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Immobile del Comune: detraibilità IVA se concesso per usi commerciali
Con Risposta a interpello n 419 del 25 agosto le Entrate trattano della possibilità di presentare dichiarazioni integrative al fine di poter esercitare la detrazione, relativamente a interventi effettuati su un locale di proprietà del Comune, con riferimento all'effettuazione dell'attività commerciale in parte realizzata su una parte dello stesso locale.
Sinteticamente, le entrate chiariscono che, la detrazione spetta solo dal momento in cui il bene di proprietà comuncale è effettivamente usato per scopi comerciali.
I dettagli dell'interpello.
Il Comune istante ha realizzato nelle annualità 2020, 2021 e 2022 un intervento di riqualificazione, recupero statico, efficientamento energetico e rifunzionalizzazione di una pertinenza demaniale storica struttura su palafitte che sorge in mare davanti alla spiaggia.
Il Comune afferma che attività di ultimazione dei lavori sono in corso nel 2023, e che il suddetto locale risulta diviso in due aree funzionali di cui:
- una verrà affidata a un gestore attraverso una concessione avente lo scopo di garantire la realizzazione di servizi finalizzati alla fruizione e valorizzazione, accoglienza e informazione turistica dell'offerta integrata sul territorio, volta alla promozione e valorizzazione del brand turistico di alcune città del territorio e della Regione;
- l'altra area rimarrà, invece, a sua completa disposizione per la rappresentazione dell'immagine turistica del Comune, come centro di attrazione e catalizzatore di iniziative culturali, ricreative e turistiche di vario genere nel periodo non solo estivo di massimo afflusso vacanziero, ma anche in quello invernale.
Al riguardo, il Comune chiarisce che il concessionario potrà svolgere, previo nullaosta della stessa amministrazione comunale, tutte le iniziative/eventi e attività legate alla promozione e valorizzazione del territorio, nonché con finalità divulgativa e socioculturale, organizzate o promosse dal medesimo concessionario.
Il Comune fa presente di aver provveduto alla registrazione delle fatture ricevute a seguito dell'esecuzione dei suddetti lavori, applicando il regime IVA di cui all'articolo 17ter del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (cd. ''split payment''), nell'ambito dell'esercizio delle sue funzioni istituzionali.
Tuttavia, al completamento dei lavori, nello specificare le modalità di utilizzo del locale è emerso che lo stesso verrà utilizzato anche per finalità commerciali come sopra descritto; conseguentemente, i canoni che verranno versati dal concessionario saranno assoggettati dall'Istante a IVA.
Considerato, pertanto, il notevole investimento effettuato nelle annualità sopra indicate, anche alla luce della destinazione d'uso del predetto locale, il Comune ritiene opportuno rettificare le precedenti dichiarazioni annuali IVA presentate dallo stesso ente locale, al fine di poter detrarre il tributo con riferimento all'effettuazione dell'attività commerciale.
Al riguardo, sorgono dubbi in merito all'esercizio del diritto di detrazione dell'IVA, ai sensi degli articoli 4, quarto comma e 19ter del citato d.P.R. n. 633 del 1972, al fine della possibilità di rettificare le predette dichiarazioni IVA relative alle annualità pregresse interessate (anni d'imposta 2020 e 2021) per cui lo stesso Comune ha già provveduto all'invio.
Detrazione IVA per immobile del Comune concesso per usi commerciali?
Le entrate nel riepilogare la normativa di riferimento specificano che relativamente agli enti non commerciali, tra i quali sono riconducibili i Comuni, l'articolo 19 ter prevede che l'IVA «[…] è ammessa in detrazione, a norma degli articoli precedenti e con le limitazioni, riduzioni e rettifiche ivi previste, soltanto l'imposta relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell'esercizio di attività commerciali […].
Mentre con riferimento all'istituto della dichiarazione integrativa, ricordano che l'articolo 8, comma 6bis del d.P.R. n. 322 del 1998, disciplina il ricorso alla dichiarazione integrativa, quale strumento per modificare le dichiarazioni annuali già presentate, al fine di «correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l'indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d'imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile, mediante successiva dichiarazione da presentare, […], non oltre i termini stabiliti dall'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
Nel caso d specie, il Comune utilizza il locale, coincidente con l'area che risulta oggetto di affidamento in concessione, in parte per effettuare un'attività economica e per la restante parte per lo svolgimento della propria attività istituzionale di rappresentanza.
