-
Distacchi personale: cosa cambia dal 1° gennaio per l’IVA
Cambiano le regole Iva per i prestiti e i distacchi di personale a seguito della conversione in legge del decreto “Salva infrazioni” (Dl n. 131/2024).
Dal 1° gennaio, l’articolo 16-ter ha abrogato la disposizione sull’irrilevanza impositiva dei trasferimenti temporanei secondo cui “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo” (articolo 8, comma 35, legge n. 67/1988).
Pertanto a partire da tale data, i contratti che regolano il prestito e il distacco di dipendenti tra aziende saranno soggetti a Iva.
La norma recita testualmente: Il comma 35 dell’articolo 8 della legge 11 marzo 1988, n. 67, è abrogato. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025; sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente a tale data in conformità alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’11 marzo 2020, nella causa C-94/19, o in conformità all’articolo 8, comma 35, della legge n. 67 del 1988, per i i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi
Distacchi personale: cosa cambia dal 1° gennaio per l’IVA
Fino al 31 dicembre 2024 era prevista l’irrilevanza ai fini Iva delle somme percepite per i prestiti e i distacchi di personale a condizione che fossero commisurate al solo rimborso del relativo costo. In caso fosse previsto un corrispettivo superiore a tale costo la norma prescriveva l'imponibilità IVA.
Il Dl “Salva infrazioni” rende l’Italia in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia Ue, abrogando la norma che prevedeva l’irrilevanza impositiva dell’addebito del puro costo nel caso di distacchi del personale.
In pratica, le imprese dovranno considerare l’Iva anche nei casi di distacco al mero costo.
Secondo l'articolo 30 del Dlgs n. 276/2003, il distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
In tali casi, il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo del dipendente.
Relativamente al trattamento fiscale l'art. 8, comma 35, della Legge n. 67 del 1988 ha previsto che "non sono da intendere rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo".
L'orientamento dell'Ue ha chiarito, invece, che il distacco di personale costituisce sempre una prestazione di servizi soggetta ad Iva, indipendentemente dall’importo del rimborso.
Conseguentemente i giudici comunitari hanno stabilito che l’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale che non ritiene rilevanti ai fini Iva i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.
A tal proposito appunto interviene la modifica effettuata dalla legge di conversione del decreto “Salva infrazioni”, volta per allineare la normativa interna alle disposizioni comunitarie.
I riflessi per le imprese che si avvalgono dei distacchi di personale riguarderanno:
- l’obbligo di fatturazione,
- la determinazione della base imponibile
- il diritto alla detrazione dell’Iva assolta per l’impresa che utilizza i dipendenti.
Leggi anche Distacco di personale con l’IVA dal 1.1.2025 con ulteriori approfondimenti.
-
Esenzione IVA terzo settore: slitta al 2026 col Milleproroghe
Dal 1° gennaio 2025 era prevista l'entrata in vigore delle novità contenute nel Dl n 146/2021 per gli enti associativi.
Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che attualmente beneficiano dell’esclusione dall'IVA verranno attratte nel campo di applicazione dell’imposta, ma per ora la decorrenza di tale norma è ulteriormente prorogata.Con il decreto Milleproroghe, pubblicato in GU n 302 del 27 dicembre si prevede, tra gli altri, anche lo slittamento di questo termine.
Già l'Esecutivo all'atto della approvazione del decreto specificava: "si proroga al 10 gennaio 2026 il termine a decorrere dal quale trova applicazione il nuovo regime di esenzione IVA per le operazioni realizzate dagli enti associativi di cui all’articolo 5, comma 15 -quater del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146."
Ricordiamo che tali enti, quando entrerà in vigore la norma ora prorogata, non dovranno sempre applicare l’IVA alle operazioni effettuate, infatti molte volte beneficiano della esenzione, però il venir meno del regime di “de-commercializzazione” IVA determinerà un aggravio di adempimenti a carico degli stessi in quanto le operazioni esenti, a differenza di quelle escluse, sono soggette a obblighi formali per l'IVA, vediamo maggiori dettagli.
