• Adempimenti Iva

    Trasformazione agevolata in società semplice: chiarimenti sull’IVA

    Con Risposta n 431 del 18 settembre le Entrate chiariscono aspetti della:

    • trasformazione agevolata in società semplice (ex articolo 1, commi 101– 106, della legge del 22 dicembre 2022, n. 197) 
    • e rettifica della detrazione dell'IVA relativa ai beni estromessi.

    Nel dettaglio, viene sottolineato che, la Società istante ha detratto integralmente l'IVA sui beni oggetto di estromissione, evidenziando il relativo credito nella dichiarazione annuale IVA 2008, poi definitivamente perso per la disciplina sulle società di comodo. 

    Se quindi la trasformazione avviene entro il prossimo 30 settembre, non sussiste alcun obbligo di rettifica in capo alla Società essendo ormai  trascorso il  periodo di tutela fiscale dei beni oggetto di  estromissione,  mentre l'estromissione darà luogo a un'operazione esente da IVA, salvo diversa opzione per il regime di imponibilità. 

    Vediamo più in dettaglio i chiarimenti dell'Agenzia.

    Trasformazione agevolata in società semplice: le norme in breve

    L'Istante riferisce la sua intenzione di usufruire della disciplina della trasformazione agevolata in società semplice prevista dalla Legge di Bilancio 2023,  (Leggi anche: La trasformazione agevolata in società semplice senza ''modificare l'oggetto della propria attività, per come sopra individuata''. 

    Ricordiamo brevemente che si tratta di una misura agevolativa valida fino al 30 settembre 2023 e che ripropone quella in precedenza già disciplinata dall'articolo 1, commi 115­120, della legge del 28 dicembre 2015, n. 208. 

    In  particolare, con le disposizioni citate si prevede la possibilità per le società che hanno per oggetto esclusivo o principale  la gestione di beni immobili, diversi da quelli strumentali per destinazione, o beni mobili iscritti nei pubblici registri, non  utilizzati come strumentali, di trasformarsi  in società semplici e di consentire l'assegnazione e la cessione agevolata ai soci di tali beni.  

    Ai  fini delle imposte indirette, tuttavia, non è prevista alcuna agevolazione.  

    In particolare, l'assegnazione dei beni ai soci realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, equiparata a una cessione di beni a titolo oneroso ai sensi dell'articolo 16, comma 1, della Direttiva IVA recepito nell'articolo 2, secondo comma, n. 6), del Decreto IVA.

    Di conseguenza ai fini IVA rilevano tutte le assegnazioni di beni per le quali la società abbia detratto, integralmente o parzialmente, l'IVA addebitatale in via di rivalsa al momento dell'acquisto, dell'importazione o dell'effettuazione degli investimenti prima indicati. Viceversa, esulano dall'ambito applicativo del tributo le fattispecie di assegnazione di beni in relazione alle quali era preclusa la detrazione dell'IVA all'atto dell'acquisto (cfr. circolare n. 26/E del 2016). 

    Il Contribuente istante cita la circolare n. 37/E del 2016, secondo cui ''in tutte le ipotesi di estromissione di un bene per la cessazione dell'esercizio dell'attività economica per il quale si è usufruito della detrazione d'imposta a monte, l'Iva sul bene estromesso va applicata anche oltre il termine previsto per la rettifica alla detrazione'' (paragrafo 8 e Corte di Giustizia dell'Unione Europea, C­229/2015). 

    Pertanto, chiede se in sede di assegnazione dei beni immobili qui in discussione, debba riversare l'IVA a credito di fatto mai utilizzata  e/o l'importo limitato scaturente ''dalla compensazione che ha comportato una riduzione ''risibile'' dell'ammontare del credito Iva (anno 2007) mai utilizzato''

    Trasformazione agevolata in società semplice: chiarimenti sull'IVA

    Le entrate ripercorrono i chiarimenti della circolare 1° giugno 2016, n. 26/E.

    Essa ha chiarito che, stante l'assenza del requisito della commercialità in  capo alla società semplice, la trasformazione di  una società commerciale in una società semplice realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio d'impresa a  cui sono applicabili le disposizioni previste dalla norma di riferimento, tranne che per «quei beni per i quali non è stata operata, all'atto dell'acquisto, la detrazione dell'imposta di cui all'articolo 19;», la cui estromissione dall'attività d'impresa non è soggetta a IVA

    La medesima circolare precisa che quando l'estromissione ha per oggetto beni immobili abitativi o  strumentali trovano applicazione le regole ordinarie di cui all'articolo 10, primo comma, nn. 8­bis) e 8­ter) del Decreto IVA che prevedono il regime ''naturale'' dell'esenzione, riconoscendo nello stesso tempo la possibilità di applicare il regime di imponibilità mediante espressa opzione nell'atto di ''trasferimento''. 

