• Lavoro Dipendente

    Mansioni superiori e sostituzione del dipendente: i limiti per l’azienda

    Nella gestione del personale, l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori incide direttamente su inquadramento, trattamento economico e tutela della professionalità.  Diventa importante quindi per datori di lavoro e consulenti  distinguere tra impiego temporaneo legittimo—anche per esigenze sostitutive—e utilizzo prolungato che, in concreto, assume carattere stabile e può generare richieste di  superiore inquadramento e differenze retributive.

     L’ordinanza 28 novembre 2025, n. 31120, della Corte di cassazione (sezione lavoro) ribadisce che la sostituzione dell’assente con diritto alla conservazione del posto opera come eccezione alla regola, e richiede un accertamento rigoroso del nesso funzionale tra assenza, sostituzione e durata dell’assegnazione. 

    In particolare, quando lo svolgimento delle mansioni superiori si protrae in modo significativamente eccedente rispetto alla fisiologia della sostituzione, il giudice deve verificare se l’organizzazione del lavoro abbia determinato un impiego di fatto “strutturale” del dipendente a livello superiore, con possibile elusione delle tutele. Il contenzioso esaminato nasce da una domanda di riconoscimento del superiore livello e delle differenze economiche, a fronte di mansioni svolte in concreto riconducibili a un livello superiore.

    Il caso

    Una lavoratrice, dipendente di una società poi fallita, era stata adibita a mansioni superiori per sostituire il responsabile assente e ha agito per ottenere il riconoscimento dell’inquadramento nel livello superiore previsto dal contratto applicato ("L'assegnazione nel superiore livello di inquadramento diviene definitiva dopo un periodo di tre mesi di effettivo servizio"  e le conseguenti differenze retributive

    La controparte datoriale ha ricondotto l’assegnazione a ragioni sostitutive: la lavoratrice avrebbe coperto le funzioni del responsabile assente solo per aspettativa, in attesa della successiva designazione del nuovo responsabile.

    Cassazione: sostituzione senza inquadramento possibile abuso

    Il tribunale ha riconosciuto il diritto al superiore inquadramento con effetti economici e contributivi, ma limitandone la decorrenza e la durata (dal terzo mese successivo all’avvio dell’aspettativa del responsabile  fino al termine dell'incarico). 

    La corte d’appello, nel respingere l’impugnazione della lavoratrice su tale delimitazione, ha valorizzato la causale sostitutiva, ritenendo applicabile la disciplina che, nel testo anteriore alla riforma del 2015, esclude la definitività dell’assegnazione quando le mansioni superiori siano rese per sostituire un assente con diritto alla conservazione del posto (art. 2103 c.c.). Ha inoltre giudicato non fondata la tesi di “stabilizzazione” invocata dalla lavoratrice sulla base della previsione collettiva che riconosce la definitività dopo tre mesi di effettivo servizio (art. 16, comma 3, CCNL Federambiente).

     La Suprema Corte censura l’impostazione della corte territoriale nella parte in cui la sostituzione è stata  considerata automaticamente utile per definire non definitiva l’assegnazione, senza un vaglio sostanziale sulla concreta configurazione e durata della sostituzione.

     La Cassazione chiarisce che la non definitività è un’eccezione e richiede un accertamento “sicuro” del collegamento tra mansioni svolte e sostituzione; tale collegamento può risultare anche da elementi fattuali, ma non può risolversi in una qualificazione meramente formale dell’assetto organizzativo. La durata anomala e prolungata dell’impiego in mansioni superiori impone, secondo la Corte, un controllo rigoroso per escludere un abuso datoriale e un uso distorto della causale sostitutiva, idoneo a eludere la tutela della professionalità. 

    Richiamando i precedenti, la Cassazione ribadisce anche che la legge non impone, di per sé, la comunicazione al sostituto del nominativo e delle ragioni della sostituzione, ferma la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere tutele ulteriori (Cass. 12793/2003; Cass. 7126/2007; Cass. 24348/2006). 

  • Lavoro Dipendente

    Bonus Mamme 2025: le istruzioni – domande entro il 9 dicembre

    Con la Circolare n. 139 del 28 ottobre 2025, l’INPS fornisce le istruzioni applicative dell’articolo 6 del Decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 2025, n. 118, che istituisce il Nuovo Bonus Mamme 2025. Si tratta di una integrazione al reddito di 40 euro mensili per ciascun mese o frazione di mese di attività lavorativa, riconosciuta alle madri lavoratrici con due o più figli che esercitano attività dipendente o autonoma. 

    Il 27 novembre sono state  pubblicate  dall'INPS le faq aggiornate. Il 4 dicembre l'Istituto ha comunicato che è disponibile anche il Manuale aggiornato sul sito istituzionale (www.inps.it) al seguente percorso “Sostegni, Sussidi e Indennità” > “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità” > “Per genitori” > “Vedi tutti i servizi” > “Nuovo Bonus mamme”> “Scarica manuale utente”.

    Si ricorda che la scadenza  della domande per chi ha già i requisiti è fissata al 9 dicembre 2025 e consente di avere il pagamento entro fine anno.

    Da notare anche che nella bozza della nuova legge di bilancio è previsto un incremento dell'importo per il 2026 a 60 euro.

    Vediamo tutte le istruzioni operative fornite da INPS.

    Bonus mamme lavoratrici : a chi spetta, esempi

    La misura, che sostituisce  per la maggioranza dei casi , temporaneamente l’esonero contributivo previsto dalla Legge di Bilancio 2025, è finanziata per un totale di 480 milioni di euro   Il bonus è erogato a domanda dall’INPS e sarà corrisposto in un’unica soluzione nel mese di dicembre 2025 o, per domande tardive, entro febbraio 2026.

    ATTENZIONE la somma è esclusa dal calcolo ISEE.

    Nello specifico , l’articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 95/2025 riconosce il beneficio alle lavoratrici madri:

    • Dipendenti (esclusi i rapporti di lavoro domestico)  anche con lavoro a chiamata o in somministrazione.
    • Autonome, iscritte a gestioni previdenziali obbligatorie, incluse le casse professionali e la Gestione separata INPS.

    Il diritto sussiste solo se il reddito da lavoro 2025 non supera 40.000 euro annui e il rapporto di lavoro o l’attività autonoma è in essere nel mese di riferimento.

    Numero figli Età del figlio più piccolo Condizione lavorativa Durata beneficio
    2 figli Inferiore a 10 anni Dipendente (no domestico) o autonoma Fino al mese del 10° compleanno del secondo figlio
    3 o più figli Inferiore a 18 anni Dipendente (no domestico) o autonoma a tempo determinato o autonoma -il bonus non è riconosciuto nei mesi in cui esiste un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto tali lavoratrici beneficiano già dell’esonero totale dei contributi IVS previsto dalla Legge di Bilancio 2024.  Fino al mese del 18° compleanno del figlio più piccolo

    La circolare fornisce numerosi esempi pratici, tra cui 

    • madre di due figli: il  bonus  spetta da gennaio a settembre 2025 se il secondo figlio compie 10 anni a settembre; 
    • madre di tre figli con contratto trasformato a tempo indeterminato a luglio,  il bonus spetta da gennaio a giugno; 
    • madre con un figlio e secondo nato ad aprile:  il bonus  bonus da aprile a dicembre.

    ATTENZIONE  per le  dipendenti a tempo indeterminato con tre figli  il datore di lavoro applica  l'esonero contributivo totale previsto dalla legge di bilancio 2025 e non il bonus 40 euro.

    Bonus mamme 2025 le domande

    L’INPS precisa che il Nuovo Bonus mamme è erogato a domanda, da effettuare  esclusivamente tramite canali telematici. 

    Le lavoratrici devono dichiarare sotto la propria responsabilità, ai sensi del D.P.R. 445/2000, il possesso dei requisiti previsti.

    Modalità di presentazione: entro 40 giorni dalla pubblicazione della circolare (8 dicembre 2025 , che slitta al 9 per la festività) tramite:

    • Portale INPS (www.inps.it) con SPID, CIE o CNS;
    • Contact Center (803.164 da rete fissa o 06 164.164 da mobile);
    • Patronati autorizzati.

    Per chi maturi i requisiti successivamente (es. nascita del secondo figlio entro il 31 dicembre 2025), il termine per la domanda è 31 gennaio 2026. Le informazioni fornite saranno soggette a controlli e, in caso di dichiarazioni mendaci, si applicano le sanzioni previste dal D.P.R. 445/2000.

    Il bonus non concorre alla formazione del reddito IRPEF, non rileva ai fini ISEE e sarà contabilizzato nella gestione GAT – Gestione degli oneri per i trattamenti di famiglia. 

    L’importo è pari a 40 euro mensili, per un massimo di 12 mesi, con pagamento in un’unica soluzione a dicembre 2025 o, in caso di domanda tardiva, entro febbraio 2026.

    Parametro Valore
    Importo mensile 40 euro
    Durata massima 12 mesi (gennaio–dicembre 2025)
    Importo massimo totale 480 euro
    Scadenza domanda ordinaria 8 dicembre 2025( slitta al 9 per festività)
    Scadenza domanda tardiva 31 gennaio 2026
    Data pagamento Dicembre 2025 o febbraio 2026

    Precisazioni su scadenza delle domande

    Con il  messaggio 3289, facendo seguito alle indicazioni fornite al paragrafo 4 della circolare n. 139/2025 l'INPS precisa che il servizio per la presentazione delle domande è accessibile sul sito istituzionale www.inps.it, seguendo il percorso: “Sostegni, Sussidi e Indennità” > “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità” > “Per genitori” > “Vedi tutti i servizi” > “Nuovo Bonus mamme”.

    Dopo l’autenticazione, utilizzando la propria identità digitale (SPID di almeno livello 2, CIE 3.0, CNS o eIDAS), si accede al “Punto d'accesso alle prestazioni non pensionistiche” per la compilazione della domanda.

    La domanda può essere presentata anche tramite il Contact Center Multicanale o gli Istituti di patronato, utilizzando i servizi offerti dagli stessi.

    Considerato che il termine per la presentazione delle domande scade domenica 7 dicembre e che l’8 dicembre è un giorno festivo, le domande devono essere presentate

    •  entro il 9 dicembre 2025, per chi ha già il requisito relativo ai figli alla data del 1 gennaio 2025
    •  entro il 31 gennaio 2026 se i requisiti vengono maturati successivamente a tale data ma, comunque, entro il 31 dicembre 2025.

    Successivamente alla presentazione della domanda nell’ambito del medesimo servizio è possibile accedere alle ricevute e alla documentazione prodotte dal sistema, monitorare lo stato di lavorazione della domanda e aggiornare le informazioni relative alle modalità di pagamento.

    Aggiornamento delle FAQ NOVEMBRE 2025

    Le FAQ INPS sul Bonus Mamme 2025 contenute nel manuale operativo e aggiornate il 27 novembre 2025  chiariscono  con esempi i requisiti per l’accesso alla misura e le principali situazioni lavorative ammesse o escluse.

    Si specifica ad esempio che:

    •   il bonus spetta sia a chi svolge lavoro  dipendente che  autonomo, incluse le iscritte alla Gestione separata, purché vi sia effettiva attività nel 2025. 
    • Sono esclusi  i periodi senza attività (aspettativa non retribuita, lavoro occasionale, sole cariche sociali,  fruizione di NASpI/DIS-COLL).
    •  Il limite di reddito  di  40.000 euro  comprende tutti i redditi da lavoro percepiti nell’anno.
    • Sono conteggiati tutti i figli, indipendentemente da convivenza o carico fiscale. I limidi di età sono validi sia per i figli naturali che adottivi.

  • Lavoro Dipendente

    Licenziamento per offese al superiore su Whatsapp: è illegittimo


    Con la sentenza n. 5936 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – ha confermato l’illegittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore per alcuni messaggi vocali a contenuto offensivo inviati all’interno di una chat WhatsApp  composta da 14 colleghi. 

    La Corte ha stabilito che si trattava di comunicazioni private, tutelate dall’art. 15 della Costituzione, e che dunque non potevano costituire giusta causa di recesso da parte del datore di lavoro. 

    Vediamo meglio  il caso specifico e le motivazioni della sentenza.

    Il caso e la decisione della Cassazione: la chat privata è riservata

    Il caso nasceva dal ricorso presentato da un’azienda avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che aveva confermato la decisione del Tribunale di primo grado , ugualmente favorevole al lavoratore. Quest’ultimo era stato licenziato in seguito alla diffusione, da parte di un partecipante alla chat, di messaggi audio contenenti espressioni offensive, ritenute denigratorie e razziste, rivolte al proprio  team leader. 

    Tuttavia, secondo la Corte d’Appello, la comunicazione era avvenuta in un ambito ristretto e chiuso, e quindi non poteva essere assimilata a una pubblicazione in un luogo accessibile a una moltitudine di persone, come ad esempio un post su Facebook.

    Nel rigettare il ricorso dell’azienda, confermando la decisione delle corti di merito, la Cassazione ha confermato che la comunicazione tra membri di una chat chiusa su WhatsApp gode della protezione costituzionale prevista dall’art. 15 della Costituzione, che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza. 

    La Corte ha richiamato la recente giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 170/2023), secondo cui anche le forme digitali di comunicazione – come email, SMS e messaggi WhatsApp – rientrano nel concetto di “corrispondenza” tutelata, indipendentemente dal mezzo tecnico utilizzato.

    Nel caso specifico, la diffusione del messaggio al datore di lavoro era avvenuta ad opera di uno dei partecipanti alla chat, cioè di un destinatario diretto, il che non fa venir meno la tutela costituzionale. Anzi, ha sottolineato la Corte, si tratta di una violazione della segretezza ad opera di un co-destinatario, che non autorizza il datore di lavoro ad utilizzare quei contenuti come base per un licenziamento.

    La Cassazione ha inoltre ribadito che il contenuto in sé delle comunicazioni private, se espresso in forma riservata e non destinato alla pubblicazione, non può costituire giusta causa di recesso. 

    Il potere disciplinare del datore di lavoro incontra un limite nei diritti fondamentali del lavoratore, in particolare nel diritto alla libertà di comunicazione e alla riservatezza. Anche il principio dell’art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) non può giustificare un’ingerenza che comporti la compressione di diritti costituzionalmente garantiti.

    Precedente giuridico e implicazioni

    Questa pronuncia si inserisce nel solco già tracciato da precedenti decisioni (Cass. civ. n. 21965/2018) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, le quali hanno stabilito che i messaggi scambiati in contesti privati non costituiscono una forma di comunicazione pubblica e quindi non possono essere considerati diffamatori in senso giuridico, né integrare fattispecie penalmente rilevanti come la minaccia, se non rivolti direttamente all’interessato.

    La Corte ha anche escluso che il contenuto dei messaggi potesse rappresentare una lesione del rapporto fiduciario tale da giustificare il licenziamento per giusta causa, in assenza di un’effettiva diffusione o impatto all’esterno del contesto privato. Infatti, secondo i giudici, il datore di lavoro non può sanzionare moralmente i propri dipendenti per espressioni private, a meno che tali comportamenti non compromettano oggettivamente la possibilità di una prosecuzione del rapporto lavorativo.

    In sintesi, la Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: anche nell’ambiente di lavoro  i diritti alla libertà di comunicazione e alla riservatezza devono essere tutelati, anche quando i mezzi usati sono digitali. 

  • Lavoro Dipendente

    Trattenute in busta paga per danni aziendali: le regole

    La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 26607 del 2 ottobre 2025  ha offerto un importante chiarimento sulla possibilità per il datore di lavoro di operare trattenute in busta paga a titolo risarcitorio,  nel caso di danni arrecati dal lavoratore al patrimonio aziendale.

    In particolare viene specificato che è necessario il rispetto della procedura disciplinare prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970 e dallo specifico contratto collettivo di settore.

    Il caso riguarda un rapporto di lavoro nel settore Autotrasporti e Logistica, ambito in cui la contrattazione collettiva (art. 32 del CCNL) disciplina espressamente la responsabilità del dipendente per i danni arrecati a mezzi e attrezzature, prevedendo anche la possibilità di compensazione tramite trattenuta fino a un limite massimo stabilito.

    La Suprema Corte sottolinea tuttavia che tale facoltà non può essere esercitata in assenza della corretta irrogazione della sanzione disciplinare, che costituisce garanzia fondamentale per il lavoratore e condizione essenziale per il legittimo esercizio del potere risarcitorio del datore di lavoro.

    Il caso e la previsione del ccnl Logistica

    Il procedimento trae origine dal danneggiamento di un muletto aziendale avvenuto durante le operazioni di movimentazione merci. 

    A seguito dell’episodio, il datore di lavoro aveva applicato due trattenute nella  busta paga del lavoratore responsabile, per complessivi 2.850 euro, a titolo di risarcimento del danno. 

    Successivamente era stata notificata al dipendente anche una sanzione disciplinare di rimprovero scritto.

    Il lavoratore aveva contestato sia la sanzione sia le trattenute, chiedendone la restituzione.

    Il Tribunale aveva inizialmente rigettato il ricorso; la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma, aveva invece dichiarato illegittima la prima trattenuta, ritenendo che fosse stata applicata prima della comunicazione della sanzione disciplinare, necessaria secondo la disciplina collettiva per fondare il risarcimento.

    La Corte territoriale aveva comunque riconosciuto la responsabilità del lavoratore per il danno prodotto, ritenendo legittima solo la seconda trattenuta, effettuata in un momento successivo rispetto all’avvio della procedura disciplinare.

    La società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro:

    • errata interpretazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori e dell’art. 32 del CCNL di riferimento;
    • omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risarcimento;
    • violazione delle norme processuali in tema di appello incidentale;
    • errata liquidazione e ripartizione delle spese di lite.

    La Suprema Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi, confermando la decisione di appello.

    Trattenute in busta paga solo dopo sanzione disciplinare

    La Corte di Cassazione ha ribadito che la trattenuta in busta paga a titolo risarcitorio è legittima solo se preceduta dall’irrogazione della sanzione disciplinare, come previsto dall’art. 32 del CCNL Autotrasporto Merci e Logistica

    Tale previsione contrattuale, secondo la Corte, costituisce una garanzia essenziale per il lavoratore e condiziona l’esercizio del potere risarcitorio da parte del datore.

    Richiamando i principi dell’art. 7 della legge n. 300/1970, la Cassazione ha affermato che:

    • la sanzione disciplinare esiste ed è efficace solo se comunicata al lavoratore;
    • non è possibile distinguere fra “adozione” e “comunicazione” della sanzione: senza comunicazione, la sanzione non è giuridicamente perfezionata;
    • la trattenuta precedente alla comunicazione della sanzione viola il procedimento garantito e risulta quindi illegittima.

    La Corte ha inoltre precisato che la responsabilità del lavoratore per il danno non era più oggetto di contestazione, essendo passata in giudicato nelle fasi precedenti. La questione esaminata riguardava unicamente la corretta applicazione delle regole procedurali previste dalla contrattazione collettiva.

    Sul piano processuale, la Cassazione ha escluso la necessità di una nuova udienza in caso di proposizione dell’appello incidentale, precisando che l’art. 436 c.p.c. non prevede tale adempimento.  Sono state ritenute infondate anche  le censure sulla liquidazione delle spese, ambito nel quale il controllo di legittimità si limita alla verifica dell’assenza di violazioni dei principi sulla soccombenza e dei parametri tabellari.

    L’ordinanza si conclude con il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni di merito, compresa la parziale compensazione delle spese di lite e l’obbligo per la società ricorrente di versare il contributo unificato aggiuntivo ex art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002.

  • Lavoro Dipendente

    Le festività in busta paga

     Ai fini del calcolo della busta paga sono considerate giornate festive le domeniche e le festività nazionali e infrasettimanali individuate dalla legge durante le quali il dipendente solitamente non lavora, ma percepisce ugualmente  la retribuzione.

    Ad oggi, dopo varie modifiche normative all' articolo 2 della legge 27  maggio  1949,  n.  260, (da ultimo, l'introduzione della festività di san Francesco con la legge 151 2025 del 8.10.2025, che entrerà in vigore dal 2026) sono considerati giorni festivi per tutti i lavoratori i seguenti:

    1) Capodanno                  

      1° Gennaio

    2) Epifania                          

     6 Gennaio

    3) Giorno dell'Angelo          

      Lunedì di Pasqua

    4) Anniversario della Liberazione   

        25 Aprile

    5) Festa dei Lavoratori                        

         1 maggio     

    6) Assunzione Beata Vergine                           

        15 Agosto

    7) San Francesco –  patrono d'Italia 

        4 Ottobre  (DAL 2026)

    8) Ognissanti                 

        1° Novembre

    9) Immacolata Concezione               

        8 Dicembre

    10) Santo Natale                 

        25 Dicembre

    11 Santo Stefano                 

       26 Dicembre

    12) Santo Patrono del comune sede di lavoro

    13) Festa della repubblica          

      2 giugno

    Per il giorno di Pasqua è prevista la retribuzione soltanto da alcuni contratti collettivi.

    Un breve accenno meritano le festività soppresse che sono:

    •  il 19 marzo San Giuseppe,
    •  l'Ascensione e il Corpus domini (con date variabili) e
    •  il 29 giugno – San Pietro e Paolo;

     per questo  i contratti collettivi di solito compensano la mancata fruizione delle 4 festività soppresse con permessi retribuiti di 32 ore.

    Trattamento economico previdenziale e fiscale delle festività

    La retribuzione durante le festività è la normale retribuzione globale di fatto giornaliera. L’entità varia a seconda del giorno in cui cade la festività.

    Festività infrasettimanale: per gli impiegati e operai retribuiti in misura fissa (mensilizzati), la festività è compresa nella retribuzione globale di fatto (26 gg).

    Per gli operai retribuiti in misura oraria : si considera la retribuzione globale di fatto oraria.

    Festività cadente di domenica: per gli impiegati ed operai retribuiti in misura fissa spetta un importo aggiuntivo (un giorno in più).

    Per gli operai retribuiti in misura oraria: 6 ore e 40 minuti (40 ore settimanali : 6 giorni) (N.B. Se il contratto prevede 5 giorni settimanali, 40:5 = 8 ore). Nel cedolino 6 ore e 40 minuti diventeranno 6,67;

    Attenzione! è interessante fare caso a questa particolarità: se si scrive 6,50 è chiaro che sono 6 ore e 30 minuti, mentre,  se si scrive 6,67 non è così intuitivo capire che si tratta di 6 ore e 40 minuti perchè si dovrà fare la seguente proporzione :

    60 minuti : 1 ora = 40 minuti : x (60 minuti stanno ad 1 ora come 40 minuti stanno ad x)

    x = 40*1/60 = 0,67

    Ma che cos'è l'incognita x? Sono i centesimi, perchè i computer adottano il sistema decimale e non del tempo. Quindi ogni volta che parliamo di minuti dobbiamo fare una conversione da minuti dell'orologio a centesimi.

    Festività cadenti di sabato: è inclusa nei mensilizzati; corrisponde ad 8 ore per gli operai pagati a ore.

    Attenzione! se il dipendente lavora in un giorno festivo e non è previsto un riposo compensativo, la retribuzione sarà considerata di lavoro straordinario, quindi (è qui che bisogna fare attenzione) oltre a pagare la festività, deve essere pagato anche il lavoro svolto + la maggiorazione per lavoro straordinario festivo. Se invece è previsto un riposo compensativo in un'altra giornata deve essere pagata la festività + la maggiorazione ma non la retribuzione base.

    Gli elementi retributivi  correlati  ai giorni di festività sono imponibili interamente sia  dal punto di vista  dei contributi previdenziali che delle trattenute fiscali.

    Festività: esempi di compilazione della busta paga

    1. Compilazione busta paga con festività per un operaio a retribuzione oraria con riposo compensativo:

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    CALCOLO BUSTA PAGA :

    paga oraria (p.h.) 8,49523 * 176 ore = 1.495,16

    festività 6,67 * 8,49523 =                          56,66

    8,49523 * 15% * 8 ore =                                  10,19

    Totale                                                        1.562,01

     

    2. Compilazione busta paga con festività per un operaio a retribuzione oraria senza riposo compensativo:

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    CALCOLO BUSTA PAGA :

    paga oraria (p.h.) 8,49523 * 168 ore = 1.495,16

    festività 6,67 * 8,49523 =                          56,66

    8,49523 * 50% = 4,25                                     

    4,25 + 8,49523 = 12,75                                

    12,75 * 8 ore (FS) =                                 102,00

    Totale                                                     1.653,82

    Festivita e Cassa integrazione

    Per i giorni festivi che cadono in periodi di utilizzo di  Cig /Fis/Cigd, come molto probabile in questo anno di pandemia, il compenso  viene gestito in maniera diversa:

    1. rimane a carico del datore di lavoro, cioe non rientra fra gli elementi integrabili ,  per   i lavoratori retribuiti a  ore e sospesi da non più di due settimane a orario ridotto  oppure sospesi a zero ore settimanali,
    2. è a carico della Cassa invece:
    •   per i lavoratori retribuiti a ore  e  sospesi a zero ore settimanali,  da oltre due settimane;
    •   per i lavoratori retribuiti con fisso  mensile sospesi a zero ore settimanali,   anche da non più di due settimane.

     Si ricorda infine che  i giorni di festività sono conteggiati ai fini della corresponsione degli assegni per il nucleo familiare ANF. 

  • Lavoro Dipendente

    Licenziamento o sanzione conservativa per la negligenza sul lavoro?

    Il tema del licenziamento disciplinare  è di particolare interesse per datori di lavoro e consulenti, soprattutto alla luce dei rapporti tra normativa e contrattazione collettiva. 

    L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 29343 del 6 novembre 2025, offre un  rilevante contributo interpretativo in merito all’applicazione dell’art. 18 della Legge n. 300/1970, come modificato dalla Legge n. 92/2012, nella parte relativa alla distinzione tra tutela reintegratoria (comma 4) e tutela indennitaria (comma 5) potenziata dal Jobs Act ormai 10 anni fa

    La pronuncia trae origine da un procedimento volto a verificare la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato a un lavoratore del settore Turismo – Pubblici Esercizi, per comportamento considerato negligente, con riferimento alle previsioni dell’art. 144 del  CCNL applicato. La cassazione ha confermato l'orientamento già consolidato per il quale le previsioni del contratto collettivo sono prevalenti.

    Vediamo piu in dettaglio il caso e le motivazioni dei giudici.

    Il caso: negligenza e sanzioni disciplinari

    Il contenzioso nasce dall’impugnazione di un licenziamento disciplinare motivato dall’azienda con riferimento alla violazione di specifiche prassi operative interne, tra cui le procedure di registrazione delle temperature dei prodotti cotti previste dalle cosiddette schede CCP6.

     Il giudice di primo grado aveva ritenuto la sanzione espulsiva illegittima, osservando che la condotta, pur ritenuta negligente, rientrasse nelle ipotesi punibili con misura conservativa secondo il CCNL di settore.

    La Corte d’Appello di Roma, in secondo grado  ha confermato l’illegittimità del licenziamento ma ha escluso l’applicazione della tutela reintegratoria. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta non trovava corrispondenza diretta nelle previsioni tipizzate dal CCNL per l’applicazione di una sanzione conservativa; ne derivava pertanto l’applicazione della tutela indennitaria prevista dall’art. 18, comma 5, Statuto dei lavoratori.

    Avverso questa decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione dei commi 4 e 5 dell’art. 18 e dell’art. 144 del CCNL, sostenendo che il comportamento contestato rientrava pienamente nell’ambito delle condotte punibili con sanzione conservativa.

    Le decisioni di merito e la pronuncia della Cassazione

    La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribadendo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: quando la contrattazione collettiva qualifica una condotta come meramente negligente e punibile con sanzione conservativa, il giudice non può sostituire tale valutazione con un proprio giudizio di maggiore gravità. 

    La Cassazione richiama, a tal fine, il “diritto vivente” formatosi sul punto, secondo il quale il giudice è tenuto a verificare se il fatto contestato possa essere ricondotto — anche mediante interpretazione elastica — alle ipotesi  di violazioni  sanzionate in via conservativa dal contratto collettivo.

    Nel caso di specie, la Corte ha infatti rilevato che la decisione d’appello non aveva adeguatamente motivato l’esclusione della condotta del lavoratore dal perimetro dell’art. 144, comma 7, lett. c), del CCNL Turismo – Pubblici Esercizi, che punisce il lavoratore che “non esegua il lavoro con assiduità oppure lo esegua con negligenza”. La violazione delle prassi operative aziendali, secondo i giudici di legittimità, poteva essere valutata come forma di negligenza rientrante  in questa disposizione,  rendendo quindi applicabile la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4.

    La Corte ha inoltre richiamato numerosi precedenti conformi, sottolineando come la contrattazione collettiva, nella disciplinare le possibili  mancanze nella condotta del lavoratore, svolga una funzione di attuazione del principio di proporzionalità, cui il giudice deve conformarsi. Ne deriva che, in presenza di una previsione contrattuale più favorevole al lavoratore, il licenziamento disciplinare debba essere annullato, con conseguente reintegrazione.

    Di conseguenza, la Cassazione ha cassato la sentenza d’appello, rinviando alla Corte territoriale per un nuovo esame alla luce dei principi indicati.

  • Lavoro Dipendente

    Cambio unilaterale del CCNL metalmeccanici: è condotta antisindacale

    La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 29737 dell’11 novembre 2025, ha fornito un nuovo chiarimento in materia di applicazione del contratto collettivo nazionale e dei limiti di intervento unilaterale del datore di lavoro. La decisione si inserisce nel quadro interpretativo dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori e dei principi costituzionali sulla libertà sindacale (art. 39 Cost.), confermando l’illegittimità delle modifiche al CCNL effettuate dal datore prima della scadenza dell’accordo collettivo in essere.

    Il caso esaminato riguarda la sostituzione anticipata del CCNL Metalmeccanici con il CCNL Terziario, operata attraverso un accordo denominato “di armonizzazione” firmato dal datore di lavoro con alcune sigle sindacali, con la motivazione che . il contratto del terziario era già applicato a parte dei dipendenti in azienda.

    Vediamo maggiori dettagli sul caso e sulle motivazioni.

    Decisioni di merito e ordinanza della Cassazione n. 29737/2025

    La Cassazione ha confermato integralmente le decisioni di merito, ribadendo un principio consolidato:

    il datore di lavoro non può recedere unilateralmente da un contratto collettivo con termine di efficacia predeterminato prima della sua scadenza.

    Il contratto collettivo può essere disdettato soltanto dalle parti stipulanti e nel rispetto delle clausole previste. La Corte richiama precedenti conformi (tra cui Cass. n. 21537/2019 e n. 26666/2024), sottolineando che nessuna “armonizzazione” con altro CCNL può legittimare la sostituzione anticipata senza il consenso delle organizzazioni firmatarie originarie.

    Condotta antisindacale e lesione delle prerogative

    Con riguardo all’art. 28 Stat. lav., la Corte ha confermato che la decisione datoriale aveva effettivamente limitato la capacità del sindacato di esercitare il proprio ruolo, non solo per l’imposizione di un nuovo contratto collettivo, ma anche per le comunicazioni rivolte direttamente ai lavoratori che avrebbero “sminuito” la funzione sindacale.

    La successiva firma dei dipendenti sotto la dicitura “per ricevuta e accettazione” non è stata ritenuta idonea a esprimere un consenso consapevole alla modifica del CCNL, trattandosi – secondo i giudici – di formula generica che documenta solo la presa visione, non l’adesione negoziale.

    I limiti dell’accordo di armonizzazione e del Testo Unico 2014

    La Cassazione ha respinto anche il motivo relativo all’efficacia generale dell’accordo aziendale secondo il Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. 

    La Corte ha osservato che tale efficacia non può comunque giustificare una disdetta unilaterale del CCNL ancora vigente, né sanare la lesione delle prerogative sindacali cagionata dal comportamento del datore.

    Il ricorso è stato quindi  rigettato e la società è stata condannata alle spese, oltre all’obbligo di versare l’ulteriore contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002.