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    Procedimento dell’Ordine per recupero somme dovute da Iscritti morosi

    Con il pronto ordini del 18 aprile il CNDCEC risponde a quesito sul recupero delle quote dagli iscritti morosi.

    In particolare, si ricorda che ai sensi dell’art.12, comma 1, lett. p) del D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, il Consiglio dell’Ordine “stabilisce un contributo annuale ed un contributo per l’iscrizione nell’albo e/o nell’elenco, …”. 

    L’importo del contributo è liberamente determinato dal Consiglio dell’Ordine, sia pure entro i limiti strettamente necessari a coprire le proprie spese (ex art. 7, comma 2, decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382)

    Le norme attribuiscono al Consiglio dell’Ordine un vero e proprio potere impositivo nei confronti di coloro che sono iscritti nell’albo professionale. 

    Tale contributo, come stabilito dall’ordinanza 1782/2011 della Corte di Cassazione, ha natura di tassa, il cui importo non è commisurato al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata, bensì alle spese necessarie al funzionamento dell’ente, al di fuori di un rapporto sinallagmatico con l’iscritto.

    Si ritiene che il Consiglio dell’Ordine possa, data anche la natura tributaria del contributo, nell’ambito della propria autonomia in materia di contribuzione prevedere sanzioni amministrative pecuniarie per il ritardato versamento

    Con riguardo alle spese amministrative del procedimento disciplinare, si ricorda che il comma 5 dell’art 6 del Regolamento per l’esercizio della funzione disciplinare territoriale Procedura semplificata per alcune fattispecie di illecito prevede che:

    •  “nei confronti dell'iscritto, qualora sanzionato, può essere disposto il rimborso forfettario delle spese amministrative del procedimento se e nei limiti di quanto deliberato dal Consiglio dell'Ordine". 

    Pertanto, i diritti amministrativi relativi al procedimento disciplinare possono essere previsti dal Consiglio dell’Ordine solo se preventivamente determinati con apposita delibera e saranno dovuti solo se l’iscritto viene sanzionato

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    Commercialisti: accordo con AMCO società di gestione crediti deteriorati

    Con Informativa n. 44 del 24 marzo il CNDCEC rende nota la firma del Protocollo della durata di un anno, rinnovabile, con AMCO – Asset Management Company S.p.A in data 22 marzo.

    AMCO è una società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze operante nel settore finanziario, in particolare nel settore della gestione e del recupero di crediti deteriorati.

    Con il Protocollo si riconosce ai Commercialisti di poter operare a supporto dei loro clienti, nell’ambito di incarichi giudiziari o stragiudiziali, per favorire e ottimizzare accordi di ristrutturazione debiti attraverso AMCO, prevedendo l’attivazione di una interfaccia operativa a uso esclusivo degli iscritti all’Albo.

    Come da protocollo AMCO si impegna a creare un punto di accesso dedicato ai soggetti iscritti all’Ordine che, su mandato dei rispettivi clienti, intendano avvalersi dei Servizi ed a consentirne ai medesimi l’accesso attraverso le modalità tecniche descritte nell’Allegato Tecnico fornendo al CNDCEC un report periodico relativo ai dati cumulati di accesso ai Servizi per monitorare il livello di accessibilità e fruibilità degli stessi.

    Accedi qui per scaricare gli allegati 1,2,3, alla Informativa del Consiglio, per ulteriori approfondimenti.

    Il CNDCEC si impegna a favorire la conoscenza dei Servizi presso gli Ordini territoriali al fine di raggiungere gli iscritti ribadendo la disponibilità di tali Servizi ai soli iscritti sulla base delle informazioni formalmente risultanti dall’Albo.

    Inoltre, si impegna a mettere a disposizione dei soggetti che intendano richiedere l’accesso ai Servizi il Format di Mandato e, in generale, a rendere conoscibili agli stessi i requisiti generali di accesso.

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    Relazione organo di revisione: il CNDCEC pubblica il format

    Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili ha reso disponibile un file contenente tra gli altri il format della Relazione dell'Organo di revisione degli enti locali per la gestione 2022.