    Nel caso di specie, poiché la Società ha detratto integralmente l'IVA sugli immobili, la loro estromissione dal regime d'impresa per effetto della trasformazione realizza un'operazione rilevante ai fini IVA, in regime di esenzione a meno che l'Istante non opti per il regime di imponibilità.

    Dato che l'estromissione può riguardare beni ammortizzabili, per i quali è stata detratta in tutto o in parte l'IVA, la circolare n. 37/E del 2016, richiamando i chiarimenti resi dalla Corte di Giustizia  dell'Unione  Europea nella  sentenza 16  giugno  2016, C­229/15, precisa l'autonomia di tale presupposto (n.d.r. estromissione) rispetto alle regole sulla rettifica della detrazione (n.d.r. di cui all'articolo 19­bis2 del Decreto IVA). 

    In particolare la Corte ha spiegato come l'assoggettamento ad imposta di cui trattasi  ''non si fonda sulla premessa secondo cui la detrazione completa o parziale dell'IVA, operata al momento dell'acquisto di beni oggetto di possesso in caso di cessazione dell'attività economica imponibile, sia superiore o inferiore a quella che il soggetto passivo aveva diritto di effettuare, bensì sulla realizzazione di una nuova operazione  imponibile  alla  data  della  cessazione  dell'attività  economica''.  

    Da ciò discende che in tutte le ipotesi di estromissione di un bene per la cessazione dell'esercizio dell'attività economica per il quale si è usufruito della detrazione d'imposta a monte, l'Iva sul bene estromesso va applicata anche oltre il termine previsto per la rettifica alla detrazione.

    Nella citata sentenza, in particolare, la Corte di Giustizia stabilisce che:

    •  1.  ''l'assoggettamento ad imposta (…) deve aver luogo (…) quando un bene che abbia dato diritto ad una detrazione dell'IVA conserva un valore residuo al momento della  cessazione  dell'attività  economica  imponibile,  indipendentemente  dal  periodo trascorso tra la data dell'acquisizione di detto bene e quella della cessazione dell'attività stessa'' (punto 39); 
    • 2.   ragion per cui,  ''in caso di cessazione dell'attività economica imponibile di un soggetto passivo, il possesso di beni da parte di quest'ultimo, allorché tali beni hanno dato diritto ad una detrazione dell'IVA al momento del loro acquisto, può essere assimilato ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso e soggetta all'IVA, se il periodo di rettifica previsto dall'articolo 187 della direttiva IVA è scaduto'' (punto 40). 

    Anche se con riferimento alle assegnazioni fuori campo IVA, la circolare 37/E del  2016,  al  paragrafo  9,  nel  chiarire  che  ''…la rettifica della detrazione deve essere operata, non solo per le assegnazioni in regime di esenzione, ma anche per quelle fuori campo IVA'', precisa che ''L'obbligo di operare la rettifica dell'IVA detratta al momento dell'acquisto e le modalità con le quali va operata dipende dal ''regime'' applicato ai beni ammortizzabili in sede di assegnazione e dalla circostanza che l'assegnazione avvenga nel corso del relativo periodo di tutela fiscale (dieci anni per i fabbricati, cinque anni per gli altri beni)''. 

    Da quanto sino a ora richiamato consegue che in caso di beni per i quali è stata operata in tutto o in parte la detrazione dell'imposta addebitata in via di rivalsa: ­ 

    • la rilevanza IVA della loro estromissione dal regime d'impresa è regolata da  presupposti  autonomi  e  diversi  rispetto  a  quelli  che  disciplinano la  rettifica  della detrazione; ­  
    • i principi che  regolano la detrazione impongono di adempiere all'obbligo di rettifica se la cessione avviene nel periodo di tutela fiscale, mentre quelli che disciplinano l'estromissione ne determinano sempre la rilevanza ai fini IVA, fermo restando che detta operazione può dare origine a una cessione di beni imponibile, non imponibile o esente.