Al riguardo, con iferimento alla circostanza che il predetto locale ostituisca un benestrumentale per la suddetta attività commerciale, dalla documentazione catastale fornita a riscontro della richiesta di documentazione integrativa, detto bene risulta accatastato nella categoria D/8, che ricomprende i «fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni».
In particolare, il locale seppur accatastato quale bene immobile destinato ad attività commerciale, risulta parzialmente destinato a detta attività solo a partire dalla stipula dell'atto di concessione, ossia dal 21 febbraio 2023.
Infatti, solo con riferimento all'affidamento dei predetti servizi e della connessa parte dell'area del locale strumentale all'esercizio degli stessi, a fronte del pagamento dei relativi canoni da parte del concessionario per l'intera durata della medesima concessione, può configurarsi in capo al Comune l'attività economica che lo stesso ritiene di svolgere e, conseguentemente, da quel momento il medesimo ente locale può esercitare il relativo diritto alla detrazione dell'IVA assolta per i richiamati interventi.
In altri termini, con riferimento alle annualità dal 2020 al 2022, l'Istante non ha maturato il diritto ad esercitare la detrazione dell'imposta relativa alle spese sostenute per gli interventi di recupero e riqualificazione del locale, come previsto dal richiamato articolo 19, commi 1 e 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto acquisti eseguiti nell'ambito dell'attività istituzionale e, quindi, fuori dall'esercizio dell'impresa.
Con riferimento ai detti periodi d'imposta, dunque, non si configura alcun errore od omissione emendabile tramite il predetto istituto della dichiarazione integrativa, poiché in detti periodi, l'Istante non ha svolto alcuna attività commerciale che legittimerebbe il diritto a detrazione.
Solo nel 2023, quando viene stipulata la suddetta concessione di servizi (21 febbraio 2023), infatti, muta parzialmente la destinazione d'uso dell'immobile e, pertanto, come già detto, solo a partire da detto periodo d'imposta è possibile esercitare proporzionalmente il diritto a detrazione, nonché recuperare l'IVA relativa alle spese pluriennali imputabili al fabbricato secondo le regole di cui ai citati articoli 19 e 19bis2 del decreto IVA.
Pertanto, a partire dal 2023, la parziale destinazione d'uso dell'immobile (come visto strumentale per natura), consente all'Istante di recuperare proporzionalmente, per i decimi che residuano, la quota d'imposta ad essi relativa, in applicazione di quanto previsto sia dal richiamato articolo 19, comma 4 sia dal citato articolo 19bis2 del citato d.P.R. n. 633 del 1972, secondo i chiarimenti contenuti nella circolare n. 328 del 1997.
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Somministrazione e cessione di pasti: chiarimenti sull’IVA da applicare
Con Risposta n 412 del 2 agosto le Entrate forniscono chirimenti sull'aliquota IVA applicabile a prestazioni inerenti i pasti svolte da una ONLUS.
Secondo le Entrate una società che fornisce pasti a una Onlus non potrà applicare l’Iva al 4% sui cibi destinati ai dipendenti dell’associazione in quanto tale aliquota è prevista quando le ''somministrazioni'' avvengono all'interno di una mensa aziendale.
Nel caso di specie l'istante, una Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, fa presente di aver stipulato con una ONLUS che si occupa di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale un contratto con il quale si impegna a eseguire le seguenti prestazioni:
- «la preparazione […] dei pasti destinati agli utenti» di un centro socio educativo e di una comunità alloggio, secondo il fabbisogno;
- «il confezionamento dei pasti nei contenitori termici utilizzati per la consegna»;
- «il conseguente lavaggio di detti contenitori».
La ONLUS:
- mette a disposizione i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti;
- prende in carico i pasti presso la cucina dell'Istante;
- consegna i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti (privi di eventuali resti di cibo);
- fornisce le bevande, i condimenti, le stoviglie e tutto il necessario per la distribuzione e la somministrazione dei pasti agli utenti.
L'Istante ha applicato fino ad oggi l'Iva nella misura agevolata del 10 per cento, ai sensi del numero 121) della Tabella A, Parte III, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e recentemente facendo presente che una parte dei pasti è consumata dal proprio personale, ha richiesto, «limitatamente ai suddetti pasti», l'applicazione dell'aliquota del 4 per cento, ai sensi del numero 37), della Tabella A, Parte II, allegata medesimo decreto.
