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Incentivi 2025 per aggregazioni d’impresa: istruzioni INPS
Con il Messaggio INPS n. 3344 del 6 novembre 2025, l’Istituto ha fornito le indicazioni operative e contabili per l’applicazione dell’incentivo contributivo previsto dall’articolo 4-ter del decreto-legge 18 gennaio 2024, n. 4, convertito dalla legge 15 marzo 2024, n. 28.
La misura, in via sperimentale per gli anni 2024 e 2025, mira a favorire i processi di aggregazione aziendale e a tutelare l’occupazione mediante esoneri contributivi e programmi di formazione del personale.
Il beneficio è riservato alle nuove imprese costituite a seguito di fusioni, cessioni, conferimenti o acquisizioni di aziende o rami d’azienda che impieghino almeno 1.000 lavoratori.
La fruizione dell’esonero è subordinata alla stipula di un accordo in sede governativa, con la partecipazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
L’accordo deve contenere un progetto industriale e di politica attiva che illustri le azioni di formazione o riqualificazione dei lavoratori (almeno 200 ore complessive nel periodo di godimento del beneficio), nonché le strategie per la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Quadro normativo
Il beneficio consiste in un esonero del 100% dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro (esclusi premi INAIL), per un periodo massimo di 24 mesi e nel limite di 3.500 euro annui per ciascun lavoratore. L’agevolazione può essere prorogata per ulteriori 12 mesi, con tetto annuo pari a 2.000 euro per lavoratore.
Periodo di fruizione Percentuale esonero Massimale annuo Massimale mensile Primi 24 mesi 100% € 3.500 € 291,66 Ulteriori 12 mesi 100% € 2.000 € 166,66 L’esonero è concesso nei limiti delle risorse disponibili, previa verifica del Ministero del Lavoro. La decorrenza coincide con la data di trasferimento dei lavoratori individuata nell’accordo governativo. Le imprese beneficiarie ricevono dall’INPS un codice di autorizzazione “2L” (“Azienda autorizzata all’esonero di cui al DL 4/2024 art. 4-ter”).
L’INPS effettua verifiche annuali sui flussi Uniemens e comunica al Ministero del Lavoro l’ammontare degli esoneri effettivamente fruiti. L’agevolazione è compatibile con altri incentivi occupazionali previsti dalla normativa vigente, purché non venga superata la contribuzione datoriale dovuta. Tra gli obblighi a carico del datore di lavoro rientra la tutela del perimetro occupazionale per 48 mesi dalla data dell’operazione societaria.
In caso di licenziamenti non consentiti, è prevista una sanzione pari al doppio dell’esonero fruito per ciascun lavoratore interessato. Analogamente, la mancata attuazione dei programmi formativi comporta la revoca del beneficio e il recupero delle somme indebitamente fruite, con le sanzioni civili dell’art. 116, comma 8, lett. a), legge 388/2000.
Istruzioni Uniemens
Il Messaggio INPS n. 3344/2025 fornisce nel dettaglio le modalità per l’esposizione dell’incentivo nei flussi contributivi Uniemens, suddivise per tipologia di datore di lavoro.
Datori di lavoro privati – Sezione PosContributiva
Devono valorizzare in <InfoAggCausaliContrib> i seguenti elementi:
- <CodiceCausale>: IN24 (“Incentivo imprese nuova costituzione Art. 4-ter DL n. 4/2024”);
- <IdentMotivoUtilizzoCausale>: valore “N”;
- <AnnoMeseRif>: periodo del conguaglio;
- <ImportoAnnoMeseRif>: importo conguagliato.
I dati confluiscono nel DM2013 “virtuale” con i nuovi codici:
- L631 – Conguaglio incentivo imprese nuova costituzione;
- L632 – Arretrati incentivo imprese nuova costituzione.
I conguagli per periodi pregressi sono ammessi esclusivamente nei flussi di dicembre 2025, gennaio 2026 e febbraio 2026.
Gestione pubblica – Sezione ListaPosPA
Per il recupero degli sgravi:
<CodiceRecupero>: 71 (“Incentivi per i processi di aggregazione delle imprese e tutela occupazionale – Art. 4-ter DL 4/2024”);
<Importo>: importo dello sgravio.
Anche in questo caso, i recuperi pregressi sono ammessi nei flussi da dicembre 2025 a febbraio 2026.
Settore agricolo – Sezione PosAgri
I datori di lavoro agricoli devono utilizzare:
Codice 2L per i primi 24 mesi;
Codice 3L per il terzo anno;
Codice 4L per gli arretrati (competenza dicembre 2025).
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Addizionale Cassa integrazione: Inps chiarisce quando si applica la riduzione
Con un messaggio interno alle proprie sedi, il 4 novembre 2025, la Direzione Centrale Entrate dell’INPS ha fornito nuovi chiarimenti sull’applicazione dell’aliquota ridotta del contributo addizionale dovuto dalle aziende che ricorrono agli ammortizzatori sociali.
La comunicazione chiarisce un aspetto operativo rilevante per datori di lavoro e consulenti del lavoro: il diritto alla riduzione non si esaurisce con un solo periodo di fruizione della cassa integrazione, ma può estendersi anche a più periodi, purché nel limite delle settimane previste dalla norma.
L’INPS ribadisce che l’aliquota agevolata del 6% si applica per le prime 52 settimane e quella del 9% oltre le 52 e fino a 104 settimane, sempre nel quinquennio mobile.
Tale precisazione risponde alle richieste di chiarimento giunte dalle sedi territoriali e da numerosi datori di lavoro, in merito alla corretta applicazione della riduzione contributiva in caso di più interventi di integrazione salariale.
Quadro normativo – le aliquote applicabili
Il riferimento principale è l’articolo 1, comma 195, lettera b), della legge 234/2021, che ha introdotto il comma 1-ter all’articolo 5 del decreto legislativo 148/2015.
Dal 1° gennaio 2025, questa disposizione ha previsto una riduzione del contributo addizionale a carico delle aziende che presentano domanda di cassa integrazione ordinaria, straordinaria o in deroga, a condizione che non abbiano fruito di trattamenti di integrazione salariale per almeno 24 mesi consecutivi dal termine dell’ultimo periodo di fruizione. In sintesi, la norma stabilisce che:
Aliquota contributo addizionale Periodo di riferimento nel quinquennio mobile 6% Prime 52 settimane di CIG 9% Da 53 a 104 settimane di CIG L’introduzione di questa misura ha l’obiettivo di premiare le imprese che non ricorrono frequentemente agli ammortizzatori sociali, riconoscendo loro un alleggerimento contributivo nei primi periodi di utilizzo.
La circolare INPS n. 5/2025 aveva già fornito le prime istruzioni operative per la corretta applicazione delle nuove aliquote, ma il messaggio del 4 novembre interviene a chiarire alcune situazioni ricorrenti in cui l’interpretazione della norma risultava non uniforme.
Chiarimenti ed esempio pratico
L’INPS precisa che il diritto alla riduzione del contributo addizionale non è limitato a un singolo periodo di cassa integrazione. Se il datore di lavoro, nel corso di un quinquennio mobile, non ha ancora raggiunto il limite delle 52 settimane di CIG (per l’aliquota del 6%), può continuare a beneficiare della riduzione anche per un nuovo periodo di integrazione salariale, fino al raggiungimento di tale soglia.
Analogamente, l’aliquota del 9% può essere applicata fino a un massimo complessivo di 104 settimane nello stesso quinquennio mobile. Solo superata tale durata si torna alla misura ordinaria prevista dall’articolo 5, comma 1, del Dlgs 148/2015.
In pratica, la riduzione è legata al numero complessivo di settimane fruite, non al numero dei periodi di concessione. Pertanto, anche se un’azienda usufruisce di più periodi di CIG, purché nel limite delle settimane agevolate, mantiene il diritto all’aliquota ridotta.
L’istituto sottolinea inoltre che la verifica del requisito dei 24 mesi senza fruizione di ammortizzatori resta il presupposto fondamentale per accedere alla riduzione. Tale condizione deve essere controllata a partire dal giorno successivo al termine dell’ultimo trattamento di integrazione salariale fruito.
Esempio pratico
Un’azienda che ha fruito di 30 settimane di CIG nel 2025, con aliquota ridotta al 6%, potrà richiedere nel 2026 un ulteriore periodo di 20 settimane, continuando a beneficiare della stessa aliquota, in quanto non ha ancora raggiunto il limite di 52 settimane nel quinquennio.
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Occupazione: i dati ISTAT a settembre 2025
Secondo i dati provvisori diffusi dall’ISTAT il 30 ottobre 2025, nel mese di settembre si registra una crescita dell’occupazione pari allo 0,3% rispetto ad agosto, corrispondente a +67 mila unità.
Il numero complessivo degli occupati sale così a 24 milioni 221 mila persone, con un incremento che riguarda in particolare:
- le donne,
- i lavoratori dipendenti permanenti e
- le fasce d’età under 35 e over 50.
Restano invece sostanzialmente stabili gli uomini e i lavoratori autonomi, mentre si osserva un calo tra i 35-49enni e tra i dipendenti a termine (-1,2%).
Il tasso di occupazione raggiunge il 62,7% (+0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente), confermando una tendenza positiva anche nel confronto trimestrale: rispetto al secondo trimestre 2025, infatti, l’occupazione è aumentata dello 0,1% (+31 mila unità).
Su base annua, la crescita è più marcata: rispetto a settembre 2024, gli occupati aumentano dello 0,7% (+176 mila), grazie soprattutto alla stabilizzazione dei contratti e alla tenuta del lavoro autonomo.
L’incremento degli occupati permanenti (+417 mila unità) compensa ampiamente la riduzione dei contratti a termine (-317 mila).
Disoccupazione in lieve crescita: più uomini e giovani in cerca di lavoro
Parallelamente all’aumento degli occupati, l’ISTAT rileva anche una crescita del numero di persone in cerca di occupazione. I disoccupati salgono a 1 milione 582 mila, con un incremento del 2,0% (+31 mila unità) rispetto ad agosto. L’aumento interessa soprattutto gli uomini (+4,6%), i giovani tra 15 e 34 anni e le persone oltre i 50 anni, mentre cala la disoccupazione femminile (-0,9%) e quella nella fascia 35-49 anni (-3,0%).
Il tasso di disoccupazione complessivo si attesta al 6,1%, in lieve crescita di 0,1 punti, mentre il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) raggiunge il 20,6%, con un incremento di 0,9 punti percentuali.
Nel confronto trimestrale si osserva una riduzione delle persone in cerca di lavoro del 4,5% (-73 mila unità), mentre il confronto su base annua evidenzia un aumento più contenuto (+1,0%, pari a +16 mila unità).
L’analisi per età mostra che il tasso di occupazione scende leggermente tra i 35-49enni (-0,3%), mentre cresce nelle altre fasce. Gli under 25 segnano un miglioramento dell’1,8% su base mensile, pur mantenendo livelli di disoccupazione elevati. Anche gli over 50 proseguono nel trend di crescita (+0,2%), confermando la tenuta dell’occupazione matura.
Ta bella di riepilogo dei dati ISTAT SETTEMBRE 2025
Indicatore Valore Variazione mensile Variazione annua Occupati (migliaia) 24.221 +67 mila (+0,3%) +176 mila (+0,7%) Disoccupati (migliaia) 1.582 +31 mila (+2,0%) +16 mila (+1,0%) Inattivi 15-64 anni (migliaia) 12.289 -99 mila (-0,8%) -167 mila (-1,3%) Tasso di occupazione (15-64 anni) 62,7% +0,2 punti +0,3 punti Tasso di disoccupazione 6,1% +0,1 punti = Tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) 20,6% +0,9 punti +1,7 punti Tasso di inattività (15-64 anni) 33,1% -0,3 punti -0,3 punti Calano gli inattivi, segnale di maggiore partecipazione al mercato del lavoro
Il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni scende a 12 milioni 289 mila, con una diminuzione dello 0,8% (-99 mila unità) rispetto al mese precedente. La riduzione coinvolge entrambi i generi e quasi tutte le fasce d’età, tranne i 35-49enni, tra i quali si registra un lieve aumento.
Il tasso di inattività cala al 33,1% (-0,3 punti percentuali), proseguendo la discesa osservata negli ultimi mesi. Su base annua, la flessione è più marcata: -1,3% (-167 mila unità) rispetto a settembre 2024.
Complessivamente, i dati evidenziano una fase di consolidamento del mercato del lavoro italiano, sostenuta da una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro e da una riduzione della quota di inattivi. Tuttavia, permane un divario di genere e generazionale, con un tasso di occupazione femminile (54,1%) ancora inferiore di oltre 17 punti rispetto a quello maschile (71,3%), e una disoccupazione giovanile quattro volte superiore alla media nazionale.
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Esodo con isopensione: istruzioni INPS 2025 per il flusso Uniemens
Con il Messaggio INPS n. 3166 del 23 ottobre 2025, l’Istituto fornisce nuove precisazioni sulla compilazione del flusso Uniemens per i lavoratori in esodo ai sensi dell’articolo 4 della Legge n. 92/2012.
L’obiettivo è garantire una gestione corretta dei versamenti contributivi e delle informazioni previdenziali in presenza di retribuzioni imponibili eccedenti il massimale annuo previsto per il 2025.
La misura ricordiamo, riguarda i datori di lavoro con più di 15 dipendenti che hanno stipulato accordi sindacali per incentivare l’uscita anticipata dei lavoratori prossimi alla pensione.
Vengono inoltre richiamati i codici da utilizzare nel flusso e le modalità contabili da applicare per la contribuzione figurativa correlata.
Il quadro normativo
L’articolo 4, commi da 1 a 7-ter, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, consente di stipulare accordi aziendali per accompagnare alla pensione i lavoratori in esubero. Il datore di lavoro, aderendo alla misura, deve farsi carico della provvista finanziaria necessaria per: l’erogazione di una prestazione di importo pari al trattamento pensionistico teorico spettante; il versamento della contribuzione figurativa correlata, utile sia ai fini del diritto sia della misura della pensione. La retribuzione media mensile di riferimento per la contribuzione correlata è determinata secondo i criteri previsti per la NASpI (D.Lgs. n. 22/2015), considerando gli ultimi quattro anni di contribuzione. Per il 2025, il massimale annuo della base contributiva e pensionabile ai sensi dell’articolo 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 è pari a € 120.607,00 (circolare INPS n. 26/2025). Oltre tale limite non sussiste obbligo di versamento della contribuzione correlata a carico del datore di lavoro.
Riferimento normativo Descrizione Valore / Codice Legge n. 92/2012, art. 4, commi 1-7-ter Incentivo all’esodo lavoratori prossimi alla pensione Prestazione INPS finanziata dal datore Legge n. 335/1995, art. 2, c. 18 Massimale annuo base contributiva 2025 € 120.607,00 Codice Uniemens “M161” Contribuzione figurativa correlata Somma a debito DM2013 Codice Uniemens “V980” Quota eccedente massimale (senza contributo) Importo imponibile indicato in <ImponibileEccMass> Istruzioni operative per la compilazione
Nel flusso Uniemens, i datori di lavoro che attivano la procedura di esodo devono:
- valorizzare l’elemento con il valore “V” (“Lavoratori in esodo ex art. 4 L. 92/2012”);
- compilare e non valorizzare ; indicare in il codice corrispondente al fondo previdenziale di iscrizione;
- compilare e per la contribuzione figurativa correlata, secondo l’aliquota del fondo di appartenenza.
Per i lavoratori nuovi iscritti dal 1° gennaio 1996 o che hanno optato per il sistema contributivo, una volta superato il massimale:
- valorizzare = “Si”;
- indicare l’imponibile eccedente ;
- impostare = “zero”.
Il sistema genera automaticamente nel DM2013 virtuale il codice “V980”, senza contributo, poiché non dovute le contribuzioni minori.
Sul conto individuale dei lavoratori resta comunque garantita la copertura figurativa delle settimane di riferimento.
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Dimissioni genitori soggette a convalida: chiarimenti dal Ministero
Con la Nota n. 14744 del 13 ottobre 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito un importante chiarimento in materia di dimissioni volontarie dei genitori lavoratori, richiamando l’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico sulla tutela e il sostegno della maternità e della paternità). previsto per le lavoratrici in gravidanza e per i genitori fino al compimento del terzo anno di vita del figlio. Veniva richiesto se tale procedura debba essere applicata anche nel caso in cui la cessazione del rapporto avvenga durante il periodo di prova.
La precisazione si inserisce nel quadro delle tutele introdotte a seguito della riforma Fornero (legge n. 92/2012), che ha ampliato la portata della convalida e ne ha affermato la natura autonoma rispetto al divieto di licenziamento previsto dall’articolo 54 del medesimo decreto legislativo.
Il caso analizzato e il quadro normativo
La richiesta di chiarimento pervenuta al Ministero riguardava la necessità o meno di convalida, presso l'ispettorato, delle dimissioni rassegnate da un genitore lavoratore nel corso del periodo di prova.
Secondo la Direzione Generale dei rapporti di lavoro, dopo aver acquisito il parere dell’Ufficio legislativo, la risposta è positiva: anche in questa ipotesi, le dimissioni devono essere convalidate presso l’Ispettorato territoriale del lavoro o presso l’Ufficio ispettivo competente.
Il documento ministeriale ricorda in primo luogo che la convalida delle dimissioni rappresenta uno strumento di garanzia sostanziale per la libertà di scelta del lavoratore, in particolare per le madri in gravidanza o per i genitori nei primi tre anni di vita del figlio.
Di conseguenza, il datore di lavoro non potrà considerare valide le dimissioni presentate in forma ordinaria durante tale periodo protetto, ma dovrà verificare che esse siano state formalmente convalidate dall’Ispettorato. In assenza di convalida, la cessazione del rapporto è inefficace.
Il Ministero richiama anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., sentenza n. 23061/2007), secondo la quale eventuali dimissioni imposte o indotte dal datore di lavoro si configurano come licenziamento nullo per discriminazione, anche in periodo di prova.
Le motivazioni del Ministero
Il Ministero ha motivato tale interpretazione sulla base di due ordini di argomentazioni:
- letterale, poiché l’articolo 55, comma 4, del d.lgs. 151/2001 non contiene alcuna esclusione espressa relativa al periodo di prova, configurando la convalida come misura di carattere generale;
- teleologica, perché la ratio dell’istituto è quella di tutelare la genuinità della volontà del lavoratore o della lavoratrice in un momento di particolare vulnerabilità familiare.
La finalità di prevenire condotte discriminatorie, vessatorie o coercitive da parte del datore di lavoro – ad esempio nel caso in cui le dimissioni mascherino un licenziamento indotto – giustifica, secondo il Ministero, l’applicazione della convalida anche per dimissioni che intervengano durante il periodo di prova.
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Buoni pasto a 10 euro: nella manovra 2026 aumenta l’esenzione
Come preannunciato dalla presidente Meloni tra le priorità della nuova legge di bilancio ci sono misure di sostegno al potere d’acquisto dei lavoratori.
Nella bozza approvata dal Governo venerdì scorso, e che andra in discussione in Parlamento a breve, viene raccolto il suggerimento previsto da una proposta di legge con l’innalzamento della soglia di esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici, dagli attuali 8 a 10 euro.
La proposta di legge era stata avanzata dalla senatrice Paola Mancini (FdI), e punta ad adeguare il valore del buono al reale costo medio di un pasto fuori casa, lievitato negli ultimi anni a causa dell’inflazione.
La misura è stata accolta dai tecnici del Ministero dell’Economia ed è presente nella bozza all'art. 5.
Vedi qui altre anticipazioni sulla legge di bilancio 2026
La disciplina dei buoni pasto in vigore
Giova ricordare che per la disciplina oggi in vigore, fiscalmente i buoni pasto corrisposti al lavoratore devono essere in generale sottoposti a tassazione ai fini dell’Irpef in capo al dipendente ma, se concessi alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti, non generano reddito imponibile (e di conseguenza contributivo) entro il limite massimo di:
- € 4 se in formato cartaceo,
- € 8 se in formato elettronico.
Sulla natura reddituale della consegna del buono , si ricorda che la Risoluzione 26/2010 ha ritenuto che si tratta di importo assimilato ad un compenso “in denaro” (non in natura), motivo per cui non trova applicazione la non imponibilità fino al limite di € 258 annui dell’eccedenza rispetto al limite di esenzione specifica fino ad € 4 / 8. Per questo motivo solo l’eventuale maggiore valore sarà assoggettato a tassazione.
Invece per il datore di lavoro questi costi sono completamente deducibili, e non scontano il limite del 75% fissato per le spese di vitto e alloggio.
Leggi QUI per ulteriori dettagli sulla disciplina.
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Licenziamento illegittimo: la Consulta conferma il calcolo sul TFR
Con la sentenza n. 144 depositata il 7 ottobre 2025, la Corte Costituzionale è intervenuta su una questione di rilievo per i lavoratori pubblici, i datori di lavoro delle amministrazioni e i consulenti del lavoro.
Il caso nasce da un ricorso del Tribunale di Trento che aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 63, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’art. 21, comma 1, lettera a), del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75.
La norma disciplina le conseguenze economiche del licenziamento illegittimo di un dipendente pubblico, prevedendo la reintegra nel posto di lavoro e il riconoscimento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR).
La questione posta alla Corte riguardava proprio questo punto: se tale parametro dovesse valere anche per i dipendenti pubblici che non rientrano nel regime TFR ma in quello di indennità premio di servizio (IPS), tipico del personale assunto prima del 2001 e non aderente ai fondi pensione complementari.
Il caso concreto: il medico licenziato e la questione di costituzionalità
Il procedimento prende avvio dal ricorso di un dirigente medico dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, licenziato senza preavviso nel 2021. Il Tribunale, accertata l’illegittimità del recesso, aveva disposto la reintegrazione del lavoratore e doveva quindi calcolare l’indennità risarcitoria dovuta per il periodo tra il licenziamento e la reintegra.
Il nodo interpretativo riguardava la base di calcolo di tale indennità. Il medico, non aderente al fondo pensione Laborfonds e quindi in regime di IPS, sosteneva che la liquidazione dovesse avvenire sulla base della retribuzione effettiva, comprensiva di tutte le voci continuative, come previsto per il TFR ai sensi dell’art. 2120 del codice civile. L’amministrazione invece riteneva che, non essendo il lavoratore nel regime TFR, la retribuzione di riferimento dovesse essere quella più ristretta usata per il calcolo dell’IPS, con una notevole riduzione dell’importo.
Il Tribunale di Trento ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale della norma, ritenendo che essa violasse il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori pubblici:
- quelli in regime TFR, ai quali l’indennità risarcitoria si basa su una retribuzione “onnicomprensiva”;
- e quelli in regime IPS, che riceverebbero una tutela economica inferiore per il medesimo danno.
L’Avvocatura dello Stato, intervenuta per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha invece sostenuto la legittimità della norma, sottolineando che il legislatore ha scelto un parametro uniforme e astratto (il TFR) per garantire omogeneità di trattamento tra pubblico e privato, e che tale scelta rientra nella sua discrezionalità.
La decisione della Consulta
La Corte Costituzionale, dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale sul licenziamento dei dipendenti pubblici, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Nella motivazione, i giudici hanno chiarito che la scelta del legislatore del 2017 — con l’inserimento nel d.lgs. 165/2001 della formula “indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR” — risponde all’esigenza di armonizzare le tutele dei lavoratori pubblici con quelle del settore privato.
Secondo la Corte, il riferimento al TFR ha una funzione di parametro legale astratto, non collegato al regime previdenziale del singolo lavoratore. Esso serve a individuare una base di calcolo uniforme, indipendente dal fatto che il dipendente sia in TFR o in IPS. La distinzione tra i due regimi di fine servizio riguarda infatti la fase fisiologica della cessazione del rapporto, mentre l’indennità risarcitoria concerne una fase patologica, quella del licenziamento illegittimo.
In questo modo la Corte ha escluso qualsiasi violazione dell’art. 3 della Costituzione, ribadendo che spetta alla discrezionalità del legislatore scegliere criteri e limiti per le tutele risarcitorie, purché ragionevoli. La norma impugnata, prevedendo un tetto massimo di ventiquattro mensilità di retribuzione, con detrazione del solo importo eventualmente percepito per altra attività lavorativa, è stata ritenuta coerente con tale finalità.
La sentenza n. 144/2025 conferma dunque che l’indennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo nel pubblico impiego va sempre calcolata con riferimento alla retribuzione utile per il TFR, anche per chi si trova nel regime IPS.
Si tratta, sottolinea la Corte, di un criterio uniforme e forfettario, che evita trattamenti disomogenei tra lavoratori pubblici e privati e assicura certezza applicativa.