    Nel caso di specie, da quanto riferito dal Contribuente, come sopra sinteticamente ricordato, la Società ha detratto integralmente l'IVA sui beni oggetto di estromissione, evidenziando il relativo credito nella dichiarazione annuale IVA 2008, poi definitivamente perso per la disciplina sulle società di comodo. 

    Se quindi la trasformazione avviene entro il prossimo 30 settembre, non sussiste alcun obbligo di rettifica in capo alla Società essendo ormai  trascorso il  periodo di tutela  fiscale dei  beni  oggetto di  estromissione,  mentre  l'estromissione  darà  luogo  a un'operazione esente da IVA, salvo diversa opzione per il regime di imponibilità.

  • Adempimenti Iva

    Fatture contestate: è possibile detrarre l’IVA?

    Con Risposta a interpello n. 426 dell'11 settembre le Entrate chiariscono che il mero possesso di una fattura non legittima alla detrazione dell'IVA in essa indicata in quanto, l'imposta deve essere coerente con l'operazione sottostante.

    Il committente non è legittimato a portare in detrazione l'intera IVA fatturata se non sussista corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica.

    La risposta a interpello in oggetto tratta il caso di un soggetto passivo istante Alfa che ha stipulato un contratto di consulenza con una società Beta, la quale nel 2021 ha emesso fatture attive.
    Tali fatture venivano contestate da Alfa che richiedeva al prestatore l’emissione di note di credito.

    Alfa non pagava l'importo addebitato da Beta e instaurava un giudizio mentre Beta, nel frattempo, cedeva il proprio credito a un terzo Nel 2023 la controversia è stata definita con una transazione. 

    L’accordo prevede che Alfa versi a Beta un importo omnicomprensivo di 70.000 euro.

    Secondo l’istante Alfa, sarebbe ammissibile la detrazione dell’intera IVA esposta nelle fatture contestate per le quali non sono mai state emesse note di credito. Peraltro le note credito non possono più essere emesse, essendo scaduto il termine annuale previsto dall’art 26 comma 3 del DPR 633/72.

    Le Entrate non concordano con la soluzione dell'istante e riepilogano la normativa utile al caso di specie.

    Viene ricordato che l'articolo 168 della direttiva 2006/112/CEE, trasfuso nell'articolo 19 del Decreto IVA, autorizza un soggetto passivo a detrarre l'IVA dovuta o assolta.

    Il testo della disposizione dispone che il diritto a detrazione dell'imposta di cui beneficia il soggetto passivo riguarda non soltanto l'IVA che ha versato, ma anche l'IVA dovuta ossia quella che deve essere ancora pagata.

    Ne consegue che il diritto a detrazione dell'IVA non può, in linea di principio, essere subordinato all'effettivo previo pagamento dell'IVA stessa.

    Tuttavia il principio vale se c'è corrispondenza tra il valore del bene o prestazione concretamente ricevuta e il corrispettivo dovuto  cui corrisponde l'Iva detraibile ­non essendo rilevante la circostanza che sia stata emessa una fattura per un corrispettivo superiore.

    Si tratta del tema del rapporto tra principio di cartolarità e principio di neutralità dell'IVA che è stato affrontato spesso nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia UE.

    Secondo la giurisprudenza, il mero possesso della fattura non legittima il diritto a detrazione dell'IVA ivi indicata, che deve essere coerente con l'operazione sottostante, con la conseguenza che il committente non è legittimato a portare in detrazione l'IVA indebitamente fatturata se non sussiste corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica.

    L'agenzia è del parere che la corrispondenza deve esserci anche se non sia più possibile emettere una nota di variazione in caso di sopravvenuto accordo tra le parti.

    L'agenzia cita tra gli altri i giudici europei nella causa C- 334/20 secondo i quali l’ammontare detraibile “dovrà essere determinato conformemente alla base imponibile pertinente (…), ossia in funzione del corrispettivo effettivamente pagato dal soggetto passivo”.

    Allegati:
  • Adempimenti Iva

    Nota di credito per accordi transattivi: quali sono i termini per l’emissione?

    Con la Massima n 222 dell'AIDC,  Associazione Italiana Dottori Commercialisti, del 7 settembre, si chiarisce quando la nota variazione può essere emessa anche oltre l'anno.

    La massima in oggetto specifica che il termine annuale previsto dall’art. 26, 3° comma del DPR 633/1972 per l’emissione della nota di credito in caso di sopravvenuto accordo tra le parti é circoscritto ai casi in cui, in assenza di qualsiasi contestazione in merito all’esecuzione del contratto, le parti decidono di variarne i termini di comune accordo.

