• La casa

    Iscritti AIRE e prima casa: spetta per immobile nel comune dove si studia

    Con la Risposta a interpello n 312/2025 le Entrate hanno chiarito un ulteriore caso per l'agevolazione prima casa degli iscritti AIRE.

    L'istante chiedeva se spettasse per l'immobile acquistato nel comune dove ha avuto il domicilio per motivi di studio, vediamo la replica ADE.

    Iscritti AIRE e prima casa: spetta anche per il comune dove si studia

    Con la risposta in oggetto le Entrate evidenziano che la persona trasferita dall’Italia all’estero per ragioni di lavoro può beneficiare delle agevolazioni prima casa anche quando la casa oggetto di acquisto sia ubicata nel comune in cui il contribuente ha svolto il suo percorso scolastico che non coincide con il comune di nascita né con l’ultima residenza in Italia.

    In pratica con questa interpretazione l'ADE estende l’ambito applicativo del criterio della «attività» svolta prima del trasferimento all’estero, includendovi espressamente l’attività di studio e riconoscendo che tale attività costituisce un indice oggettivo di radicamento territoriale idoneo a fondare il beneficio fiscale.

    Ricordiamo che l’agevolazione prima casa per i non residenti è disciplinata dalla nota II-bis alla Tariffa parte prima del testo unico dell’imposta di registro modificato dall’articolo 2, comma 1, del Dl 69/2023: i lavoratori trasferiti all’estero con almeno cinque anni di residenza o attività in Italia possono effettuare l’acquisto di un’abitazione con l’agevolazione prima casa se l’abitazione da acquistare è ubicata nel comune di nascita o nel comune in cui il soggetto trasferito all’estero aveva la sua residenza o svolgeva la sua attività prima della partenza dall’Italia. 

    Le Entrate, richiamando le Circolari n. 1/1994 e n. 19/2001, ribadiscono che il concetto di «attività» è ampio e comprende anche lo svolgimento di attività non remunerate, tra cui quelle scolastiche.

    L'istante del caso specifico è una persona che aveva frequentato scuole e università nel comune dove ha effettuato poi l’acquisto, maturando così un legame con il luogo che l’Agenzia ha considerato sufficiente per radicare il requisito territoriale. 

    La circolare del 16 febbraio 2024, n. 3/E ha chiarito che «Il beneficio fiscale, in ragione dell'intervento normativo, viene pertanto ancorato a un criterio
    oggettivo, svincolandolo da quello della cittadinanza […]»
    . Pertanto, «possono accedere al beneficio fiscale in esame le persone fisiche che, contestualmente: si siano trasferite all'estero per ragioni di lavoro. Attesa la diversa formulazione della disposizione in commento rispetto alla versione previgente, il requisito agevolativo deve ritenersi riferibile a qualsiasi tipologia di rapporto di lavoro (non necessariamente subordinato) e deve sussistere già al momento dell'acquisto
    dell'immobile. Il trasferimento per ragioni di lavoro verificatosi in un momento successivo all'acquisto dell'immobile non consente, quindi, di avvalersi del beneficio fiscale in questione; abbiano risieduto in Italia per almeno cinque anni, o ivi svolto, per il medesimo periodo, la loro attività, anteriormente all'acquisto dell'immobile. A tal proposito si precisa che, con detto termine, si intende ricomprendere ogni tipo di attività, ivi incluse quelle svolte senza remunerazione. Si precisa che, per la verifica del requisito temporale della residenza, nonché di quello relativo all'effettivo svolgimento in Italia della propria attività, il quinquennio non deve essere necessariamente inteso in senso continuativo; abbiano acquistato l'immobile nel comune di nascita, ovvero in quello in cui avevano la residenza o in cui svolgevano la propria attività prima del trasferimento.»

    L'Ade evidenzia che naturalmente per il beneficio occorre il rispetto delle ulteriori condizioni previste dalla normativa in materia per l’ottenimento dell’agevolazione, quindi:

    • l’impossidenza di altri diritti reali su immobili nel medesimo comune
    • la non titolarità (in tutto il territorio nazionale) di abitazioni acquistate con l’agevolazione prima casa.

    Si riconosce pertanto rilievo ai legami affettivi del contribuente con il territorio, in coerenza con la ratio del beneficio, destinato a sostenere il radicamento familiare e personale in Italia delle persone che, emigrate per motivi professionali, hanno sviluppato la propria carriera all’estero.

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  • La casa

    Prima casa: chiarimenti per la rivendita post acquisto e credito d’imposta

    Con la Risposta n 297 del 26 novembre le Entrate replicano a dubbi sull'agevolazione prima casa.

    In particolare, si forniscono chiarimenti per la ''prima casa'' e la modifica normativa del termine di rivendita della abitazione agevolata, ex comma 4–bis, Nota II–bis, articolo 1, Tariffa I, TUR.

    Il contribuente ha venduto nel 2024 un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e intende riacquistare una nuova abitazione entro due anni, usufruendo sia delle agevolazioni fiscali sia del credito d’imposta previsto dall’art. 7 della Legge n. 448/1998.

    La domanda rivolta all’Agenzia delle Entrate è: “La modifica normativa che ha esteso a due anni il termine per la rivendita post-acquisto si applica anche al caso di riacquisto post-vendita ai fini del credito d’imposta?”

    L’Agenzia delle Entrate chiarisce che il termine per beneficiare del credito d’imposta sulla “prima casa” resta di un anno in caso di riacquisto dopo la vendita, nonostante la modifica normativa del 2025 che estende a due anni il termine per vendere la casa pre-posseduta.

    Prima casa: chiarimenti per la rivendita post acquisto e credito d’imposta

    Il contribuente ha venduto nel 2024 un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e intende riacquistare una nuova abitazione entro due anni, usufruendo sia delle agevolazioni fiscali sia del credito d’imposta previsto dall’art. 7 della Legge n. 448/1998.

    L’Agenzia delle Entrate chiarisce che il termine per beneficiare del credito d’imposta sulla “prima casa” resta di un anno in caso di riacquisto dopo la vendita, nonostante la modifica normativa del 2025 che estende a due anni il termine per vendere la casa pre-posseduta.

    Il credito d’imposta prima casa spetta a chi vende una casa acquistata con agevolazioni e ne acquista un’altra entro un anno dalla vendita, come stabilito dall’art. 7 della Legge 448/1998.

    Il beneficio consiste in un credito pari all’imposta di registro o IVA pagata sul primo acquisto, da utilizzare in compensazione al momento del secondo acquisto agevolato, entro i limiti imposti dalla legge.

    La Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024, art. 1, comma 116) ha modificato il comma 4-bis della Nota II-bis, estendendo da uno a due anni il termine per la vendita della prima casa precedentemente posseduta, nel caso in cui il nuovo acquisto avvenga prima della vendita

    Tuttavia, questa estensione riguarda solo i casi in cui si acquista prima e si vende dopo, non quelli in cui si vende prima e si acquista dopo.

    Con la Risposta n. 297/2025, l’Agenzia delle Entrate nega la possibilità di estendere a due anni il termine per il riacquisto dell’abitazione ai fini del credito d’imposta e precisa che:

    • la modifica del 2025 non incide sull’art. 7 della L. 448/1998, che continua a prevedere un termine di un anno per il riacquisto dopo la vendita;
    • non è possibile applicare in via analogica o estensiva una norma agevolativa;
    • le agevolazioni fiscali sono soggette a stretta interpretazione e non possono essere applicate oltre quanto espressamente previsto dalla legge.

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  • La casa

    Prima casa: non spetta se l’immobile non è stato costruito per tempo

    Cin l’ordinanza n. 25790-2025, la Cassazione ha chiarito che non è possibile applicare le agevolazioni “prima casa” all'acquisto di un immobile in corso di costruzione per mancata ultimazione dei lavori entro tre anni dalla data dell’atto, visto che la permanenza dell'immobile nella classificazione catastale F/3 suffraga la mancata ultimazione nel termine triennale, anche qualora il contribuente vi trasferisca la residenza e attivi le utenze

    Prima casa: non spetta se l’immobile non è stato costruito per tempo

    I soggetti ricorrenti hanno acquistato un immobile in costruzione, usufruendo delle agevolazioni fiscali "prima casa", con aliquota Iva al 4 per cento.
    L'Agenzia delle entrate, a seguito di controlli, ha contestato la decadenza dalle agevolazioni poiché i lavori non erano stati ultimati entro il termine previsto di tre anni dalla data dell'atto.

    Ciò rilevato ha emesso due avvisi di liquidazione con cui ha revocato l'aliquota Iva agevolata e recuperato l'imposta sostitutiva sulle operazioni di credito a medio-lungo termine.

    I contribuenti dopo essersi ricorsi alla CTP chiedendone l'annullamento, sono ricorsi alla CTP, visto il mancato accoglimento delle loro pretese.
    Anche i giudici di secondo grado hanno confermato la revoca delle agevolazioni, poiché i contribuenti non avevano ultimato i lavori né regolarizzato catastalmente l'immobile entro tre anni dall'atto d'acquisto.

    Nel ricorso in Cassazione i contribuenti sostengono che la mancata ultimazione dei lavori entro tre anni non sia una causa di decadenza prevista dalla legge e ritengono che l'elemento determinante per mantenere le agevolazioni, in caso di immobile in corso di costruzione, sia l'effettivo utilizzo dello stesso come abitazione principale: in questo senso, sottolineano che hanno prodotto prove documentali del trasferimento di residenza e delle utenze attive, mai contestate dall'ufficio.
    La Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo corretta la decisione dei giudici regionali che hanno ritenuto la legittimità dell'avviso di liquidazione dell’imposta di registro, ricorrendo la violazione dell'obbligo da parte del contribuente di ultimare la ristrutturazione entro i tre anni e, quindi, di richiedere l'attribuzione di una categoria e della relativa rendita, essendo l'immobile classificato come F/3, il che non può costituire motivo di aggiramento dei termini di accertamento da parte dell'ufficio.

    Secondo la Cassazione la persistenza della categoria catastale F, non è idonea per usufruire di agevolazione “prima casa”, essendo una categoria “fittizia”.

    Inoltre la  suprema Corte ha respinto l’ulteriore censura dei contribuenti, che hanno contestato la decisione dei giudici regionali  i quali non si sono pronunciati per l’incostituzionalità dell’articolo 75 del Dpr 633/1972. 

    Secondo i ricorrenti, la norma nella parte in cui prevede che “il venti per cento dei proventi delle sanzioni pecuniarie è devoluto ai fondi costituiti presso l'amministrazione o il corpo cui appartengono gli accertatori, con le modalità previste con decreto del Ministro per le finanze” violerebbe il principio di imparzialità della Pubblica amministrazione poiché determinerebbe un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra l'interesse pubblico e quello economico dell'accertatore.
    Nel respingere tale motivo, la Corte di Cassazione ritiene che, da un lato la norma citata attenga alla discrezionalità del legislatore, dall'altro, la destinazione delle somme e i presupposti dell'attività accertatrice, sono improntati a meccanismi automatici, predeterminati e obbligatori, come tali del tutto esulanti dal potere di scelta dell'organo accertatore, quindi non si può nemmeno porre un profilo di conflitto di interesse.

    L'azione amministrativa, spiega la Cassazione, è comunque soggetta a principi di correttezza, legalità e buona amministrazione, che fungono da parametro di controllo idoneo a evitare, anche in astratto, la possibilità di una distorsione dell'esercizio del potere in favore di un interesse privato, arbitrario e non verificabile.

  • La casa

    Fabbricato pertinenziale a terzi: quando si perde l’agevolazione montana

    Con la Risposta a interpello n 262 del 13 ottobre le Entrate chiariscono la Decadenza dall'agevolazione ''legge montana'', prevista dall'articolo 9, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, nel caso di concessione in comodato gratuito (o di affitto) di una pertinenza del maso chiuso.

    Decadenza agevolazione montana: maso chiuso

    Il Dpr n. 601/1973, all’articolo 9, riconosce agevolazioni fiscali per l’acquisto di fondi rustici in territori montani, a favore di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (IAP)

    L’incentivo consiste in:

    • registro e ipotecaria in misura fissa;
    • esenzione da imposta catastale e di bollo.

    La misura pensata per favorire la permanenza e la valorizzazione dell’attività agricola in montagna, si applica anche a soggetti non iscritti alla previdenza agricola, purché si impegnino a coltivare o condurre il fondo per almeno cinque anni.

    Il regime agevolato si applica solo se il soggetto acquirente:

    • è coltivatore diretto o IAP iscritto alla previdenza agricola;
    • oppure si impegna a coltivare personalmente il fondo per 5 anni, tramite dichiarazione inserita nell’atto.

    In caso di inadempimento, come cessazione della coltivazione, alienazione del fondo o uso difforme dei beni, prima del quinquennio, il beneficiario decade dalle agevolazioni e deve versare le imposte ordinarie con sanzioni e interessi.

    La Risposta n. 262 del 13 ottobre 2025 dell’Agenzia delle Entrate chiarisce un caso concreto che riguarda proprio la decadenza dall’agevolazione in caso di concessione in godimento di una pertinenza.

    Nel 2024, un contribuente ha acquistato un maso chiuso, una particolare forma di compendio agricolo, beneficiando delle agevolazioni previste dalla legge montana, dichiarando nell’atto l’impegno a coltivare i terreni per cinque anni. Inoltre, ha qualificato i fabbricati del maso come pertinenze dei fondi agricoli.

    Successivamente, ha manifestato l’intenzione di concedere in comodato gratuito uno degli appartamenti alla propria partner. Riteneva che ciò non compromettesse il beneficio fiscale, poiché:

    • il maso comprendeva un altro alloggio destinato al conduttore;
    • la partner avrebbe partecipato all’attività agricola.

    L'agenzia ricorda che ai sensi dell’art. 817 del codice civile, un bene è pertinenza quando:

    • è destinato in modo durevole al servizio di un altro bene (bene principale);
    • esiste un rapporto funzionale effettivo e continuativo.

    La pertinenza non è una mera dichiarazione, ma un giudizio di fatto, che va valutato caso per caso, anche in base alla destinazione concreta dell’immobile.

    Secondo la Cassazione (sent. n. 15739/2007), per essere considerati pertinenze, i fabbricati devono avere utilità funzionale all’attività agricola, ad esempio come:

    • abitazione del conduttore;
    • sede operativa dell’azienda;
    • locali agrituristici o magazzini agricoli.

    L’Agenzia ha rilevato che la concessione a terzi, anche se gratuita, interrompe il vincolo funzionale tra fabbricato e fondo, rendendo il fabbricato non più strumentale all’attività agricola. Di conseguenza, si verifica la decadenza dall’agevolazione.

    Concessione a terzi e conseguenze fiscali

    Anche se l’intenzione era familiare e il fondo agricolo continua ad essere coltivato:

    • l’uso del fabbricato non è più al servizio diretto dell’attività agricola;
    • la partner è un soggetto terzo, quindi l’utilizzo non è conforme alla finalità agricola.

    Questo comportamento, pur non essendo un’alienazione formale, altera la destinazione funzionale del bene agevolato, in contrasto con l’impegno quinquennale richiesto dalla norma.

    Allegati:
  • La casa

    Cessione di usufrutto: si perde l’agevolazione prima casa sull’immobile?

    Con la Cassazione n 25863/2025 si replica ad un contenzionso tra l'agenzia delle entrate ed un contribuente a cui era stata recovata l'agevolazione prima causa a seguito della cessione dell'usufrutto su di un immobile da figlio a genitori.

    Vediamo l'interessante pronuncia.

    Cessione di usufrutto: si perde l’agevolazione prima casa sull’immobile?

    Il contenzioso nasceva da un avviso di liquidazione notificato a un contribuente che, dopo aver acquistato un immobile con le agevolazioni “prima casa” nel 2011, aveva successivamente donato l’usufrutto ai propri genitori.
    L’Agenzia delle Entrate aveva revocato i benefici fiscali, ritenendo che la donazione integrasse un trasferimento dell’immobile entro i cinque anni previsti dalla normativa, con conseguente decadenza dalle agevolazioni e richiesta di oltre 20.000 euro di imposta di registro.

    La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al contribuente, sostenendo che la donazione dell’usufrutto non comporta la perdita del diritto di proprietà sull’immobile, rimasto in capo al nudo proprietario.

    Con l’ordinanza n. 25863 del 22 settembre 2025 la Sezione tributaria civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e confermato la posizione del contribuente.

    La Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di agevolazione per l’acquisto della prima casa, il quarto comma della nota II bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, stabilisce la decadenza solo in caso di trasferimento degli immobili acquistati con i benefici, e non anche in caso di costituzione del diritto di usufrutto sugli immobili stessi in favore di terzi.

    Pertanto, la sola costituzione di usufrutto non equivale a trasferimento di proprietà e non determina la perdita dei benefici fiscali.

    Gia con altre pronunce la Cassazione aveva sancito che in tema di agevolazioni tributarie, anche il nudo proprietario ha diritto alle agevolazioni in materia di imposta di registro per l'acquisto della prima casa di cui all'art. 1 della legge n. 168/82, purché destini effettivamente l'appartamento acquistato a propria abitazione dopo la consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà 

  • La casa

    Prima casa e vendita entro 5 anni: quando scatta la decadenza

    Con la Sentenza n 24479/2025 la Cassazione esprime un principio rilevante per l'agevolazione prima casa.

    Nel caso di specie, di seguito dettagliato, viene deciso che per evitare la decadenza dai benefici prima casa non vale l’acquisto effettuato prima della vendita infra‑quinquennale dell’immobile acquistato con le agevolazioni, ciò che la legge richiede è che l’acquisto del nuovo immobile segua l’alienazione infra‑quinquennale, nell’arco di un anno, e che il nuovo immobile sia destinato ad abitazione principale.

    Vediamo il caso di specie.

    Prima casa e vendita entro 5 anni: quando scatta la decadenza

    L"agevolazione prima casa” è una norma che consente, al momento del primo acquisto di un immobile da destinare ad abitazione principale, di usufruire di benefici fiscali relativi a imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale, ecc., a determinate condizioni.

    I principali requisiti sono che:

    • l’acquirente non possieda altri immobili nello stesso Comune;
    • l’immobile sia destinato ad abitazione principale entro il termine stabilito dalla legge;
    • non si acquistino altri immobili con le agevolazioni prima casa già godute, salvo che nel frattempo sia venduto l’immobile agevolato e si proceda ad un nuovo acquisto entro un anno.

    Se l’immobile agevolato viene alienato entro 5 anni dall’acquisto, l’agevolazione decade, a meno che il contribuente acquisti un nuovo immobile da adibire a propria abitazione principale entro un anno dalla vendita.

    Se si vende l’immobile acquistato con agevolazioni prima casa prima che siano trascorsi cinque anni, scatta la decadenza del beneficio.

    La sola vendita non è però l’unica circostanza: la normativa prevede un meccanismo di “salvaguardia” se entro un anno dall’alienazione si riacquista un altro immobile da destinare ad abitazione principale. Se ciò accade, il beneficio può essere mantenuto.

    Nel 2009, due coniugi acquistavano in comunione pro‑indiviso un immobile agevolato come “prima casa”.

    Nel 2012 la moglie rilevava la quota del 50% posseduta dal marito, chiedendo di conservare il beneficio per quella quota. 

    Nel 2016, la contribuente cedeva l’intero immobile (comprese le quote), prima che fossero passati i 5 anni dall’acquisto originario. 

    L’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione per revoca parziale dell’agevolazione, in particolare per la quota del 50% acquisita nel 2012 e poi ceduta nel 2016. 

    La Suprema Corte afferma che non è rilevante e quindi non sana la decadenza l’acquisto di un altro immobile prima della vendita infra‑quinquennale dell’immobile agevolato. 

    In altre parole, non basta aver già acquistato un nuovo immobile: è essenziale che il nuovo acquisto avvenga dopo l’alienazione del bene agevolato, e che avvenga entro l’anno successivo.

    Nel caso in esame, il fatto che la contribuente avesse acquistato una quota nel 2012 prima della cessione avvenuta nel 2016 non ha evitato la decadenza del beneficio per quella quota, la Cassazione ha respinto il ricorso. 


    Pe rla Cassazione ciò che conta è il momento degli acquisti rispetto alla vendita agevolata e in sintesi, per evitare decadenza, il contribuente deve:

    • vendere l’immobile agevolato entro i 5 anni;
    • poi (dopo la vendita) acquistare un nuovo immobile destinato ad abitazione principale;
    • fare questo nuovo acquisto entro un anno dall’alienazione.
    • Se viene fatto un acquisto prima della vendita agevolata, non serve: non “sana” la decadenza.
    • Importante: le quote di comproprietà vendute prima dei 5 anni possono implicare decadenza parziale per quella quota. 
    • Professionisti devono informare i clienti di queste tempistiche e consigliare una pianificazione attenta: non bastano intenzioni, serve rigore nei tempi.

  • La casa

    La comproprietà nello stesso comune preclude la prima casa

    La Corte di Cassazione con la pronuncia n 24477 del 3 settembre ha confermato che l’agevolazione “prima casa” è esclusa anche nei casi di comunione ordinaria tra coniugi, non solo in caso di comunione legale. 

    Si segna un punto sulla interpretazione della Nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/1986 sulla agevolazione prima casa.

    Vediamo il caso di specie.

    Comproprietà casa nello stesso comune preclude la prima casa

    La vicenda trae origine da un avviso di rettifica notificato dall’Agenzia delle Entrate a una contribuente che aveva acquistato un immobile chiedendo l’agevolazione prima casa.

    L’Ufficio contestava la spettanza del beneficio, rilevando che essa già risultava contitolare, in comunione ordinaria con il coniuge, di un altro immobile situato nello stesso comune.

    Secondo l’Agenzia, questo elemento bastava a precludere l’accesso all’agevolazione, sulla base della lett. b) della Nota II-bis del DPR n. 131/1986. 

    La contribuente eccepiva che tale preclusione valesse solo per i casi di comunione legale e che, nel suo caso, il regime patrimoniale era di separazione dei beni, dunque con titolarità individuale delle quote.

    La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, sposando integralmente la tesi dell’Agenzia delle Entrate.

    Secondo i giudici, la dicitura “in comunione con il coniuge” di cui alla lett. b) della Nota II-bis deve essere interpretata in senso letterale, senza limitazioni al solo caso della comunione legale.

    La Corte ha enunciato il seguente principio: "In materia di agevolazione prima casa, la circostanza che l'acquirente sia già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione ordinaria di altra abitazione idonea nello stesso Comune preclude il riconoscimento dell'agevolazione

    Viene chiarito che, essendo la lett. b) riferita specificamente al comune in cui è situato l’immobile, non è corretto interpretarla in senso restrittivo alla sola comunione legale. 

    Al contrario, tale distinzione è esplicitata solo nella lett. c) della stessa Nota, che riguarda invece la titolarità su tutto il territorio nazionale.

    Secondo i giudici di legittimità le norme fiscali agevolative, essendo eccezionali, sono soggette a stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.

    Non è quindi possibile ampliare il significato delle espressioni normative con interpretazioni analogiche o estensive.

    Il termine “comunione con il coniuge” va preso nel suo senso ordinario, che include qualsiasi forma di contitolarità, anche se non legata al regime patrimoniale legale.

    La Corte ha anche escluso che la titolarità pro-quota di un immobile in comunione ordinaria con il coniuge equivalga a inidoneità abitativa, specificando che in presenza di matrimonio in essere (quindi non in caso di separazione legale), si presume la coabitazione e l’idoneità abitativa del bene comune, a prescindere dalla quota posseduta.