• Contenzioso Tributario

    Ristretta base partecipativa: presunzione di distribuzione anche per i soci di SPA

    Quando la proprietà di una società di capitali è divisa tra pochi soci, questa si può definire a ristretta base partecipativa.

    Quando, in sede di contenzioso tributario, a una società di capitali a ristretta base partecipativa viene contestata l’inesistenza di costi o maggiori ricavi non contabilizzati, chi contesta presume che la società abbia occultato degli utili e li abbia distribuiti ai propri soci.

    In conseguenza di ciò, oltre alla contestazione di maggiori imposte per la società, viene anche contestato il maggior reddito ai soci.

    Una tale distribuzione è difficile che possa essere provata dall’amministrazione finanziaria, ma chi contesta presume che ci sia stata e richiede la prova contraria a carico dei soci, che però non è meno difficile da provare.

    L’applicazione di un tale sistema di contestazione per tutta evidenza sfavorisce le imprese con pochi soci rispetto a quelle con ampia base partecipativa.

    Oggi la contestazione di distribuzione di utili extra contabili in capo ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa costituisce una situazione molto frequente.

    Ciò che più caratterizza questa contestazione è il fatto che non ci sia una inesistenza norma che esplicitamente la preveda: il legislatore tributario italiano non ha mai previsto un sistema sanzionatorio di sfavore per le società a ristretta base partecipativa.

    Non sorprenderà il lettore che l’origine di questo sistema discenda dall’azione congiunta di giurisprudenza e prassi, le quali, superando il legislatore, hanno costruito una nuova fattispecie tributaria.

    In termini pratici il fatto che il legislatore non abbia mai previsto questa situazione non tutela in nessun modo il contribuente perché, dopo che tale contestazione viene avanzata, se il contribuente propone ricorso basandosi sul fatto che non esista una norma a fondamento della pretesa, di norma perde il ricorso.

    In origine queste contestazioni riguardavano per lo più le SRL, una tipologia societaria che, dopo la riforma del diritto societario, ha smesso di essere una sorta di mini-SPA, come era in origine, per assumere una sorta di forma ibrida tra società di capitali e società di persone. Possibilmente è stato proprio lo stato intrinsecamente ambiguo della natura della SRL a dare il via questo a questo tipo di contestazioni; la notizia però è che oggi, invece, queste contestazioni sono possibili anche per le SPA, come avvenuto in occasione della sentenza 7815/2025. E quindi, di conseguenza, a tutte le società di capitali, nel momento in cui si riscontra un numero esiguo di soci.

    Uno dei problemi di una fattispecie non definita da una norma, a prescindere dal fatto che sia intrinsecamente sostenuta dal buon senso o meno, è il fatto che non è possibile definirne chiaramente il perimetro di applicazione. Proprio per questo motivo, a tutela del contribuente, nel contesto della riforma fiscale, l’articolo 17 della Legge delega prevedeva l’emanazione di una norma di diritto positivo per definire situazioni e contestazioni; ma purtroppo, ad oggi, la delega non ha avuto attuazione.

    Per approfondimento è possibile leggere l’articolo “Riforma fiscale: la società a ristretta base partecipativa”.

    La sentenza numero 7815/2025 della Corte di Cassazione

    Con la sentenza numero 7815, pubblicata il 24 marzo 2025, la Corte di Cassazione affronta il caso in cui la contestazione di distribuzione di utili extra bilancio, presunta in conseguenza della ristretta base partecipativa, sia stata avanzata ai soci di una SPA.

    Nel caso in esame i presunti utili derivavano da minori costi deducibili contestati alla società, nello specifico per disconoscimento di perdite su crediti e costi per operazioni verso paesi cosiddetti black list, per i quali, semplificando per brevità, la società non è stata in grado di dimostrare la convenienza economica.

