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    STP: chiarimenti del CNDCEC sul potere decisionale dei soci

    Con il pronto ordini del 9 gennaio 2023, il CNDCEC risponde a dubbi sulla denominazione sociale e quorum decisionale di una STP.

    In particolare, venivano posti i seguenti quesiti: 

    1) posto che l'art. 10, comma 5, della Legge n. 183/20 11 prevede che "la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società tra professionisti'', tale previsione può considerarsi assolta con l'indicazione nella denominazione sociale dell'acronimo "S.T.P.?;

    2) posto che l'art. 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/201 prevede che "In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci''.

    Si chiede se tale norma implichi, oltre che la necessità di prevedere statutariamente che ai soci professionisti siano attribuiti almeno i due terzi dei diritti di voto complessivamente esercitabili, anche:

    • la necessità di prevedere statutariamente per le decisioni dei soci un quorum decisionale di due terzi, cioè che i soci possano adottare decisioni solo con il voto favorevole di almeno i due terzi dei voti complessivamente esercitabili (onde consentire che i voti dei soci non professionisti eventualmente esistenti possano essere determinanti nella formazione delle decisioni dei soci solo qualora siano in accordo con una parte significativa dei voti dei soci professionisti); 
    • l'impossibilità di prevedere statutariamente per le decisioni dei soci un quorum decisionale superiore ai due terzi (onde evitare che i soci non professionisti eventualmente esistenti possano bloccare le decisioni volute dai soci professionisti); si pensi ad esempio ad una STP in forma di società a responsabilità limitata che abbia tre soci, due professionisti ed uno non professionista, con uguale partecipazione al capitale ed agli utili ed uguale diritto di voto (un terzo ciascuno): ove lo statuto prevedesse per le decisioni dei soci un quorum decisionale del 70%, il socio non professionista avrebbe di fatto un diritto di veto. 

    Il CNDCEC risponde come segue: 

    • in merito al primo quesito si osserva che come precisa l’art. 10, comma 5, della legge n. 183/2001, la denominazione sociale della STP, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di società tra professionisti. L’art. 9, comma 3, del D.M. n. 34/2013, colmando una lacuna della legge n. 183/2011, in occasione del procedimento di iscrizione della STP nella sezione speciale dell’Albo, accenna alla ragione sociale della società costituita e svolgente l’attività professionale con il modello delle società di persone.
      Ne consegue che la STP, a seconda dei casi, indicherà nell’atto costitutivo la propria ragione sociale o la propria denominazione sociale formata secondo i criteri indicati nel codice civile per il tipo societario concretamente adottato, con la necessaria e ulteriore precisazione che si tratta di società tra professionisti. In tale prospettiva, si ritiene consentito utilizzare l’acronimo STP, con l’avvertenza che, né l’indicazione per esteso di società tra professionisti, né l’acronimo STP sono sostituitivi della precisazione del tipo societario adottato.
    • in merito al secondo quesito, si precisa che la regola enunciata nell’art. 10, comma 4, lett. b), legge  n. 183/2011 impone che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi sia tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o nelle decisioni dei soci, vale a dire che, nel rispetto delle regole proprie del tipo societario scelto in sede di costituzione della STP, i soci professionisti abbiano a disposizione un numero di voti almeno pari ai due terzi di quelli complessivi, in modo da favorire che la gestione della STP e l’assunzione delle decisioni più delicate sotto il profilo inerente all’attività professionale siano sottratte all’influenza del socio investitore o del socio per prestazioni tecniche. Pertanto, ancorché il socio non professionista non potrà mai disporre di più di un terzo dei voti, non chiarendo la legge che quello riservato ai professionisti è un quorum determinante per l’adozione delle decisioni o le deliberazioni dei soci, in alcune evenienze, il voto del socio investitore (o per prestazioni tecniche) potrebbe essere determinante per il raggiungimento del quorum previsto per l’assunzione della decisione.

    Il CNDCEC in merito al quorum richiama l’Informativa n. 60 dell’8 luglio 2019, tramite la quale, il Consiglio Nazioanale, aderendo all’impostazione che tende a privilegiare i profili concorrenziali, ha chiarito che, pur ammettendo che sia consentita la costituzione di una STP in cui le maggioranze dei 2/3 in termini di numero di soci professionisti e di partecipazione al capitale possano non necessariamente ricorrere cumulativamente, sarà comunque indispensabile, tramite patti parasociali e/o clausole statutarie in base agli strumenti offerti dal codice civile, limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, in modo tale da evitare che questi  ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali. 

    Tali ultime prerogative, infatti, devono sempre essere mantenute in capo ai soci professionisti ai quali va comunque garantita la maggioranza dei 2/3 nelle deliberazioni e/o decisioni societarie, in modo tale da riservare a costoro  il controllo della società.
    Alla luce di tanto, nonostante la formulazione letterale del richiamato art.10 legge n. 183/2011 non consenta  di addivenire a interpretazioni univoche, considerata la ratio della disposizione di legge che è stata, come accennato, di evitare che i soci non professionisti possano influire sulle scelte strategiche della STP1, si ritiene  preferibile suggerire che, tramite previsioni di statuto, non venga “snaturato” il principio per cui il potere  decisionale resti nelle mani dei soci professionisti.

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    Commercialisti: chiarimenti su cancellazione dall’Ordine di soggetto sospeso

    Con il Pronto Ordini n 200 il CNDCEC chiarisce dubbi in merito alla cancellazione dall'ordine per soggetto sospeso.

    In particolare, il caso in questione è quello di un iscritto sospeso per inadempimento della comunicazione per la verifica della sussistenza dei requisiti di legge in capo agli iscrittO.

    Si chiedeva se visto che la sanzione deriva da un mancato adempimento di natura puramente burocratico e che la sospensione risulterebbe potenzialmente senza limiti di durata, l’Ordine possa comunque procedere con la cancellazione richiesta.

    In risposta il Consiglio specifica che la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale, ai sensi di quanto prescritto dall’art. 52, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 139/05, può essere disposta per un periodo di tempo non superiore ai due anni. 

    Essa pertanto, non può essere inflitta sine die, ma deve necessariamente recare una durata temporale, che non sia superiore a quella massima prevista dall’Ordinamento professionale. 

    In particolare, per quanto concerne l’illecito rappresentato nel quesito, ovvero l’inadempimento da parte dell’iscritto in merito alla comunicazione all’Ordine avente ad oggetto la sussistenza dei requisiti di legge in capo agli iscritti, si precisa al riguardo che l’art. 22 del Codice delle Sanzioni in vigore dal 1° gennaio 2017, rubricato “Violazioni dei doveri inerenti i rapporti con gli enti istituzionali di categoria”, stabilisce al comma 3 che “La violazione dei doveri di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 29 1 del Codice deontologico comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale fino a sei mesi”. 

    Con riferimento alla possibilità per l’Ordine di accogliere la richiesta di cancellazione da parte di un iscritto nei confronti del quale sia in corso un provvedimento di sospensione dall’esercizio professionale, si sottolinea che non può essere accolta visto che il divieto di cancellazione mentre è in corso un provvedimento di sospensione a carico di un iscritto è ricavabile dall’articolo 38, comma 3, del D. Lgs. 139/2005, che non ammette il trasferimento dell’iscritto da un albo all’altro qualora questi sia sottoposto a procedimento penale o disciplinare o sia comunque sospeso dall’esercizio della professione.

    Poiché il trasferimento è un procedimento complesso cui afferiscono un procedimento di iscrizione nell’albo di destinazione ed un procedimento di cancellazione dall’albo di provenienza, è di tutta evidenza che affermare il divieto di trasferimento in pendenza di procedimento disciplinare o se l’iscritto sia sospeso, equivale ad affermare necessariamente il divieto di cancellazione dall’albo. 

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    Società tra professionisti: chiarimenti del CNDCEC per un Avvocato

    Con il pronto ordini del 21 dicembre n 161 il CNDCEC risponde ad un dubbio sulla partecipazione di un socio professionista avvocato in STP multidisciplinare.

    In particolare si chiedeva se fosse possibile la partecipazione di un socio professionista avvocato in STP multidisciplinare, con attività prevalente individuata in quella propria della professione di Dottore commercialista ed Esperto contabile, la cui compagine societaria risulterebbe così composta: 

    • un socio professionista ragioniere commercialista; 
    • un socio professionista avvocato; 
    • due soci non professionisti. 

    Per quanto attiene alla partecipazione del socio avvocato in STP ex lege n. 183/2011, il Consiglio Nazionale Forense (di seguito CNF), con parere reso il 25 maggio 2016, n. 64, richiamando la specialità della professione forense e della società di avvocati, ha ritenuto non applicabile a queste ultime la disciplina generale recata dalla legge n. 183/2011, bensì quella recata dall’art. 51 della legge n. 247/2012, al tempo vigente, con i corollari che:

    i) l’esercizio della professione di avvocato in forma societaria sia riservato in via esclusiva agli avvocati o alle STA composte e partecipate esclusivamente da avvocati, 

    ii) l’esercizio della professione forense non è consentito a società multidisciplinari. 

    Attualmente la disciplina della STA società tra avvocati è recata dall’art. 4-bis della legge n. 247/2012 , espressamente dedicato all'esercizio della professione forense in forma societaria, che, colmando una lacuna della previgente normativa sulle società tra avvocati, consente che alla STA partecipino soci non avvocati. 

    Il richiamato art. 4 – bis è stato oggetto di interpretazione da parte della Corte di Cassazione la quale ha chiarito come sia attualmente consentito, ancorché in stretta aderenza alle previsioni contenute nel summenzionato alla norma, costituire STA multidisciplinari, non essendo riservata la partecipazione a tale società esclusivamente a soci iscritti all’albo degli avvocati. 

    Alla luce di ciò, si ritiene, senza alcun dubbio, che l’avvocato, nel rispetto di quanto previsto dall’ordinamento della professione forense, possa partecipare alla STP costituita ex lege n. 183/2011 senza assumere la qualifica di socio professionista (ad esempio, come socio per finalità di investimento). 

    Tuttavia, la peculiarità del caso rappresentato per cui la società tra professionisti verrebbe attratta nella disciplina della STA per il sol fatto di contare tra i soci professionisti un socio avvocato – che, peraltro, potrebbe partecipare al capitale sociale in misura minima – mostra la scarsa duttilità del modello STA al di fuori del paradigma tracciato nell’art. 4-bis della legge n. 247/2012 che ha come obiettivo di evitare che l’esercizio della professione forense possa essere esercitato da società gli statuti delle quali non presentino i requisiti della legge. 

    L’oggetto sociale della STA, stando al tenore letterale della disposizione, dovrebbe coincidere con l’esercizio della professione forense. 

    Essendo ammesse STA multidisciplinari, nelle STA composte anche da professionisti iscritti in Albi differenti da quello forense, l’oggetto sociale dovrebbe includere le rispettive attività professionali, dal momento che ai sensi dell’art. 4-bis, comma 3, l'incarico conferito alla STA può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente. 

    Effettuando un parallelismo con la disciplina della STP multidisciplinare ex lege n. 183/2011, inoltre, potrebbe concludersi che, nelle STA multidisciplinari, l’esercizio della professione forense debba rappresentare l’attività prevalente dedotta nell’oggetto sociale.

    La ricostruzione sopra esposta appare confermata da quanto espresso dal CNF il quale, in risposta ad un quesito sul tema formulato dal Consiglio nazionale, con parere prot. 5853 del 15.12.2022, ha confermato il sopra citato parere 25 maggio 2016, n. 64.

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    Ravvedimento operoso: i Commercialisti chiedono una riduzione degli interessi

    Con informativa n 122 del 19 dicembre il CNDCEC interviene per richiedere al Ministro Giorgetti e al Viceministro Leo, un intervento correttivo sugli interessi moratori da poco normati con decreto MEF del 13 dicembre passando dal 1,25% del 2022 al 5% per il 2023.

    In proposito leggi Tasso Interesse legale passa al 5% dal 1° gennaio 2023

    In particolare, nella nota viene specificato che il ravvedimento operoso, come è noto, è un importante e diffuso strumento di compliance che permette ai contribuenti di regolarizzare spontaneamente le violazioni tributarie commesse (tipicamente il ritardo nel pagamento) beneficiando di una riduzione delle sanzioni tanto maggiore quanto più celere e tempestiva è la regolarizzazione stessa. 

    Ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, “Il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno”.

    Dal 1° gennaio 2022, il saggio degli interessi legali è pari all’1,25 per cento su base annua, e con il recente e analogo decreto ministeriale del 13 dicembre 2022, la misura del saggio degli interessi legali di cui all’articolo 1284 del codice civile è stata fissata al 5 per cento in ragione d’anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2023

    Secondo i Commercialisti il sensibile incremento del saggio degli interessi legali nel prossimo anno, oltre a rendere più gravoso l’utilizzo dello strumento deflattivo in oggetto con ripercussioni negative sulla compliance dei contribuenti, comporterà anche effetti distorsivi di particolare rilevanza. 

    Ad esempio, nel caso di versamento tardivo delle imposte entro un anno dalla scadenza originaria, è prevista la possibilità di regolarizzare la violazione, pagando, oltre alle imposte, una sanzione ridotta ad un ottavo del minimo, pari pertanto al 3,75 per cento (la sanzione ordinaria per omesso versamento è infatti pari al 30 per cento). 

    Alla sanzione così ridotta, vanno poi aggiunti, ai sensi del comma 2 del citato articolo 13, gli “interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno” che, nel 2023, saranno dovuti in misura pari al 5 per cento e, quindi, per un importo superiore, nel caso esemplificato, alle sanzioni contestualmente dovute per la regolarizzazione. 

    Nella lettera ai Ministri i Commercialisti sottolineano come nell'esempio proposto, si verificherebbe un paradosso che occorrerebbe evitare, anche per non scoraggiare l’utilizzo dell’istituto da parte dei contribuenti. 

    Inoltre, viene sottolienato come la definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022, in via di approvazione con l’articolo 47 della legge di bilancio per l’anno 2023, prevede la possibilità di estinguere i debiti senza alcun pagamento di sanzioni e interessi: ciò determina l’ulteriore iniquità che coloro che spontaneamente rimuovono le violazioni tributarie con il ravvedimento operoso (evitando quindi l’avvio dell’attività di riscossione) subirebbero un onere sensibilmente superiore rispetto a coloro che, viceversa, si trovano in situazioni di ritardo nei pagamenti decisamente più marcate, che hanno comportato l’iscrizione a ruolo del debito tributario. 

    Infine, si evidenzia chein una situazione economica come quella attuale, l’incidenza degli interessi per perfezionare il ravvedimento operoso appare come un’ulteriore gravoso elemento che amplifica gli effetti negativi del contesto economico generale. 

    Per tutti questi motivi, si chiede di valutare l’opportunità di un intervento normativo che riduca sensibilmente il tasso degli interessi moratori da corrispondere in caso di ravvedimento operoso, eliminando il collegamento “al tasso legale” degli interessi, attualmente previsto dal richiamato comma 2 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

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    Piattaforma integrata Commercialisti: attiva dal 2023 e gratuita per gli iscritti all’Albo

    Con un Comunicato del 14 dicembre il CNDCEC informa della Piattaforma Integrata dei Commercialsiti

    In particolare, il Presidente De Nuccio, nel corso dell'Assemblea dei Presidenti tenutasi a Roma in data 13.12 ha annunciato lo scopo della piattaforma per:

    “Rendere i commercialisti protagonisti dei cambiamenti generati dall’innovazione tecnologica e delle novità normative che impattano direttamente sull’attività degli iscritti, rafforzandone allo stesso tempo il senso di appartenenza alla categoria attraverso l’offerta di servizi che abbiano benefici concreti sull’attività quotidiana”.

    L’idea di fondo è che i dati inseriti dai singoli commercialisti rappresentino un patrimonio a cui il mondo finanziario potrà accedere dietro pagamento nell’ottica di integrazione dei dati.

    Piattaforma integrata Commercialisti: che cos'è

    Nello specifico, il progetto riguarda la realizzazione di una piattaforma integrata dei commercialisti, coordinata dal Consiglio nazionale, che dovrà gestire tutti i flussi informativi sia interni sia esterni alla categoria, garantendo agli Ordini territoriali e agli iscritti di far fronte a diversi adempimenti.

    La piattaforma da realizzare nel corso del 2023, verrà offerta gratuitamente solo agli iscritti all’Albo.

    Il Consiglio ha già avviato un bando per la selezione di un project manager, una volta scritto il progetto e dettato il capitolato tecnico si potrà dare avvio al bando per la selezione di chi realizzerà la piattaforma. 

    Per quanto riguarda i flussi comunicativi con l’esterno, l’idea del Consiglio nazionale è anche quella di sfruttare a proprio vantaggio l’intenzione degli istituti di credito di integrare gli aspetti di rilevazione finanziaria dei propri correntisti con quelli economici. 

    Piattaforma integrata Commercialisti: a cosa servirà

    De Nuccio ha esposto le funzioni della piattaforma, tra le altre, essa consentirà di creare una banca dati unica a livello nazionale per assicurare una azione disciplinare uniforme negli Ordini locali della categoria. 

    Attualmente, gli stessi comportamenti sono sanzionati in maniera diversa dai Consigli di disciplina.

    La piattaforma darà una prassi uniforme in modo da eliminare le disparità di trattamento.

    La piattaforma rappresenterà una centrale acquisti sul modello della società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze per essere utilizzata dagli iscritti ai fini di acquisti centralizzati a costi minori grazie al conseguimento di economie di scala.

    Il Consiglio nazionale, negozierebbe il prezzo di beni e servizi sfruttando il potere d’acquisto di un ente che rappresenta 120 mila iscritti per ottenere condizioni di maggior favore.

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    Prevenzione Corruzione: proroga termini di redazione relazione annuale al 15.01.2023

    Con Informativa n 119 del 13 dicembre il CNDCEC rende noto che l’ANAC, Autorità nazionale anticorruzione, con Comunicato pubblicato il 6 dicembre, ha prorogato al 15 gennaio 2023 il termine ultimo per la predisposizione e la pubblicazione della Relazione annuale del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza sono tenuti ad elaborare ai sensi dell’art. 1, co. 14, della legge n. 190/2012.

    L’art. 1 comma 14 della L. 190/2012 stabilisce che, il RPCT, ossia il responsabile della prevenzione corruzione, trasmetta e pubblichi sul sito web dell’ente o della società di appartenenza una relazione con i risultati dell’attività svolta, entro il 15 dicembre di ogni anno.

    Si ricorda che la relazione annuale è un importante strumento da utilizzare per dare evidenza degli esiti del monitoraggio sulla corruzione, evidenziando l’attuazione del PTPCT o della sezione anticorruzione e trasparenza del PIAO.

    E' bene ricordare che, il PTPCT è il documento di natura “programmatoria” con cui ogni amministrazione o ente individua il proprio grado di esposizione al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi (cioè le misure) volti a prevenire il rischio.
    L’individuazione e la conseguente programmazione di misure per la prevenzione della corruzione rappresentano la parte fondamentale del PTPCT.

    Il RPCT, invece, come specificato anche dalla stessa anac, è il soggetto titolare del potere di predisposizione e di proposta del PTPCT all’organo di indirizzo.
    La predisposizione del PTPCT deve avvenire con il coinvolgimento dell’intera struttura organizzativa (organo di indirizzo, titolari degli uffici di diretta collaborazione, titolari di incarichi amministrativi di vertice, responsabili degli uffici e stakeholders), avendo, quest’ultima, una conoscenza approfondita delle attività svolte, dei processi decisionali (siano o meno procedimenti amministrativi) dell’amministrazione e dei relativi profili di rischio coinvolti.

    Ciò premesso, l'informativa del CNDCEC comunica la proroga per l'invio della Relazione annuale e viene specificato che, per la redazione della suddetta relazione, i RPCT possono avvalersi della Scheda pubblicata sul sito di ANAC all’indirizzo:

    Si specifica inoltre che, in alternativa, l'informativa del CNDCEC specifica che i RPCT che utilizzano la Piattaforma di acquisizione dei PTPCT possono generare in automatico la relazione annuale dopo aver completato l’inserimento dei dati relativi ai PTPCT Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

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    Commercialista dipendente pubblico: chiarimenti su professione e PIVA

    Con il pronto ordini n 180 del 2 dicembre il CNDCEC risponde ad un quesito proposto da un Ordine territoriale sulla incompatibilità di un iscritto alla sezione speciale il quale ha ottenuto dall'ente pubblico del quale è dipendente l'autorizzazione a svolgere anche la professione.

    In particolare, si chiede di sapere se un iscritto nell’elenco speciale, in quanto dipendente a tempo pieno e indeterminato presso ente di diritto pubblico, possa richiedere di essere nuovamente iscritto nella sezione ordinaria dell’Albo a seguito di autorizzazione da parte del suddetto Ente allo svolgimento di incarichi professionali già ricoperti prima della data di assunzione come dipendente pubblico ovvero debba rimanere iscritto nell’elenco speciale. 

    In tale ultimo caso si chiede anche di sapere se il soggetto possa svolgere tali incarichi di commissario liquidatore e di revisore di ente locale come libero professionista con regolare partita IVA.

    Viene specificato che, ai sensi dell’art. 4, co. 3, del Decreto Legislativo 28 giugno 2005, n. 139 non è consentita l’iscrizione nell’Albo a tutti i soggetti ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, è vietato l'esercizio della libera professione.

    Nel caso di rapporto di pubblico impiego l’art. 53, co. 1, del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, richiamando quanto disposto dall’art. 60 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957 n. 3, sancisce espressamente, per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo pieno (in regime di tempo pieno, cd. full time), il divieto di cumulo con l’esercizio di attività professionale.

    Tale divieto deriva dal principio di esclusività che caratterizza il rapporto di pubblico impiego, in ossequio ai principi (anch’essi di derivazione costituzionale) di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa. Tale divieto viene meno solo:

    • in caso di dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo parziale (cd. part-time) con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. In questi casi, peraltro, la pubblica amministrazione interessata ha, comunque, l’onere di compiere una valutazione, caso per caso, circa l’esistenza o meno di concrete ipotesi di incompatibilità (ad esempio in ragione dell’esistenza di un conflitto di interessi). Sono in ogni caso vietati, a prescindere dal regime dell’orario di lavoro (full-time o part-time), quegli incarichi che generano comunque interferenza con i compiti istituzionali o compromissione dell’attività di servizio del dipendente (art. 1, co. 58-bis, L n. 662/1996);
    • in presenza di regimi speciali quale ad es. per i dipendenti della scuola pubblica, per i quali si consente, in via generale, al personale docente di esercitare la libera professione, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside.

    Nell’ambito del pubblico impiego, dunque, la prestazione di lavoro subordinato con orario di lavoro superiore al 50 per cento, fatte salve le deroghe appena evidenziate, risulta incompatibile con l’esercizio della professione. 

    Ciò premesso, l’art. 53 consente in ogni caso alle Pubbliche Amministrazioni di autorizzare i dipendenti pubblici in regime di full time allo svolgimento di incarichi retribuiti, sempre che siano occasionali, temporanei, non in conflitto di interessi (anche solo potenziali) con l’amministrazione di appartenenza, non compresi nei doveri d’ufficio e naturalmente compatibili con il servizio in modo da non pregiudicarne il regolare e puntuale svolgimento.

    Si osserva chel’autorizzazione ha ad oggetto lo svolgimento di singoli incarichi e da essa non può derivare in alcun modo un’autorizzazione generica all’esercizio dell’attività professionale in modo continuativo e abituale.

    Pertanto, nell’ipotesi di autorizzazione allo svolgimento di singoli incarichi retribuiti, si conferma il mantenimento dell’iscrizione nell’elenco speciale. 

    Il CNDCEC specifica che, con riferimento alla partita IVA, le disposizioni in tema di incompatibilità nel pubblico impiego non dispongono espressamente un divieto di apertura della partita IVA per il dipendente che, titolare di un rapporto di lavoro in regime di tempo pieno presso un ente pubblico o una pubblica amministrazione, versi in uno stato di incompatibilità con l’esercizio della eventuale professione che intenda avviare. 

    Tuttavia, dall’impossibilità di esercitare tale attività professionale, in conseguenza della situazione di incompatibilità, deriva l’impossibilità di aprire e detenere la partita IVA riferita a tale specifica attività. 

    Concludendo si segnala che, laddove un iscritto nell’Albo venga assunto come dipendente pubblico in regime di tempo pieno, può conservare la partita IVA fintanto che non abbia svolto tutti gli adempimenti fiscali relativi all'attività di lavoro autonomo esercitata precedentemente all’instaurazione del rapporto di pubblico impiego