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Cambio unilaterale del CCNL metalmeccanici: è condotta antisindacale
La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 29737 dell’11 novembre 2025, ha fornito un nuovo chiarimento in materia di applicazione del contratto collettivo nazionale e dei limiti di intervento unilaterale del datore di lavoro. La decisione si inserisce nel quadro interpretativo dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori e dei principi costituzionali sulla libertà sindacale (art. 39 Cost.), confermando l’illegittimità delle modifiche al CCNL effettuate dal datore prima della scadenza dell’accordo collettivo in essere.
Il caso esaminato riguarda la sostituzione anticipata del CCNL Metalmeccanici con il CCNL Terziario, operata attraverso un accordo denominato “di armonizzazione” firmato dal datore di lavoro con alcune sigle sindacali, con la motivazione che . il contratto del terziario era già applicato a parte dei dipendenti in azienda.
Vediamo maggiori dettagli sul caso e sulle motivazioni.
Decisioni di merito e ordinanza della Cassazione n. 29737/2025
La Cassazione ha confermato integralmente le decisioni di merito, ribadendo un principio consolidato:
il datore di lavoro non può recedere unilateralmente da un contratto collettivo con termine di efficacia predeterminato prima della sua scadenza.
Il contratto collettivo può essere disdettato soltanto dalle parti stipulanti e nel rispetto delle clausole previste. La Corte richiama precedenti conformi (tra cui Cass. n. 21537/2019 e n. 26666/2024), sottolineando che nessuna “armonizzazione” con altro CCNL può legittimare la sostituzione anticipata senza il consenso delle organizzazioni firmatarie originarie.
Condotta antisindacale e lesione delle prerogative
Con riguardo all’art. 28 Stat. lav., la Corte ha confermato che la decisione datoriale aveva effettivamente limitato la capacità del sindacato di esercitare il proprio ruolo, non solo per l’imposizione di un nuovo contratto collettivo, ma anche per le comunicazioni rivolte direttamente ai lavoratori che avrebbero “sminuito” la funzione sindacale.
La successiva firma dei dipendenti sotto la dicitura “per ricevuta e accettazione” non è stata ritenuta idonea a esprimere un consenso consapevole alla modifica del CCNL, trattandosi – secondo i giudici – di formula generica che documenta solo la presa visione, non l’adesione negoziale.
I limiti dell’accordo di armonizzazione e del Testo Unico 2014
La Cassazione ha respinto anche il motivo relativo all’efficacia generale dell’accordo aziendale secondo il Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.
La Corte ha osservato che tale efficacia non può comunque giustificare una disdetta unilaterale del CCNL ancora vigente, né sanare la lesione delle prerogative sindacali cagionata dal comportamento del datore.
Il ricorso è stato quindi rigettato e la società è stata condannata alle spese, oltre all’obbligo di versare l’ulteriore contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002.
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Sgravio contributivo CdS 2024: istruzioni operative
La circolare INPS n. 143 del 14 novembre 2025 fornisce le istruzioni operative per la fruizione dello sgravio contributivo connesso ai contratti di solidarietà (CdS) difensivi, finanziato con le risorse stanziate per l’anno 2024.
Il beneficio è rivolto alle imprese che hanno stipulato un CdS ai sensi dell’articolo 21, comma 1, lettera c), del D.lgs. 148/2015 o che ne avevano uno in corso nel secondo semestre dell’anno precedente, la cui fruIzione sia stata comunque conclusa entro il 31 marzo 2025.
La misura rientra nel sistema di incentivi volto a favorire il mantenimento dei livelli occupazionali tramite la riduzione concordata dell’orario di lavoro, accompagnata da interventi di CIGS.
Sgravio contratti di solidarietà: la norma
L’agevolazione trova fondamento nell’articolo 6 del decreto-legge n. 510/1996, che prevede una riduzione del 35% della contribuzione a carico del datore di lavoro per i lavoratori coinvolti in una riduzione dell’orario di lavoro superiore al 20%. La durata massima dello sgravio è pari a 24 mesi nel quinquennio mobile, nei limiti delle risorse annualmente stanziate nel Fondo per l’occupazione.
Per l’accesso al beneficio, le imprese devono essere state ammesse con appositi decreti direttoriali del Ministero del Lavoro, che definiscono l’importo massimo fruibile. L’INPS ha precisato che il conguaglio può riguardare solo importi effettivamente spettanti, in base alle retribuzioni denunciate nei flussi Uniemens.
Restano esclusi dalla riduzione alcuni contributi, tra cui:
- contributo formazione 0,30% L. 845/1978;
- contributi di solidarietà su previdenza complementare e sanità integrativa;
- cotributi specifici per lavoratori dello spettacolo, trasporto aereo, telecomunicazioni e TFR al Fondo Tesoreria.
Lo sgravio è cumulabile con:
- Decontribuzione Sud, nei limiti della contribuzione residua;
- Decontribuzione Sud PMI (L. 207/2024).
Le modalità di applicazione
La riduzione va applicata per ciascun lavoratore e per ogni periodo di paga incluso nel periodo autorizzato. Il diritto allo sgravio sorge al momento della denuncia contributiva relativa al mese in cui si verifica la riduzione dell’orario di lavoro oltre la soglia del 20%. In sintesi: i principali parametri:
Parametro Valore / Indicazione Misura sgravio 35% contribuzione datoriale Durata massima 24 mesi nel quinquennio mobile Riduzione orario minima Superiore al 20% Scadenza utile CIGS (per controlli) Entro 6 mesi dalla fine del periodo di paga (art. 7, c. 3, D.lgs. 148/2015) Sono ammesse alla fruizione immediata solo le imprese i cui periodi di CIGS risultano conclusi entro il 31 marzo 2025, come indicate nell’Allegato 1 della circolare.
Le restanti imprese potranno operare i conguagli solo dopo successiva autorizzazione INPS.
Le strutture territoriali, verificati i requisiti, attribuiscono il codice di autorizzazione “1W” (“Azienda ammessa alle riduzioni contributive ex L. 608/1996 per CdS con CIGS”).
Istruzioni Uniemens e scadenze
Le imprese autorizzate devono esporre il credito spettante nel flusso Uniemens, sezione <DenunciaAziendale> → <AltrePartiteACredito>, secondo le seguenti modalità operative:
- <CausaleACredito>: codice L972
- (“Arretrato conguaglio sgravio contributivo per CdS ex art. 21, c.1, lett. c), D.lgs. 148/2015 – anno 2024”)
- <SommeACredito>: importo dello sgravio spettante
Le operazioni di conguaglio devono essere effettuate entro il giorno 16 del terzo mese successivo alla pubblicazione della circolare, ovvero entro il 16 febbraio 2026.
Le imprese che hanno sospeso o cessato l’attività possono comunque recuperare lo sgravio attraverso la procedura di regolarizzazione contributiva Uniemens/Vig, riferita all’ultimo mese di attività dichiarato.
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Contratti solidarietà 2025: invio domande dal 30 novembre
Con un una nuova nota sul proprio sito istituzionale il Ministero del lavoro ricorda che:
- dal 30 novembre al 10 dicembre 2025 sarà aperta la piattaforma per l'inoltro delle domande di riduzione contributiva per i contratti di solidarietà industriale difensiva.
Ricordiamo che si tratta dello sgravio del 35% della contribuzione a carico del datore di lavoro previsto per situazioni di crisi e riorganizzazione aziendale a seguito dei quali un accordo in sede ministeriale preveda per i lavoratori una riduzione dell'orario di lavoro in misura superiore al 20%.
Dal 2 novembre è già possibile la precompilazione delle istanze che è disponibile
- nel sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella sezione dedicata “Decontribuzione contratti di solidarietà industriali” (ove è possibile consultare anche la normativa di riferimento), oppure
- accedendo direttamente alla pagina “Servizi lavoro"
Sgravio per contratti di solidarietà 2025
Lo sgravio viene concesso su richiesta dei datori di lavoro per un periodo massimo di 24 mesi, ai datori di lavoro che abbiano stipulato appositi accordi in sede ministeriale con la parte sindacale e consiste in una riduzione del 35% dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti per i lavoratori coinvolti, purché l'orario di lavoro sia ridotto di oltre il 20% per esigenze di riorganizzazione per mantenere i livelli produttivi.
Il beneficio si applica sui contributi versati per ciascun dipendente interessato dalla riduzione dell'orario di lavoro e deve essere rapportato a ciascun periodo di paga durante il periodo autorizzato per la fruizione d.
Dato che l'obbligo contributivo nasce alla scadenza del periodo di paga, l'agevolazione è applicabile nel periodo a cui si riferisce la denuncia, in relazione all'orario di lavoro di ogni singolo lavoratore, verificato mensilmente.
Va anche sottolineato che alcune voci contributive non sono soggette alla riduzione, come
- il contributo previsto dall'articolo 25, comma 4, della legge 845/1978 (0,30% della retribuzione imponibile),
- il contributo di solidarietà sui versamenti alla previdenza complementare e ai fondi di assistenza sanitaria (legge 166/1991) e
- il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo (D.Lgs 182/1997).
Il ministero ricorda che, come precisato nella Circolare n. 19 del 27 novembre 2017 “(…) lo sgravio contributivo può essere richiesto con un’unica domanda, in relazione al singolo accordo di solidarietà, per l’intero periodo di riduzione oraria in esso previsto”.
Sgravio contratti di solidarietà 2024: come fare domanda
Lo sgravio contributivo per contratti di solidarieta va richiesto esclusivamente attraverso l'applicativo web "sgravicdsonline" sul portale dedicato alla decontribuzione per contratti di solidarietà industriale, creato nel 2019.
Si accede esclusivamente con le credenziali SPID o CIE (carta d’identità elettronica).
Il pagamento dell’imposta di bollo è consentito solo mediante il sistema “PagoPA”, utilizzando l’apposita funzione integrata all’interno dell’applicativo.
ATTENZIONE l’applicativo web “sgravicdsonline” non consentirà l’invio dell’istanza nel termine perentorio 30 novembre – 10 dicembre in caso di omesso pagamento dell’imposta di bollo con il sistema “PagoPA”.
Si raccomanda di tenere conto dei tempi tecnici necessari ad espletare il pagamento tramite PagoPA, soprattutto in prossimità delle date di avvio e chiusura del periodo di presentazione delle istanze (30 novembre 2024– 10 dicembre 2024).
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E’ condotta antisindacale l’uso del solo inglese nelle riunioni
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28790 del 31 ottobre 2025, interviene sul tema delle relazioni sindacali in ambito transnazionale, chiarendo i limiti del potere datoriale nella gestione delle riunioni della Delegazione speciale di negoziazione (DSN) previste dal D.Lgs. 113/2012, attuativo della direttiva 2009/38/CE in materia di Comitato aziendale europeo (CAE).
Il caso esamina se la scelta unilaterale dell’impresa di imporre lo svolgimento degli incontri esclusivamente in lingua inglese e senza servizio di interpretariato possa costituire una condotta antisindacale, e quali conseguenze derivino sul procedimento di costituzione del CAE.
La pronuncia, destinata ad avere forte impatto pratico per le aziende multinazionali con sedi in più Paesi UE, ribadisce che il diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori deve essere garantito attraverso strumenti adeguati, proporzionati e rispettosi del principio di effettività della partecipazione.
Il caso: lo svolgimento dei fatti e il contenzioso di merito
L’azione giudiziaria trae origine dall’iniziativa di alcune organizzazioni sindacali che avevano chiesto al Tribunale la dichiarazione di antisindacalità della condotta tenuta da un’impresa operante a livello europeo. L’azienda, infatti, nel predisporre gli incontri della DSN destinati alla negoziazione del futuro Comitato aziendale europeo, aveva imposto che tutte le riunioni si svolgessero tramite videoconferenza e unicamente in lingua inglese, senza assicurare un servizio di interpretariato.
Queste condizioni – secondo i sindacati – rendevano estremamente difficoltosa la partecipazione, pregiudicando la capacità negoziale dei delegati provenienti da diversi Paesi e con differenti livelli di conoscenza della lingua.
Il Tribunale aveva inizialmente respinto il ricorso, ritenendo adeguate le modalità indicate dall’azienda, anche alla luce della disponibilità manifestata in giudizio di consentire la presenza di interpreti.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 252/2020, ha però riformato la decisione:
- ha dichiarato antisindacale la condotta datoriale in quanto la pretesa di utilizzare esclusivamente l’inglese e senza interpretariato limitava in modo significativo il diritto alla partecipazione;
- ha disposto l’automatica costituzione del CAE, ai sensi dell’art. 16, co. 1, D.Lgs. 113/2012, a partire dal semestre successivo alla seconda richiesta delle OO.SS.;
- ha ordinato all’impresa di convocare il CAE secondo le modalità previste dall’art. 16, co. 12, D.Lgs. 113/2012.
La società ha proposto ricorso per Cassazione articolato in cinque motivi, contestando in particolare:
l’interesse dei sindacati ad agire;
- la valutazione di antisindacalità della scelta linguistica;
- la dichiarazione di costituzione automatica del CAE;
- una presunta imposizione della modalità di incontro fisica;
- l’omessa pronuncia sulla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.
Criteri di adeguatezza e istituzione del CAE
La Suprema Corte rigetta integralmente il ricorso, confermando la linea interpretativa già espressa dai giudici di merito. I principi affermati in sintesi:
Antisindacalità dell’imposizione della sola lingua inglese
Secondo la Cassazione, la scelta unilaterale dell’azienda di imporre l’uso esclusivo della lingua inglese senza interpretariato integra una menomazione delle prerogative sindacali, incidendo sulla capacità di dialogo e sulla possibilità di una partecipazione effettiva.
La normativa – in particolare art. 8, co. 8, D.Lgs. 113/2012 – prevede che le spese necessarie per consentire alla delegazione di adempiere adeguatamente al proprio mandato siano a carico della direzione centrale, comprese, come chiarito dagli artt. 9 e 16, co. 12, le spese per un adeguato servizio di interpretariato.
La Corte sottolinea che né la direttiva 2009/38/CE né il decreto attuativo:
- individuano una lingua obbligatoria per la negoziazione;
- prevedono strumenti formativi (es. corsi di inglese) come alternativa all’interpretariato;
- consentono che esigenze organizzative aziendali comprimano la capacità negoziale delle rappresentanze.
Pertanto, la condotta datoriale costituisce un ostacolo ingiustificato e sproporzionato al corretto svolgimento della procedura di costituzione del CAE.
Riunioni da remoto: modalità lecita ma non risolutiva
La Cassazione conferma che la videoconferenza è di per sé una modalità adeguata e legittima, coerente con l’evoluzione tecnologica e già ampiamente sperimentata, specie nel periodo pandemico.
Tuttavia, non è questo l’elemento che rende antisindacale la condotta.
Il vulnus deriva esclusivamente dalla pretesa di utilizzare una sola lingua senza interpreti, ritenuta compressiva del diritto di partecipazione.
Automatismo nella costituzione del CAE
L’aspetto più significativo della decisione riguarda la conferma dell’automatica costituzione del CAE in base all’art. 16, co. 1, D.Lgs. 113/2012.
Secondo la Corte, l’imposizione aziendale di condizioni negoziali discriminatorie equivale, nella sostanza, a un rifiuto di aprire i negoziati, poiché impedisce alla DSN di operare con pienezza di funzioni. Non è necessario un rifiuto esplicito: anche un comportamento che renda impossibile o inefficace l’avvio del confronto produce le stesse conseguenze giuridiche.
Conclusioni
La pronuncia offre indicazioni operative per i datori di lavoro di imprese multinazionali:
- le modalità organizzative degli incontri devono garantire una partecipazione effettiva, rispettando il pluralismo linguistico dei delegati;
- l’interpretariato non è un’opzione, ma uno strumento essenziale previsto dalla normativa;
- comportamenti che creano ostacoli alla negoziazione possono determinare la costituzione automatica del CAE, con obblighi e responsabilità immediati per l’impresa.
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Riduzione contributo ordinario Fondo solidarietà Bolzano 2026: istruzioni
Con la circolare n. 140 del 12 novembre 2025, l’INPS ha illustrato le modalità di applicazione della riduzione contributiva per il Fondo di solidarietà bilaterale della Provincia autonoma di Bolzano–Alto Adige Sudtirol, prevista per l’anno 2026.
La misura discende dalla deliberazione del Comitato amministratore n. 15 del 12 giugno 2025, che ha approvato una riduzione del 40% dell’aliquota del contributo ordinario a carico dei datori di lavoro che rispettano specifici requisiti dimensionali e di accesso.
L’agevolazione mira ad alleggerire l’onere contributivo delle microimprese del territorio che non hanno usufruito di trattamenti di integrazione salariale nei 24 mesi precedenti, favorendo la sostenibilità economica e la continuità occupazionale.
Fondo bilaterale Bolzano Quadro normativo
Il decreto interministeriale del 22 agosto 2023, emanato dai Ministeri del Lavoro e dell’Economia, ha disciplinato il funzionamento del Fondo bilaterale di Bolzano in attuazione degli articoli 30 e 40 del D.lgs. n. 148/2015, introducendo la possibilità di modulare l’aliquota contributiva in base alla dimensione aziendale
. In via ordinaria, l’articolo 8 del decreto prevede le seguenti aliquote contributive:
Numero medio di dipendenti Aliquota ordinaria Ripartizione datore/lavoratore Fino a 5 dipendenti 0,50% 2/3 datore – 1/3 lavoratore Oltre 5 dipendenti 0,80% 2/3 datore – 1/3 lavoratore La deliberazione n. 15/2025 ha disposto, per il 2026, la riduzione del 40% dell’aliquota dello 0,50%, determinando così un’aliquota effettiva pari allo 0,30%.
Tale riduzione spetta esclusivamente ai datori di lavoro che occupano mediamente fino a 5 dipendenti e non hanno presentato domanda di assegno di integrazione salariale (AIS) nei 24 mesi successivi alla conclusione di un eventuale trattamento precedente. Il contributo ridotto continua ad applicarsi sull’intera retribuzione imponibile ai fini previdenziali di tutti i dipendenti, inclusi i dirigenti.
Istruzioni operative per datori di lavoro e consulenti
Per l’anno 2026, i datori di lavoro interessati appartenenti al Fondo di solidarietà bilaterale di Bolzano – identificati dal codice di autorizzazione “6P” – potranno beneficiare della riduzione contributiva se in possesso dei requisiti previsti.
L’attribuzione del beneficio avverrà in via automatica tramite l’assegnazione del codice di autorizzazione “2Q”, che assume il nuovo significato:“Riduzione aliquota contributo ordinario FIS/Fondo di solidarietà bilaterale Bolzano-Alto Adige/Fondo attività professionali – Decreti interministeriali 21 luglio 2022, 22 agosto 2023 e 21 maggio 2024”.
La procedura centralizzata INPS provvederà a:
- verificare i requisiti di ammissione alla riduzione;
- attribuire o revocare il codice “2Q” in caso di perdita delle condizioni;
- adeguare, dal mese di competenza gennaio 2026, la procedura di calcolo contributivo ai nuovi parametri.
È importante ricordare che, anche in presenza del codice “2Q”, la riduzione non si applica automaticamente se l’azienda risulta con una media superiore a cinque dipendenti nel semestre di riferimento.
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Permessi elettorali : regole, assenze, diritti e doveri
In vista delle nuove giornale di elezioni in varie regioni Italiane ricordiamo che nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente, è prevista una specifica disciplina di gestione delle assenze per attività elettorali.
I lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato che vengono chiamati ad assumere ruoli nei seggi elettorali sono assistititi dalla legge sia per quanto attiene a
- diritti collegati all'assenza dal lavoro, e
- recupero della giornata di riposo spettante per aver lavorato al seggio.
In sostanza i giorni lavorativi passati alle urne sono considerati giorni lavorati agli effetti del cedolino paga, come se il lavoratore avesse normalmente prestato la sua attività lavorativa in azienda.
Diversamente, i giorni festivi e quelli non lavorativi (in caso di settimana corta) sono recuperati con una giornata di riposo compensativo o compensati con quote giornaliere di retribuzione in aggiunta alla retribuzione normalmente percepita.
La disciplina che regola i permessi spettanti ai lavoratori subordinati chiamati a presenziare i seggi elettorali scaturisce dal combinato disposto di due norme:
- art. 119, DPR n. 361/1957 come sostituito dall’articolo 11 della legge n. 53/1990, e
- art. 1, legge n. 69/1992 .
I permessi elettorali debbono essere concessi ai lavoratori pubblici e privati (sia con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che determinato) chiamati ad assumere ruoli nei seggi elettorali qualora ricoprano le seguenti figure:
• presidente di seggio;
• segretario;
• scrutatore;
• rappresentante di lista, di gruppo, di partiti;
• componente dei Comitati promotori in caso di referendum.Vediamo nello specifico adempimenti diritti e doveri dei datori di lavoro e dei dipendenti.
Permessi elettorali: gli adempimenti del datore di lavoro
Il datore di lavoro è tenuto a retribuire i giorni di assenza e garantire le giornate di riposo compensativo in maniera differente in base all'orario di lavoro normalmente svolto. Vediamo nella seguente tabella riepilogativa:
Orario di lavoro
dal lunedì al sabato
Pagamento delle due giornate di assenza come avesse lavorato (il sabato e il lunedì);una giornata di riposo compensativo per il mancato riposo della sola giornata della domenica ovvero, in alternativa in accordo con il lavoratore, un compenso pari ad una quota giornaliera di retribuzione in aggiunta alla retribuzione normalmente percepita.Orario di lavoro
dal lunedì al venerdì
Pagamento della giornata di assenza come avesse lavorato (il lunedì);
- Le giornate da recuperare con riposo compensativo, per essere stato al seggio nelle giornate di sabato, domenica e lunedì, sono due, al fine di recuperare il sabato e la domenica.
Giova ricordare forse che la normativa di riferimento non detta le modalità di scelta tra riposo compensativo e retribuzione e non definisce neppure eventuali maggiorazioni da corrispondere per i giorni festivi trascorsi al seggio.
Si può ritenere dunque che spetti al lavoratore rifiutare o accettare l’eventuale riposo compensativo da fruire entro un arco temporale possibilmente ristretto, in quanto lo stesso ha natura compensativa del mancato riposo settimanale.
Permessi elettorali diritti e doveri del lavoratori
I lavoratori dipendenti chiamati ad operare presso i seggi elettorali hanno diritto :
- ad assentarsi dal lavoro per tutto il periodo in cui sono tenuti a presenziare alle operazioni elettorali, previa richiesta scritta al datore di lavoro.
- al pagamento di specifiche quote retributive, in aggiunta alla ordinaria retribuzione mensile, ovvero a riposi compensativi, per i giorni festivi o non lavorativi eventualmente compresi nel periodo di svolgimento delle operazioni elettorali, oltre al compenso erogato dallo Stato.
In assenza di una regolamentazione contrattuale, il lavoratore chiamato a svolgere funzioni al seggio, è tenuto ad osservare una serie di adempimenti dovuti sulla base dei principi di correttezza e buona fede insiti nel rapporto di lavoro:
- preavvertire tempestivamente il proprio datore di lavoro, con richiesta come da fac-simile indicato in seguito, dell’ assenza dal lavoro, consegnando eventuale copia della convocazione a lui recapitata dal competente ufficio elettorale, cui seguirà certificazione presidente del seggio;
- ultimate le operazioni di voto, consegnare al datore di lavoro copia della documentazione attestante l’indicazione dei giorni e delle ore occupate nella funzione svolta presso il seggio elettorale rilasciata dal presidente del seggio.
La documentazione da produrre al rientro in azienda tuttavia, può differire a seconda che il lavoratore abbia assunto il ruolo di scrutatore, segretario, presidente o rappresentante di lista.
I permessi richiesti per motivi elettorali concessi per tutto il tempo necessario all’adempimento delle funzioni presso gli uffici elettorali (politiche, amministrative, europee, referendum nazionali e regionali) sono considerati dalla legge, a tutti gli effetti, giorni lavorativi e per questo motivo al datore di lavoro non è consentito richiedere prestazioni lavorative nei giorni coincidenti con quelli richiesti per le operazioni elettorali, anche se eventuali esigenze di servizio dovessero collocarsi in orario diverso da quello di impegno ai seggi.
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Somministrazione di lavoro: il limite dei 24 mesi è complessivo
Con la sentenza n. 29577 del 7 novembre 2025 (udienza del 24 settembre 2025), la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – è tornata a pronunciarsi sulla durata massima dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato e sulle conseguenze derivanti dal superamento del limite dei 24 mesi previsto dal D.Lgs. 81/2015, come modificato dal D.L. 87/2018 (convertito nella legge n. 96/2018).
La decisione si inserisce in un contesto di crescente attenzione giurisprudenziale verso l’uso reiterato della somministrazione a termine e mira a chiarire gli effetti di un impiego prolungato dello stesso lavoratore presso la medesima azienda utilizzatrice.
La Suprema Corte ha confermato l’orientamento volto a considerare il limite temporale dei 24 mesi non solo come vincolo riferito al rapporto tra agenzia e lavoratore, ma anche quale limite complessivo all’utilizzo dello stesso lavoratore da parte dell’impresa utilizzatrice.
In caso di violazione, la sanzione è la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore, in linea con i principi di tutela del lavoro e di conformità alla Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale.
Il caso
Un lavoratore aveva prestato attività presso una società del settore metalmeccanico attraverso 47 contratti di somministrazione a termine stipulati con un’agenzia interinale, per un periodo complessivo di oltre 37 mesi.
A seguito della cessazione del rapporto, egli aveva impugnato i contratti sostenendo che fosse stato superato il limite massimo di durata previsto dalla normativa e chiedendo il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente con l’impresa utilizzatrice.
La Corte d’Appello di Brescia aveva accolto la domanda, dichiarando costituito il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il lavoratore e la società utilizzatrice, con inquadramento nel secondo livello del CCNL Metalmeccanici Industria e decorrenza dal 28 gennaio 2019.
La Corte territoriale aveva ritenuto illegittima la reiterazione dei contratti di somministrazione oltre il tetto di 24 mesi, richiamando gli articoli 31 e 38 del D.Lgs. 81/2015 e ritenendo irrilevante la distinzione tra le diverse causali apposte ai contratti.
L’impresa aveva impugnato la sentenza davanti alla Cassazione sostenendo, tra gli altri motivi, che:
- il limite di 24 mesi non si applicasse al rapporto commerciale tra agenzia e utilizzatore, ma solo a quello tra agenzia e lavoratore;
- l’eventuale superamento del termine potesse determinare al più la costituzione di un rapporto stabile con l’agenzia di somministrazione;
- la normativa di riferimento non prevedesse, fino al D.L. 104/2020 (convertito nella legge n. 126/2020), alcuna sanzione di “conversione” del rapporto in capo all’utilizzatore.
Le decisioni di merito e della Cassazione
Come anticipato sopra, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello.
La Suprema Corte ha chiarito che il limite massimo di 24 mesi per la durata complessiva delle missioni di somministrazione a termine dello stesso lavoratore si applica anche al rapporto commerciale tra agenzia e impresa, in virtù del collegamento negoziale che caratterizza la fattispecie della somministrazione di lavoro.
Secondo i giudici di legittimità, la violazione del limite temporale configura un caso di somministrazione irregolare ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 81/2015, con conseguente diritto del lavoratore a chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente con l’utilizzatore.
La Cassazione ha affermato che la nullità del contratto di somministrazione si estende a tutti i rapporti collegati, determinando una “duplice conversione”: sul piano soggettivo (rapporto con l’utilizzatore) e oggettivo (trasformazione a tempo indeterminato).
Nel formulare il proprio principio di diritto, la Corte ha precisato che:
“La reiterazione di missioni a termine dello stesso lavoratore in somministrazione presso il medesimo utilizzatore e per lo svolgimento sempre delle stesse mansioni è soggetta, nel vigore del D.Lgs. 81/2015 come modificato dal D.L. 87/2018, al limite temporale complessivo di 24 mesi, il cui superamento determina la nullità dei contratti e legittima il lavoratore a chiedere, anche solo nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.”
La Cassazione ha così ribadito la necessità di garantire la temporaneità effettiva delle missioni di lavoro somministrato, evitando abusi nella reiterazione dei contratti e assicurando la coerenza della disciplina nazionale con i principi dell’Unione europea