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Concordato preventivo biennale: l’F24 di società e associazioni
Con Risoluzione n. 50/E del 17 ottobre 2024 sono stati istituiti i codici tributo per il versamento, tramite modello F24, dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali nonché dell’imposta regionale sulle attività produttive per i soggetti che aderiscono al regime di ravvedimento di cui all’articolo 2-quater del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2024, n. 143.
Con la Risoluzione n 1/2025 si forniscono indicazioni sulle modalità di compilazione del modello F24 nel caso in cui il ravvedimento si riferisca a società o associazioni di cui all’articolo 5 e agli articoli 115 e 116 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
Concordato preventivo biennale: l’F24 di società e associazioni
Ricordiamo che il Provvedimento ADE n. 403886 del 4 novembre 2024 ha stabilito le modalità e i termini di comunicazione delle opzioni per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del CPB.
In particolare, il paragrafo 3.2, ha previsto che “Per le società e associazioni di cui all’articolo 5 ovvero le società di cui agli articoli 115 e 116 del “Tuir” l’opzione di cui al precedente punto 3.1 è esercitata con la presentazione di tutti i “modelli F24” di versamento, relativi alla prima o unica rata:
- dell’imposta sostitutiva dell’imposta regionale sulle attività produttive da parte della società o associazione;
- delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e delle relative addizionali da parte dei soci o associati”
In relazione al versamento dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali da parte dei soci o associati, per la quota di rispettiva competenza, in sede di compilazione del modello F24:
- nella sezione “Contribuente” sono riportati, negli appositi campi, il codice fiscale e i dati anagrafici del socio o associato;
- il campo “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare” è valorizzato con il codice fiscale della società o associazione unitamente al codice “73” da riportare nel campo “codice identificativo”, come di seguito ridenominato. “73” – “Contribuente – Società”.
Restano validi i versamenti effettuati senza l'indicazione del codice fiscale della società o associazione nel predetto campo “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare” e del codice identificativo “73”
L’articolo 7, comma 1, lett. a-bis), del decreto-legge 19 ottobre 2024, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 189, intervenendo sul comma 8 dell’articolo 2-quater del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113, ha previsto che con riguardo ai redditi prodotti in forma associata dai soggetti di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, imputati ai singoli soci o associati, ovvero in caso di redditi prodotti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del suddetto testo unico, imputati ai singoli soci ai sensi degli articoli 115 e 116 del medesimo testo unico, il versamento
dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali può essere eseguito dalla società o associazione in luogo dei singoli soci o associati.
In proposito, per il versamento eseguito dalla società o associazione, in sede di compilazione del modello F24, occorre indicare il codice tributo “4075”, indipendentemente dalla compagine sociale.
Il versamento dovrà riferirsi all’intero ammontare dell’imposta dovuta relativo alla società o associazione, anche se effettuato in forma rateale. Il versamento dell’imposta sostitutiva dell’IRAP è eseguito dalla società o associazione con il codice tributo “4076”.
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Assenza di inventario: legittimo l’accertamento induttivo
Con l'Ordinanza n. 25744 del 26 settembre 2024 la Cassazione ha evidenziato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’inventario non indichi e valorizzi le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, si ostacola l’analisi contabile del Fisco e da ciò deriva l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. e il ricorso alle presunzioni supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Vediamo il caso di specie.Assenza di inventario: legittimo l’accertamento induttivo
Con atto di accertamento l'Agenzia delle Entrate accertava nei confronti di una Srl, ai fini Ires maggiori ricavi e minori costi indebitamente dedotti con un reddito imponibile di Euro 110.335,00 in luogo del reddito dichiarato; ai fini Irap, previa rettifica del valore della produzione, una maggiore imposta; ai fini Iva, previa rettifica del volume di affari, una maggiore imposta.
L'Agenzia delle Entrate applicava le sanzioni per irregolare tenuta della contabilità nonché per la presentazione di dichiarazione infedele ai fini Ires, Irap e Iva.
La società impugnava l'atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale contestando gli addebiti circa la regolare tenuta della contabilità, l'emissione di fatture senza corrispettivo, l'accertamento induttivo dei ricavi e le modalità di calcolo applicate dall'Agenzia delle Entrate.
La CTP accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando illegittimo l'accertamento relativamente alla ripresa a tassazione dei costi dichiarati indeducibili e rigettava nel resto confermando l'accertamento impugnato.
La Srl impugnava la sentenza innanzi alla CTR che respingeva l'impugnazione e condannava la società contribuente alle spese di giudizio. Avverso a tale pronuncia della CTR la Srl, ha proposto ricorso per Cassazione con due motivi.
