- 			Contraddittorio endoprocessuale: il documento del CNDCECCon l'Informativa n 150 del 28 ottobre, il CNDCEC ha pubblicato il documento intitolato Il contraddittorio anticipato nell'accertamento tributario. Il documento, diffuso a tutte le sedi territoriali, in premessa evidenzia che nel quadro della recente riforma fiscale, delineata dalla legge delega n. 111 del 9 agosto 2023, il Parlamento ha posto con chiarezza l’accento sull’esigenza di un intervento sistematico in materia di contraddittorio endoprocedimentale. 
 Nel corso del 2024, la delega è stata attuata mediante l’introduzione dell’art. 6-bis nella legge 27 luglio 2000, n. 212 o Statuto dei diritti del contribuente, per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219.
 A completamento del nuovo assetto normativo, la disposizione è stata successivamente oggetto di un intervento interpretativo (art. 7-bis, comma 1, del d.l. 29 marzo 2024, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 maggio 2024, n. 67) e di un decreto ministeriale (d.m. 24 aprile 2024).
 Il contributo si propone di offrire una ricognizione delle principali novità legislative, a oltre un anno dalla loro introduzioneContraddittorio endoprocessuale: il documento del CNDCECIn sintesi, il documento sottolinea come la recente riforma fiscale abbia introdotto un cambiamento profondo nel sistema tributario, ponendo il contraddittorio endoprocedimentale al centro delle garanzie del contribuente. Il legislatore ha infatti riconosciuto il contraddittorio anticipato come principio generale dell’ordinamento, con applicazione estesa a tutti i procedimenti fiscali, segnando così un’evoluzione storica nei rapporti tra fisco e contribuente. Tale innovazione è stata concretamente attuata con l’introduzione dell’articolo 6- bis nello Statuto dei diritti del contribuente, che ha formalizzato anche il 
 diritto di accesso agli atti del fascicolo, rafforzando la trasparenza e la partecipazione del contribuente nel procedimento.
 Il documento, dopo il riepilogo del quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali anteriforma, offre una ricognizione delle novità in materia:- dall’esame degli atti esclusi dall’obbligo di contraddittorio preventivo di cui al d.m. 24 aprile 2024,
- alla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 7- bis del d.l. n. 39 del 2024, che è stata introdotta, in sede di conversione, dalla l. n. 67 del 23 maggio 2024.
 Contraddittorio anticipato: la normaL’art. 6-bis della l. n. 212/2000, entrato in vigore il 18 gennaio 2024, prevede, al comma 1, che “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”. 
 Il secondo comma introduce delle eccezioni all’obbligo di contraddittorio preventivo in relazione agli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché per i casi
 motivati di fondato pericolo per la riscossione.
 Tale ultima disposizione è stata attuata con il d.m. 24 aprile 2024 che individua “gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni, autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,
 che non sono preceduti dal contraddittorio informato ed effettivo”.
 L’articolo 2 di quest’ultimo decreto prevede che, ai fini della disciplina in esame, “si considera automatizzato e sostanzialmente automatizzato ogni atto emesso dall’amministrazione finanziaria riguardante esclusivamente violazioni rilevate dall’incrocio di elementi contenuti in banche dati nella disponibilità della stessa amministrazione” e “conseguentemente” dispone che siano escluse dall’obbligo di contraddittorio alcune tipologie di atti, tra le quali meritano di essere menzionate quelle relative a:- i ruoli e le cartelle di pagamento, gli atti di cui agli articoli 50, comma 2, 77 e 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ogni altro atto emesso dall’Agenzia delle entrate-Riscossione ai fini del recupero delle somme ad essa affidate;
- gli accertamenti parziali di cui agli articoli 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54, quinto comma, del d.P.R. n. 633/1972 e gli atti di recupero di cui all'art. 38-bis del d.P.R. n. 600/1973, predisposti esclusivamente sulla base dell’incrocio di dati;
- gli accertamenti catastali per l’iscrizione e la cancellazione delle annotazioni di riserva alle intestazioni catastali, di cui all’art. 55 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572 e all’art. 12 della legge 1° ottobre 1969, n. 679;
- gli avvisi di liquidazione per decadenza delle agevolazioni fiscali, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali;
- gli avvisi di liquidazione per recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali a seguito di rettifica ai sensi dell’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 maggio 1988, n. 154.
 L’art. 3 del medesimo decreto include tra gli “atti di pronta liquidazione” “ogni atto emesso dall’amministrazione finanziaria a seguito di controlli effettuati sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai dati in possesso della stessa amministrazione” e “conseguentemente” dispone che siano esclusi dall’obbligo di contraddittorio alcune categorie di atti, quali: a) le comunicazioni degli esiti del controllo di cui all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973; b) le comunicazioni degli esiti dei controlli di cui agli articoli 54-bis, 54-ter e 54-quater del d.P.R. n. 633/1972; c) gli avvisi di liquidazione dell’imposta, nonché di irrogazione delle sanzioni, per i casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento, omessa o tardiva registrazione degli atti e tardiva presentazione delle relative dichiarazioni, delle c.d. “imposte d’atto”, tra cui, imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale, imposta sulle successioni e donazioni, ecc.. Infine, l’art. 4 del d.m. in parola individua gli “atti di controllo formale delle dichiarazioni” come “ogni atto emesso dall’amministrazione finanziaria a seguito di un riscontro formale dei dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti o dai sostituti d’imposta con i documenti che attestano la correttezza dei dati dichiarati” e, “conseguentemente” dispone che siano esclusi dall’obbligo di contraddittorio le comunicazioni degli esiti del controllo formale di cui all’art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973. Si rimanda al documento per ulteriori approfondimenti. 
- 			Crediti d’imposta e onere della prova: principio della CassazioneCon la Cassazione n 24841/2025 viene chiarito l'onere della prova per il contribuente ai fini dell'utilizzo dei crediti di imposta, ossia la suprema corte specifica che grava sul contribuente, il quale richieda il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito. Non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo di applicazione del tributo. È sempre il contribuente, anche nelle ipotesi in cui trattasi di compensazione di debiti tributari con credito Iva, ad essere gravato dell’onere di dar prova dei fatti costituenti il diritto esercitato. Crediti d’imposta e onere della prova: principio della CassazioneQuando un contribuente presenta un’istanza di rimborso per un credito d’imposta, non è sufficiente dichiarare l’esistenza del credito nella dichiarazione fiscale. È necessario dimostrarlo con documentazione adeguata, perché il credito non nasce dalla dichiarazione, ma dal meccanismo di applicazione del tributo. Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24841 del 9 settembre 2025, confermando un principio consolidato: - chi chiede un credito d’imposta assume il ruolo di attore in senso sostanziale e ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto esercitato.
 Tale assunto si applica anche ai casi di compensazione orizzontale con crediti IVA: anche in questi casi è il contribuente a dover fornire prova piena e concreta della spettanza del credito utilizzato. Crediti d’imposta e onere della prova: la giurisprudenza consolidataIl caso analizzato dalla Cassazione riguarda una controversia tra una Srl e l’Agenzia delle Entrate. La società aveva chiesto il rimborso di importi versati in eccesso con F24 a titolo di Ires, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2013. In particolare: - il versamento era stato effettuato in compensazione, utilizzando un credito IVA maturato nel 2016;
- la somma versata era riferita a un debito già annullato dall’Agenzia in autotutela, quindi inesistente.
 La società, quindi, non doveva nulla, ma ha eseguito un versamento compensando con un credito successivo, per poi chiedere il rimborso dell’importo pagato. L’Agenzia ha negato il rimborso e ha contestato la legittimità del credito IVA utilizzato, sostenendo che si trattava di un’operazione strumentale al conseguimento indebito del rimborso. In primo e secondo grado, le Commissioni tributarie avevano accolto le ragioni della società. L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato ricorso in Cassazione, che ha ribaltato il verdetto. Secondo la Corte: - l’onere probatorio non si esaurisce con la dichiarazione;
- il credito non nasce con l’esposizione nella dichiarazione, ma dal rapporto tributario sostanziale;
- il contribuente deve provare la reale sussistenza del credito, anche se lo ha utilizzato in compensazione.
 Nel caso specifico, la Cassazione ha sottolineato che:“Tale onere non può essere assolto con la mera esposizione della propria pretesa restitutoria nella dichiarazione, giacché il credito fiscale non nasce da questa, bensì dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo previsto dalla legge”. Nel processo tributario, quando è in gioco il riconoscimento di un rimborso, il contribuente ha un ruolo attivo, anche se è formalmente resistente. La Cassazione ha ribadito che in questi casi il contribuente è attore in senso sostanziale e deve allegare e provare i fatti che fondano il credito. Le contestazioni dell’Agenzia costituiscono mere difese e non sono soggette a preclusioni. Questo principio è coerente con precedenti orientamenti giurisprudenziali che chiariscono come in tema di rimborsi il contribuente debba assumersi integralmente l’onere probatorio. Con una precedente sentenza n. 21766/2021, i giudici hanno affermato che: l’Amministrazione finanziaria può contestare un credito IVA, anche dopo il termine per accertare l’imponibile, se il credito non deriva da una minore imposta dovuta, ma da altri fattori (es. errori, duplicazioni, irregolarità formali). Lo stesso principio era stato affermato in precedenza anche in materia di IRES (Cass. n. 5096/2016) che ha statuito che i termini decadenziali per l’accertamento valgono solo per i crediti del Fisco, non per i debiti nei confronti del contribuente. Ciò significa che la richiesta di rimborso non può mai essere considerata automatica o intoccabile, ma può essere sempre oggetto di verifica sstanziale da parte dell’Agenzia. 
- 			Procedure esecutive presso terzi: novità per la RiscossioneIl DDL di Bilancio 2026 bollinato con l'art 27 rubricato Estensione del patrimonio informativo dell’Agenzia delle entrate – Riscossione prevede la possibilità per le Entrate di rendere disponibili alla Riscossione i dati relativi alla somma dei corrispettivi delle fatture emesse da debitori iscritti a ruolo e dei coobbligati che nei sei mesi precedenti in cui i dati sono disponibili. Scopo della norma è quello di consentire l’analisi dei dati per procedere all’avvio di procedure esecutive presso terzi. Procedure esecutive presso terzi: novità per la RiscossioneCon la novità in arrivo anche la Riscossione potrà conoscere le somme dei corrispettivi fatturati nei sei mesi precedenti verso uno stesso soggetto. Con i crediti vantati dal titolare della cartella così sarà possibile intercettare le somme da pignorare avviando le procedure esecutive presso terzi. Per pignorare le somme la procedura attualmente utilizzata è quella prevista all’art. 72-bis del DPR 602/73. L’istituto permette alla Riscossione di inviare ad un terzo il cliente del contribuente esecutato, un ordine di pagamento diretto fino a concorrenza del credito per cui si procede. Nel caso in cui l’ordine di pagamento venga ignorato, l’Agente della riscossione cita in giudizio il terzo creditore ed il debitore nei modi ordinari. In particolare, l'art 27 prevede di modificare l’articolo 1, comma 5-bis, 20 lettera b-bis), del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, e, dopo la lettera b-bis), è aggiunta la seguente: «b-ter) dall’Agenzia delle entrate per mettere a disposizione dell’agente della riscossione i dati relativi alla somma dei corrispettivi delle fatture emesse da debitori iscritti a ruolo e dai loro coobbligati nei confronti di uno stesso soggetto nei sei mesi precedenti a quello in cui i medesimi dati sono messi a disposizione, per le attività di analisi mirate all’avvio di procedure esecutive presso terzi. Le modalità attuative della disposizione di cui alla presente lettera sono definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.». 
 Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sarà emanato entro novanta giorni dal 1° gennaio 2026 data di entrata in vigore della legge di bilancio qualora tale norma resterà immutata secondo l'attuale formulazione.
- 			Notifica cartella: è valida se l’indirizzo è errato?La pronuncia n 18274/2025 della cassazione si esprime in tema di notifica. La vicenda nasce da un ricorso contro ipoteca e cartelle notificate a indirizzo diverso da quello della sede legale della SRL. La Cassazione ha enunciato il seguente principio: “In tema di notificazione della cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 26, comma 1, parte seconda, del d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio e della relativa data è assolta mediante la produzione della relata di notificazione e/o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella stessa, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento”. Vediamo i dettagli del caso di specie. Notifica cartella: è valida se l’indirizzo è errato?Una Srl, notificataria di una comunicazione preventiva di ipoteca su immobili da parte di Equitalia Sud S.p.A. oggi Agenzia delle Entrate – Riscossione presentava ricorso. L’atto era stato emesso in seguito a cartelle di pagamento per tributi locali non versati. La società contestava, tra le altre cose, l’irregolarità delle notifiche e in particolare che le cartelle sarebbero state recapitate presso un numero civico errato rispetto alla sede legale e ricevute da una persona non identificata chiaramente come incaricata. Il ricorso veniva respinto in primo e secondo grado in quanto la Commissione Tributaria Regionale confermava la legittimità della notifica, basandosi sulla presenza di un soggetto “incaricato dalla società” e sulla regolare attestazione dell’avviso di ricevimento. Da qui il ricorso per Cassazione, affidato a un unico motivo, che denunciava violazione delle norme in materia di notifiche (art. 145 c.p.c., art. 26 DPR 602/1973) e difetto di motivazione. Con l'Ordinanza n. 18274/2025, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, ribadendo un principio giurisprudenziale ormai consolidato: “In tema di notificazione della cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 26, comma 1, parte seconda, del d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio e della relativa data è assolta mediante la produzione della relata di notificazione e/o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella stessa, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento”. La Corte ha evidenziato come il principio di conoscenza legale ex art. 1335 c.c. prevalga, salvo querela di falso. Inoltre, ha ribadito che: - non è necessaria la produzione in giudizio degli originali delle cartelle, se il destinatario non ne disconosce specificamente la conformità ai sensi dell’art. 2719 c.c.
- la notifica è valida anche se effettuata presso un numero civico errato, se l’atto è ricevuto da persona incaricata alla sede legale della società.
- In assenza di una querela di falso, il contenuto dell’avviso di ricevimento ha efficacia probatoria piena, come atto pubblico.
 Nel caso specifico, la società non ha fornito elementi per contrastare le presunzioni ma si è limitata a contestare genericamente la notifica presso un civico diverso (n. 48 invece di n. 78), ma senza dimostrare che la persona che ha ricevuto l’atto non fosse incaricata dalla società stessa, quindi la notifica è regolare anche con civico errato. Il ragionamento della Cassazione si basa su due presupposti chiave: - presunzione di incarico: chiunque si trovi all’interno della sede (anche di fatto) può ricevere atti per conto della società, salvo prova contraria.
- errore materiale irrilevante: la differenza nel numero civico non ha impedito la ricezione dell’atto da parte di soggetto legittimato. L’atto ha quindi raggiunto il suo scopo, come previsto dall’art. 156 c.p.c.
 In sintesi: - la contestazione generica dell’irregolarità della notifica non basta.
- serve un disconoscimento specifico o querela di falso.
- anche un errore formale (es. numero civico) non inficia la validità della notifica, se l’atto viene comunque ricevuto da persona legittimata.
 
- 			CPB: da quando spetta l’esonero dal visto di conformità ai fini IVA?L'agenzia delle Entrate con una nuova FAQ del 15 ottobre risponde ad un quesito sul CPB e i casi di esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti Iva infrannuali. CPB: da quando spetta l’esonero dal visto di conformità ai fini IVA?Le Entrate ricordano che, l’art. 19, comma 3, del decreto legislativo n. 13 del 2024 (decreto CPB) dispone che per i periodi d’imposta oggetto del concordato preventivo biennale, ai contribuenti che aderiscono alla proposta formulata dall’Agenzia delle entrate sono riconosciuti i benefici, compresi quelli relativi all’IVA, previsti dall’ art. 9-bis, comma 11, del decreto-legge n. 50 del 2017. Con riferimento al quesito specifico, si ritiene che il beneficio dell’esonero dall’apposizione del visto di conformità per la compensazione dei crediti IVA infrannuali, per un importo non superiore a 70.000 euro annui, e dell’esonero dall’apposizione del visto di conformità o dalla prestazione della garanzia per i rimborsi IVA infrannuali, per un importo non superiore a 70.000 euro annui, riguardi i crediti maturati nel biennio successivo all’anno di adesione. Viene formito a titolo esemplificativo il seguente esempio: - se il contribuente ha aderito nel 2024 al CPB 2024-2025, egli potrà usufruire del beneficio per il biennio 2025-2026
 
- 			Cartella di pagamento: cosa accade dopo la notifica?La cartella di pagamento è l’atto che Agenzia delle entrate-Riscossione notifica ai contribuenti al fine di recuperare i crediti vantati dagli Enti impositori quali ad esempio Agenzia delle Entrate, INPS, e Comuni. Quando il contribuente riceve una cartella può agire secondo quanto previsto dalla legge, vediamo come comportarsi Cartella di pagamento: cosa accade dopo la notifica?Il conntribuente può: - pagare con il servizio “Paga online” disponibile sul portale di Agenzia delle entrate- Riscossione e sull’App Equiclick oppure utilizzando i canali telematici o gli sportelli/uffici delle banche, di Poste Italiane e di tutti gli altri Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti al nodo pagoPA. Se il pagamento viene effettuato entro i termini di legge, ossia entro 60 giorni dalla notifica della cartella, l’importo da pagare corrisponde esattamente alla cifra indicata nella prima pagina della cartella stessa; in caso contrario, sono applicati gli interessi di mora calcolati
 automaticamente dal servizio all’atto del pagamento
- rateizzare: la rateizzazione viene concessa da AdeR ai soggetti che ne fanno richiesta in base all’importo del debito e alle condizioni economiche dichiarate o documentate in relazione a quanto previsto dal decreto del Vice Ministro dell’economia e delle finanze del 27/12/2024. In particolare, è possibile ottenere la dilazione dei pagamenti: 
- o direttamente online tramite il servizio “Rateizza adesso” presente nell’area riservata per importi fino a 120 mila euro e nel numero massimo di 84 rate o compilando il modello da inviare via PEC agli specifici indirizzi riportati all’interno del modello stesso nel caso di richieste di dilazione che devono essere documentate ossia quelle di importo superiore a 120 mila euro oppure di importo inferiore a tale limite qualora, in quest’ultimo, si richieda la dilazione per un numero superiore a 84 rate
 
- presentare una richiesta di sospensione legale della riscossione a AdeR: se si ritiene che la richiesta di pagamento non sia dovuta, è possibile chiedere, entro 60 giorni dalla notifica della cartella, di sospendere le procedure di riscossione per far verificare all’ente creditore la situazione. La Legge n. 228/2012, infatti, stabilisce che è possibile chiedere la sospensione legale della riscossione degli importi indicati in una cartella in caso di:
- pagamento effettuato prima della formazione del ruolo
- provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore
- prescrizione o decadenza intervenute prima della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo
- sospensione amministrativa (dell’ente creditore) o giudiziale
- sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emessa in un giudizio al quale Agenzia delle entrate Riscossione non ha preso parte.
 
 
- pagare con il servizio “Paga online” disponibile sul portale di Agenzia delle entrate- Riscossione e sull’App Equiclick oppure utilizzando i canali telematici o gli sportelli/uffici delle banche, di Poste Italiane e di tutti gli altri Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti al nodo pagoPA. Se il pagamento viene effettuato entro i termini di legge, ossia entro 60 giorni dalla notifica della cartella, l’importo da pagare corrisponde esattamente alla cifra indicata nella prima pagina della cartella stessa; in caso contrario, sono applicati gli interessi di mora calcolati
- 			Motivazione atti impositivi: pronunica della CassazioneLa Cassazione con la sentenza n 24715/2025 ha specificato che la cartella di pagamento che fa seguito all'omesso versamento di una o più rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione non necessita di una specifica motivazione. Il principio affermato dalla Suprema Corte è il seguente La cartella di pagamento che faccia seguito all'omesso versamento di una o più rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione non necessita di una specifica motivazione […] Motivazione atti impositivi: pronunica della CassazioneCon la recente sentenza n. 24715 del 7 settembre 2025, la Corte di Cassazione è intervenuta su un punto chiave della motivazione degli atti impositivi, affermando che la cartella esattoriale emessa per omesso versamento di rate relative a un atto di adesione non necessita di motivazione autonoma. È sufficiente il richiamo all’atto di adesione stesso, poiché il contribuente è già messo in condizione di conoscere la pretesa tributaria. La controversia prendeva le mosse da una cartella notificata ad una società in liquidazione, per Irap, Iva, sanzioni e accessori relativo all’anno 2009. La cartella derivava dal mancato pagamento di alcune rate di una rateizzazione concessa a seguito di accertamento con adesione. La Commissione tributaria regionale in sede di appello, aveva annullato parzialmente la cartella per carenza di motivazione, relativamente ad alcune voci. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione davanti alla Suprema Corte, lamentando la violazione dell’art. 25 del DPR 602/1973, ritenendo sufficiente il richiamo all’atto di adesione come giustificazione della cartella. L’articolo 25 del DPR n. 602/1973 stabilisce i contenuti minimi della cartella di pagamento, tra cui l’indicazione degli elementi essenziali della pretesa fiscale. Tuttavia, non è previsto un obbligo di esposizione analitica se il debito deriva da atti già noti al contribuente. La sentenza 24715/2025 rafforza l’orientamento giurisprudenziale minimalista sulla motivazione delle cartelle. Quando un debito scaturisce da un atto di adesione e viene mancato il pagamento delle rate, la cartella può legittimamente basarsi su un mero richiamo all’atto originario. Ciò consente agli Uffici di semplificare la redazione degli atti senza sacrificare i diritti di difesa del contribuente, il quale è già consapevole della natura e dell’origine del debito. 
