• Lavoro Dipendente

    Detassazione delle mance 2023: chiarimenti sull’imposta sostitutiva al 5%

    Con Circolare n 26 del 29 agosto le Entrate forniscono chiarimenti sulla tassazione delle mance percepite dal personale impiegato nelle strutture ricettive e negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

    È stata la Legge di Bilancio 2023 pubblicata in GU n 303 del 29.12.2022 a prevedere novità per questi lavoratori del settore turismo come camerieri, receptionist, barman.

    Sinteticamente, è stato stabilito che:

    • le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità, anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, 
    • costituiscono redditi di lavoro dipendente
    • e sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali pari al 5% (salvo rinuncia da parte del lavoratore), 
    • entro il limite del 25% del reddito percepito nell’anno (max 50.000 euro) per le relative prestazioni di lavoro. 

    Per i codici tributo per il versamento dell'imposta leggi: Imposta sostitutiva mance: codici tributo per percettore e sostituto.

    Detassazione delle mance 2023: i chiarimenti delle Entrate

    Tra i chiarimenti della circolare in oggetto, vi è la determinazione del requisito reddituale.

    L’Agenzia ritiene che, ai fini del calcolo del limite reddituale, debbano essere inclusi tutti i redditi di lavoro dipendente conseguiti dal lavoratore, compresi quelli derivanti da attività lavorativa diversa da quella svolta nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione.

    Inoltre, viene chiarito che il limite massimo reddituale di 50.000 euro è riferito al periodo d’imposta precedente a quello di percezione delle mance da assoggettare a imposta sostitutiva.
    Le entrate rinviano poi ai chiarimenti, per quanto compatibili, pubblicati con la Circolare n. 28/2016 per il limite reddituale.

    In merito alla soglia del 25%, le Entrate precisano che la base di calcolo cui riferirsi è costituita dalla somma di tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno per le prestazioni di lavoro rese nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione, comprese le mance, anche se derivanti da rapporti di lavoro intercorsi con datori diversi.

    Inoltre, essendo il limite annuale del 25% del reddito percepito nell’anno una franchigia, in caso di suo superamento, solo la parte eccedente il limite deve essere assoggettata a tassazione ordinaria.

    Ricordiamo nel dettaglio cosa ha previsto la legge di bilancio 2023 sulla tassazione delle mance.

    Detassazione delle mance 2023: cosa prevede la legge di bilancio

    Con i commi da 58 a 62 si qualifica come redditi da lavoro dipendente le somme destinate dai clienti a titolo di liberalità (ossia le cosiddette mance) nei settori della ristorazione e dell’attività ricettive, sottoponendole a un’imposta sostituiva dell’Irpef e delle relative addizionali territoriali con aliquota del 5%, individuandone inoltre il regime giuridico e l’ambito applicativo. 

    Innanzitutto, si individua come costituenti reddito da lavoro dipendente le somme destinate dai clienti ai lavoratori delle strutture ricettive e delle imprese di somministrazione di cibi e bevande a titolo di liberalità (di cui all’articolo 5 della legge 25 agosto 1991 n. 287), anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, riversate ai lavoratori di cui al comma 62. 

    Si sottolinea che il regime di tassazione sostitutiva è applicabile: 

    • entro il limite del 25 per cento del reddito percepito nell’anno precedente, per le relative prestazioni di lavoro; 
    • ai lavoratori del settore privato titolari di reddito da lavoro dipendente, non superiore nell’anno precedente a 50.000 euro (comma 62); 
    • salvo espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro. 

    Ne consegue che il regime di tassazione separata è il regime naturale di tassazione delle cosiddette mance, alle condizioni sopra indicate, essendo possibile l’applicazione dell’ordinario regime di tassazione solo in caso di rinuncia scritta del lavoratore a tale regime di favore. 

    Si ricorda che con la sentenza 26512 del 1 ottobre 2021, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, aveva classificato come reddito da lavoro dipendente quanto percepito, a titolo di liberalità, dal dipendente, in quanto ritenuto nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito, fissata dall’articolo 51, primo comma, del TUIR, assoggettandolo conseguentemente a tassazione secondo le ordinarie aliquote IRPEF. 

    Tali somme sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e non sono computate ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.  

    I redditi soggetti a tassazione separata sopra descritti sono comunque computati ai fini della determinazione del reddito da prendere in considerazione per il riconoscimento della spettanza o per la determinazione di deduzioni, detrazioni o benefìci di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria.

    Viene disposto che l’imposta sostitutiva sia applicata dal sostituto d’imposta.

    Detassazione delle mance: un esempio

    Si riporta l'esempio della Circolare n 26/2023

    Si supponga che un lavoratore, in possesso dei requisiti soggettivi sopra individuati, abbia conseguito:

    • nel 2022 redditi di lavoro dipendente (anche in settori diversi da quello turistico-alberghiero e della ristorazione) per un importo complessivo non superiore a euro 50.000;
    • nel 2023 un reddito di lavoro dipendente maturato nel settore turistico pari a euro 45.000, di cui euro 15.000 per mance, e un reddito di lavoro dipendente relativo a un settore diverso da quello turistico-alberghiero e della ristorazione pari a euro 10.000.

    In applicazione della norma in commento:

    • euro 11.250 sono tassati con imposta sostitutiva nella misura del 5 per cento (euro 45.000 x 0,25 = euro 11.250);
    • euro 3.750 sono assoggettati alle ordinarie disposizioni fiscali (euro 15.000 – euro 11.250 = euro 3.750).

    Si precisa che il reddito di riferimento dell’anno 2023 nel caso sopra descritto, che rileva per l’applicazione della norma nell’anno 2024, è pari a euro 55.000, ossia la somma di tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno 2023, ivi incluse le mance tassate con imposta sostitutiva.

    Ne consegue che, sempre con riferimento all’esempio sopra riportato, il lavoratore non potrà beneficiare dell’agevolazione in esame nell’anno 2024, avendo superato nell’anno d’imposta precedente, vale a dire il 2023, il limite reddituale normativamente previsto (euro 50.000).

    Allegati:
  • Lavoro Dipendente

    Agenzie interinali: proroghe oltre il limite se si prova la temporaneità

    I contratti i lavoro interinale a tempo determinato possono essere reiterati solo per esigenze  temporanee, anche oltre il termine di 36 mesi  . La specificazione ( non del tutto chiarificatrice) arriva dalla Cassazione   con la sentenza 23445 del 2023 . Vediamo di seguito e i dettagli del caso analizzato nella nuova pronuncia 

    Il caso riguardava una lavoratrice  che aveva chiesto al tribunale la conversione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato  con la ditta utilizzatrice a seguito di 4 contratti a termine in somministrazione, con le stesse mansioni e senza soluzione di continuità,  con superamento del limite di 36 mesi  stipulati  tramite una  agenzia interinale  multinazionale

    Il ricorso veniva  accolto dal Tribunale ma  respinto dalla Corte d'appello  che  riteneva anche non vi fosse motivo di rimettere la questione alla Corte costituzionale ovvero  alla Corte di Giustizia UE, chiesto dalla ricorrente, in quanto esistono già nel nostro ordinamento strumenti adeguati per sanzionare il ricorso abusivo all’istituto della somministrazione da parte dell’utilizzatore 

    La corte territoriale osservava in fatti che sulla base della legge vigente all'epoca dlgs 276 2003  il superamento del limite temporale non significava automaticamente mancanza di temporaneità dell' impiego. Concludeva quindi che  nessuna conversione del rapporto poteva essere disposta nei confronti della ditta utilizzatrice ne dell'agenzia 

    La lavoratrice fa appello in cassazione denunciando in particolare il fatto che  sia stato posto a suo carico l’onere della prova circa la sussistenza delle ragioni legittimanti il ricorso alla somministrazione anziché del datore di lavoro. 