Con il primo motivo di ricorso la Srl deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 39 e 41-bis del D.P.R. 29-09-1973, n. 600 in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
In particolare, la parte ricorrente critica la sentenza impugnata perché sarebbe affetta da errore di diritto per avere il giudice di appello ritenuto sussistenti i presupposti per l'accertamento induttivo dei ricavi in ragione della totale inaffidabilità delle c.d. liste inventariali, anche se le stesse non erano obbligatorie per l'impresa e anche se gli errori e le omissioni della contabilità dovevano ritenersi scusabili e nei limiti della tollerabilità.
La Cassazione evidenzia che il motivo è inammissibile nella parte in cui sollecita la Corte a una nuova valutazione del materiale istruttorio, già condotta dalla sentenza impugnata in modo coerente ed intellegibile, ed è comunque infondato nella misura in cui non si ravvisano errori di diritto nel ragionamento svolto dal giudice di merito.
La sentenza rileva come l'accertamento abbia evidenziato una serie di fatture prive degli importi ricevuti per le prestazioni effettuate e come tale anomalia sia in grado, unitamente all'assenza di liste inventariali necessarie per gli eventuali riscontri, a far concludere per la inaffidabilità della contabilità e per la sussistenza del presupposto dell'accertamento induttivo.
La motivazione circa le evidenze probatorie è esente da vizi e trova fondamento nei principi di diritto più volte affermati dalla Cassazione nella specifica materia: si consideri, infatti, che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15 , comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 , si determina un ostacolo nell'analisi contabile del fisco sicché ne discendono l'incompletezza e l'inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l'accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo D.P.R. e il ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto – già in sede di accesso, ispezione o verifica – l'onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice di merito, ferma la legittimità del metodo dell'accertamento, di valutarne l'attendibilità" (Cass. 17-06-2021, n. 17244)
Più recentemente e circa i presupposti per l'accertamento induttivo, la Cassazione ha richiamato il principio secondo il quale: "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 39 , comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, ma anche quello per procedere con l'accertamento induttivo "puro", fondato su presunzioni cd. supersemplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l'Amministrazione, può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l'utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva" (Cass. 13-06-2024, n. 16528).
La Cassazione ha aggiunto che il ragionamento condotto nell'atto di accertamento, e convalidato nella sentenza di merito, è conforme al principio enunciato da questa Corte, secondo il quale: "in tema di accertamento analitico induttivo ex art. 39 , comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973 , le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all'esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l'applicazione di percentuali diverse" (Cass. 29.12.2016, n. 27330).
Tale principio, applicabile, anche a condotte contabili del tutto anomale ed antieconomiche come quelle ravvisate nell'accertamento in questione, vale a privare di fondatezza la doglianza e a rendere del tutto condivisibile la conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata circa la plausibilità dell'accertamento in difetto di prove contrarie e convincenti offerte dal contribuente circa diverse e più regolari prassi contabili seguite dall'impresa negli anni immediatamente precedenti.
Con il secondo profilo di doglianza la società ricorrente critica la sentenza impugnata per aver ritenuto di "non accogliere la censura espressa in merito alla mancanza dei presupposti, ai fini applicativi, della ricostruzione dei ricavi" conducendo il ragionamento in base all'art. 39 del D.P.R. 600-1973 mentre la motivazione dell'avviso di accertamento non conteneva alcuna indicazione circa tale disposizione ma solo il riferimento all'art. 41-bis del D.P.R. 600-1973, sicché sarebbe fallace l'individuazione dei presupposti per l'accertamento induttivo.
La doglianza è infondata secondo il seguente principio: "l'accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dagli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n.633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicché il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva: ne deriva che non assume rilievo alcuno il fatto che nel relativo avviso ci si riferisca erroneamente al predetto art. 39 anziché all'art. 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. 04-04-2018, n. 8406).
Inoltre è dedotta dalla SRL l'illegittimità delle sanzioni irrogate con riferimento al principio del favor rei e al combinato disposto dell'art. 3, comma 3, D.Lgs. 18-12-1997, n. 472 e del D.Lgs. 24-09-2015, n. 158, con conseguente violazione dello jus superveniens in relazione all'art. 360 , primo comma, n. 3), cod. proc. civ.
La Cassazione ha accolto il rilievo e in applicazione del principio del trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato.
In conclusione, il ricorso va rigettato quanto al primo motivo e accolto quanto al secondo motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata quanto alla conferma della irrogazione delle sanzioni contenute nell'avviso, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, in diversa composizione, per le necessarie valutazioni di merito ai fini della determinazione delle sanzioni in conformità alla nuova cornice edittale prevista dalla normativa sopravvenuta.