    Qualora, invece, intervenga un accordo transattivo a composizione di una documentata controversia, anche solo potenziale, riguardante il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte dal cedente del bene o dal prestatore del servizio, i principi di effettività, neutralità e proporzionalità dell’imposta impongono di consentire la rettifica dell’operazione anche oltre il termine annuale.

    Leggi anche E' detraibile l'indebita IVA indicata in fatture contestate? 

    Nota di credito per accordi transattivi: i termini per l'emissione

    Secondo l’art 26 comma 2 del DPR n 633/72 se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25.

    Tuttavia, per rettificare, ai sensi del successivo comma 3 dello stesso articolo si ha un anno di tempo dalla effettuazione dell’operazione.

    La norma in oggetto sottolinea la natura antielusiva del termine.

    Viene precisato che, se invece per dirimire una contestazione interviene una transazione, anche a tale fattispecie non deve applicarsi il termine dell'anno. Sarà necessario provare, con elementi documentali in suo possesso, all’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo, “l’esistenza della potenziale lite predefinita attraverso l’accordo sopravvenuto”.

  • Adempimenti Iva

    Nota variazione in diminuzione: chi è legittimato ad emetterla

    Con Risposta a interpello n 427 dell'11 settembre le Entrate chiariscono chi sia il soggetto legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione nel caso in cui, nel rapporto tra assicurato e assicuratore, il credito dell'assicuratore sia irrecuperabile. 

    In sintesi viene chiarito che, dal  punto  di  vista  fiscale  l'assicurato  (originario cedente/ prestatore)  rimane  l'unico soggetto legittimato ad  emettere la  nota di variazione in diminuzione. Egli poi, "dovrà girare" all’assicuratore l’Iva recuperata con la variazione.

    L'istante è una società attiva nel settore delle assicurazioni dei crediti commerciali, cauzioni e recupero crediti, iscritta al R.I.G.A. (Registro Imprese e Gruppi Assicurativi) Albi ed Elenchi di Vigilanza, presso l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS)

    I crediti oggetto di copertura assicurativa  da parte dell'istante  sono crediti contrattualmente dovuti al contraente della polizza assicurativa nell'ambito della sua attività commerciale. 

    Gli importi relativi all'IVA connessa ai crediti assicurati possono essere inclusi o esclusi dalla copertura assicurativa; secondo quanto riferito nell'interpello, l'istanza fa riferimento esclusivamente alle polizze in cui gli importi relativi all'IVA sono inclusi nella copertura assicurativa. 

    Ai  sensi dell'art.  1916  del  codice  civile,  la società nel momento in cui  paga l'indennizzo previsto dalla polizza, è surrogata, fino alla concorrenza dell'ammontare di esso, nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile. 

    Frequentemente  accade che  il  terzo  responsabile sia  assoggettato ad  una procedura concorsuale, in relazione alla quale l'Assicurato, in alcuni casi, si è insinuato al passivo prima che il credito sia oggetto di surroga, mentre, in altre ipotesi, al momento della surroga l'insinuazione non è ancora avvenuta. 

    Ciò posto, l'istante chiede conferma in merito alla possibilità di emettere, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 note di variazione IVA in diminuzione in relazione ad un credito originariamente vantato da un proprio Assicurato nei confronti di un terzo soggetto responsabile e per il quale, all'esito di un procedimento di surrogazione ex art. 1916 c.c. (in qualità di soggetto surrogante), si sia verificato il mancato pagamento da parte del debitore ceduto (terzo responsabile) a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose. 

    L'agenzia riepiloga che l'articolo 26 del decreto IVA disciplina le variazioni in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni in aumento previste dalla  medesima norma, ha  natura facoltativa ed  è  limitato  alle ipotesi espressamente previste. 

    In particolare, il comma 2 del citato articolo 26 prevede che «Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25». 

    Nel  caso di  mancato  pagamento  del corrispettivo connesso a  procedure concorsuali, secondo quanto disposto dal successivo comma 3­bis, inserito dall'articolo  18,  comma  1,  lettera  b),  del  decreto ­legge  25  maggio  2021,  n.  73,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, «La disposizione di cui al comma 2 [possibilità di emettere una nota di variazione in diminuzione, ndr] si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente: a) a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182­bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; b) a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose»

    Con la  risoluzione n. 120/E del 2009, le Entrate hanno chiarito che «il recupero dell'imposta attraverso la nota di variazione ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 presuppone sempre ''l'identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originaria, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili'' (Corte di cassazione sentenza 6 luglio 2001, n. 9188 e 2 giugno 1999, n. 5356).