    Veniva chiesto inoltre di  sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea,  la seguente questione pregiudiziale in ordine all’interpretazione dell’art. 5.5 Direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale: 

    Se l’art. 5.5 della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/104/CE debba essere  interpretato nel senso che osti all’applicazione del D.Lgs. 276/2003, come modificato dal D.L. 34/2014, che:

     a) non prevede limiti alle missioni successive del medesimo lavoratore  presso la stessa impresa utilizzatrice; 

    b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; 

    c)non prevede il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa  utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro”.

    Su questo la cassazione osserva che la  Corte di Giustizia UE si è nel frattempo già  espressa  con sentenza del data 14 ottobre 2020, JH c. KG, C681/2018. Su queste basi la Cassazione ribadisce che 

    malgrado  la direttiva  non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale  " tale requisito è da considerare come implicito ed immanente del

    lavoro tramite agenzia interinale, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione.(..) E’ compito  dunque del giudice di merito stabilire caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi  temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c.c. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva, da cui discende,  secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti".

    La Cassazione evidenzia che nel caso in esame lo scrutinio pur compiuto dalla Corte territoriale sullo stesso tema è risultato parziale e comunque non conforme ai  principi di diritto: la Corte di appello infatti si è limitata   ad escludere un ricorso abusivo dell’istituto della somministrazione pur avendo  accertato che le missioni corrispondenti ai tre contratti di somministrazione a termine, sempre per la medesima unica lavoratrice e per identiche mansioni specifiche, inquadrate ogni volta nel medesimo livello contrattuale, si erano succedute presso la stessa utilizzatrice senza “interruzioni tra una missione e l’altra”, per un tempo complessivo di oltre quattro anni (senza determinare  precisamente tuttavia il  numero complessivo di giorni), in ogni caso superiore senz’altro, e non di poco, al tempo complessivo di 36 mesi".

    Si sottolinea  quindi come invece  incombeva sul giudice di merito stabilire se " la reiterazione delle missioni della lavoratrice, senza soluzione di continuità,  presso l’impresa utilizzatrice avesse oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea". 

    Gli ermellini richiedono quindi di valutare la temporaneità di una mansione lavorativa anche al di la della durata che superi il limite stabilito per legge . Non si specificano però i principi su cui basare tale giudizio.

     Il ricorso è  accolto con rinvio per un nuovo giudizio.

  • Lavoro Dipendente

    Lavoro part time: ok al corso di formazione oltre l’orario

    La corte di Cassazione ha affermato nella sentenza 20259 del  14 luglio  2023 che anche il dipendente in orario part time ha l'obbligo di frequenza dei corsi sulla sicurezza pena il licenziamento.  Nell'orario di lavoro infatti vanno conteggiate le ore di possibile  lavoro supplementare previste dal contratto applicato. Di seguito vediamo in dettaglio il caso e le motivazioni  dell'interpretazione ampia  della Suprema Corte sulla normativa applicabile

    Licenziamento per mancata formazione del dipendente con contratto a tempo parziale 

    un dipendente a tempo parziale di s.p.a. è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo motivato con la impossibilità per la società datrice di  lavoro avvalersi della  sua prestazione in quanto  il dipendente aveva rifiutato di  completare il corso di formazione sulla sicurezza di lavoro  . Si trattava di 4 ore residue  per le quali il lavoratore aveva rifiutato  per sei volte di completare la partecipazione al corso  anche in orari concordati tra le parti . Il suo ricorso contro  il licenziamento in cui adduceva la motivazione ritorsiva da parte delle società,   veniva accolto dal tribunale e respinto invece dalla Corte  di appello la quale ha ritenuto che il lavoratore fosse tenuto all'effettuazione della formazione nell'orario a tal fine stabilito dalla società, come prestazione di lavoro  straordinario, esigibile dalla società.

    Il dipendente ha quindi chiesto la cassazione della sentenza sostenendo che la normativa  prescrive che la formazione deve avvenire durante l'orario di lavoro, oltre  che senza oneri economici a carico dei lavorator  ,e  implica, in ipotesi di lavoro a tempo parziale, la necessità dell'espletamento dei corsi di formazione in orario corrispondente  all'orario contrattuale , il quale nello specifico prevedeva  una prestazione  di 20 ore settimanali su cinque giorni alla settimana, dalle ore 6.00 alle ore 10, in  modo fisso e senza clausole di flessibilità. Il ricorso specificava che il d. Igs. n. 81/2015,  consente il potere datoriale di variazione dell'orario solo con le modalità e alle condizioni previste dalla  contrattazione collettiva (d. Igs. n. 61/2000) e regola con rigore anche il ricorso al lavoro supplementare

    Il ricorso affermava  inoltre che costituiva onere della società dimostrare sia la impossibilità di effettuazione dei corsi di formazione in orario corrispondente all'orario  di lavoro del dipendente, sia la «intollerabilità» per la società del periodo di. assenza, inferiore all'anno dal rientro, determinato dalla mancata ammissione al lavoro   per non avere il dipendente completato il prescritto iter formativo, sia la concreta  rilevanza di tale assenza, a fronte di una società con migliaia di lavoratori, rispetto alle mansioni semplici  di pulitore quale era il ricorrente.

    Orario supplementare nel contratto part time: la decisione della Cassazione 

     La Cassazione nella sentenza precisa che  il licenziamento è legittimo in quanto è preponderante   l'obbligo per il soggetto datore di. assicurare ai dipendenti una adeguata formazione in materia di tutela della salute e sicurezza, è previsto dal  d. Igs. 81/2008, di attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123. In particolare , il comma 12  stabilisce che "La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività' del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori".

    Per quanto riguarda il  lavoratore a tempo parziale la norma chiede di verificare se la formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro debba necessariamente essere impartita in orario 

    corrispondente a quello concordato tra le parti in sede di contratto o anche u, successivamente, o, invece, ed in che limiti, possa avvenire in orario non coincidente  con la normale articolazione oraria della prestazione.

    Il collegio ha ritenuto che il  dato testuale dell'art. 37, comma 12, d. Igs. n. 81/2008,  si limita a stabilire che la formazione debba avvenire "durante l'orario di lavoro", senza ulteriori  specificazioni .

    Facendo  riferimento all'art. 1, comma 2 I. n. 66/2003 , gli ermellini affermano che  l'orario di lavoro è "qualsiasi periodo in cui il  lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni" e che si puo trattare anch di attività prestata in orario eccedente a quello ordinario o  "normale",  fermo restando l'applicazione delle prescritte   maggiorazioni della retribuzione 

    La Cassazione aggiunge inoltre  una considerazione di ordine generale che   scaturisce dalla rilevanza, anche  costituzionale,  della ratio di tutela del bene "sicurezza" e del bene "salute" sui luoghi di lavoro del d. Igs. n. 81/2015. La necessità per il dipendente un'adeguata formazione è indispensabile a prevenire rischi per la sicurezza e la salute non solo del singolo ma  della intera comunità dei lavoratori nonché dei terzi che vengano in contatto con  l'ambiente di lavoro per cui  la pretesa del ricorrente è giudicata meno rilevante e sarebbe irragionevole una lettura rigida della normativa quale quella presentata dal lavoratore.

    Necessario  quindi intendere l' espressione "orario di lavoro", come  comprensiva anche dell'orario relativo a prestazioni esigibili :

    • al di fuori dell'orario di  lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno, e
    • al di fuori  di quello concordato, (ovvero il lavoro supplementare) per i lavoratori a tempo parziale.

    Va quindi verificato il  limite di esigibilità della prestazione di lavoro in orario  diverso da quello concordato con il dipendente a tempo parziale,  che la  disciplina nel DLgs. 81/2015,  art. 6 comma 2 p statuisce in  misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali 

    Nel caso di specie le 4 ore richieste  rispetto alle 20 ore settimanali del contratto  sarebbero  perfettamente rientrate nel limite del 25% .

    Per questi motivi la Suprema corte conferma la sentenza di merito sulla legittimità del licenziamento intervenuto.

  • Lavoro Dipendente

    Taglio cuneo da luglio 2023: tredicesima esclusa dall’aumento

    Con il messaggio 1932 del 24 maggio Inps fornisce tutte le istruzioni operative per l'applicazione dell'esonero contributivo parziale in vigore da luglio a dicembre 2023, previsto dal Decreto lavoro  48 2023

    AGGIORNAMENTO 4 .7.2023

    (Il decreto è stato  convertito in legge e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 luglio 2023 legge 85 2023 QUI IL TESTO COORDINATO non si sono modifiche su questa materia.)

     L'aspetto principale messo in luce dall'Istituto , che deriva dalla formulazione letterale della norma,    è l'esclusione della tredicesima dall'aumento della percentuale di taglio contributivo, rispetto a quella già in vigore nella prima parte del 2023, per effetto della legge di bilancio.

    Vediamo piu in dettaglio la previsione, le modalità di applicazione in busta paga e le indicazioni per i flussi Uniemens.

    Riduzione  contributiva  luglio  dicembre 2023 

     Si ricorda che l'articolo 39, comma 1, del decreto-legge n. 48/2023 prevede:  

    • per i periodi di paga  dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023, 
    • l’aumento dell'esonero contributivo della legge di Bilancio 2023 (fissato al 2 % per i redditi  entro i 35mila euro e al 3% per i redditi fino a 25 mila euro)  
    • di 4 punti percentuali, 
    • senza ulteriori effetti sul rateo di tredicesima.

    Cio significa che lo sgravio si applica 

    –    nella misura di 6 punti percentuali sulla  retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non eccedente l'importo mensile di 2.692 euro;

    –    nella misura di 7 punti percentuali,  sulla retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non eccedente  l'importo mensile di 1.923 euro.

    Taglio cuneo contributivo  su tredicesima mensilità o rateo 

     Lo sgravio sulla tredicesima mensilità, erogata a dicembre 2023, quindi  si applica: 

    –    nella misura di 2 punti percentuali, a condizione che la tredicesima mensilità non ecceda l'importo di 2.692 euro;

    –    nella misura di 3 punti percentuali, a condizione che la tredicesima mensilità non ecceda l'importo di 1.923 euro.

    In caso di erogazione frazionata   in ratei mensili, l' applicazione avviene: 

    –    nella misura di 2 punti percentuali, se il rateo mensile di tredicesima non eccede 224 euro (pari all’importo di 2.692 euro/12);

    –    nella misura di 3 punti percentuali,  se il rateo mensile di tredicesima non eccede 160 euro (pari all’importo di 1.923 euro/12).

    L'istituto sottolinea anche che  in caso di  cessazione/inizio/sospensione del rapporto di lavoro in corso d’anno, il massimale dei ratei di tredicesima deve essere riparametrato,  moltiplicando l’importo di 

    • 224 euro (per l’applicazione della riduzione del 2%) o
    • 160 euro (per l’applicazione della riduzione del 3 %)

     per il numero di mensilità maturate.

    Taglio cuneo: istruzioni operative flusso Uniemens

    L'istituto richiama e istruzioni fornite con il messaggio n. 3499/2022 e con la circolare n. 7/2023  e precisa che le procedure informatiche saranno adeguate 

     a partire dalla mensilità di competenza di luglio 2023 fino a quella di dicembre 2023, continuano a trovare applicazione i codici di recupero già previsti 

    per l'  esonero in misura del 6%:   nell’elemento <CodiceCausale> dovrà essere inserito il valore “L094”, 

    per l' esonero in misura del 7%:  nell’elemento <CodiceCausale> dovrà essere inserito il valore “L098”.

    Taglio cuneo: istruzioni operative datori di lavoro agricoli 

    Considerato che il calcolo della contribuzione dovuta nel settore dell’agricoltura viene effettuato dall’Istituto attraverso il servizio di tariffazione, per l’esposizione dei dati dell’esonero in oggetto si utilizzeranno, le stesse modalità descritte nella circolare n. 43/2022 (valorizzazione dei codici 7, 8 e 9 nell’elemento <TipoRetribParticolare>).

  • Lavoro Dipendente

    Infarto per eccesso di lavoro: basta il nesso causale per il risarcimento

    Per il risarcimento del danno biologico  al dipendente che ha lavorato  con ritmi e turni  intollerabili è sufficiente provare il nesso causale tra le condizioni di lavoro e l'evento traumatico . Ciò ribalta sul  datore di lavoro  l'onere di provare di aver adottato tutte le misure possibili per salvaguardare la salute del lavoratore.

    Questa in sintesi la conclusione  esposta  nell'ordinanza n. 6008  2023 della  Corte di Cassazione. 

    Vediamo maggiori dettagli sul  caso in questione sulle motivazioni   e sui precedenti della giurisprudenza di legittimità

    Il caso del dirigente medico  con  ritmi eccessivi di lavoro 

    A.A., dirigente medico di primo livello ì, che subiva un infarto del miocardio dopo anni di turni e rimi di lavoro insostenibili , aveva citato in giudizio la  ASL datrice di lavoro per chiedere il  risarcimento del danno biologico  conseguente all'evento,  che considerava causato dal sottodimensionamento dell'organico  aziendale. Aveva ottenuto già l''equo indennizzo per cause di servizio in sede amministrativa 

    La sua domanda veniva respinta sia  il Tribunale di Lanciano, in funzione di giudice del lavoro, che dalla corte di appello de L'Aquila , i quali escludevano   la responsabilità dell'ASL  tenuto conto  che  questa  non aveva il potere di aumentare l'organico e di assumere altri ortopedici, nè di rifiutare  ricoveri e prestazioni ai pazienti.

    La corte d'appello  in particolare  rimarcava che il ricorso del lavoratore era mancante dell'indicazione di "ben   determinate norme di sicurezza", 

    Nel ricorso del medico si affermava  invece che  per  l'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno,  il lavoratore deve provare solo che le prestazioni di lavoro siano state rese in condizioni nocive ed evento, mentre spetta al datore di lavoro  provare di  avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.

    Risarcimento del danno, onere della prova e accertamenti medico legali

    La Cassazione, come detto,  concorda  con il rilievo del ricorrente e   cassa la sentenza,  rinviando per un nuovo giudizio . 

    Sottolinea infatti che :

    • non spetta al lavoratore  individuare la violazione di una specifica norma  prevenzionistica (Cass. 25 luglio 2022, n. 23187), 
    • la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, "è in sè un inesatto adempimento all'obbligo di sicurezza,che non necessita di altre specificazioni,  pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche" (Cass. n. 34968-  2022).
    • Il tema della mancanza di autonomia della ASL nella decisione di   assumere altro personale medico non è rilevante   in merito al mancato  assolvimento degli  oneri di allegazione e di prova  Si tratta, infatti, di  una circostanza che potrebbe  considerarsi  "diversa causa che rendeva l'accaduto a sè non imputabile", ovverosia  di un aspetto che ricade nell'ambito dell'onere della prova liberatoria   sul datore di lavoro .

    Infine viene stigmatizzata anche l'affermazione della decisone di appello secondo cui l'appellante avrebbe dovuto " allegare e provare , quali concreti svantaggi, privazioni ed ostacoli sono derivati dalla menomazione denunciata" e che a tale carenza non "sembra potersi supplire attraverso  un accertamento medico-legale.

    Al contrario la corte di legittimità afferma che  "è evidente che il nesso causale rilevante ai fini del riconoscimento dell'equo  indennizzo per la causa di servizio è identico a quello da provare ai fini della condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, quando si faccia riferimento alla medesima prestazione lavorativa

    e al medesimo evento dannoso (v. Cass. nn. 34968-2022 e 23187-2022). Il fatto che sia stata  riconosciuta in sede amministrativa la causa di servizio ai fini dell'equo indennizzo e che sia stata  prodotta in giudizio la relativa documentazione, se non vale come prova legale (vincolante per il  giudice) del nesso causale, ben potrebbe essere prudentemente apprezzata, come prova sufficiente di quel nesso, in mancanza di elementi istruttori di segno contrario  (Cass. n. 23187-2022)."

  • Lavoro Dipendente

    Occupazione in crescita ad aprile 2023: disoccupati al 7,8%

    Sono stati diffusi negli ultimi giorni i dati relativi al recetne andamento del mercato del lavoro: si tratta de

     i dati Istat di aprile 2023  e  del

    l Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro  del Ministero del lavoro che descrive le dinamiche del mercato del lavoro dipendente e parasubordinato nel 2022. Qui il testo .

     Di seguito una sintesi degli aspetti principali dei due documenti.

    Dati ISTAT occupazione aprile 2023

    La crescita dell’economia italiana  degli ultimi mesi , oltre le aspettative,   ha effetto  positivo anche sul mercato del lavoro:  secondo gli ultimi  dati ISTAT  la disoccupazione è scesa ad Aprile al 7,8%.

    Rispetto allo scorso anno sono 390mila le persone che hanno trovato lavoro, 48mila ad aprile in più rispetto al mese di  marzo  2023.

    Il tasso di occupazione nazionale sale quindi al 61%  e il numero totale di  persone che lavorano si porta a 23 milioni e  446mila 

    Interessante notare che tra le  tipologie di contratto  aumentano  ancora  quelli a tempo indeterminato e il lavoro autonomo, calano invece i contratti a termine.

     La categoria con la migliore performance è finalmente quella femminile con 50mila donne  occupate in piu rispetto al  mese  precedente,  a fronte del calo di 4 mila occupati di sesso maschile. Rispetto al 2022 l'aumento di donne occupate è pari a 217mila unità

    Sempre ad aprile diminuiscono le persone che cercano lavoro e scende anche il tasso di inattività.(al 33,7%)

    Dati occupazione 2022 Ministero del Lavoro

    Si segnala anche la pubblicazione della   relazione  annuale del Ministero del lavoro  sulle comunicazioni  obbligatorie relative ai contratti di lavoro attivi nel 2022.

    In sintesi: 

    ATTIVAZIONI E CESSAZIONI 

    • Sono stati attivati 12.573.000 rapporti di lavoro, in aumento del 10,9%. La crescita annua, seppure significativa, risulta in calo rispetto al valore registrato l’anno precedente (+17,7%).
    • Sono cessati 12.159.000 rapporti di lavoro, in aumento del 14,4%. L’incremento annuo è superiore rispetto all’anno precedente (+13,6%).•
    • I 12.573.000 rapporti di lavoro attivati hanno coinvolto 7.076.000 lavoratori, con un numero medio di contratti attivati pro capite pari a 1,78.
    • Le trasformazioni di rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato sono state 716.000 oltrepassando il numero di trasformazioni annue nel periodo pre-pandemia, in aumento del +34,8% rispetto all’anno precedente.
    • L’82,5% delle cessazioni dei rapporti di lavoro ha interessato contratti con durata inferiore a un anno.
    • Sono aumentate rispetto all’anno precedente le attivazioni a Tempo Indeterminato (+12,0%), con Apprendistato (+11,2%) e quelle a Tempo Determinato (+9,6%).
    • Sono aumentate rispetto all’anno precedente le attivazioni nel settore alberghiero e della ristorazione (+24,4%), Altri servizi pubblici, sociali e personali (+18,4%) e il settore Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese (+12,3%).
    • La quota maggiore di lavoratori cessati ricade nella classe 35-54 anni, costituita da 2.795.000 individui (41,0% del totale), mentre la classe dei giovani fino a 24 anni corrisponde alla fascia d’età meno numerosa (15,8% del totale).•

    DISTRIBUZIONE 

    Dal punto di vista delle distribuzione territoriale : a  fronte di 12.573.000 di attivazioni nazionali, il 42,7% è nelle regioni del Nord, il 32,4% è nelle regioni del Mezzogiorno ed il 24,8% è nelle regioni del Centro.

    SOMMINISTRAZIONE : 

    Sono stati attivati 1.488.000 rapporti di lavoro in somministrazione con una crescita tendenziale del +11,1%.

  • Lavoro Dipendente

    Repechage: obbligo ampliato ai posti liberi in futuro

     Con la sentenza 12132/2023 la  Cassazione   ha ampliato l'ambito di applicabilità dell'obbligo di repechage   da rispettare prima del licenziamento di un lavoratore per giustificato motivo oggettivo,  anche a possibili posizioni  lavorative libere "nel futuro prossimo" . 

    Prima di analizzare la sentenza  rivediamo in generale in cosa consiste il repechage.

    Secondo quanto detto dalla giurisprudenza di legittimità il licenziamento individuale per giustificato  motivo oggettivo, (art. 3 della L. 604/1966) ovvero per motivo economico e di organizzazione produttiva ,  è determinato dalla necessità di procedere alla  soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, ma per essere considerato legittimo  deve essere provato il datore ha l'onere di provare  che il lavoratore non poteva essere   utilizzato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in  relazione al concreto contenuto professionale dell'attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito (ex plurimis, Cass., n. 10554/2003).

    Inoltre in relazione al concreto contenuto professionale  dell'attività cui il lavoratore  era precedentemente adibito, la giurisprudenza della Corte ha  precisato che il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi,  la impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse  ma equivalenti da quelle che prima  svolgeva (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5893/1999; 12367/2003).

    Possono considerarsi equivalenti a quelle espletate le mansioni  oggettivamente comprese nella stessa area professionale e salariale e che si  armonizzano con la professionalità già acquisita dai lavoratore nei corso del rapporto, sì da  impedirne la dequalificazione (cfr, ex plurimis, Cass., n. 7370/1990).

    La Cass. civ., n. 6441 del 1988, aveva ritenuto che, ai sensi dell’art. 2103 c.c., la modifica in peius delle mansioni de lavoratore è illegittima, salvo che sia stata disposta

    con il consenso del dipendente e per evitare il licenziamento o la messa in cassa integrazione del  lavoratore stesso, la cui diversa utilizzazione non contrasta, in tal caso, con l'esigenza di dignità e  libertà della persona.  Da rilevare anche che è stato ritenuto che non costituisce violazione dell’art. 2103 c.c., un  accordo sindacale che, in alternativa al licenziamento per ristrutturazione aziendale, preveda  l'attribuzione di mansioni diverse e di una diversa categoria con conseguente orario di lavoro più 

    lungo (Cass., n. 9386/1993).

    Nella sentenza n. 13379 del 26 maggio 2017 la Cassazione ha ribadito che nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale; "il datore di lavoro ha l'onere di verificare la presenza di mansioni anche inferiori da assegnare al dipendente in esubero . In particolare nel caso  sia presumibile una sua disponibilità al loro svolgimento"

    Nel caso di specie  un lavoratore accanto alle mansioni prevalenti, aveva negli anni  svolto una volta la settimana mansioni   promiscue inferiori.

    Repéchage e posizioni disponibili nel futuro prossimo 

    La recente Cassazione riprende  e amplia  un orientamento molto risalente   affermando che sulla base del principio di correttezza e buona fede obbligatori nel rapporto di lavoro  la situazione aziendale al momento del licenziamento non     non è il solo ambito in cui valutare le disponibilità di mansioni affidabili al dipendente ma vanno considerati anche posti che si renderanno disponibili   in un arco temporale del tutto prossimo» 

     Era già stato  affermato che " se nel breve periodo successivo si addivenga a nuove assunzioni, per ritenere raggiunta la prova della  inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, il cui onere grava sul datore di lavoro, è necessario che questi indichi le mansioni affidate ai nuovi assunti, specificando le ragioni per cui esse non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato " (cfr, ex plurimis, Cass., nn.12548/1997; 12367/2003)

    Nel caso analizzato dalla cassazione   al momento del licenziamento   del ricorrente erano infatti   state rassegnate le dimissioni da due lavoratori che erano nel periodo di preavviso.   Questo depone quindi per un possibile ricollocamento del lavoratore e  per  la conseguente   illegittimità del licenziamento.

    L'applicazione risulta molto estensiva  anche sulla base del fatto  che la Corte non ha preso in considerazione il fatto che non  sono state registrate in realta assunzioni successive al licenziamento del lavoratore, elemento su cui si erano basate le decisioni avverse delle corti di merito.