Esenzione IVA terzo settore: slitta al 2026 col Milleproroghe
Dal 1° gennaio prossimo dovevano diventare efficaci le novità previste dal Dl n 146/2021 per gli enti associativi.
In particolare, tra le cessioni e prestazioni interessate dalle modifiche vi sono quelle effettuate dietro pagamento di specifici corrispettivi o contributi a favore di soci e tesserati, come da finalità istituzionali, da parte di associazioni politiche, sindacali, di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona.
Tutte queste operazioni sono fino al 31 dicembre 2024 escluse dall’IVA, per cui gli enti interessati non sono tenuti a documentarle e neppure a registrarle.
Dal 1° gennaio 2025 dovevano diventare rilevanti ai fini dell’imposta. Tale previsione normativa è prorogata con il Milleproroghe e in particolare, il comma 9, dell’articolo 3, di modifica del secondo periodo del comma 683 dell’articolo 1 della legge n. 234/2021, differisce al 1° gennaio 2026 il passaggio dal regime fuori campo IVA al regime di esenzione IVA per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni dagli enti associativi in conformità alle finalità istituzionali, dietro pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari, nei confronti dei propri soci, associati o partecipanti.
-
IVA mensile: scadenza entro il 16.12 con novità
Il 16 dicembre scade il termine per la liquidazione IVA relativa al mese di novembre, da parte dei soggetti cosiddetti mensili.
La scadenza quest'anno, a seguito della riforma fiscale, presenta una novità che riguarda il versamento degli importi inferiori alla soglia minima di 100 euro introdotta dal DLgs. Adempimenti.
Vediamo tutti i dettagli.
IVA mensile: scadenza entro il 16.12 con novità
Con l'art 9 del Dlgs Adempimenti (GU n 9 del 12 gennaio) si prevede di ampliare la soglia dei versamenti minimi dell'IVA e in particolare, tale soglia è innalzata a 100 euro.
Potrebbe interessarti anche: Modello Lipe: la nuova soglia dei 100 euro.
Nel dettaglio, si apportano modifiche all'articolo 1, comma 4, del DPR n. 100 del 1998:
- innalzando da 25,82 euro (le vecchie 50.000 lire della norma originaria) a 100 euro il limite previsto per effettuare il versamento IVA mensile nel caso di un importo dovuto inferiore alla predetta soglia, insieme a quello relativo al mese successivo;
- prevedendo che in ogni caso il versamento della somma vada effettuato entro il 16 dicembre dello stesso anno. Come specificava il dossier di commento al decreto, i versamenti relativi ai mesi da gennaio a novembre, in caso di liquidazione mensile, qualora di importo non superiore a 100 euro, sono comunque effettuati entro il 16 dicembre dello stesso anno.
In base all’art. 1 comma 4 del DPR n 100/98, se l’IVA a debito evidenziata nella liquidazione periodica non supera l’importo minimo previsto dalla legge, il versamento è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo.
Tuttavia, la norma è stata modificata appunto dall’art. 9 comma 1 del DLgs. n 1/2024.
Il DLgs. 1/2024 oltre ad aver innalzato a 100 euro la citata soglia minima, ha stabilito che il versamento dell’IVA periodica sotto tale importo è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo “e comunque entro il 16 dicembre dello stesso anno”.
L’IVA dovuta in base alla liquidazione del mese di novembre, anche se di importo inferiore al minimo, è effettuato comunque entro la scadenza del 16 dicembre successivo.
Ricordiamo infine che, entro il prossimo 27 dicembre c'è da versare anche l'acconto IVA e in proposito leggi: Acconto IVA 2024: in scadenza il 27 dicembre.
-
Non è reato il mancato versamento IVA per ft non incassate
La Cassazione nella sentenza n 41238/2024 statuisce che non commette reato l’imprenditore che non ha versato l’Iva perché non ha incassato fatture.
La Cassazione ha affermato questo importante principio che tiene conto non più della giurisprudenza consolidata ma trova riscontro nella Riforma Fiscale in atto e nella giurisprudenza minoritaria.
La Corte d’appello aveva dato seguito all’indirizzo della Cassazione per il quale l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta.