    Il disconoscimento di costi porta alla contestazione di un maggior reddito in capo alla società; e, in conseguenza della ristretta base societaria, alla presunzione di distribuzione ai soci con contestazione di omesso versamento delle ritenute.

    Uno dei soci della SPA ha proposto ricorso in Cassazione asserendo l’errata applicazione del sistema di sfavore previsto, da giurisprudenza e prassi, in caso di ristrettezza della base societaria; a sostegno della sua tesi il socio affermava che:

    • la società era una SPA (e non una SRL);
    • non c’erano legami di parentela tra i soci.

    Come anticipato, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, considerando la fattispecie pienamente applicabile anche al caso in esame.

    Infatti secondo la Corte “risulta la piena compatibilità fra la presunzione di distribuzione di utili extra-contabili e la forma di SPA”, mentre l’esistenza di rapporti di parentela non è una condizione necessaria per l’applicazione della presunzione in esame, in quanto il numero esiguo di soci, anche non parenti, implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo nella gestione sociale, tale da poter legittimamente presumere la conoscenza degli affari sociali e, di conseguenza, dell’utile extra-bilancio.

    In conseguenza di ciò, la Corte di Cassazione emana il seguente Principio di diritto: “Per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili fra i soci di una società a ristretta base azionaria, fondata sul disposto di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d) del DPR numero 600/1973 – non è necessario che tra i soci stessi sussista un legame di parentela, né è ostativo che la società stessa rivesta la natura di società per azioni, essendo sufficiente la ristrettezza della base sociale che implica in sé di norma un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio”.

    La sentenza 7815/2025, quindi, amplia il perimetro della fattispecie della ristretta base partecipativa anche alle SPA. Alla luce della frequenza della contestazione e delle difficoltà per il contribuente a difendersi da una presunzione i cui confini non sono chiaramente definiti, sarebbe auspicabile l’emanazione di una norma di diritto positivo capace di instillare un po’ di certezza del diritto; come del resto già previsto dalla legge delega sulla riforma fiscale.

      

  • Contenzioso Tributario

    Processo tributario: i messaggi whatsapp sono prove

    Secondo la Sentenza nn 1254 del 18 gennaio della Cassazione i messaggi di WhatsApp nel processo tributario hanno una valenza probatoria.

    Vediamo il caso di specie e la pronuncia della Suprema corte.

    Processo tributario: i messaggi whats app sono prove

    La Corte di Cassazione con la sentenza n 1254/2025 ha stabilito che i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare possono essere utilizzati come prova documentale nel processo civile, salvo contestazione di autenticità.

    Anche se la giurisprudenza passata aveva dato esito opposto, ora la Cassazione evidenzia che la messaggistica istantanea ha valore di piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose.

    L’assunzione della prova dipende essenzialmente da due elementii: 

    1. l’autenticità della provenienza, ovvero che il messaggio deve provenire da un dispositivo identificabile e la trasmissione e la conservazione non ne abbiano alterato il contenuto; 
    2. l’affidabilità e integrità del contenuto e quindi la prova deve essere supportata da strumenti tecnici che dimostrino che il contenuto non è alterato.

    La controparte non ne deve contestare l’autenticità

    E' comunque fondamentale, un certo rigore nella valutazione dell’attendibilità, poiché si tratta di prove che coinvolgono la riservatezza dei soggetti coinvolti.

    Secondo la Suprema corte, tali tipi di messaggi WhatsApp rientrano nella categoria delle riproduzioni informatiche e delle rappresentazioni meccaniche disciplinate dall'art 2712 c.c. 

    Di rilieno appare anche che la Corte ha precisato che i messaggi possono essere acquisiti nel processo anche mediante la mera riproduzione fotografica, quali ad esempio gli screenshot estratti da una chat.

     Infine, la Cassazione ha chiarito che,benchè i messaggi WhatsApp non possano essere equiparati a una scrittura privata firmata ai sensi dell'art 2702 c.c., costituiscono comunque una prova documentale pienamente utilizzabile, salvo che la parte contro cui vengono prodotti non ne contesti espressamente l'autenticità.

  • Contenzioso Tributario

    Autotutela sostitutiva: il problema delle spese processuali

    La sentenza numero 30051 della Corte di Cassazione, pubblicata il 21 novembre 2024, ha legittimato la cosiddetta autotutela sostitutiva, peggiorativa per il contribuente; la quale consiste nella facoltà, concessa l’amministrazione finanziaria, di annullare un atto di accertamento, anche in sede processuale, e di poterne emettere uno nuovo, basato su una diversa valutazione dei fatti contestati nel primo atto, anche con una pretesa maggiore.

    Per un approfondimento dell’argomento è possibile leggere l’articolo “Legittima l’autotutela sostitutiva peggiorativa per il contribuente”.

    Che una facoltà di contestazione così strutturata costituisca un potere coercitivo dell’amministrazione finanziaria, nei confronti del contribuente, appare evidente; e la situazione si aggrava se si prendono in considerazione anche le spese processuali.

    Il problema delle spese processuali

    Trasportando sul piano processuale la facoltà di autotutela sostitutiva, concessa all’amministrazione finanziaria, ciò che può succedere è che, nel mezzo di una causa, l’ufficio annulli l’atto, rivaluti la pretesa originaria ed emetta un nuovo atto con una pretesa anche maggiore.

    Ciò è possibile perché l’esercizio di tale facoltà è concessa all’amministrazione finanziaria anche in sede processuale, e questo può comportare delle conseguenze per il contribuente.

    Infatti, per effetti dell’annullamento dell’atto, viene meno la materia del contendere, e, in conseguenza di ciò, il processo si estingue, come stabilito dall’articolo 46 del Decreto Legislativo 546/1992; in questa situazione, in cui il processo si estingue senza vincitori né vinti, in base all’articolo 15 del medesimo Decreto Legislativo 546/1992, si applica la compensazione delle spese.

    Poi, con l’emissione del nuovo atto di contestazione, il contribuente si trova nella situazione di dover sostenere nuovamente le spese processuali, dopo aver dovuto sostenere quelle per il primo processo, finito senza risultato per motivi non imputabili a questi.

    A tutti gli effetti, in sede processuale, la facoltà di autotutela peggiorativa potrebbe configurarsi come un jolly concesso all’amministrazione finanziaria per contestare ex novo una determinata pretesa, senza neanche dover sostenere le spese processuali.

    Per il contribuente, che si potrebbe ritrovare a dover sostenere i costi di più processi, tale situazione rappresenterebbe in un notevole aggravio. Già oggi molti contribuenti preferiscono non contestare pretese erariali che non condividono, per non dover sostenere l’onerosità del procedimento; se consideriamo che, in conseguenza dell’autotutela sostitutiva, tali costi potrebbero ulteriormente lievitare, va da sé che ciò costituisce una compressione del diritto di difesa del contribuente per eccessiva onerosità della procedura.

  • Contenzioso Tributario

    Autotutela obbligatoria e facoltativa: funzionamento, tempi e modi

    L’autotutela nel diritto amministrativo è il potere, concesso alla pubblica amministrazione, di annullare o revocare i provvedimenti amministrativi già adottati. 

    Nel contesto del diritto tributario e dei procedimenti fiscali, questa si configura nella facoltà, attribuita all’ufficio, di annullare o revocare una sua pretesa nei confronti del contribuente, ogni qual volta risulti evidente che questa non sia dovuta o sia frutto di un errore.

    Il Decreto Legislativo 219/2023 è intervenuto nell’ambito dell’autotutela tributaria, prevedendo una diversificazione tra:

    • autotutela obbligatoria, ex articolo 10-quater della Legge 212/2000;
    • autotutela facoltativa, ex articolo 10-quinquies della Legge 212/2000.

    Sul tema, il 7 novembre 2024, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate pubblicando la Circolare numero 21, appunto dedicata a questo argomento.

    Fondamentalmente, in base al nuovo impianto normativo, l’autotutela obbligatoria può essere esercitata in caso di manifesta illegittimità dell’atto, in una delle situazioni espressamente previste dal comma 1 dell’articolo 10-quater della Legge 212/2000. In tutti gli altri casi il contribuente potrà presentare istanza di autotutela facoltativa, che si manifesta, quindi, come fattispecie residuale.

    Ciò che differenzia in profondità le due tipologie di autotutela si manifesta sul versante processuale; infatti:

    • mentre il ricorso contro il diniego espresso è ammesso sia in caso di autotutela obbligatoria che di autotutela facoltativa;
    • il ricorso contro il diniego tacito è ammesso solo in caso di autotutela obbligatoria.

    Il silenzio dell’ufficio si qualifica come silenzio-rifiuto trascorsi 90 dal giorno di presentazione dell’istanza da parte del contribuente (contando dal giorno in cui l’istanza perviene all’ufficio competente) e il ricorso può essere presentato entro i termini di prescrizione.

    In conseguenza di ciò, in tutti i casi di mancata risposta dell’ufficio a una istanza di autotutela facoltativa, il contribuente non potrà presentare ricorso.

    Fondamentalmente il legislatore ha effettuato una operazione di classificazione delle istanze di autotutela che vengono presentate agli uffici fiscali, dividendo quelle che presentano una manifesta situazione di errore, che si tutelano anche grazie alla libertà di accesso al successivo ricorso, dalle istanze di autotutela presentate in base a situazioni incerte o opinabili, le quali, grazie al divieto di impugnazione del silenzio-rifiuto, avranno una più limitata copertura processuale.

    È inoltre previsto il caso dell’accoglimento parziale dell’istanza presentata dal contribuente.

    Le casistiche dell’autotutela obbligatoria

    L’articolo 10-quater della Legge 212/2000 prescrive una elencazione tassativa di situazioni in cui potrà essere esercitata l’autotutela obbligatoria:

    • errore di persona;
    • errore di calcolo;
    • errore nell’individuazione del tributo;
    • evidente errore materiale del contribuente;
    • errore sul presupposto d'imposta (come il mancato riconoscimento di deduzioni o detrazioni);
    • pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti ma non considerati;
    • mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

    Fuori da queste casistiche tassative, l’istanza di autotutela verrà considerata come autotutela facoltativa.

    Il quadro operativo della nuova autotutela

    L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 21/E/2024, ha fornito utili precisazioni in merito alle modalità operative di proposizione dell’istanza di autotutela da parte del contribuente.

    Il primo punto da evidenziare è il destinatario dell’istanza: infatti, sia per l’autotutela obbligatoria che facoltativa, la competenza è della struttura territoriale che ha emesso l’atto, mentre le direzioni regionali non sono coinvolte, a meno di atti emesse da queste ultime.

    Però, se il contribuente erroneamente trasmette l’istanza ad un ufficio che non è competente, questo ha il dovere di trasmettere tempestivamente il documento alla sede competente.

    L’istanza potrà essere trasmessa dal contribuente all’Agenzia delle Entrate tramite la propria area riservata del sito dell’ente, tramite PEC oppure con consegna a mano presso l’ufficio territoriale competente.

    Il contenuto dell’istanza deve essere esaustivo, per cui questa deve presentare tutti gli elementi, di fatto e di diritto, utili a dimostrare il fondamento della richiesta di autotutela. Dovranno anche essere forniti tutti i riferimenti necessari all’ufficio per effettuare una corretta valutazione del caso.

    È possibile proporre un elenco di ciò che dovrà contenere l’istanza:

    • l’indicazione dell’ufficio competente;
    • i dati identificativi del contribuente e del suo eventuale rappresentate legale (ad esempio in caso di società di capitali);
    • l’indirizzo PEC o l’indirizzo fisico a cui dovranno essere trasmesse eventuali comunicazioni dell’ufficio o l’eventuale provvedimento di accoglimento o rigetto (tale recapito potrà essere quello del contribuente oppure quello del suo difensore incaricato; nel secondo caso dovrà essere allegata la procura);
    • i dati identificativi dell’atto di cui si richiede l’annullamento in autotutela;
    • come già detto, gli elementi di fatto e di diritto, che stanno a fondamento della richiesta.

    L’esercizio dell’autotutela obbligatoria

    Quelle fin qui evidenziate rappresentano le caratteristiche comuni all’esercizio di entrambe le due nuove forme di autotutela tributaria.

    Ulteriori precisazioni dovranno essere integrate in caso di autotutela obbligatoria: dovrà essere chiaramente esplicitato a quale delle casistiche tassative, indicate sull’articolo 10-quater delle Legge 212/2000, il caso presentato dal contribuente rientri e per quale motivazione.

    Dovranno anche essere indicate le ragioni per cui, secondo il contribuente, si è in presenza di un caso di manifesta illegittimità dell’atto. A riguardo bisognerà precisare che l’Agenzia delle Entrate, sulla Circolare numero 21 del 7 novembre 2024, precisa che, in presenza di incertezze interpretative derivanti da “contrasti giurisprudenziali”, non può configurarsi una situazione di manifesta illegittimità dell’atto dell’imposizione, per cui, in questo caso, l’autotutela obbligatoria non potrà essere adoperata e, quindi, discenderà un inevitabile diniego.

    Per l’esercizio dell’autotutela obbligatoria il contribuente ha tempo, per proporre istanza, fino a un anno dalla definitività dell’atto per mancata impugnazione. 

    Trascorso tale limite temporale potrà essere presentata solo istanza di autotutela facoltativa; oppure l’istanza di autotutela obbligatoria presentata oltre tale termine verrà considerata come istanza di autotutela facoltativa, con ciò che ne deriva in termini di possibilità di impugnazione.

    Cosa comporta

    L’obiettivo del nuovo assetto normativo dell’autotutela, attraverso una classificazione qualitativa delle istanze, sembra essere quello di conferire priorità e tutela alle istanze che mettono in evidenza una pretesa chiaramente non dovuta, rispetto a tutte quelle situazioni che si potrebbero definire incerte.

    Ciò deriva dalla costruzione dell’autotutela cosiddetta obbligatoria.

    Quello che ci si domanda, però, è se, insito nello stesso impianto normativo, non ci sia anche la volontà di smaltire una parte del contenzioso potenziale attraverso il previsto divieto di impugnazione dell’istanza di autotutela facoltativa in caso di diniego tacito.

    In questo senso la nuova autotutela sembra seguire la stessa logica normativa dell’ormai famoso divieto di impugnazione dell’estratto di ruolo, messo in norma dal precedente governo, con il quale la libertà di contestazione viene limitata a specifiche e ben definite situazioni.

    Se la nuova autotutela servirà più a dare priorità alle situazioni di evidente errore o a limitare il contenzioso per quelle incerte, dipenderà dall’uso che l’amministrazione finanziaria farà del cosiddetto silenzio-rifiuto in caso di autotutela cosiddetta facoltativa.

  • Contenzioso Tributario

    Testo Unico Giustizia Tributaria: cosa contiene

    Il Governo ha approvato in data 30 ottobre tre Testi Unici in via definitiva:

    • Testo Unico Giustizia Tributaria,
    • Testo Unico Tributi Erariali Minori,
    • Testo Unico Sanzioni.

    In attesa del testo approvato ieri che potrebbe aver subito cambiamenti rispetto alla prima approvazione, ripiloghiamo i principali contenuti e le finalità del provvedimento, evidenziando che anche questo testo unico, dovrebbe entrare in vigore dal 2026.

    Leggi anche:

    Testo Unico Giustizia Tributaria: come è composto

    In particolare viene specificato che il Decreto legislativo relativo al testo unico della giustizia tributaria in esame preliminare ha carattere compilativo ed è stato elaborato coerentemente all’articolo 21, comma 1, della legge 9 agosto 2023, n. 111. 

    Il testo in bozza di preconsiglio dei ministri si compone di 131 articoli divisi in due Parti riguardanti:

    1. l’ordinamento della giurisdizione tributaria 
    2. le disposizioni sul processo tributario. 

    La Parte I, Titolo I, ripropone il Titolo I del decreto legislativo n. 545 del 1992; con riguardo alla funzione giurisdizionale tributaria, è stato definito che la stessa è esercitata dai magistrati tributari assunti con concorso pubblico e dai giudici tributari iscritti nel ruolo unico nazionale tenuto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. 

    La Parte II è suddivisa in n. 3 Titoli. I Titoli I e II ripropongono i pari Titoli del decreto legislativo n. 546 del 1992. Il Titolo III contiene le disposizioni finali, ovvero quelle abrogate in quanto riprese nel corpus della proposta di testo unico. 

    L'art 131 che chiude il testo ancora in bozza prevede che le disposizioni si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2026. 

    Testo Unico Giustizia Tributaria: la giurisdizione tributaria

    Ai sensi dell'art 1 del Testo Unico in bozza viene previsto che la giurisdizione tributaria è esercitata dai magistrati tributari di cui al comma 4 e dai giudici tributari presenti nel ruolo unico nazionale di cui al comma 2.

    Nel ruolo unico nazionale dei componenti delle Corti di giustizia tributaria, tenuto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, sono inseriti, ancorché temporaneamente fuori ruolo, i giudici tributari in servizio alla data di entrata in vigore del presente testo unico. 

    I giudici tributari, salvo quanto previsto nel terzo periodo, sono inseriti nel ruolo unico secondo la rispettiva anzianità di servizio nella qualifica. 

    I componenti delle Corti di giustizia tributaria nominati a seguito di appositi bandi pubblicati a partire da quello del 3 agosto 2011, Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 65 del 16 agosto 2011, sono inseriti nel ruolo unico secondo l'ordine dagli stessi conseguito in funzione del punteggio complessivo per i titoli valutati nelle relative procedure selettive. 

    In caso di pari anzianità di servizio nella qualifica ovvero di pari punteggio, i componenti delle Corti di giustizia tributaria sono inseriti nel ruolo unico secondo l'anzianità anagrafica. 

    A decorrere dall'anno 2013, il ruolo unico è reso pubblico annualmente, entro il mese di gennaio, attraverso il sito istituzionale del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.

    I magistrati tributari sono reclutati secondo le modalità previste dagli articoli da 5 a 8.

    L’organico dei magistrati tributari è individuato in 448 unità presso le corti di giustizia tributaria di primo grado e 128 unità presso le corti di giustizia tributaria di secondo grado. 

    I criteri di valutazione e i punteggi di cui alla tabella C allegata al presente decreto sono modificati, su conforme parere del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

  • Contenzioso Tributario

    Impugnazione dell’estratto di ruolo ancora più difficile

    L’articolo 12 comma 4-bis del DPR 602/1973, come modificato dall’articolo 3-bis del DL 146/2021, prevede dei ben definiti limiti alla possibilità di impugnare l’estratto di ruolo da parte del contribuente.

    L’estratto di ruolo non costituisce documento formale, ma è uno strumento attraverso il quale il contribuente viene a conoscenza dell’iscrizione di carichi a suo nome: quelli considerati non legittimi potrebbero essere impugnati davanti al giudice, portando appunto l’estratto di ruolo a dimostrazione dell’iscrizione del ruolo contestato.

    Tale situazione fino a qualche anno fa era piuttosto comune, ma con la nuova versione del comma 4-bis dell’articolo 12 del DPR 602/1973 l’estratto di ruolo diviene impugnabile solo nei casi in cui il contribuente che agisce in giudizio possa dimostrare che dall’iscrizione a ruolo di un debito illegittimo a suo carico possa derivargli pregiudizio:

    • per la partecipazione a una procedura d’appalto;
    • per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici;
    • per la perdita di un beneficio nei confronti della pubblica amministrazione.

    Quindi il legislatore identifica tre specifiche situazioni in cui il contribuente può impugnare un debito iscritto a ruolo portando dinanzi al giudice il solo estratto di ruolo, sempre che da queste situazioni gli possa derivare un pregiudizio.

    Tale norma, limitando i casi di contestazione, costituisce chiaramente una contrazione del diritto di difesa del contribuente, contrazione dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale con le sentenze 190/2023 e 81/2024.

    L’ordinanza 17606/2024 della Corte di Cassazione

    Recentemente è stata pubblicata l’ordinanza numero 17606 del 26 giugno 2024 con la quale la Corte di Cassazione delinea una ulteriore contrazione del diritto di difesa del contribuente, rispetto all’interpretazione fin qui assunta della norma.

    L’interpretazione finora effettuata, infatti, considerava un ruolo contestabile, attraverso l’estratto di ruolo, in tutti i casi in cui al contribuente potesse derivare un pregiudizio per una procedura d’appalto, per la riscossione di somme dovute da soggetti pubblici, per la perdita di un beneficio nel confronti della pubblica amministrazione, come già detto.

    Tuttavia il pregiudizio si riteneva dovesse essere solo potenziale: in questo modo il contribuente che avesse avuto un interesse da difendere, in una delle situazioni prima indicate, avrebbe potuto contestare l’estratto di ruolo per tempo, evitando che tale pregiudizio divenisse concreto.

    Con l’ordinanza 17606/2024, invece, la Corte di Cassazione dichiara il seguente principio di diritto: “ai fini dell’ammissibilità della diretta impugnazione dell’estratto ruolo ai sensi dell’articolo 3-bis del DL 146/2021 il debitore che agisce in giudizio deve dimostrare la sussistenza di un interesse ad agire come delineato nella menzionata disposizione, con riferimento alla ricorrenza di un pregiudizio determinato dall’iscrizione a ruolo per la partecipazione a una procedura di appalto in forza delle previsioni del codice dei contratti pubblici, o per la riscossione di somme dovute da soggetti pubblici o per la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione, la cui esistenza dev’essere valutata al momento della pronuncia”.

    In questo modo, ai fini dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo, il pregiudizio per il contribuente non può essere più potenziale, ma attuale ed effettivo, da valutare al momento del giudizio, e quindi già avvenuto.

    Con questa interpretazione il contribuente quindi non potrà più agire anticipatamente per evitare di avere un pregiudizio dall’iscrizione a ruolo di un debito illegittimo, contestando l’estratto di ruolo, ma dovrà attendere di aver subìto il pregiudizio, senza avere strumenti per evitarlo.

    Questa interpretazione costituisce a tutti gli effetti una ulteriore contrazione di un già molto limitato diritto alla difesa del contribuente, che ormai difficilmente potrà difendersi dall’iscrizione d’ufficio di un debito a ruolo, anche quando non dovuto.

  • Contenzioso Tributario

    Adesione ai verbali di constatazione, pronti i codici tributo per il versamento con F24

    L’Agenzia delle entrate pubblica la risoluzione n.44 del 2 agosto 2024 con l’Istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello F24, delle somme dovute a seguito di adesione ai verbali di constatazione, ai sensi dell’articolo 5-quater del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

    L’articolo 1, comma 1, lett. d), del d.lgs. 12 febbraio 2024, n. 13, ha disposto l’inserimento dell’articolo 5-quater nel d.lgs. 19.06.1997, n. 218.

    Tale articolo prevede che il contribuente possa prestare adesione ai verbali di constatazione di cui all’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, consegnati dal 30 aprile 2024. 

    La definizione agevolata consente al contribuente di beneficiare della riduzione delle sanzioni 

    • ad un sesto
    • ovvero la metà della misura prevista nell’ipotesi di accertamento con adesione, pari ad un terzo del minimo stabilito dalla legge
    • nonché della possibilità di rateizzare il pagamento delle somme dovute.

    Adesione ai verbali di constatazione: codici tributo atto di definizione accertamento parziale

    Tanto premesso, per consentire il versamento, tramite il modello F24, delle somme dovute risultanti dall’atto di definizione dell’accertamento parziale, previsto al comma 6 dell’articolo 5-quater del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, si istituiscono i seguenti codici tributo:

    • 9976” denominato “IRPEF e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9977” denominato “IRES e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9978” denominato “IVA e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9979” denominato “RITENUTE e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9982” denominato “ALTRE IMPOSTE DIRETTE E SOSTITUTIVE e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    •  “9983” denominato “IMPOSTE INDIRETTE E ALTRI TRIBUTI MINORI e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;  
    • 9984” denominato “ALTRI TRIBUTI ERARIALI e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9985” denominato “RECUPERO CREDITI D’IMPOSTA E AGEVOLATIVI e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9986” denominato “SANZIONE RELATIVA AI TRIBUTI ERARIALI – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9987” denominato “ADDIZIONALE REGIONALE ALL’IRPEF e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9988” denominato “IRAP e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9989” denominato “SANZIONE RELATIVA ALL’ADDIZIONALE REGIONALE ALL’IRPEF – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9990” denominato “SANZIONE RELATIVA ALL’IRAP – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997
    • 9991” denominato “ADDIZIONALE COMUNALE ALL’IRPEF e relativi interessi – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • 9992” denominato “SANZIONE RELATIVA ALL’ADDIZIONALE COMUNALE ALL’IRPEF – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”.

    In sede di compilazione del modello F24, i suddetti codici tributo sono esposti nella sezione “Erario” esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, secondo le modalità di compilazione di seguito riportate:  

    • nei campi “codice ufficio”, “codice atto” e “anno di riferimento”, nel formato “AAAA”, i dati riportati negli atti di definizione;
    • nel campo “rateazione/Regione/Prov./mese rif.”:
      • per i codici tributo 9987, 9988, 9989 e 9990, il codice della Regione reperibile nella “Tabella T0 – codici delle Regioni e delle Province autonome”, pubblicata sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it;
      • per i codici tributo 9991 e 9992, il codice catastale del Comune destinatario reperibile nella tabella ““Tabella T4 – Codici Catastali dei Comuni” pubblicata sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it.

    Adesione ai verbali di constatazione: codici tributo contributi previdenziali

    Per il pagamento, tramite il modello F24, dei contributi previdenziali risultanti dall’atto di definizione dell’accertamento parziale, previsto al comma 6 dell’articolo 5- quater del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, si istituiscono le seguenti causali:

    • APM1” denominato “Contributi artigiani – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    •  “CPM1” denominato “Contributi commercianti – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”;
    • LPM1” denominato “Contributi gestione separata liberi professionisti – Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione – art. 5-quater del d.lgs. n. 218/1997”.

    In sede di compilazione del modello F24, le suddette causali sono esposte nella sezione “INPS” esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, secondo le modalità di compilazione di seguito riportate:

    • nel campo “codice sede”, il codice della sede INPS presso la quale è aperta la posizione contributiva;
    • nel campo ““matricola INPS/codice INPS/filiale azienda”, il codice fiscale della persona fisica (formato 7);
    • nel campo “periodo di riferimento”, nella colonna “da mm/aaaa” e “a mm/aaaa”, rispettivamente l’inizio e la fine del periodo a cui si riferisce il versamento, nel formato “MM/AAAA”.

    Allegati: