merito possono (devono?) adottare una lettura più equilibrata e coerente con i principi costituzionali.
Questo significa che il giudice del lavoro potrà considerare proporzionata la sospensione della pensione solo per i mesi di effettivo lavoro e non per l’intera annualità, soprattutto nei casi di attività episodiche o di importo minimo. La Consulta, pur senza entrare nel merito, apre la strada a una possibile evoluzione della giurisprudenza verso un’interpretazione più rispettosa del principio di ragionevolezza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
Tuttavia, sul piano pratico, la decisione lascia ampie zone d’ombra. L’INPS, forte della circolare e della Cassazione 2024, continuerà probabilmente a sostenere la linea dell’incumulabilità assoluta, imponendo il recupero integrale dei ratei. I lavoratori coinvolti dovranno quindi rivolgersi ai tribunali per chiedere la restituzione delle somme trattenute, con esiti che potranno variare da caso a caso.
Per gli operatori e i consulenti del lavoro, la sentenza della Consulta impone di valutare con attenzione le situazioni individuali, distinguendo tra cumuli occasionali e sistematici, e tenendo conto della possibile evoluzione normativa o di un eventuale intervento delle Sezioni Unite della Cassazione.
In conclusione, la Consulta non ha demolito la linea della “incumulabilità totale”, ma ha segnalato che la severità non può sostituire la proporzionalità. Finché non interverrà una nuova norma o una pronuncia unificatrice della Suprema Corte, il sistema rimane sospeso tra due visioni: quella del rigore solidaristico e quella del bilanciamento tra diritto al sostentamento e finalità di politica del lavoro.
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