Ma ad oggi, anche alle luce delle recenti novità legislative previste dal Dlgs n 87/2024, occorre tenere conto di un altro indirizzo della stessa Cassazione che invita i giudici di merito a tenere conto delle argomentazioni difensive a spiegazione del mancato pagamento, tutte le volte che queste fossero in grado di dimostrare la grave e straordinaria crisi di liquidità dell’impresa. Vediamo il caso di specie.
Non è reato il mancato versamento IVA per ft non incassate
La Cassazione ha annullato la condanna emessa da una Corte d’appello di un imprenditore accusato di non avere versato l’Iva per l’anno d’imposta 2016.
La condanna era stata conseguenza anche del giudizio di irrilevanza, formulato dai giudici, sulla documentazione presentata dalla difesa sul mancato incasso dell’Iva risultante dalle fatture dell’anno di imposta contestato a causa dell’inadempimento di un numero considerevole di committenti.
Nel processo specifico, con sentenza del 2024, la Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, nel 2022, con la quale l'imprenditore era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all'art 10 ter del Dlgs n 74/2000 per l'anno di imposta 2016 nella qualità di rappresentante legale di una società.
Il soggetto ricorreva contro la sentenza adducendo un vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza del reato, con riferimento alla mancata risposta ai rilievi difensivi imperniati sul mancato incasso dell'IVA dichiarata, in conseguenza del mancato pagamento delle fatture emesse.
La Cassazione ha ritenuto il primo motivo di ricorso fondato, e con valenza assorbente delle altre censure prospettate.
La sentenza impugnata ha ritenuto del tutto irrilevanti le allegazioni difensive, poste in essere già in primo grado, concernenti il mancato incasso dell'IVA risultante dalle fatture dell'anno di imposta in contestazione, per via dell'inadempimento di un consistente numero di committenti; così come irrilevante è stata considerata la vendita di un bene immobile personale.
La Corte territoriale era pervenuta a tali conclusioni in espressa adesione all'indirizzo interpretativo della Cassazione secondo cui "in tema di reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all'obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell'elemento soggettivo"
Ad avviso della Cassazione però vi è la necessità di dar seguito ad una diversa opzione ermeneutica, che impone di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti che trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo.
Il recente D.Lgs. n. 87 del 14/06/2024, intervenendo sull' art. 13 D.Lgs. n. 74 del 2000 ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e ter del medesimo decreto, "se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi".
In tale ottica ricostruttiva, la Cassazione ritiene di dover osservare che il contribuente, già nel corso del primo grado di giudizio, aveva non solo documentato l'accettazione della propria proposta concordataria da parte dell'Agenzia delle Entrate (successivamente recepita nel decreto di omologazione del concordato preventivo emesso in data 06/10/2021 dal Tribunale di Napoli), ma aveva allegato circostanze di estremo rilievo ai fini che qui rilevano.
Da un lato era stato evidenziato il riepilogo delle fatture emesse e non pagate nell'anno di imposta 2016 (complessivo imponibile non pagato di Euro 570.112,07, IVA relativa pari a Euro 125.424,26) e, d'altro lato, il contenuto della relazione del commissario giudiziale nell'ambito della procedura di concordato preventivo, nella quale si individuano da un lato le cause della crisi:
- nel blocco dei pagamenti da parte della P.A.,
- nella crisi del mercato delle costruzioni
- e nel mancato recupero di ingenti crediti verso terzi
e si evidenziava che la Società aveva cercato di far fronte alla situazione riducendo i costi di produzione e provvedendo ad un aumento di capitale.
Alla luce di quanto detto le allegazioni difensive non potevano essere ignorate dai giudici di merito, nella valutazione della sussistenza della responsabilità penale del soggetto ricorrente, anche in considerazione della loro incidenza sul margine di superamento della soglia di punibilità di Euro 250.000 (essendo l'IVA non versata ammontante a Euro 315.120,367, così corretto l'erronea quantificazione contenuta nel capo di accusa, pari a Euro 367.517,24 cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Da ciò consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, restando assorbite le ulteriori censure difensive.
-
Insetticidi fitosanitari e aliquota IVA: chiarimenti ADE
Con Risposta a interpello n 22 del 7 novembre le Entrate chiariscono l'aliquota IVA dei prodotti contenenti feromoni finalizzati al monitoraggio e alla cattura di insetti infestanti.
Vediamo i chiarimenti.
Insetticidi fitosanitari: quale aliquota applicare
L'istante opera nell'ambito del settore della produzione e della vendita all'ingrosso di prodotti per la disinfestazione, commercializzando, tra l'altro, beni inquadrati come ''prodotti fitosanitari'', nonché prodotti contenenti feromoni, finalizzati al monitoraggio e alla cattura degli insetti infestanti, anche nel settore dell'agricoltura.
Alla luce delle disposizioni contenute nella Circolare del Ministero della Salute del 4 ottobre 1999, n. 14 e nel Regolamento (CE) n. 1107/2009, l'Istante chiede quale sia l'aliquota IVA applicabile alla vendita dei prodotti contenenti feromoni che commercializza, precisando che detti prodotti non sono soggetti ad autorizzazione da parte del Ministero della Salute, prevista dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194 per i prodotti fitosanitari.In particolare, chiede di sapere se il prodotto X debba essere considerato un prodotto fitosanitario, con conseguente applicazione dell'aliquota IVA ridotta del 10 per cento ai sensi del punto 110) della Tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 anche in assenza
dell'autorizzazione di immissione in commercio da parte del Ministero della Salute.
Al tal fine, il Contribuente ha presentato un parere di accertamento tecnico rilasciato dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, che ha classificato il prodotto in questione tra gli ''Insetticidi, rodenticidi, fungicidi, erbicidi, inibitori di germinazione e regolatori di crescita per piante, disinfettanti e prodotti simili presentati in forme o in imballaggi per la vendita al minuto oppure allo stato di preparazioni o in forma di oggetti quali nastri, stoppini e candele solforati e carte moschicide: altri insetticidi: altri altri '', di cui al codice NC 3808 91 90.L'Amministrazione evidenzia che il numero 110), Tabella A, parte III, allegata al Decreto IVA, prevede l'applicazione dell'aliquota IVA ridotta del 10% per la cessione dei prodotti fitosanitari.
Secondo l'ADE i prodotti in commento consentono di attirare l'infestante mediante l'erogazione di feromoni, per poi catturarlo ed ucciderlo (visto anche il parere tecnico di ADM); di conseguenza, pur non essendo soggetti all'autorizzazione ministeriale, i beni in commento possono essere considerati come "prodotto fitosanitario" e potranno beneficiare dell'aliquota IVA ridotta pari al 10%, in ragione della loro finalità di salvaguardia.L'agenzia ritiene che il rilascio dell'AIC non sia un requisito per qualificare ''fitosanitario'' un prodotto: rappresenta piuttosto un requisito imprescindibile per la sua commercializzazione e per il suo utilizzo nel territorio dello Stato, o in altro Stato membro.
Allegati:
In altri termini, se un prodotto presenta tutte le caratteristiche per essere definito ''fitosanitario'' ai sensi del citato articolo 2 del Regolamento n. 1107/2009 può essere immesso in commercio ed impiegato solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione ministeriale. -
IVA chirurgia estetica: imponibilità nella fattura dell’anestesista
Con la Risposta a interpello n 211 del 28 ottobre le Entrate si occupano di fornire chiarimenti sul regime IVA per la chirurgia estetica nelle prestazioni fatturate da anestesisti in caso di ricovero e cura presso case di cura non convenzionate, vediamoli.
IVA chirurgia estetica: imponibilità nella fatturazione dell’anestesista
L'istante è una società operante nel settore sanitario, non convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale.
In merito alle seguenti prestazioni:- a) prestazioni di medici anestesisti nell'ambito di interventi di chirurgia estetica, aventi sia finalità curative di malattie o problemi di salute, sia aventi finalità di mera estetica;
- b) affitto/messa a disposizione di sala operatoria per eseguire l'intervento di chirurgia estetica;
- c) messa a disposizione della camera nella fase postoperatoria;
- d) farmaci.
l'istante domanda quali sia il corretto trattamento IVA dopo le modifiche intervenute con l'art 18 del DL n 73/2022 convertito in Legge n 122/2022 che ha riformato l'art 10 comma 1 n 18) del decreto IVA.
La Società fa presente che la prestazione sanitaria è resa, nell'ambito della più complessa prestazione di ricovero e cura, presso la sua struttura, fatturando il servizio direttamente al paziente.
Analoga modalità di fatturazione è adottata dal professionista chirurgo e dal professionista anestesista o in sua vece dall'associazione medici anestesisti qualora esistente.
Le Entrate, dopo un ampio riepilogo normativo, evidenziano che le modifiche apportate dall'articolo 18 del Decreto Semplificazioni sono state oggetto di chiarimenti da parte dell'Agenzia nella circolare 7 luglio 2023, n. 20/E.
Per quanto riguarda le prestazioni di chirurgia estetica, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del DL di cui sopra, l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto, prevista dall'articolo 10, primo comma, numero 18), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si applica alle prestazioni sanitarie di chirurgia estetica rese alla persona volte a diagnosticare o curare malattie o problemi di salute ovvero a tutelare, mantenere o ristabilire la salute, anche psico fisica, solo a condizione che tali finalità terapeutiche risultino da apposita attestazione medica. (…)
Con riferimento ai servizi prestati da medici anestesisti, resi nell'ambito di interventi di chirurgia estetica, si ritiene applicabile il regime di esenzione di cui all'articolo 10, comma 1, n. 18), Decreto IVA.
Trattasi infatti di una prestazione comunque caratterizzata da una finalità terapeutica perché volta a tutelare, mantenere
e stabilizzare le condizioni vitali del paziente durante l'intervento, anche quando quest'ultimo avvenga per motivi puramente estetici.
Stesso trattamento deve ritenersi applicabile ai farmaci, utilizzati in sala operatoria in fase di intervento e fatturati unitamente all'affitto della sala operatoria, in quanto rientrano tra le prestazioni di cura. Si ricorda, in ogni caso, che la cessione degli stessi è comunque soggetta all'aliquota IVA del 10 per cento, in forza del n. 114) della più volte citata Tabella A, Parte III.
Allegati: -
L’IVA è detraibile anche quando il contratto è nullo
I profili civilistici e quelli fiscali, nel diritto italiano, come in quello unionale, spesso si intersecano ma poi seguono traiettorie divergenti.
Un interessante esempio può essere rappresentato dalla vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione in occasione della sentenza numero 16279 pubblicata il 12 giugno 2024.
Nel caso in esame la corte di legittimità prende in esame la detraibilità dell’IVA in relazione a una operazione di compravendita il cui contratto è risultato nullo dal punto di vista civilistico.
Nel caso specifico la nullità civilistica del contratto derivava da un conflitto di interessi del notaio rogante.
La Corte di Cassazione afferma che, anche nel caso in cui il contratto relativo alla cessione di un bene sia nullo in base al diritto civile, al cessionario, che è soggetto passivo, non può essere comunque negata la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Ciò poiché, da un punto di vista tributario, la nullità civilista non è sufficiente per delegittimare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Il fondamento di questa considerazione della Corte di Cassazione affonda le radici nel diritto unionale: la Corte di Giustizia UE, nella causa C-114/22 del 25 maggio 2023, ha infatti dichiarato illegittimo il divieto del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in conseguenza del fatto che l’operazione imponibile alla base risulti viziata da nullità.
Infatti, le motivazioni che possono legittimare la negazione alla detrazione dell’imposta sono ben diverse dalla nullità civilista dell’operazione imponibile, che non rileva da un punto di vista tributario; più precisamente la detrazione può essere negata, alternativamente:
- se non può essere fornita prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione (per cui la cessione o la prestazione può essere considerata fittizia);
- quando in relazione all’operazione sia stata individuata una situazione di abuso del diritto;
- nel caso in cui l’operazione tragga origine da un’evasione dell’imposta.
Il principio di diritto
Così, per puntualizzare tutto ciò, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 16279 del 12 giugno 2024, emana il seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta o da un abuso di diritto”.