    In particolare, i Comuni entro il 30 aprile approveranno il Rendiconto dell'esercizio 2022 a cui allegare appunto la relazione di cui si tratta.

    Il documento completo predisposto dal CNDCEC e ANCREL, Associazione Nazionale Certificatori e Revisori Enti Locali, è scaricabile dal sito del Consiglio nazionale dei Commercialisti in formato zip con anche la guida utile alla compilazione. 

    Nel dettaglio il documento è composto da:

    • un format con traccia della relazione dell'organo di revisione
    • tabelle in formato Excel editabili

    Ricordiamo che la Relazione al rendiconto 2022 è predisposta nel rispetto della parte II "Ordinamento finanziario e contabile del d.lgs. 18/8/2000, n. 267" (TUEL) e dei principi contabili generali allegati al d.lgs. n. 118/2011. 

    Per la formulazione della relazione e per l'esercizio delle sue funzioni, l'organo di revisione può avvalersi delle check list pubblicate e dei principi di vigilanza e controllo emanati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.

    Si specifica che, il documento in oggetto è uno schema (fac simile) per la formazione della relazione dell'organo di revisione, il quale è l'unico responsabile dei rapporti con i soggetti destinatari del documento, e della documentazione a supporto prodotta nell'ambito dell'attività di vigilanza e controllo anche mediante apposite carte di lavoro e check-list.

    Ti consigliamo di leggere dal Sito della Revisione Legale l'ulteriore approfondimento.

    Lo schema di relazione è aggiornato tenendo conto delle norme emanate e della prassi pubblicata fino alla data di pubblicazione del documento.

    E' bene specificare che la Relazione dell'Organo di revisione degli enti locali include:

    • un approfondimento sulle verifiche che il revisore deve effettuare relativamente agli effetti sulla gestione finanziaria 2022 connessi all'emergenza sanitaria da Covid-19 e alla crisi  energetica 
    • una specifica sezione relativa ai controlli sulla gestione dei fondi PNRR-PNC.
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    Commercialisti: chiarimenti CNDCEC su incompatibilità con attività d’impresa

    Con il pronto ordini n. 139 del 9 marzo il CNDCEC si occupa di fornire chiarimenti in caso di incompatibilità della professione con l'esercizio dell’attività d’impresa. 

    Veniva chiesto un parere in merito ai seguenti punti:

    1. se una società commerciale avente ad oggetto attività tipiche della professione (l’esempio riferito dall’Ordine è l’amministrazione e legale rappresentanza di società), ancorché non riservate dalla legge agli iscritti, si debba considerare, ai fini della verifica dell’incompatibilità, assimilata alle società di servizi strumentali, con la conseguenza che l’iscritto che ne sia socio (n.d.r. con interesse economico prevalente) e amministratore (n.d.r. con tutti o ampi poteri gestionali) sarebbe soggetto alla verifica in ordine alla prevalenza del fatturato da attività professionale rispetto al fatturato della società ascrivibile all’iscritto; 

    2. ovvero, esclusa l’assimilabilità alle società di servizi, se la medesima si debba considerare genericamente una società commerciale con la conseguente sussistenza di incompatibilità in capo all’iscritto; 

    3. o infine, se la attività di amministrazione e legale rappresentanza di società, enti e trust etc. possa costituire oggetto sociale di una STP in cui un iscritto sia socio d’opera e amministratore con la conseguenza che la società commerciale potrebbe trasformarsi in una STP avente ad oggetto solo tale specifica attività e non anche tutte le altre attività oggetto della professione di dottore commercialista. 

    Il CNDCEC ricorda che l’art. 4, co. 1, lett. c), del Decreto legislativo n. 139 del 28 giugno 2005 dispone l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e l'esercizio, anche non prevalente, né abituale dell'attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti”. 

    Si tratta dei casi di gestione dell’impresa svolta per proprio conto, in nome proprio o altrui, ossia per soddisfare un interesse commerciale proprio.

    Nel caso in cui l’attività di impresa sia esercitata per il tramite di una società di capitali, come evidenziato dalle Note interpretative della disciplina delle incompatibilità diffuse dal Consiglio Nazionale, l’incompatibilità ricorre solo nel caso in cui l’iscritto sia titolare di un interesse economico prevalente nella società e rivesta contestualmente, nella medesima, la carica di amministratore con tutti o ampi poteri gestori. 

    Il citato articolo 4, al successivo comma 2, peraltro, esclude l’incompatibilità: 

    • qualora l’attività, svolta per conto proprio, sia diretta alla gestione patrimoniale, ad attività di mero godimento o conservative, 
    • in presenza di società di servizi che siano strumentali o ausiliari all'esercizio della professione, 
    • ovvero nel caso di assunzione di carica di amministratore sulla base di uno specifico incarico professionale e per il perseguimento dell'interesse di colui che conferisce l'incarico. 

    In tale ultimo caso le Note interpretative precisano che la suddetta fattispecie di esclusione tiene conto, della circostanza che l’attività di amministrazione di aziende è una di quelle che, per legge, formano oggetto della professione. 

    Tale impostazione rispecchia l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’attività di impresa (intesa come gestione dell’impresa) non è incompatibile con l’esercizio della professione qualora l’amministrazione si configuri come mero incarico professionale.

    Il discrimine, quindi, tra attività consentita e vietata, va ricondotto al concetto di amministrazione su mandato ricevuto dal cliente in considerazione della propria competenza professionale, in contrapposizione, come già evidenziato, con l’amministrazione di società svolta a soli fini imprenditoriali per soddisfare un interesse commerciale proprio, senz’altro presente laddove il professionista abbia un interesse economico prevalente. 

    Dinanzi a situazioni di esercizio di attività d’impresa in capo ad un iscritto, l’Ordine dovrà dunque verificare se sussista una delle sopraindicate fattispecie di esclusione dell’incompatibilità.

    Ciò premesso, il CNDCEC:

    1. in riferimento al quesito n. 1, si evidenzia che le cd. società di servizi svolgono solo attività ausiliaria all’esercizio della professione e in nessun caso possono svolgere attività a componente intellettuale, che deve rimanere esclusiva della sfera professionale;
    2. in riferimento al quesito n. 2, si precisa che l’Ordine dovrà verificare se l’attività di amministrazione sia svolta sulla base di un incarico professionale. Come evidenziato, tale fattispecie di esclusione dell’incompatibilità si riferisce a tutti quei casi in cui l’attività gestoria posta in essere dall’iscritto, coerentemente con le competenze professionali riconosciute dalla legge in capo ai Dottori commercialisti e agli Esperti contabili, venga svolta per conseguire l’interesse economico del soggetto che ha conferito l’incarico. Le citate Note interpretative individuano, a tal proposito, alcuni criteri per verificare la mancanza, in capo all’iscritto, di un interesse economico proprio, quali ad esempio: 
      • la presenza di un mandato scritto conferito dal cliente (avente data certa); 
      • la parcellazione dei compensi;
      • in caso di esercizio di impresa per il tramite di una società, la mancata attribuzione di utili o dividendi (o la rinuncia ad essi) o loro assegnazione in misura non significativa (rapportando la significatività allo specifico fine imprenditoriale perseguito nel caso concreto); 
      • l’assenza di un reale o concreto interesse imprenditoriale da parte dell’iscritto; 
      • la partecipazione del tutto irrilevante al capitale sociale; 
      • la ricorrenza di situazioni di temporanee di estrema urgenza ed impossibilità di agire diversamente in assenza dei criteri sopra indicati, come nelle ipotesi di successione, eredità, donazioni, divorzi, etc.

    In riferimento al quesito n. 3, premesso che: 

    • alla STP possono essere conferiti tutti gli incarichi professionali che si riferiscono ad attività per l’esercizio delle quali è prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico e che in tali attività professionali vi rientrano tanto quelle “riservate”, tanto le attività “tipiche” o “caratteristiche” della professione il cui esercizio è consentito da norme speciali o dall’ordinamento professionale, 
    • tali società non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dai titoli V e VI del libro V c.c. (con la conseguenza che sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla normativa speciale in relazione al loro particolare oggetto),

    si evidenzia che non è tecnicamente possibile trasformare, ai sensi degli artt. 2498 e ss c.c., una società non professionale in una STP in quanto quest’ultima non rappresenta un tipo societario autonomo.

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    Gestori crisi sovraindebitamento: chiarimenti del CNDCEC sui corsi

    Con il pronto ordini n. 27 del 9 marzo il CNDCEC fornisce chiarimenti sui requisiti dei corsi formativi per iscrizione all'albo di cui all'art 356 del codice della crisi d'impresa.

    Nel dettaglio, viene chiarito che il corso di formazione per l’iscrizione all’Albo di cui all’art. 356 del DLgs. 14/2019, organizzato dal Consiglio nazionale può essere frequentato anche ai fini dell’adempimento degli obblighi formativi dei gestori della crisi da sovraindebitamento, di cui all’art. 4 del DM 202/2014.

    In particolare, si specifica che il Ministero della Giustizia nel fornire precisazioni in merito ai requisiti che devono avere i corsi formativi per l’iscrizione nell’albo di cui all’art. 356 del codice della crisi ha escluso la validità dei corsi organizzati per l’assolvimento dell’obbligo formativo dei gestori della crisi, di cui all’art. 4, DM 202/2014, che:

    • non hanno un programma conforme alle linee guida della Scuola Superiore della Magistratura,
    • sono stati realizzati in assenza di una convenzione con l’Università 
    • e che non hanno una durata di almeno 40 ore.

    Nulla è stato indicato dal Ministero della Giustizia in merito al caso contrario, ovvero in merito alla possibilità di riconoscere validi i corsi formativi per l’iscrizione nell’albo di cui all’art. 356 del codice della crisi ai fini dell’assolvimento formativo iniziale e biennale dei gestori della crisi di cui all’art. 4 del DM 202/2014. 

    Poiché il corso organizzato dal Consiglio Nazionale di cui all’Informativa 23/2023 citata nel quesito, soddisfa i requisiti previsti dall’art. 7 del Regolamento FPC (corso di “formazione”, di durata non inferiore alle 12 ore, avente ad oggetto materie rientranti nell'ambito disciplinare della crisi dell'impresa e di sovraindebitamento anche del consumatore), per effetto delle previsioni del comma 6 dell’art. 4 del DM 202/2014, deve ritenersi valido anche per assolvere gli obblighi formativi previsti per i gestori della crisi da sovraindebitamento.

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    Obbligo vidimazione e bollatura verbali Consiglio, Collegio dei Revisori e Assemblee

    Con il Pronto ordini del 3 gennaio il CNDCEC si occupa di fornire chiarimenti su Vidimazione/bollatura libro verbali Consiglio, Collegio dei Revisori e Assemblee

    Come specificato dalle Sentenze del Consiglio di Stato Sez. II n 3544 del 2020 e Cons. Stato Sez. VI n. 4923 del 2021 "il verbale, in quanto atto giuridico appartenente alla categoria degli atti certificativi, è il documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante, appositamente incaricato di tale compito. Quindi il verbale è da annoverare entro la categoria degli atti amministrativi – certificativi in quanto è un documento preordinato alla descrizione di atti o fatti  giuridicamente rilevanti compiuti in presenza del soggetto verbalizzante ed ha quindi lo scopo di garantire  certezza alla descrizione degli accadimenti, documentandone l'esistenza”.

    Peraltro, “ la non ascrivibilità del verbale agli atti collegiali comporta che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio non è essenziale per la sua esistenza e validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale redattore, ovvero dalla mancata indicazione delle persone intervenute” 
    Ciò premesso il CNDCEC ha chiarito che è possibile affermare che nell’Ordinamento della Professione di Dottore Commercialisti e di Esperto Contabile il verbale delle sedute di Consiglio e delle Assemblee è redatto e sottoscritto dal Segretario, quale pubblico ufficiale chiamato ad attestare, fedelmente e con capacità probatoria, quanto accaduto nel corso dell’adunanza.

    Infatti, l’art. 13, comma 4 dello stesso ordinamento professionale prevede che per le riunioni consiliari “Il segretario redige il verbale sotto la direzione del presidente. Il verbale è sottoscritto dal presidente e dal segretario”. 

    Anche per l’Assemblea l’art. 18, comma 4, precisa che “Il presidente e il segretario del Consiglio sono, rispettivamente, il presidente e il segretario dell'Assemblea degli iscritti”.
    Risulta, pertanto, che sia proprio la Legge Professionale ad attribuire al Segretario dell’adunanza, sia essa consiliare che assembleare, la funzione di pubblico ufficiale redattore del relativo verbale.

    In questi casi, quindi, il Segretario assume una funzione certificativa che di norma è, invece, appannaggio dei soli notai.

    Peraltro, si ricorda che il Codice Civile (art. 2421) prevede solo a carico delle società l’obbligo della bollatura e della numerazione dei seguenti libri:

    • libro dei soci
    • libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee
    • libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o del consiglio di gestione
    • libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo
    • libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo della gestione
    • libro delle obbligazioni
    • libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti
    • libro degli strumenti finanziari emessi ai sensi dell'art. 2447 sexies del Codice Civile

    Non si rivengono pertanto norme che impongano alcun obbligo di “bollatura o vidimazione” dei verbali del Consiglio dell’Ordine e dell’Assemblea degli iscritti proprio perché l’Ordinamento Professionale attribuisce al Segretario dell’adunanza una funzione certificatoria, atta ad attribuire efficacia probatoria al contenuto complessivo del documento.

    Viene precisato che, nulla vieta ovviamente che ciascuna amministrazione, nella propria autonomia, possa valutare l’attivazione di livelli di certificazione maggiori rispetto a quanto stabilito dalla legge attraverso previsione  esplicita nel proprio regolamento di funzionamento.

    Con specifico riferimento al libro verbale del Collegio dei revisori è d'obbligo richiamare la Circolare vademecum per la revisione amministrativo-contabile negli enti pubblici della Ragioneria generale dello Stato, che sul tema della verbalizzazione delle attività di verifica dell’organo di controllo puntualizza che, in linea con le disposizioni del codice civile art. 2421 – ultima comma, e quindi in analogia a quanto previsto per i verbali relativi al collegio sindacale delle società, lo stesso, prima di essere messo in uso, deve essere numerato progressivamente in ogni pagina e bollato in ogni foglio.

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    STP: chiarimenti del CNDCEC sul potere decisionale dei soci

    Con il pronto ordini del 9 gennaio 2023, il CNDCEC risponde a dubbi sulla denominazione sociale e quorum decisionale di una STP.

    In particolare, venivano posti i seguenti quesiti: 

    1) posto che l'art. 10, comma 5, della Legge n. 183/20 11 prevede che "la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società tra professionisti'', tale previsione può considerarsi assolta con l'indicazione nella denominazione sociale dell'acronimo "S.T.P.?;

    2) posto che l'art. 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/201 prevede che "In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci''.

    Si chiede se tale norma implichi, oltre che la necessità di prevedere statutariamente che ai soci professionisti siano attribuiti almeno i due terzi dei diritti di voto complessivamente esercitabili, anche:

    • la necessità di prevedere statutariamente per le decisioni dei soci un quorum decisionale di due terzi, cioè che i soci possano adottare decisioni solo con il voto favorevole di almeno i due terzi dei voti complessivamente esercitabili (onde consentire che i voti dei soci non professionisti eventualmente esistenti possano essere determinanti nella formazione delle decisioni dei soci solo qualora siano in accordo con una parte significativa dei voti dei soci professionisti); 
    • l'impossibilità di prevedere statutariamente per le decisioni dei soci un quorum decisionale superiore ai due terzi (onde evitare che i soci non professionisti eventualmente esistenti possano bloccare le decisioni volute dai soci professionisti); si pensi ad esempio ad una STP in forma di società a responsabilità limitata che abbia tre soci, due professionisti ed uno non professionista, con uguale partecipazione al capitale ed agli utili ed uguale diritto di voto (un terzo ciascuno): ove lo statuto prevedesse per le decisioni dei soci un quorum decisionale del 70%, il socio non professionista avrebbe di fatto un diritto di veto. 

    Il CNDCEC risponde come segue: 

    • in merito al primo quesito si osserva che come precisa l’art. 10, comma 5, della legge n. 183/2001, la denominazione sociale della STP, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di società tra professionisti. L’art. 9, comma 3, del D.M. n. 34/2013, colmando una lacuna della legge n. 183/2011, in occasione del procedimento di iscrizione della STP nella sezione speciale dell’Albo, accenna alla ragione sociale della società costituita e svolgente l’attività professionale con il modello delle società di persone.
      Ne consegue che la STP, a seconda dei casi, indicherà nell’atto costitutivo la propria ragione sociale o la propria denominazione sociale formata secondo i criteri indicati nel codice civile per il tipo societario concretamente adottato, con la necessaria e ulteriore precisazione che si tratta di società tra professionisti. In tale prospettiva, si ritiene consentito utilizzare l’acronimo STP, con l’avvertenza che, né l’indicazione per esteso di società tra professionisti, né l’acronimo STP sono sostituitivi della precisazione del tipo societario adottato.
    • in merito al secondo quesito, si precisa che la regola enunciata nell’art. 10, comma 4, lett. b), legge  n. 183/2011 impone che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi sia tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o nelle decisioni dei soci, vale a dire che, nel rispetto delle regole proprie del tipo societario scelto in sede di costituzione della STP, i soci professionisti abbiano a disposizione un numero di voti almeno pari ai due terzi di quelli complessivi, in modo da favorire che la gestione della STP e l’assunzione delle decisioni più delicate sotto il profilo inerente all’attività professionale siano sottratte all’influenza del socio investitore o del socio per prestazioni tecniche. Pertanto, ancorché il socio non professionista non potrà mai disporre di più di un terzo dei voti, non chiarendo la legge che quello riservato ai professionisti è un quorum determinante per l’adozione delle decisioni o le deliberazioni dei soci, in alcune evenienze, il voto del socio investitore (o per prestazioni tecniche) potrebbe essere determinante per il raggiungimento del quorum previsto per l’assunzione della decisione.

    Il CNDCEC in merito al quorum richiama l’Informativa n. 60 dell’8 luglio 2019, tramite la quale, il Consiglio Nazioanale, aderendo all’impostazione che tende a privilegiare i profili concorrenziali, ha chiarito che, pur ammettendo che sia consentita la costituzione di una STP in cui le maggioranze dei 2/3 in termini di numero di soci professionisti e di partecipazione al capitale possano non necessariamente ricorrere cumulativamente, sarà comunque indispensabile, tramite patti parasociali e/o clausole statutarie in base agli strumenti offerti dal codice civile, limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, in modo tale da evitare che questi  ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali. 

    Tali ultime prerogative, infatti, devono sempre essere mantenute in capo ai soci professionisti ai quali va comunque garantita la maggioranza dei 2/3 nelle deliberazioni e/o decisioni societarie, in modo tale da riservare a costoro  il controllo della società.
    Alla luce di tanto, nonostante la formulazione letterale del richiamato art.10 legge n. 183/2011 non consenta  di addivenire a interpretazioni univoche, considerata la ratio della disposizione di legge che è stata, come accennato, di evitare che i soci non professionisti possano influire sulle scelte strategiche della STP1, si ritiene  preferibile suggerire che, tramite previsioni di statuto, non venga “snaturato” il principio per cui il potere  decisionale resti nelle mani dei soci professionisti.