A tal fine chiede chiarimenti in ordine alla corretta aliquota da applicare.
Le Entrate chiariscono che, per quanto concerne l'aliquota applicabile alla fattispecie in oggetto, si fa presente che il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento alle «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande».
Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l'altro, che l'aliquota agevolata del 10 per ento si applica alle «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove […]».
Al riguardo, si rileva che l'articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio per il 2021) prevede che «la nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, (…) deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell'asporto».
Con la suddetta disposizione, il legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell'Iva, dell'attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto poichè vi erano dubbi se dovesse considerarsi quale ''cessione di beni'' o ''prestazione di servizi'' (in quanto somministrazioni di alimenti).
Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e bevande viene inquadrato nell'ambito delle fattispecie assimilate alle prestazioni di servizi dall'articolo 3,secondo comma, n. 4) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972 e risulta caratterizzato dalla commistione di ''prestazioni di dare'' e ''prestazioni di fare''.
Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare (cfr. risoluzione 17 novembre 2016, n. 103/E).
La diversa qualificazione incide ai fini della individuazione dell'aliquota Iva da applicare, in quanto:
- la ''somministrazione'' è assoggettata all'aliquota Iva del 10 per cento, ai sensi del citato numero 121),
- mentre la ''cessione'' è assoggettata ad Iva con l'aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto.
Al riguardo, come rilevato nella citata risposta n. 581 del 2020, concernente la cessione di preparazioni alimentari e bevande presso ristoranti, anche alla luce della possibile coesistenza commerciale nello stesso locale della attività di somministrazione e di vendita, gli alimenti e le bevande possono essere forniti tanto nell'ambito di una più ampia prestazione di servizi di ''somministrazione'', quanto nell'ambito di una mera cessione nel caso della mera vendita da asporto.
In merito alla distinzione in esame, la Corte di giustizia ha chiarito che «al fine di stabilire se una prestazione complessa unica, quale quella oggetto delle varie cause di cui ai procedimenti principali debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti».
In particolare, la Corte ha giudicato l'operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un'operazione di mera cessione avente ad oggetto «alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato».
In base a quanto sino ad ora esposto, pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell'ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall'Amministrazione finanziaria, una cessione di beni (cfr. anche risposta pubblicata n. 35 del 20 gennaio 2022).
Nel caso in esame, il contratto in esame non ha per oggetto la ''somministrazione'' di pasti all'interno della mensa aziendale della ONLUS, bensì, la preparazione e confezionamento dei pasti, ritirati presso la cucina dell'Istante, che l'ONLUS distribuisce in minima parte anche al proprio personale. Pertanto, non si ritiene sussistente l'applicazione della predetta aliquota del 4 per cento
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Integratori per obesità: l’IVA da applicare alle cessioni
Con Risposta a interpello n 362 le Entrate chiariscono l'aliquota IVA da applicare alle cessioni di integratori per l'obesità
L'istante è una società leader nel settore farmaceutico e presto immetterà in commercio un prodotto dietetico.
Nel foglio illustrativo viene indicato come dispositivo medico certificato per il controllo del peso, la prevenzione ed il trattamento dell'obesità.
La Società ha presentato formale istanza di accertamento tecnico all'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, Direzione Dogane Ufficio tariffa e classificazione, Sezione ITV e pareri di classificazione (di seguito, per brevità, la «Agenzia delle Dogane») al fine di verificare la riconducibilità del prodotto in esame alla voce tariffaria 2106, e, in particolare, al codice 2106.9092, così da valutare l'applicabilità o meno dell'aliquota IVA agevolata all'atto della commercializzazione.
L'Agenzia delle Dogane ha provveduto a trasmettere il proprio parere nel quale, concordando con la tesi della Società istante, ha precisato che ''sulla base degli elementi forniti dalla Società e in applicazione della nota complementare n. 5 al Capitolo 21 la quale prevede la classificazione alla voce 2106 delle altre preparazioni alimentari presentate in dosi se destinate ad essere utilizzate come integratori alimentari purché non siano nominate né comprese altrove il prodotto in oggetto possa essere ricondursi alla sottovoce NC 2106 90''.
L'Istante chiede, dunque, chiarimenti in merito all'applicazione alla cessione del prodotto di cui trattasi dell'aliquota Iva agevoalta.
L'Agenzia delle Entrate, al fine di stabilire la misura dell'aliquota IVA applicabile alla cessione del prodotto ritiene utile richiamare integralmente il parere tecnico dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, richiesto dall'Istante in merito alla classificazione merceologica dello stesso.
In proposito, l'Agenzia delle Dogane ha precisato che ''Si ritiene che, sulla base degli elementi informativi forniti dalla Società e in applicazione della nota complementare n. 5 al Capitolo 21 la quale prevede la classificazione alla voce 2106 delle altre preparazioni alimentari presentate in dosi se destinate ad essere utilizzate come integratori alimentari purché non siano nominate né comprese altrove il prodotto in oggetto possa ricondursi alla sottovoce NC 2106 90.
Infatti, come esplicitato nelle Note Esplicative della Nomenclatura Combinata dell'Unione Europea e per quanto si può desumere dalla sentenza della Corte di Giustizia nelle cause riunite da C410/08 a C412/08 (Swiss Caps), tale tipologia di alimenti rientra nei ''complementi alimentari diversi''. La caratteristica di tali prodotti è quella di contribuire al benessere dell'organismo senza esplicare alcun effetto profilattico o terapeutico (vedi punto 16 voce 2106, che ricomprende tra i complementi alimentari le preparazioni, a base di estratti di piante, di concentrati di frutta, di miele, di fruttosio etc.., addizionate di vitamine e talvolta di quantità molto piccole di composti di ferro). Queste preparazioni vengono spesso presentate in confezioni con l'indicazione che le stesse sono destinate a mantenere l'organismo in buona salute. Sono escluse da questa voce le preparazioni simili destinate a prevenire o a curare malattie o affezioni (voce 30.03 o 30.04))''.
Per individuare i beni cui possono applicarsi le aliquote IVA ridotte, la Tabella A, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, fa riferimento alle voci della Tariffa doganale comune in vigore al 31 dicembre 1987, successivamente superata dalla Nomenclatura combinata pubblicata sulla G.U.C.E. e aggiornata con cadenza annuale.
Il numero 80) della tabella A, parte III, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 prevede l'aliquota IVA nella misura ridotta del 10 per cento per le cessioni aventi ad oggetto la ''preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove (v.d. ex 21.07), esclusi gli sciroppi di qualsiasi natura''.
Tenuto conto del suddetto parere dell'ADM, si rileva che il codice NC 2106 corrisponde alla voce 2107 della Tariffa doganale in vigore al 31 dicembre 1987, richiamata nel punto 80) della Tabella A, parte III, allegata al decreto IVA (cfr. risoluzione n. 383/E del 2008, risoluzione 31 ottobre 2005, n. 153/E, risoluzione 10 luglio 2008, n. 290/E, risoluzione 14 ottobre 2008, n. 383/E, risposte agli interpelli nn. 8, 12 e 365 del 2019, nn. 269 e 270 del 2020, nn. 332, 333, 382, 383, 385 e 386 del 2021).
Dunque, si conclude che il prodotto in esame rientri tra le ''preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove (vd. ex 2107), esclusi glisciroppi di qualsiasi natura'', le cui cessioni sono soggette ad IVA con applicazione dell'aliquota nella misura del 10 per cento.
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Collirio erboristico pluridose: chiarimenti sull’aliquota IVA
Con Risposta a interpello n 345 del 13 giugno le Entrate chiariscono l'aliquota IVA da applicare ad alcuni dispositivi medici.
In particolare viene specificato quando ad un collirio pluridose sia applicabile l'aliquota agevolata IVA.
L'istante dichiara di svolgere l'attività di produzione e confezionamento di piante officinali, prodotti erboristici, integratori alimentari, dispositivi medici e prodotti fitocosmetici.
Tra gli altri, commercializza, applicando l'aliquota IVA del 22 per cento, il ''prodotto oftalmico in formato pluridose'' confezionato in un flaconcino da 15 ml, che è una soluzione contenente acque distillate e acqua per preparazioni iniettabili.
L'Istante ha chiesto all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli il preliminare parere di accertamento tecnico. ADM ha classificato il citato prodotto nella sottovoce NC 3307 90.
La Società, non condividendo tale parere tecnico ha richiesto un parere ad un professionista specializzato nel settore, che ha redatto una relazione tecnica, dalla quale risulta che detto prodotto svolge ''un'azione terapeutica di tipo meccanico'', rendendo possibile la classificazione dello stesso come dispositivo medico.
Tutto ciò premesso, l'Istante chiede quale aliquota IVA applicare alle cessioni del prodotto.
Le Entrate replicano che la circolare 14 giugno 2010, n. 32/E, al paragrafo 9, chiarisce che il trattamento fiscale dei suddetti beni, agli effetti della corretta applicazione della aliquota IVA, richiede di procedere preliminarmente a un esatto accertamento tecnico del prodotto, teso ad acclarare la complessiva ed effettiva composizione e qualificazione merceologica ai fini doganali.
Tale accertamento tecnico esula dalle sue competenze rientrando piuttosto tra quelle di ADM, tant'è che le istanze aventi per oggetto l'individuazione dell'aliquota IVA sulla cessione dei menzionati prodotti, prive del citato parere, sono da ritenersi inammissibili e agli stessi non potrà essere fornita alcuna risposta nel merito, nemmeno a titolo di consulenza giuridica.
Non rientra nelle prerogative di questa Agenzia disattendere il parere tecnico rilasciato dalla competente ADM, né è possibile sostituire lo stesso con relazioni tecniche di parte.
Peraltro, come già chiarito nella precedente risposta all'interpello presentato dall'Istante in merito al prodotto ''monodose'' che, a differenza di quello oggetto del presente interpello, è stato classificato da ADM nell'ambito della voce 3004 della Nomenclatura combinata, la norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 3, della Legge di Bilancio 2019 fa rientrare «i dispositivi medici a base di sostanze, normalmente utilizzate per cure mediche, per la prevenzione delle malattie e per trattamenti medici e veterinari, classificabili nella voce 3004 della nomenclatura combinata (…)» tra i beni le cui cessioni sono soggette all'aliquota IVA del 10 per cento, prevista dal numero 114) della Tabella A, parte III, allegata Decreto IVA.
Tale norma, tuttavia, non riguarda tutti i dispositivi medici, bensì solo quelli classificabili nella voce 3004 della Nomenclatura combinata (tra le molte risposte a interpelli pubblicate, cfr. n. 32 del 7 febbraio 2020, n. 220 del 21 luglio 2020, n. 607 del 18 dicembre 2020, n. 646 del 1° ottobre 2021, n. 51 del 25 gennaio 2022, n. 483 del 3 ottobre 2022).
Di conseguenza ai dispositivi medici che non possono essere classificati in tale voce non può ritenersi applicabile l'aliquota IVA ridotta a norma del citato n. 114) della Tabella A, parte III, allegata al Decreto IVA.
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Cessione integratori alimentari: che aliquota IVA applicare
Con Risposta a interpello n 337 del 5 giugno le Entrate chiariscono che l'IVA da applicare alle cessioni di integratori alimentari va chiarita di caso in caso.
Viene fornita replica ad una società che produce integratori alimentari al fine di specificare la giusta applicazione dell'aliquota IVA nelle relative cessioni.
La società istante dichiara di essere una biotechstartup che opera nel settore sanitario.La Società ha sviluppato cinque preparazioni alimentari per:
- contrastare i processi infiammatori e regolare l'equilibrio intestinale;
- stimolare il sistema immunitario e contribuire al normale metabolismo energetico;
- regolare il benessere intestinale;
- riequilibrare il benessere intestinale;
- regolare il transito intestinale
Le caratteristiche generali dei prodotti e le loro composizioni chimiche sono state analizzate nei prescritti pareri di classificazione rilasciati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli (di seguito, ''ADM''), allegati all'istanza.
La Società chiede chiarimenti in merito all'aliquota IVA applicabile alle cessioni delle preparazioni alimentari sopra indicate.
L'agenzia ricorda che più volte ha sottolienato che i cd. integratori alimentari non sono un prodotto che di per sé beneficia dell'aliquota IVA ridotta, in quanto questi beni non sono espressamente previsti in alcuna delle parti della Tabella A, allegata al Decreto IVA.
L'eventuale applicazione agli stessi di un'aliquota IVA ridotta è stata riconosciuta caso per caso, in base al parere tecnico reso da ADM che ne analizza la relativa composizione.
In altri termini, la cessione degli integratori alimentari è stata ritenuta soggetta a un'aliquota IVA ridotta solo nel caso in cui gli stessi fossero stati riconducibili in base al parere dell'ADM ai prodotti indicati nella citata Tabella A, parti II, IIbis o III, allegate al Decreto IVA, che prevedono rispettivamente l'applicazione dell'aliquota IVA del 4, del 5 o del 10 per cento.
Sulla base delle informazioni fornite dall'Istante, ADM ritiene che tutti e cinque i prodotti oggetto dell'interpello siano riconducibili al Capitolo 21 «Preparazioni alimentari diverse» in particolare alla voce 21069092.
ADM, infatti, rappresenta che ''le preparazioni alimentari in questione devono essere classificate nel rispetto delle Regole Generali per l'interpretazione della nomenclatura combinata (in particolare Regole n. 1 e n. 6) nell'ambito del Capitolo 21, denominato ''Preparazioni alimentari diverse'', alla Voce 2106 ''Preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove'' e, più specificamente, al codice NC 21069092 … in quanto integratori alimentari, destinati a conservare l'organismo in buona salute ma che non possiedono le finalità profilattiche o terapeutiche per la prevenzione ed il trattamento di una malattia proprie dei prodotti del Capitolo 30''.
A supporto di questa classificazione ''riporta quanto specificato in merito dalle Note Esplicative del Sistema Armonizzato che indicano la collocazione nella voce 2106 di prodotti (anche a base di piante, semi, frutta) che dovrebbero alleviare certi disturbi o contribuire al buono stato generale ed al benessere salutare (punto 14).
Le stesse note indicano, inoltre, che sono classificate alla voce 2106 anche le preparazioni indicate spesso come ''complementi alimentari'', costituite a base di uno o più elementi come vitamine, estratti, aminoacidi, ecc..
Tali prodotti sono spesso confezionati in imballaggi su cui viene indicato che mantengono il corpo in buona salute o benessere generale, migliorando le prestazioni atletiche, prevengono possibili carenze nutrizionali o correggono livelli subottimali di nutrimenti (punto 16)''.
Per quanto concerne il trattamento tributario ai fini dell'aliquota IVA applicabile, alla luce della classificazione effettuata da ADM, si ritiene che ai prodotti oggetto del presente interpello sia applicabile l'aliquota IVA del 10 per cento, ai sensi del più volte citato n. 80) della Tabella A, parte III, poiché la voce doganale 2107 della Tariffa in vigore fino al 31 dicembre 1987, da questo richiamata, corrisponde oggi alla voce 21.06.90 della Nomenclatura Combinata vigente.
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Liquidazione patrimonio: esclusa la nota variazione in diminuzione
Con Risposta a interpello n 324 del 9 maggio le Entrate rispondono sulla liquidazione del patrimonio ex articolo 14–ter della legge 27 gennaio 2012, n. 3 e l'inapplicabilità dell'articolo 26, comma 3–bis, del dPR 26 ottobre 1972, n. 633 in tema di IVA
L'agenzia spiega che il legislatore non ha ricondotto la procedura di liquidazione del patrimonio tra quelle concorsuali che legittimano l'emissione della nota di variazione Iva in diminuzione, come avvenuto, invece, per la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
E' impraticabile secondo l'agenzia un’applicazione in via interpretativa della procedura alla liquidazione del patrimonio.
L'istante riferisce di aver effettuato operazioni di vendita nei confronti di un proprio cliente maturando nei confronti della stessa un credito oltre IVA, ad oggi insoluto.
Con decreto del 28 luglio 2022 emesso dal Tribunale Ordinario come integrato dal successivo atto dell'8 settembre 2022, è stata dichiarata aperta la procedura di Liquidazione del patrimonio ex articolo 14ter della legge 27 gennaio 2012, n. 3, nei confronti del suddetto cliente e dei suoi soci illimitatamente responsabili.
L'istante, in qualità di creditore, ha presentato domanda di partecipazione alla procedura per l'intero credito vantato verso il cliente, come risulta dal Programma di Liquidazione redatto dal Liquidatore ex art. 14novies della citata legge n. 3 del 2012, trasmesso ai creditori e ai debitori e depositato presso la Cancelleria del tribunale, come da Provvedimento del Giudice Delegato del 16 dicembre 2022.
Tanto premesso, si chiede di sapere se alla fattispecie sopra descritta sia applicabile la previsione di cui all'articolo 26, comma 3bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 introdotto dall'articolo 18 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, c.d. ''Decreto Sostegni bis'' (convertito con modificazioni dalla legge del 23 luglio 2021, n. 106), che ha riconosciuto al cedente o prestatore la facoltà di portare in detrazione l'IVA relativa ad un'operazione per la quale aveva emesso fattura, in caso di mancato pagamento (in tutto o in parte) a del corrispettivo da parte del cessionario o committente, a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato ad una procedura concorsuale.
Le Entrate chiariscono che, a decorrere dal 26 maggio 2021 e con riferimento alle procedure concorsuali avviate alla medesima data per effetto delle modifiche apportate dall'articolo 18 del Decreto Sostegni bis, il comma 3bis dell'articolo 26 del decreto IVA consente di emettere la nota di variazione in diminuzione «in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente: a) a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
«11. Ai fini del comma 4, lettera a), il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi»
A differenza del testo normativo previgente, il cedente o prestatore insoddisfatto non deve più attendere l'eventuale esito infruttuoso della procedura concorsuale.
A tal fine, il nuovo comma 10 bis dell'articolo 26 del Decreto IVA introdotto anch'esso dall'articolo 18 del Decreto Sostegnibis prevede inoltre che «Ai fini del comma 3bis, lettera a), il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi».
Come si evince, quindi, dalle modifiche da ultimo realizzate, il legislatore non ha ricondotto la procedura di Liquidazione del patrimonio ex articolo 14ter della legge n. 3 del 2012 peraltro già esistente alla data di entrata in vigore del Decreto Sostegnibis tra quelle concorsuali che legittimano l'emissione della nota di variazione in diminuzione, come avvenuto, invece, per la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
In buona sostanza, la voluntas legis è stata quella di riproporre le modifiche operate con la Legge di Stabilità 2016; ciò emerge chiaramente dalla relazione illustrativa al decreto Sostegnibis, ove si legge che «La norma ripristina, in sostanza, la disciplina di recupero dell'IVA relativa a crediti inesigibili, oggetto di procedure concorsuali, introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 126, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208) e mai entrata in vigore a causa delle modifiche apportate dalla Legge di Bilancio dell'anno successivo (articolo 1, comma 567, della Legge del 11 dicembre 2016, n. 232)».
Ne consegue che, allo stato attuale, in assenza di una espressa previsione normativa, è impraticabile l'applicazione in via interpretativa della disposizione in esame alla procedura di Liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 14ter della legge n. 3 del 2012.
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Come verificare un numero di PIVA? Il servizio gratuito delle Entrate
Il cittadino che necessiti di verificare un numero di PIVA può utilizzare un servizio gratuito della Agenzia delle Entrate.
Posso verificare un numero di PIVA? Si vediamo come
Viene specificato che, la possibilità di controllare l’esistenza e la validità di una partita Iva è prevista per legge (articolo 35-quater del Dpr n. 633/1972), con il preciso obiettivo di contrastare le frodi in materia di imposta sul valore aggiunto.
Sul sito dell’Agenzia delle entrate è disponibile un servizio gratuito che permette di verificare una partita Iva.
Se correttamente registrata in Anagrafe Tributaria, dopo averla inserita in un apposito campo della pagina “Verifica partita Iva”, viene visualizzato un messaggio di risposta che riporta i dati associati al numero di PIVA digitato.
In particolare, sono specificate le seguenti informazioni:
- lo stato di attività (se attiva, sospesa o cessata)
- la data di inizio attività e le eventuali date di sospensione o di cessazione
- la denominazione o il cognome e nome del titolare
- se la partita Iva è di un Gruppo Iva o di un partecipante a un Gruppo Iva.
Verifica numero PIVA: come fare
Per verificare un numero di PIVA ed ottenere, se esso esiste, i dati su elencati associati alla posizione fiscale, occorre procedere come segue:
- accedere alla pagina “Tutti i servizi” del sito dell’Agenzia,
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- cliccare su “Cerca il Servizio”.
Si specifica che è attivo anche un servizio di verifica di:
- codice fiscale. Il servizio permette di verificare l'esistenza e la corrispondenza tra un codice fiscale e i dati anagrafici di un soggetto, confrontando i dati inseriti con quelli registrati in Anagrafe tributaria. Questa consultazione con accesso libero è stata disposta dal decreto legge n. 78 del 2010
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