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CPB tardivo: chiarimenti ADE per gli acconti
Con 4 faq datate 9 dicembre le Entrate forniscono risposte ai dubbi dell'ultimo momento sulla adesione tardiva al CPB Concordato preventivo biennale.
Relativamente alla adesione tardiva, che può avvenire a certe condizioni, entro il prossimo 12 dicembre, vediamo un chiarimento sul pagamento degli acconti di imposta.
Veniva domando quanto segue: "per i contribuenti ISA che aderiscono al CPB entro il 12 dicembre 2024, restano valide le regole ordinarie per il versamento degli acconti, comprensivi delle maggiorazioni, stabilite dal comma 2 dell’art. 20 del decreto CPB, in base al quale “le maggiorazioni di cui al comma, lettere a) e b), sono versate entro il termine previsto per il versamento della seconda o unica rata dell’acconto?".
L'Amministrazione conferma che, in via generale, restano applicabili le regole ordinarie stabilite dall’articolo 20, comma 2, del decreto Cpb, ma specifica che la violazione per l’omesso o tardivo versamento è ravvisabile se il pagamento avviene oltre il giorno di adesione all’accordo. Le violazioni, inoltre, possono essere sanate tramite ravvedimento operoso.
CPB tardivo: chiarimenti ADE per gli acconti con FAQ del 9.12
Le Entrate hanno chiarito che, anche per i contribuenti ISA che aderiscono al CPB entro il 12 dicembre 2024 e ai quali non si applica il differimento al 16 gennaio 2025 della seconda rata di acconto delle imposte dirette disposto con emendamento recentemente approvato in sede di conversione del decreto-legge 19 ottobre 2024, n. 185, restano applicabili le regole ordinarie per il versamento degli acconti stabilite dal comma 2 dell’articolo 20 del decreto CPB.
Tuttavia, considerato che la maggiorazione dell’acconto prevista dall’articolo 20, comma 2, richiede l’adesione al CPB, si ritiene che, ove alla data del 2 dicembre, non fosse stata ancora manifestata la predetta adesione, non sia ravvisabile alcuna violazione.
Di conseguenza, la violazione riferita al versamento della maggiorazione dell’acconto prevista dall’articolo 20, comma 2, è ravvisabile nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga oltre il giorno in cui viene manifestata l’adesione al CPB.
Resta inteso che il pagamento della seconda rata dell’acconto, da calcolare in base alle modalità ordinarie, deve essere avvenuto entro il 2 dicembre, salvo che non sia possibile fruire del ricordato differimento al prossimo 16 gennaio.
Va da sé, aggiunge l'Agenzia che, l’omesso o tardivo pagamento sia della seconda rata d’acconto che della maggiorazione prevista dal richiamato articolo 20, comma 2, del decreto CPB possono essere regolarizzati mediante il pagamento delle relative sanzioni (articolo 13 del decreto-legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) e interessi.
A tal riguardo, il contribuente può avvalersi del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto-legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Di seguito sono indicati i codici tributo per il versamento, tramite modello F24, della maggiorazione e degli eventuali interessi e sanzioni da ravvedimento come riportate nella FAQ n 4 ADE:
Fonte Agenzia delle entrate
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Lettere di compliance dell’Ade: con FAQ del 6.12 chiarito il perimetro
Le Entrate con una FAQ del 6 dicembre replicano ai contribuenti preoccupati per l'invio delle lettere di compliance inviate in questi giorni ad imprese e autonomi.
Lettere di compliance dell’Ade: nessun allarme
La FAQ replica ad alcuni contribuenti che hanno domandato spiegazioni sulla lettera ADE che evidenzia una possibile anomalia.
In particolare, si chiedeva: "Ho ricevuto la vostra comunicazione riguardante una possibile anomalia relativa al reddito che ho dichiarato. Dall'esame della mia dichiarazione, però, non ho riscontrato inesattezze. Cosa devo fare? Se invece ho riscontrato un'inesattezza nel reddito che ho dichiarato, che cosa devo fare?
Le Entrate hanno replicato che:
- nel primo caso "Non occorre fare nulla. La comunicazione ricevuta ha un valore puramente informativo, non anticipa un'attività di controllo e non richiede di attivarsi per fornire un riscontro all'Agenzia delle entrate. In un'ottica di trasparenza e per far conoscere gli strumenti introdotti dal Legislatore, l'Agenzia delle entrate condivide preventivamente i dati di cui dispone. L'intento dell'informativa è di richiamare l'attenzione sulla possibilità di verificare quanto dichiarato e consentire la correzione in autonomia di eventuali errori".
- nel secondo caso: "Nel caso in cui, dopo aver ricevuto la comunicazione, riscontra un'anomalia nella sua dichiarazione, il nostro sistema tributario mette a sua disposizione diverse possibilità, a cominciare dal ravvedimento operoso che, dopo la recente riforma del sistema sanzionatorio, consente di beneficiare di sanzioni più favorevoli rispetto al passato".
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Cassetto fiscale: nuove funzionalità dal 20.11 anche per i professionisti
Con il Provvedimento n. 419815 del 19.11 le Entrate pubblicano le regole per la consultazione dal 20 novembre all’interno del Cassetto fiscale degli avvisi bonari.
E' bene evidenziare che anche i professionisti delegati potranno accedere alle nuove funzionalità di pagamento diretto online degli avvisi bonari tramite il cassetto fiscale.
Leggi anche Cassetto fiscale: implementato dalla Riforma Fiscale
Cassetto fiscale: dal 20.11 disponibili le comunicazioni sui controlli
Il provvedimento, emanato ai sensi del comma 3 dell’articolo 23 del decreto legislativo 8 gennaio 2024, n. 1, disciplina l’attivazione delle funzionalità che permettono, al contribuente e al suo professionista di fiducia, di consultare e gestire, in un’unica sezione della propria area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate, le comunicazioni degli esiti dei controlli effettuati ai sensi degli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.633.
Attenzione al fatto che, le comunicazioni sono rese disponibili nella sezione “L’Agenzia scrive” del Cassetto fiscale; nella stessa area il contribuente può effettuare il pagamento delle somme dovute oppure richiedere assistenza.
Tali funzionalità arricchiscono il contenuto informativo del Cassetto fiscale, in conformità con quanto previsto dall’articolo 16, comma 1, lett. i) e l), della legge 9 agosto 2023, n. 111 e dall’articolo 23 del decreto legislativo 8 gennaio 2024, n. 1, al fine di favorire il corretto adempimento degli obblighi tributari e promuovere la compliance, tramite lo sviluppo di nuovi servizi web rivolti ai cittadini e l’ampliamento dei contenuti presenti all’interno del Cassetto fiscale.La disponibilità del documento è comunicata mediante notifica nell’area riservata e, se il destinatario è una persona fisica, anche mediante un messaggio trasmesso tramite il punto di accesso telematico attivato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 64-bis del DLgs. 82/2005 (app IO).
La comunicazione è messa a disposizione dopo la sua consegna: se non è visualizzata, è consultabile previo inserimento dei relativi dati identificativi della stessa.
Infine, dal provvedimento si intuisce che sarà possibile solo il pagamento in unica soluzione: per la gestione di eventuali rateazioni (fino a 20 rate trimestrali ai sensi del Dpr 462/97) si dovrà seguire il percorso tradizionale.
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Pec non presente nei pubblici registri: è valida la notifica
Con l'Ordinanza n 26682 del 14 ottobre la Cassazione ha specificato che è valida ed efficace, la notifica della cartella di pagamento effettuata a mezzo Pec da un indirizzo non contenuto nei pubblici registri, quando è certa la riconducibilità dell'atto all'ente incaricato della riscossione di quanto dovuto dal contribuente.
Vediamo il caso di specie.
Pec non presente nei pubblici registri: è valida la notifica
L'Agenzia delle Entrate Riscossione notificava una cartella di pagamento ad una società srl per la riscossione di IVA ed IRES per l'anno d'imposta 2005.
La società contribuente impugnava la cartella di pagamento suddetta dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale sostenendo di esserne venuta a conoscenza soltanto a seguito della notifica dell'atto di pignoramento presso terzi
La C.T.P. adìta rigettava il ricorso.
Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l'appello, annullando la cartella di pagamento impugnata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'Agenzia delle Entrate Riscossione, sulla base di un unico motivo.
Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate Riscossione eccepisce violazione e falsa applicazione dell'art. 26
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell'art. 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, in relazione all'art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
L'ente della riscossione deduce che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto priva di effetti giuridici la notificazione della cartella di pagamento impugnata, in quanto effettuata a mezzo posta elettronica certificata (p.e.c.) da un indirizzo non contenuto nei pubblici registri, in quanto era certa la riconducibilità dell'atto all'ente medesimo, e la necessaria iscrizione nei pubblici registri era da riferirsi unicamente alla casella p.e.c. del destinatario.
La Cassazione con sentenza del 18 maggio 2022, n. 15979, hanno statuito che, in tema di notificazione a mezzo p.e.c., la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all'oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all'art. 3-bis, comma 1, della legge n. 53/1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati.