    In tal senso, anche la sentenza della Cassazione Civile del 29 marzo 2001, n. 8455, secondo cui ''l'applicazione del citato articolo 26 comma 2 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 presuppone una variazione del rapporto giuridico tra i due soggetti originari dell'operazione imponibile: cedente e cessionario di un bene, committente e prestatore di un servizio''». 

    È necessario, dunque, che la nota di variazione sia speculare alla fattura originaria e che permanga l'identità tra gli originari soggetti dell'operazione imponibile. 

    Pertanto,  nell'ipotesi  di  surroga  dell'assicuratore,  sebbene dal punto di vista civilistico «L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili» (cfr. articolo 1916  del  codice  civile), dal  punto  di  vista  fiscale  l'assicurato  (originario  cedente/ prestatore)  rimane l'unico soggetto legittimato  ad  emettere  la  nota  di  variazione in diminuzione. 

    La  soluzione prospettata dall'istante  non  è condivisibile, non avendo alcuna rilevanza la circostanza che, al momento della surroga, l'insinuazione al passivo dell'Assicurato non sia ancora avvenuta. 

    Si precisa,  infine, che qualora il cliente insolvente sia assoggettato ad una procedura concorsuale, il cedente/prestatore (ossia, nel caso di specie, l'assicurato) può procedere  ­stante  l'attuale  formulazione  del  già  citato  comma  3­bis  dell'articolo  26 del decreto IVA ­ all'emissione della nota di variazione al momento dell'apertura della procedura medesima (sul punto si rinvia ai chiarimenti resi con la circolare 9 dicembre 2021, n. 20/E).

    Allegati:
  • Adempimenti Iva

    Detrazione IVA in assenza di operazioni attive: altri tasselli dalla Cassazione

    L’incertezza intorno al diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti di beni e servizi effettuati nella fase preparatoria all’avvio dell’impresa, prima dell’effettuazione della prima operazione imponibile, oggi si può considerare superata.

    In conseguenza di voluminosa giurisprudenza, sono ormai considerati consolidati i seguenti punti che delineano i tratti caratteristici della fattispecie:

    • gli acquisti di beni e servizi, effettuati nella fase preparatoria di start-up, antecedente l’effettivo inizio dell’attività economica, danno diritto alla detrazione dell’IVA non essendo richiesto, a questo fine, il collegamento tra il diritto alla detrazione e l’effettuazione di operazioni imponibili;
    • quello che è richiesto è che tali spese preparatorie siano inerenti all’attività d’impresa, cioè che siano spese funzionali all’attività economica che verrà esercitata, ma non è necessario il contestuale realizzo di tale attività;
    • che in questa situazione spetta al contribuente l’onere di dimostrare tale inerenza;
    • fanno eccezione solo quelle attività inserite in un contesto di frode o effettuate con l’intento di ottenere indebiti vantaggi fiscali.

    La prassi da diverso tempo si è allineata a questa linea interpretativa, prima con la Circolare Agenzia delle Entrate numero 33/E/2016 e poi con la Risposta a interpello numero 584 del 14 settembre 2021.

    Due recenti deliberazioni della Corte di Cassazione aggiungono ulteriori dettagli a questo quadro, già ben delineato.

    L’ordinanza numero 11213 della Corte di Cassazione, pubblicata il 28 aprile 2023, precisa che, per il diritto alla detrazione sull’IVA applicata all’acquisto di beni e servizi effettuati durante la fase di start-up, non importa quali siano le motivazioni per cui l’attività non è stata concretamente avviata; con l’ovvia eccezione dei casi in cui questi acquisti possono essere inseriti in un contesto di abuso del diritto alla detrazione o al rimborso.

    La successiva ordinanza della Corte di Cassazione numero 15570, pubblicata il giorno 1 giugno 2023, prende in esame il diritto al rimborso dell’IVA versata sugli acquisti di beni e servizi durante la fase preparatoria, in assenza di produzione di ricavi: secondo la Corte, così come il diritto alla detrazione delle spese di investimento prescinde dall’effettivo avvio dell’impresa, ugualmente il diritto al rimborso dell’imposta versata sarà esercitabile senza dover aspettare l’effettivo esercizio di questa attività.

    Quindi, fondamentalmente:

    • le spese sostenute durante la fase preparatoria all’avvio dell’impresa danno diritto alla detrazione dell’IVA;
    • il diritto in quella fase è già sorto, per cui dovranno seguirsi le regole ordinarie che regolano tale diritto, come appunto il principio di inerenza;
    • ciò in rispetto del principio della neutralità dell’imposta, la cui violazione comporterebbe una disparità tra imprese che esercitano la medesima attività.

    Non inficia tale diritto neanche il successivo mancato avvio dell’attività dell’impresa, in quanto il diritto era già sorto (con la solita eccezione per il caso in cui tale situazione non nasconda un intento fraudolento o abusivo), sempre che il mancato avvio dell’attività economica derivi da cause indipendenti dalla volontà del soggetto acquirente, sia pure assunte in un'accezione ampia”.

    Su questo punto l’ordinanza 11213/2023 cita la sentenza della Corte di giustizia europea del 18 maggio 2021 nella Causa C-248/20: “il diritto a detrazione, una volta sorto, rimane, in linea di principio, acquisito anche se, successivamente, l'attività economica prevista non è stata realizzata, cosicché non ha dato luogo ad operazioni soggette ad imposta o se, a causa di circostanze estranee alla sua volontà, il soggetto passivo non ha utilizzato detti beni e servizi che hanno dato luogo alla detrazione nell'ambito di operazioni soggette a imposta. Ogni interpretazione diversa della direttiva IVA sarebbe contraria al principio di neutralità dell'IVA per quanto riguarda l'onere fiscale dell'impresa. Infatti, ciò potrebbe creare, all'atto del trattamento fiscale delle stesse attività di investimento, disparità ingiustificate tra imprese che effettuano già operazioni imponibili e altre che cercano, mediante investimenti, di avviare attività da cui deriveranno operazioni soggette ad imposta”.

  • Adempimenti Iva

    Somministrazione e cessione di pasti: chiarimenti sull’IVA da applicare

    Con Risposta n 412 del 2 agosto le Entrate forniscono chirimenti sull'aliquota IVA applicabile a prestazioni inerenti i pasti svolte da una ONLUS.

    Secondo le Entrate una società che fornisce pasti a una Onlus non potrà applicare l’Iva al 4% sui cibi destinati ai dipendenti dell’associazione in quanto tale aliquota è prevista quando le ''somministrazioni'' avvengono all'interno di una mensa aziendale. 

    Nel caso di specie l'istante, una Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, fa presente di aver stipulato con una ONLUS che si occupa di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale un contratto con il quale si impegna a eseguire le  seguenti prestazioni: ­       

    • «la preparazione […] dei pasti destinati agli utenti» di  un centro  socio  educativo e di una comunità alloggio, secondo il fabbisogno; ­            
    •  «il  confezionamento  dei  pasti  nei  contenitori  termici  utilizzati  per  la  consegna»; ­    
    • «il conseguente lavaggio di detti contenitori». 

    La ONLUS: ­ 

    • mette a disposizione i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto  dei pasti; ­          
    • prende in carico i pasti presso la cucina dell'Istante; ­           
    • consegna i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti  (privi di eventuali resti di cibo); ­ 
    • fornisce le bevande, i condimenti, le stoviglie e tutto il necessario per la  distribuzione e la somministrazione dei pasti agli utenti.

    L'Istante ha applicato fino ad oggi l'Iva nella misura agevolata del 10 per cento, ai sensi del numero 121) della Tabella A, Parte III, del decreto del Presidente  della  Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  633  e recentemente facendo presente che una parte dei pasti è consumata dal proprio personale, ha richiesto, «limitatamente ai suddetti pasti», l'applicazione dell'aliquota del 4 per cento, ai sensi del  numero 37), della Tabella A, Parte II, allegata medesimo decreto.

    A tal fine chiede chiarimenti in ordine alla corretta aliquota da applicare.

    Le Entrate chiariscono che, per quanto concerne l'aliquota applicabile alla fattispecie in oggetto, si fa presente che il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento alle «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande». 

    Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l'altro, che l'aliquota agevolata  del 10 per  ento si applica alle «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove […]». 

    Al riguardo, si rileva che l'articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020,  n. 178 (legge di bilancio per il 2021) prevede che «la nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, (…) deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell'asporto». 

    Con la suddetta disposizione, il  legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell'Iva, dell'attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto poichè vi erano dubbi  se dovesse considerarsi quale ''cessione di  beni'' o ''prestazione di servizi'' (in quanto somministrazioni di alimenti). 

    Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e  bevande viene inquadrato nell'ambito delle fattispecie assimilate alle  prestazioni di  servizi dall'articolo 3,secondo comma, n. 4) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972 e risulta caratterizzato  dalla commistione di  ''prestazioni di dare'' e  ''prestazioni di fare''. 

    Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare (cfr.  risoluzione 17 novembre 2016, n. 103/E).

    La diversa qualificazione incide ai fini della individuazione dell'aliquota Iva da applicare, in quanto:

    • la ''somministrazione'' è assoggettata all'aliquota Iva del 10 per cento,  ai sensi del citato numero 121),
    • mentre la ''cessione'' è assoggettata ad Iva con l'aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto.

    Al riguardo, come rilevato nella citata risposta n. 581 del 2020, concernente la  cessione  di  preparazioni  alimentari  e  bevande  presso ristoranti, anche  alla luce  della  possibile coesistenza commerciale nello stesso locale della attività di somministrazione e di vendita, gli alimenti e le bevande possono essere  forniti tanto nell'ambito di una  più ampia prestazione di servizi di ''somministrazione'', quanto nell'ambito di una mera  cessione  nel  caso  della mera  vendita  da  asporto.  

    In merito alla  distinzione in  esame, la Corte di giustizia ha chiarito che «al fine di stabilire se una prestazione complessa unica, quale quella oggetto delle varie cause di cui ai procedimenti principali debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti»

    In particolare, la Corte ha giudicato l'operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un'operazione di  mera cessione avente ad oggetto «alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato»

    In base a quanto sino ad ora esposto, pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell'ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall'Amministrazione finanziaria, una cessione di beni (cfr. anche risposta pubblicata n. 35 del 20 gennaio 2022). 

    Nel caso in  esame, il contratto in esame non ha  per oggetto  la  ''somministrazione'' di pasti all'interno della mensa aziendale della ONLUS, bensì, la preparazione e confezionamento dei  pasti, ritirati presso la cucina dell'Istante, che l'ONLUS distribuisce in minima parte anche al proprio personale. Pertanto, non si ritiene sussistente l'applicazione della predetta aliquota del 4 per cento 

    Allegati:
  • Adempimenti Iva

    Detrazione IVA casa vacanze: chiarimenti l’aliquota per le cessioni

    Con risposta n 392 del 24 luglio le entrate chiariscono la detrazione dell'IVA assolta per l'acquisto di un immobile a destinazione abitativa, adibito a casa–vacanze – Articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 63.

    L'istante è una società con attività immobiliare, che ha acquistato un immobile a destinazione abitativa utilizzato come casa–vacanze, e chiede,inderoga aquantostabilito dall'art 19 bis1 lett i) DPR 633/72 se può essere detratta l'IVA assolta in sede di acquisto dell'immobile qualificato come ''abitativo'' (categoria catastale A/7) e destinato allo svolgimento di attività commerciale, ovvero di locazione turistica.  

    Le entrate ricordano che per l'articolo 19, commi 1 e 2, del Decreto IVA: 

    • «(…), è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione (…)»; ­
    • «Non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta, salvo il disposto dell'articolo 19­bis2. (…) ». 

    In deroga alle disposizioni di cui al citato articolo 19, il successivo articolo 19­ bis1  contempla delle ipotesi  di  esclusione  o limitazione della detrazione per taluni beni e servizi. 

    In particolare,  per quanto  qui di interesse, per il comma  1, lettera i), del richiamato  articolo 19­bis1 «non è ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto di fabbricati, o di porzioni di fabbricato, a destinazione abitativané quella relativa alla locazione o alla manutenzione,recupero o gestione deglistessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui al numero 8) dell'articolo 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell'articolo 19, comma 5, e dell'articolo 19­bis».

    La  ratio di questa indetraibilità oggettiva va ravvisata, spiega l'agenzia, in linea  generale, nell'esigenza di evitare indebite detrazioni di imposta nei casi in cui l'acquisto abbia ad oggetto beni (i.e. fabbricati abitativi), nonché servizi relativi a detti beni, suscettibili di  essere utilizzati promiscuamente, sia nell'attività d'impresa sia per finalità estranee a essa. 

    In merito alla  distinzione  tra  immobili a destinazione abitativa e immobili strumentali, diversi documenti di prassi chiariscono che è dirimente la classificazione catastale degli stessi, a prescindere dal loro effettivo utilizzo

    Rientrano,  pertanto, nella  categoria  degli immobili ''abitativi''  tutte le unità immobiliari catastalmente classificate o classificabili nelle categorie da A/1 ad A/11, escluse quelle classificate o classificabili in A/10. 

    La risoluzione n. 18/E del 22 febbraio 2012 (citata dall'Istante) chiarisce altresì che quando ''gli immobili abitativi, (n.d.r.sono) utilizzati dal soggetto passivo nell'ambito  di un'attività di tipo ricettivo (gestione di case vacanze, affitta camere, etc.) che comporti l'effettuazione di prestazioni di servizi imponibili ad IVA, debbano essere trattati, a prescindere dalla classificazione catastale, alla stregua dei fabbricati strumentali per natura. Ne consegue che le spese di acquisto e manutenzione relative aisuddetti immobili non risentono dell'indetraibilità di cui all'articolo 19­bis1, comma 1, lettera i), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.'

    L'agenzai prosegue affermando che in senso conforme vi è anche un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui la detrazione IVA ''postula una necessaria correlazione fra i beni e iservizi acquistati e l'attività esercitata, nel senso che essi devono inerire all'impresa, anche se si tratti di beni non strumentali in senso propriopurché risultino in concreto destinati alla finalità della produzione o dello scambio nell'ambito dell'attività dell'impresa stessa, con la precisazione che ''il nesso oggettivo che deve sussistere tra acquisto e impiego di beni e servizi… non è quello di diretta e meccanica utilizzazione, ma… si riassume in una necessaria relazione di inerenza tra la singola operazione di acquisto e l'esercizio dell'attività economica del soggetto passivo IVA'' (Cass. n. 5987 del 1992, n. 9452 del 1997, n. 6785 del 2009, n. 3458 del 2014).

    Quindi, partendo dal presupposto che la valutazione della strumentalità di un acquisto rispetto all'attività imprenditoriale va effettuata in concreto, tenuto conto dell'effettiva natura del bene in correlazione agli scopi dell'impresa, non già in termini puramente astratti (Cass. n. 16730 del 2007, n. 12036 del 2008), è stata riconosciuta la detraibilità dell'Iva sulle fatture dei lavori di ristrutturazione di una porzione di immobile avente addirittura destinazione  catastale abitativa (cat. A/2), ma in concreto utilizzato per lo svolgimento dell'attività ''affittacamere e case per vacanze'', e da qualificarsi perciò come bene strumentale, anche in forza del rilascio di apposita licenza da parte del Comune competente; così escludendosi che il diritto alla detrazione dell'Iva possa essere negato in forza della astratta classificazione catastale dell'immobile, dandosi invece prevalenza alla sua concreta destinazione (Cass. n. 8628 del 2015)'' (così Cass. Ordinanza 12 giugno 2020,  n. 11333, vedi anche sentenza 9 marzo 2016, n. 4606). 

    Nel caso di specie, la Società afferma di voler continuare l'attività ricettizia, intrapresa da DELTA Srl, affidandone la gestione a quest'ultima, che si troverà di fatto a operare in veste di outsourcer.

    Dai documenti esibiti in bozza sembra altresì che Immobiliare DELTA Srl agirà sulla base di un mandato con rappresentanza, conferito dall'Istante, in forza del quale  gli atti giuridici posti in essere dal mandatario producono i loro effetti direttamente in capo al mandante. 

    Ne  consegue che,  se la prospettata attività turistico-­ricettiva è continuata dalla Società ­ anche se per il tramite di un outsourcer ­ nel rispetto della normativa di settore: ­ 

    • le relative prestazioni sono assoggettate a IVA nella misura stabilita dal n. 120) della Tabella A, Parte III, allegata al Decreto IVA, ossia 10 per cento (cfr.sul punto anche risposta n. 84 del 2020); ­    
    • ''In conseguenza dell'imponibilità delle prestazioni di alloggio in esame, in coerenza con i principi generali dell'IVA, l'imposta sull'acquisto di beni o servizi afferenti dette tipologie di prestazioni risulta detraibile benché relativa ad unità che sotto l'aspetto catastale si presentano come abitative'' (cfr. risoluzione n. 18/E del 2012).
    Allegati: