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Digitalizzazione diritto societario: semplificazioni in arrivo
La Direttiva UE 2025/25, pubblicata nella Gazzetta Europea del 10 gennaio, è entrata in vigore il 30 gennaio e reca modifiche delle direttive 2009/102/CE e (UE) 2017/1132 per quanto concerne l’ulteriore ampliamento e miglioramento dell’uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario.
In particolare, si vuole incentivare la trasparenza dei documenti e degli atti delle società di capitali e delle società di persone commerciali, attraverso l’utilizzo di strumenti e processi digitali nel diritto societario, per un utilizzo con maggiore fiducia e senza formalità onerose, sia nel mercato interno sia in un contesto transfrontaliero.
Vediamo una sintesi degli obiettivi di questa legislazione che fissa un termine lungo per il recepimento al 31 luglio 2027, che dovrebbe consentire un congruo lavoro sulle modalità attuative volte a realizzare una più efficace implementazione delle informazioni societarie oggetto di pubblicità, nel quadro della digitalizzazione dei sistemi informativi.
Digitalizzazione diritto societario: semplificazioni in arrivo
Vediamo una sintesi di cosa contiene la Drettiva 2025/25 e quindi una sintesi dei suoi contenuti e obiettivi:
- la direttiva risponde agli obiettivi di digitalizzazione stabiliti nella comunicazione della Commissione, del 2 dicembre 2020, dal titolo «Digitalizzazione della giustizia nell’Unione europea – Un pacchetto di opportunità» e nella comunicazione del 9 marzo 2021 dal titolo «Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale» nonché alla necessità di agevolare l’espansione transfrontaliera delle PMI sottolineata nelle comunicazioni «Una strategia per le PMI per un’Europa sostenibile e digitale», del 10 marzo 2020, e «Aggiornamento della nuova strategia industriale 2020: costruire un mercato unico più forte per la ripresa dell’Europa», del 5 maggio 2021;
- tutti i portatori di interessi, comprese le società, le autorità e il pubblico in generale, devono poter fare affidamento sulle informazioni sulle imprese per fini commerciali, nonché in sede amministrativa o nei procedimenti giudiziari. È pertanto necessario che i dati sulle società iscritti nei registri e accessibili attraverso il sistema di interconnessione dei registri siano accurati, aggiornati e affidabili;
- l’introduzione, mediante la direttiva (UE) 2019/1151, di norme relative ai controlli dell’identità e della capacità giuridica delle persone che costituiscono una società, registrano una succursale o presentano documenti o informazioni online ha rappresentano un importante primo passo. È ora essenziale adottare ulteriori misure per migliorare l’affidabilità e l’attendibilità delle informazioni sulle società contenute nei registri al fine di
agevolarne l’utilizzo a livello transfrontaliero in sede amministrativa e nei procedimenti giudiziari. - è importante garantire che alcuni controlli siano effettuati in tutti gli Stati membri al fine di garantire un elevato livello di accuratezza e affidabilità dei documenti e delle informazioni, rispettando nel contempo gli ordinamenti giuridici e le tradizioni giuridiche degli Stati membri. È altresì necessario che tali controlli siano obbligatori, non solo per la costituzione interamente online di società, ma anche per qualsiasi altra forma di costituzione di società. Analogamente, tali controlli dovrebbero altresì essere effettuati negli Stati membri che consentono ancora il ricorso ad altri metodi di presentazione oltre alla presentazione online, in modo da sottoporre tutte le informazioni iscritte nel registro allo stesso livello di controlli. Tali controlli e altri requisiti dovrebbero essere adattati alle caratteristiche specifiche di altre forme di costituzione di società. Ad esempio, i modelli online sono utilizzati dai richiedenti solo nell’ambito della procedura per la costituzione interamente online di società
- è opportuno prevedere in tutti gli Stati membri un controllo preventivo amministrativo, giudiziario o notarile, o una loro combinazione, nel rispetto degli ordinamenti giuridici e delle tradizioni giuridiche degli Stati membri, compresi i registri delle imprese che sono autorità amministrative o giudiziarie, al fine di garantire l’affidabilità dei documenti e delle informazioni sulle società in situazioni transfrontaliere. È opportuno effettuare un controllo di legalità dell’atto costitutivo della società, del suo statuto, se quest’ultimo forma oggetto di atto separato, e di qualsiasi modifica di tali documenti, dato che si tratta dei documenti più importanti riguardanti una società. Tale controllo preventivo obbligatorio in tutti gli Stati membri sarebbe inoltre coerente con altre politiche dell’Unione e, in particolare, potrebbe contribuire a garantire che le procedure di diritto societario non possano essere utilizzate per eludere il diritto dell’Unione e degli Stati membri volto a tutelare l’interesse pubblico. Tale controllo preventivo dovrebbe lasciare impregiudicate le legislazioni nazionali che, nel rispetto degli ordinamenti giuridici e delle tradizioni giuridiche degli Stati membri, dispongono che tali documenti rivestano la forma di atto pubblico. La presente direttiva non richiede un controllo preventivo dei conti annuali delle società.
- al fine di tutelare gli interessi dei terzi e rafforzare la fiducia nelle transazioni commerciali con diversi tipi di società nel mercato interno, è importante migliorare la trasparenza e agevolare l’accesso transfrontaliero alle informazioni sulle cosiddette «società commerciali di persone», che ai fini della presente direttiva dovrebbero intendersi come
i tipi di società di persone elencati nell’allegato II ter. Tali società di persone svolgono un ruolo importante nell’economia degli Stati membri e sono iscritte in tutti i registri delle imprese nazionali, ma vi sono differenze tra i vari tipi di società di persone e i tipi di informazioni ad esse relativi disponibili in tutta l’Unione, il che comporta difficoltà nell’accesso transfrontaliero a tali informazioni. A tal fine, è opportuno che in tutti gli Stati membri siano pubblicate le stesse informazioni di base su tali società di persone. Gli obblighi di pubblicità per tali società di persone dovrebbero rispecchiare gli obblighi di pubblicità ai quali sono soggette le società di capitali, ma dovrebbero essere adattati alle caratteristiche specifiche delle società di persone. Ad esempio, gli obblighi di pubblicità dovrebbero riguardare anche le informazioni sui soci autorizzati a rappresentare la società di persone, in particolare i soci illimitatamente responsabili. Come nel caso delle società di capitali, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a imporre alle società di persone l’obbligo di pubblicare documenti o informazioni ulteriori rispetto a quanto disposto dalla presente direttiva. Qualora tali documenti o informazioni aggiuntivi contengano dati personali, gli Stati membri sono tenuti a trattarli in conformità del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (7). - al fine di agevolare ulteriormente le procedure transfrontaliere per le società e semplificare e ridurre le formalità, come l’apostilla o la traduzione, è opportuno istituire una procura digitale dell’UE. La procura digitale dell’UE dovrebbe basarsi su un modello comune europeo multilingue che le società possono decidere di utilizzare per autorizzare una persona a rappresentare la società in procedure specifiche aventi una dimensione transfrontaliera e rientranti nell’ambito di applicazione della presente direttiva. Tale modello dovrebbe comprendere almeno i campi di dati relativi alla portata della rappresentanza, alla persona autorizzata a rappresentare la società e al tipo di rappresentanza. La procura digitale dell’UE sarebbe costituita conformemente ai requisiti giuridici nazionali. Essa dovrebbe essere accettata come prova del diritto, conferito alla persona autorizzata, di rappresentare la società. Ciò dovrebbe lasciare impregiudicate le norme nazionali relative alla costituzione di società e alle limitazioni all’uso delle procure in generale. La procura digitale dell’UE dovrebbe assolvere i requisiti sugli attestati elettronici di attributi di cui al regolamento (UE) 2024/1183 del Parlamento europeo e del Consiglio (12) e le specifiche tecniche del portafoglio europeo di identità digitale per garantire una soluzione comune con una maggiore facilità d’utilizzo. Questo contribuirebbe a ridurre gli oneri amministrativi e finanziari per gli Stati membri diminuendo il rischio di sviluppare sistemi paralleli non interoperabili in tutta l’Unione.
- l’aggiunta, tra le informazioni già soggette all’obbligo di pubblicità per le società di capitali, dell’oggetto sociale che descrive la sua attività principale o le sue attività principali, anche mediante l’utilizzazione del codice a sei caratteri di classificazione statistica delle attività economiche nella Comunità europea (in sigla NACE) se il diritto interno ne consente l’uso (come in Italia, in cui il corrispettivo è il ben noto codice ATECO) e l’oggetto si registrato nel registro nazionale.
Si rimanda alla consultazione del testo della Direttiva UE 2025/25 per tutti gli approfondimenti.
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Dichiarazioni operazioni in oro: via dal 17 gennaio alle novità
Novità in materia di dichiarazioni delle operazioni in oro.
In particolare la UIF con un comunicato del 15 gennaio ha evidenziato che in data 17 gennaio 2025 entrerà in vigore il Dlgs. n. 211/2024, che adegua la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2018/1672 in tema di controlli sul denaro contante, apportando modifiche anche alla disciplina delle dichiarazioni di operazioni in oro, oggi contenuta nella legge 7/2000 e nelle relative disposizioni di attuazione, vediamo i dettagli.
Dichiarazioni operazioni in oro: il via dal 17 gennaio
Si evidenzia parafrasando il contuenuto di quanto afferma la UIF.
Tra le principali novità, per quanto di competenza dell'Unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF), si evidenzia che, a partire dal 17 gennaio, le operazioni in oro, che ricadono nell'ambito di applicazione della legge 7/2000, come modificata dal d.lgs. 211/2024, dovranno essere dichiarate alla UIF, qualora il valore risulti di importo pari o superiore a 10.000 euro e non più € 12.500.
Nel dettaglio, la dichiarazione è dovuta anche per le operazioni dello stesso tipo eseguite nel corso del mese solare con la medesima controparte, qualora singolarmente pari o superiori a € 2.500 e complessivamente pari o superiori a € 10.000.
In linea di continuità con i chiarimenti della Banca d'Italia del 2010 nonché con quanto precisato nelle faq della UIF, ai fini dell'adempimento degli obblighi dichiarativi, rileva anche il materiale d'oro da destinare a fusione per ricavarne oro da investimento nonché a uso prevalentemente industriale.
Per i trasferimenti al seguito di oro da investimento corrispondente a monete con un tenore in oro di almeno il 90% o a lingotti sotto forma di barre, pepite o aggregati con un tenore in oro di almeno il 99,5%, in entrata o in uscita dal territorio nazionale, sono previsti obblighi di dichiarazione e di informativa all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
A partire dal 17 gennaio non dovranno più essere trasmesse alla UIF le dichiarazioni inerenti ai predetti trasferimenti.
Dovranno invece continuare a formare oggetto di dichiarazione alla UIF i trasferimenti al seguito, in entrata o in uscita dal territorio nazionale, aventi a oggetto oro ad uso prevalentemente industriale nonché il sopra citato materiale d'oro da destinare a fusione.
La recente riforma attribuisce all'Unità il potere di emanare istruzioni volte a precisare le operazioni oggetto di dichiarazione, i contenuti e le modalità di invio della dichiarazione stessa e fino alla loro emanazione delle predette, la Comunicazione della UIF del 2014 continua a trovare applicazione in quanto compatibile con le nuove disposizioni.
Le dichiarazioni di operazioni in oro continueranno a essere inviate attraverso il Portale Infostat- UIF adeguato alla nuova soglia a partire dalla data di entrata in vigore della riforma.
Per info e quesiti, le UIF conclude il comunicato specificando di rivolgersi a:
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SNC e SAS: in arrivo l’obbligo di redazione e deposito del bilancio
È stata pubblicata il 10 gennaio 2025 sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea la nuova Direttiva 2025/25/UE, datata 19 dicembre 2024, e recante modifica alle Direttive 2009/102/CE e 2017/1132/UE, che si occupa di digitalizzazione del diritto societario. La Direttiva dovrà essere recepita entro il 31 luglio 2027, e le disposizioni in essa contenute dovranno essere rese operative dagli stati membri a decorrere dal 31 luglio 2028.
Con questo intervento normativo l’Unione Europea dichiara di avere l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle imprese e di conseguenza la fiducia nel contesto imprenditoriale; oltre che, favorendo l’interconnessione digitale del sistema informativo delle imprese, quello di favorire l’espansione transfrontaliera delle PMI.
Nella pratica, per le imprese italiane ciò si configurerà nel futuro obbligo per SNS e SAS di:
- ampliare la quantità di informazioni da pubblicare presso il Registro delle imprese, al pari di quanto già avviene per le società di capitali;
- produrre il bilancio sociale e pubblicarlo presso il Registro delle imprese.
La direttiva, che una volta emanata darà agli stati membri dell’Unione Europea due anni per il suo recepimento, limita l’intervento alle società di persone esercenti attività commerciale, il che, in Italia, vuol dire appunto che sono interessate dal provvedimento le SNC e le SAS, ma non le società semplici.
Il fatto non è strano, se si pensa che l’obiettivo della novità normativa è quello di favorire la trasparenza del sistema imprenditoriale e lo sviluppo delle PMI, e le società semplici, non svolgendo attività commerciale, non sono neanche delle PMI propriamente dette.
La direttiva inserisce questo adempimento in un più generale programma di ampliamento dell’interconnessione dei registri nazionali, al fine di permettere che le informazioni fondamentali sulla vita delle società di persone possa divenire accessibile a livello unionale, come già avviene per le società di capitali.
È presumibile ritenere che, come già avviene per le società di capitali che sono anche microimprese, che per le società di persone di minore dimensione sarà prevista qualche semplificazione; fermo restando l’obiettivo finale di permettere l’allargamento del sistema informativo europeo.
Cosa cambia per le imprese italiane
Già adesso le SNC e le SAS trasmettono le informazioni fondamentali al Registro delle imprese detenuto presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura della sede di competenza; l’allargamento del numero di informazioni richieste non dovrebbe costituire adempimento di particolare onerosità amministrativa.
Di diversa rilevanza è l’obbligo di redazione e pubblicazione del bilancio annuale che, per questo tipo di imprese, costituisce un adempimento in più, per nulla irrilevante, aggravato anche dell’onere del deposito presso il Registro delle imprese di competenza.
Volendo vedere la questione dal punto di vista del diritto societario, queste modifiche avvicinano, e non poco, le società di persone alle società di capitali.
In questo senso questa novità normativa, inserita nella particolarità del contesto italiano, alimenta ulteriormente quel processo che si è venuto ad innescare a partire dalla riforma del diritto societario, tale che la tradizionale differenziazione tra società di persone senza personalità giuridica, e società di capitali con personalità giuridica, quanto meno per le imprese a più ristretta base partecipativa, di fatto diviene alquanto fumosa.
Tra SNC e SAS obbligate alla redazione dei bilanci, e SRL i cui soci che sono anche amministratori in tante situazioni divengono illimitatamente responsabili, oltre che sottoposti al doppio obbligo previdenziale, le differenze divengono poco percettibili.
È come se il diritto in divenire abbia creato una sorta di società di persone che è tale (con specifici obblighi e limitazioni) nel momento in cui l’impresa è amministrata dai soci, i quali sono in un numero ristretto, a prescindere dalla forma (SNC, SAS, SRL) adottata, che diviene questione secondaria e non più costitutiva, come invece risultava prima della riforma del diritto societario.
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Auto ai dipendenti: cosa contiene la Legge di bilancio 2025
La legge di bilancio 2025 pubblicata in GU n 305 del 31 dicembre 2024 contiene tra le altre, un'importante novità in materia di tassazione dell’uso promiscuo delle autovetture dei dipendenti, vediamola.
Auto ai dipendenti: la manovra 2025 punta alla transizione verde
In particolare, si prevede che, per il raggiungimento degli obiettivi di transizione ecologica ed energetica, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici previsti nell’ambito dei documenti programmatici, si modifica l’articolo 51, comma 4, del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, in materia di tassazione dei redditi di lavoro dipendente nei casi di concessione in uso promiscuo ai dipendenti di autoveicoli, motocicli e ciclomotori.
Nello specifico, si stabilisce che partecipa alla formazione del reddito un ammontare pari al 50 per cento dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali elaborate dall’Automobile club d’Italia, al netto dell’ammontare eventualmente trattenuto al dipendente.
Tale percentuale è ridotta- al 10 per cento nei casi in cui i veicoli concessi ai dipendenti siano a trazione esclusivamente elettrica a batteria
- ovvero al 20 per cento per i veicoli elettrici ibridi plug- in.
Le nuove disposizioni si applicano ai contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2025.
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Patti parasociali: l’opzione put non è un patto leonino
La Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 27283, pubblicata il 22 ottobre 2024, analizza i contratti parasociali in generale, e nello specifico il patto leonino, definendone le caratteristiche anche in relazione alla cosiddetta opzione put.
L’opzione put è un contratto grazie al quale il suo acquirente acquisisce la facoltà (non l’obbligo) di vendere delle quote a un dato prezzo.
La Corte ci spiega che il patto parasociale è un accordo contrattuale che lega i soci di una società (ma possono partecipare al patto anche terzi) e che ha come obiettivo quello di regolamentare il comportamento da seguire durante la vita dell’impresa oppure il comportamento da seguire in relazione all’esercizio dei diritti (di voto, ad esempio) relativi alle partecipazioni detenute.
Il nostro ordinamento, nello specifico l’articolo 2341-bis del Codice civile, disciplina i più importanti patti parasociali, quelli che hanno come fine la stabilizzazione degli assetti proprietari della società; la norma prevende che non possono avere una validità superiore a 5 anni quei patti parasociali che:
- abbiano per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società di capitali;
- pongano limiti al trasferimento delle relative azioni o delle quote;
- abbiano per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla società.
Secondo la Corte di Cassazione questa rappresenta “una previsione che implica il riconoscimento da parte del legislatore della meritevolezza e della tutelabilità dei patti parasociali, da ritenere dunque sempre validi, purché non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria”.
Il divieto di patto leonino e l’opzione put
In questo contesto normativo si inserisce il divieto di patto leonino, disciplinato all’articolo 2265 del Codice civile, ai sensi del quale è da considerarsi nullo qualsiasi patto parasociale in base al quale uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
La Corte di Cassazione, sull’ordinanza 27283/2024, puntualizza che tale previsione normativa trova motivazione fondante nelle caratteristiche dell’attività svolta dalla società, cioè nell’esercizio dell‘impresa, motivo per cui nessun socio può essere escluso dal fine ultimo dell’esercizio dell’impresa, che è il conseguimento degli utili, né può essere esentato da quella caratteristica tipica di questa attività rappresentata dal rischio d’impresa.
La Corte di Cassazione però definisce anche le caratteristiche del cosiddetto patto leonino, necessarie affinché un patto parasociale possa essere considerato tale e di conseguenza possa essere considerato nullo, in base all’articolo 2265 del Codice civile. Infatti, secondo la Corte, affinché un patto parasociale possa essere considerato un patto leonino, è necessario che l’esclusione del socio dagli utili o dalle perdite sia:
- totale, e non parziale, dovendosi verificare “un’alterazione completa della causa societatis”;
- costante, dovendosi configurare una alterazione irreversibile, e non temporanea, dei diritti patrimoniali del socio.
L’ordinanza numero 27283, pubblicata il 22 ottobre 2024, ha come centro l’ulteriore indagine se in tale divieto di patto leonino possa rientrare anche l’opzione put, quell’accordo in forza del quale l’acquirente di una partecipazione ottiene il diritto, ma non l’obbligo, di rivendere la medesima partecipazione a un prezzo prestabilito, nel caso in cui l’obiettivo dell’accordo sia di stabilizzare l’assetto societario.
Secondo la Corte di Cassazione un tale patto è da ritenersi valido in quanto finalizzato al perseguimento di interessi imprenditoriali meritevoli di tutela e non configura un patto leonino, per il quale vige il divieto.
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Investment Management Exemption: chiarimenti dell’Agenzia sulle nuove disposizioni
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Circolare del 19 novembre 2024 n. 23/E con la quale ha fornito istruzioni operative sull'Investment Management Exemption (IME), il regime introdotto dalla legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 255, legge n. 197/2022) che mira a favorire l'attrattività dell'Italia per i gestori patrimoniali, riducendo i rischi legati alla configurazione di una stabile organizzazione per i veicoli di investimento non residenti.
La legge di bilancio 2023 ha introdotto, mediante la modifica dell’articolo 162 del Testo unico delle imposte sui redditi, una presunzione legale in merito alla non configurabilità, al ricorrere di determinate condizioni, di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di ciascuna delle entità che costituiscono una struttura di investimento non residente che si avvale di servizi, ancorché preliminari o accessori, riconducibili all’alveo dell’attività di investimento svolta a beneficio della predetta struttura e resi da altri soggetti, nel medesimo territorio.
La relazione illustrativa alla legge di bilancio per l’anno 2023, nel premettere che «il rischio derivante dalla possibile configurazione di una stabile organizzazione in capo alla struttura di investimento (e quindi al veicolo e alle sue controllate e, in ultima analisi, in capo agli investitori) potrebbe avere effetti fortemente deterrenti relativamente alla decisione di localizzare in Italia gli “asset manager” (e quindi dei loro dipendenti e/o collaboratori)», afferma, altresì, che «la modifica alla nozione interna di stabile organizzazione risponde all’esigenza di ridimensionare tale rischio» e «non interviene su altri presupposti di tassazione degli investitori, dei fondi di investimento esteri o degli stessi asset manager».
La presunzione legale opera, quindi, a beneficio delle c.d. “strutture di investimento” andando a integrare, nell’ipotesi in cui vengano soddisfatte le condizioni previste per l’accesso alla Investment Management Exemption (in seguito l’“IME”), lo status di agente indipendente della management company, che può essere un soggetto residente o non residente, anche operante in Italia tramite stabile organizzazione, chiamato, nell’ambito della propria ordinaria attività e in nome o per conto della struttura di investimento, a concludere, anche con poteri discrezionali, contratti di acquisto e/o di vendita e/o di negoziazione di strumenti finanziari, anche derivati e incluse le partecipazioni al capitale o al patrimonio, e di crediti; oppure, a contribuire, anche tramite operazioni preliminari o accessorie, all’acquisto e/o alla vendita e/o alla negoziazione delle predette asset class.
Vediamo brevemente i chiarimenti forniti dalla suddetta circolare.
Investment Management Exemption (IME): le condizioni richieste
L’applicazione della disciplina Investment Management Exemption (IME) stabilisce che, in presenza di determinate condizioni, le attività svolte da un gestore per conto di un veicolo di investimento non residente non configurano automaticamente una stabile organizzazione in Italia. Questo è valido sia per i gestori residenti sia per quelli non residenti operanti tramite una stabile organizzazione nel nostro Paese.
Le condizioni principali sono le seguenti:
1. Requisiti per il veicolo di investimento non residente
Il veicolo di investimento non residente deve rispettare i seguenti criteri:- Attività esclusiva o principale: deve svolgere attività di gestione di investimenti di natura finanziaria per conto di terzi.
- Soggetto a vigilanza: deve essere vigilato nel Paese di costituzione.
- Pluralità di investitori: deve operare nell’interesse di una pluralità di partecipanti, garantendo la separazione tra rischio d’investimento e rischio d’impresa.
- Residenza in paesi che garantiscono uno scambio di informazioni: il veicolo e le sue controllate devono essere localizzati in Stati che garantiscono uno scambio adeguato di informazioni fiscali.
2. Requisiti per l’indipendenza del gestore (asset manager)
Il gestore patrimoniale, residente o non residente, deve garantire indipendenza rispetto al veicolo di investimento:- Nessuna carica direttiva: Il gestore, o i suoi dipendenti, non deve ricoprire ruoli direttivi nel veicolo o nelle sue controllate.
- Limiti di partecipazione ai risultati economici: La partecipazione del gestore ai risultati del veicolo non deve superare il 25%, inclusi eventuali benefici indiretti derivanti da schemi di partecipazione ai risultati (es. carried interest).
3. Documentazione idonea
La remunerazione ricevuta dal gestore per le attività svolte deve essere supportata da documentazione conforme ai principi di libera concorrenza, in linea con le norme sui prezzi di trasferimento. Questa documentazione deve dimostrare:- La correttezza dei metodi di calcolo della remunerazione.
- La conformità ai requisiti previsti dalla disciplina IME.
4. Limiti specifici per le deleghe
Nel caso in cui il gestore deleghi parte delle attività a terzi:- I delegati devono essere soggetti a vigilanza in Stati che garantiscono scambi di informazioni fiscali adeguati.
- Devono rispettare principi di vigilanza equivalenti a quelli delle direttive europee UCITS e GEFIA.
Il mancato rispetto di queste condizioni non implica automaticamente l’esistenza di una stabile organizzazione, ma obbliga l’Amministrazione finanziaria a valutare i presupposti concreti per una possibile contestazione.
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Rilevanza degli immobili come beni merce: principio della Cassazione
Con l'Ordinanza n 25550 del 24 settembre 2024 la Cassazione ha sancito un principio secondo cui i beni immobili che una società, in conformità al proprio oggetto sociale, costruisce su un terreno di sua proprietà e, successivamente, vende a un terzo, devono essere sottoposti alla disciplina tipica dei “beni merce” e non a quella dei “beni patrimoniali”.
Vediamo i dettagli del caso di specie.
Rilevanza immobili come beni merce: principio della Cassazione
Una Direzione provinciale della Agenzia delle Entrate notificava ad una sas, avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito imputabile alla società nella misura di Euro 154.184,00 a fronte di un reddito imponibile dichiarato di Euro 14.184,00.
L'Ufficio, con distinti avvisi di accertamento, rettificava anche il reddito da partecipazione dei soci ai sensi dell'art. 5 D.P.R. 22/12/1986, n. 917 TUIR.
In particolarem l'Agenzia delle Entrate contestava che la società aveva ceduto a titolo oneroso un fabbricato dalla stessa precedentemente edificato, applicando erroneamente la disciplina dei beni patrimoniali e dichiarando una plusvalenza di Euro 20.000,00, senza qualificare, come sarebbe stato doveroso, l'immobile ceduto come bene merce e senza includere tra i ricavi di competenza l'intero corrispettivo ricevuto pari ad Euro 140.000,00 come imposto dall'art. 85 TUIR.
La società e i soci impugnavano gli atti impositivi innanzi alla Commissione tributaria provinciale contestando gli addebiti e affermando che l'immobile ceduto doveva rientrare tra i beni patrimoniali della società.
L'Agenzia delle Entrate si costituiva nei diversi giudizi chiedendo dichiararsi la legittimità della pretesa impositiva e respingersi le impugnazioni. La CTP regionale riuniti i ricorsi, li respingeva con sentenza. La società e i soci proponevano appello innanzi alla Commissione tributaria regionale. L'Ufficio si costituiva con controdeduzioni chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La CTR adita accoglieva l'appello e, di conseguenza, annullava gli accertamenti con sentenza, avverso la pronuncia della CTR, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
L'Agenzia delle Entrate deduce violazione dell'art. 85, comma 1, TUIR in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo l'Amministrazione ricorrente la sentenza avrebbe errato nel ritenere l'immobile ceduto come bene patrimonio piuttosto che come bene merce, con conseguente scelta di un erroneo regime fiscale quanto alla tassazione del ricavo maturato.
Secondo la Cassazione il motivo del ricordo è fondato poichè la società aveva nel suo oggetto sociale, fino al 2005 e prima di un mutamento dell'oggetto sociale, anche la costruzione di immobili e non la sola commercializzazione degli stessi e che era incontestato tra le parti che la società stessa avesse realizzato la costruzione dell'immobile compravenduto.
Tale circostanza, secondo la Commissione tributaria regionale, giustificava l'ascriversi dell'immobile ai beni patrimoniali e ciò anche in assenza della contabilizzazione del valore di esso tra le rimanenze, dovendo qualificarsi tale condotta di bilancio come un errore formale inidoneo a mutare la natura del bene in questione.
La Corte ha più volte affrmato dei principi, violati, a suo avviso, nella sentenza impugnata.
Viene specificato appunto che "in tema di redditi d'impresa, deve distinguersi tra immobili merce, destinati al mercato di compravendita, immobili patrimonio, destinati al mercato locativo, e immobili strumentali per destinazione o per natura, in quanto funzionali, i primi, secondo un'interpretazione restrittiva, allo svolgimento di attività tipicamente imprenditoriali e inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti, e caratterizzati, i secondi, da una strumentalità oggettiva senza che rilevi la loro utilizzazione per l'esercizio dell'impresa"
ed ancora: "in tema di redditi d'impresa, i beni immobili non strumentali né riconducibili ai beni-merce agli effetti dell'art. 57 (ora 90) del D.P.R. n. 917 del 1986 – che prevede l'indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all'attività di produzione o di scambio oggetto dell'attività d'impresa, con la conseguenza che qualora gli stessi non siano correlati allo svolgimento di un'attività produttiva di reddito d'impresa, non solo non possono ritenersi beni-merce, ma neppure beni strumentali per destinazione"
Nel caso di specie l'immobile oggetto della compravendita non aveva, alla luce dei criteri delineati dalle pronunce riportate, nemmeno nella prospettazione delle parti e cioè in ragione delle circostanze di fatto per come descritte nella sentenza, natura di bene patrimoniale, perché pacificamente non destinato al mercato locativo, né natura di bene strumentale atteso che difettava di ogni destinazione alla realizzazione dell'attività di impresa.
Tale conclusione è perfettamente coerente con l'assenza di un registro dei cespiti ammortizzabili della società che riportasse l'immobile tra i beni patrimoniali.
La sentenza impugnata ha, allora, errato nel negare l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 85 TUIR che recita: "sono considerati ricavi: a) i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa", atteso che solo tra di essi, e cioè tra i beni merce, poteva rientrare l'immobile ceduto.
A tale ultimo riguardo si consideri il principio di diritto, costantemente affermato dalla Corte, secondo il quale "in tema di determinazione del reddito di impresa, il corrispettivo della vendita di un complesso di unità immobiliari, effettuato da una società avente come oggetto principiale l'attività di compravendita di immobili, costituisce, a norma dell'art. 53 (ora art. 85), comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 917 del 1986, ricavo interamente tassabile, atteso che la tassabilità della sola plusvalenza riguarda il corrispettivo realizzato mediante cessione di beni relativi all'impresa diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio essa è diretta"
Per tutto quanto premesso si accoglie il ricorso, si cassa la sentenza impugnata.