Inoltre ha statuito che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l'Indice idi cui all'art. 6-ter D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l'individuazione dell'indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente.
Nel caso di specie, è pacifico il raggiungimento dello scopo della notifica, cioè l'avvenuta conoscenza da parte della società della cartella di pagamento impugnata e la sua riferibilità all'ente della riscossione, in quanto:
- a) l'indirizzo della casella p.e.c. di provenienza faceva chiaramente riferimento all'Agenzia delle Entrate Riscossione, in quanto contenente il dominio pec.agenziariscossione.gov.it;
- b) la casella di destinazione era attiva, in quanto trattavasi di indirizzo risultante dall'indice INI-PEC, e presso di esso è stato ritualmente notificato il successivo atto di pignoramento presso terzi.
Ne consegue, pertanto, che la notifica effettuata per il tramite di un indirizzo p.e.c. non presente nei pubblici registri non ha prodotto alcuna lesione al diritto di difesa del destinatario, risultando così validamente perfezionata.
Consegue l'accoglimento del ricorso e la sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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Prezzo di cessione immobili < del mutuo: valido l'accertamento
Con l'Ordinanza n. 25854/2024 la Cassazione ha sancito che l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente senza che ciò comporti alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova.
La documentazione bancaria acquisita e la perizia di stima redatta per l’erogazione del prestito costituiscono un quadro indiziario idoneo a legittimare l’accertamento induttivo
Vediamo i fatti di causa.
Cessione immobili con prezzo di vendita < del mutuo: valido l'accertamento
L’Agenzia delle entrate inviava un atto di accertamento ad una società immobiliare recuperando a tassazione maggiori ricavi non dichiarati irrogando le relative sanzioni.
L’Agenzia contestava alla società che in relazione all’anno 2005 e per alcune cessioni immobiliari erano indicati dei prezzi di vendita che, a seguito di attività investigativa bancaria, si erano rivelati inferiori all’importo dei mutui accesi dagli acquirenti e alle perizie redatte per l’accensione degli stessi.
L'immobiliare impugnava l’atto impositivo presso la CTP, ricorso che veniva respinto.
La Commissione tributaria regionale accoglieva invece l’impugnazione e l’Agenzia delle entrate ricorreva in Cassazione contro la pronuncia di merito.
In Cassazione l'agenzia deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 39 e 41-bis del Dpr n. 600/1973 e dell’articolo 54 del Dpr n. 633/1972 in quanto a suo avviso, la sentenza del giudice tributario regionale non aveva valutato adeguatamente gli elementi presuntivi offerti in ordine all’inattendibilità del prezzo indicato nelle compravendite e, soprattutto, aveva svalutato la circostanza che i mutui accesi dagli acquirenti riguardavano somme superiori al prezzo in questione.
Inoltre l’Amministrazione finanziaria deduceva la violazione e la falsa applicazione delle norme sudette nonché degli articoli 115 del codice di procedura civile e 2697 del codice civile, in quanto la sentenza è censurata nella parte in cui considera fatto notorio la circostanza che gli acquirenti abbiano ottenuto perizie sovrastimate per conseguire somme maggiori a titolo di mutuo.
La Suprema corte in riferimento alle compravendite e agli immobili ha statuito che è stata acquisita:
- adeguata documentazione bancaria,
- la perizia di stima redatta ai fini della erogazione del mutuo
ed entrambi questi documenti recano un valore superiore a quello dichiarato negli atti di trasferimento.
Tali elementi corroborano secondo la Suprema Corte un quadro indiziario caratterizzato da gravità, precisione e concordanza che è idoneo a giustificare l’accertamento dell’Ufficio ai sensi dell’articolo 39 comma 1 lettera d) del Dpr n. 600/1973.
E' stato questo, specifica la Cassazione, l’indirizzo costante sostenuto dai giudici di legittimità e, per tale ragione, la sentenza impugnata ha errato laddove non ha tenuto conto degli elementi della fattispecie emersi dagli atti.
La corte sostiene che in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente e ciò non comporta alcuna violazione in materia di onere della prova.
Le presunzioni di cui all’articolo 2729 cc non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Spetta ai giudici di legittimità stabilire se la norma, oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta.
La Suprema corte ha ritenuto che la sentenza impugnata ha violato i principi di diritto costantemente affermati dai giudici di legittimità in materia di fatto notorio.
È stata, difatti, attribuita tale natura al “dato di comune esperienza che vengano effettuate perizie che sovrastimano l’immobile per consentire la stipulazione di contratti di mutuo di maggiore importo”.
Per tutto quanto premesso, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso cassando la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente e affermando il seguente principio di diritto:
- il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonché quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie.