-
Demansionamento e perdita indennità: dipendente da risarcire
La recente sentenza della Cassazione n. 22636 2025 fornisce un importante chiarimento sulla tutela dei lavoratori in materia di demansionamento e sulle conseguenze economiche legate alla perdita di indennità accessorie.
In particolare si afferma che i giudici di merito devono valutare attentamente il nesso causale tra l’illegittimo comportamento datoriale e la perdita economica subita dal dipendente, anche quando si tratti di voci retributive accessorie collegate a particolari modalità di lavoro, con conseguente obbligo di risarcimento.
Ecco più in dettaglio il caso e le motivazioni della Suprema Corte.
Il caso e le decisioni di merito
La vicenda trae origine da una causa di lavoro promossa da un dipendente contro la società datrice, a seguito dell’assegnazione a mansioni ritenute dequalificanti rispetto a quelle precedentemente svolte. In primo grado, il Tribunale di Lanciano aveva riconosciuto l’illegittimità del demansionamento, condannando l’azienda a risarcire sia il danno biologico, sia il danno professionale, quantificato nel 20% delle retribuzioni percepite nel periodo di dequalificazione (sei anni e sei mesi). Inoltre, era stato liquidato un danno patrimoniale pari a oltre 116.000 euro, corrispondente alla perdita delle maggiorazioni retributive spettanti per il lavoro notturno. La Corte d’Appello di L’Aquila, nel 2021, aveva in parte confermato e in parte riformato la decisione. Pur riconoscendo la sussistenza del demansionamento e confermando il risarcimento per danno biologico e professionale, i giudici di secondo grado avevano escluso il diritto al ristoro per la perdita dell’indennità notturna. Secondo l’interpretazione allora accolta, tale emolumento non costituiva un diritto acquisito del lavoratore, bensì una mera voce retributiva accessoria, dovuta solo in presenza della prestazione effettiva nel turno disagiato.
Risarcimento per demansionamento
La controversia è giunta quindi dinanzi alla Corte di Cassazione con il ricorso del lavoratore contro la decisione di secondo grado, denunciando in particolare violazione dell’art. 2103 c.c. – in tema di adibizione a mansioni non corrispondenti all’inquadramento.
La società ha resistito lamentando l’inesistenza del demansionamento e l’erroneità delle liquidazioni operate nei gradi precedenti.
La Suprema Corte ha confermato la sussistenza del demansionamento e la legittimità del riconoscimento dei danni biologici e professionali, rilevando come la Corte territoriale avesse erroneamente trascurato le allegazioni del dipendente circa la perdita delle maggiorazioni notturne.
Secondo gli Ermellini, tuttavia, la questione non riguardava l’esistenza di un “diritto acquisito” a essere sempre impiegato di notte, bensì il dato fattuale che, per diversi anni, il lavoratore aveva effettivamente prestato la propria attività nel turno notturno percependo regolarmente le relative indennità.
Con l’assegnazione a mansioni inferiori e al turno diurno, egli aveva perso tale trattamento economico, configurando così un danno patrimoniale diretto e immediato ai sensi dell’art. 1223 c.c.
Le conseguenze della pronuncia: la motivazione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, demandando alla stessa Corte territoriale – in diversa composizione – di riesaminare il caso sotto il profilo del danno patrimoniale da perdita delle indennità notturne.
È stato ribadito che, in presenza di un accertato demansionamento, la valutazione delle conseguenze economiche deve tener conto:
- sia della dequalificazione e dei riflessi sulla professionalità, che
- delle concrete perdite subite in relazione al trattamento economico già consolidato nel tempo.
In questo senso, la Suprema Corte ha richiamato la giurisprudenza che ammette, in sede di liquidazione equitativa del danno da demansionamento, l’utilizzo della retribuzione come parametro di riferimento, valorizzando qualità e quantità dell’esperienza lavorativa e le circostanze specifiche del caso concreto.
Il punto centrale è che la perdita delle indennità notturne, percepite in maniera costante e documentata per oltre cinque anni, non può essere ignorata in quanto rappresenta una conseguenza immediata e diretta della condotta datoriale illegittima.
Nel caso specifico il calcolo è stato il seguente:
Voce di danno Quantificazione Danno biologico € 7.417,30 oltre accessori Danno da dequalificazione professionale 20% delle retribuzioni per 6 anni e 6 mesi Danno patrimoniale da perdita indennità notturne € 116.410,40 (da riesaminare in rinvio) -
Appalto o interposizione fittizia? chiarimenti dalla Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16153 depositata il 16 giugno 2025, ha messo un punto fermo su una controversia riguardante l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato e la presunta responsabilità solidale del committente, nel contesto di appalti di servizi logistici.
La vicenda ha origine da un ricorso avanzato da un lavoratore che, impugnando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con DHL Express (Italy) Srl, oltre al pagamento di differenze retributive e alla reintegrazione a seguito di un licenziamento che sosteneva illegittimo perché comunicato oralmente.
La sentenza chiarisce i criteri per la liceità dell'appalto e i conseguenti limiti della responsabilità del committente
L’analisi della Cassazione: criteri per l’appalto lecito
La Corte territoriale aveva accertato che tra il 2007 e il 2010 il ricorrente aveva lavorato alle dipendenze di una cooperativa nell’ambito di appalti ritenuti illeciti con soggetti terzi. Di conseguenza, aveva riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato solo con la Cooperativa, condannandola a pagare una somma pari a circa 40.000 euro.
Nessuna responsabilità, invece, era stata attribuita alla DHL, ritenuta estranea al vincolo diretto di lavoro e priva di un potere direttivo effettivo sul personale impiegato.
Nel ricorso per cassazione, il lavoratore ha articolato quattro motivi principali.
- In primis, ha sostenuto la violazione dell’art. 2094 c.c. e della legge n. 604/1966, ritenendo che il giudice d’appello avesse omesso di riconoscere la sussistenza di un licenziamento orale da parte di DHL, e di conseguenza, il rapporto di lavoro subordinato con quest’ultima. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto il motivo infondato: secondo l’orientamento consolidato: è il lavoratore a dover provare che la cessazione del rapporto sia dipesa da una volontà datoriale (Cass. n. 3822/2019, n. 13195/2019). La sola interruzione della prestazione non basta.
- Il secondo motivo verteva sull’inesistenza del licenziamento da parte del vero datore di lavoro, ritenuto essere DHL o la Cooperativa, e sulla necessità di condanna alla reintegra. Anche in questo caso, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile per mancanza di prova sulle modalità effettive di cessazione del rapporto.
- Con il terzo motivo, il ricorrente lamentava la mancata liquidazione di ore di straordinario, invocando l’art. 36 della Costituzione e l’art. 29 del D.Lgs. 276/2003. Tuttavia, i giudici di legittimità hanno rilevato che la Corte d’Appello aveva già quantificato le spettanze sulla base di una consulenza tecnica, calcolando l’orario di lavoro dalle 7:30 alle 17:30 per cinque giorni a settimana. Le doglianze del lavoratore proponevano una diversa ricostruzione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.
- Infine, il quarto motivo denunciava l’errata applicazione dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 in tema di responsabilità solidale dell’appaltatore e del committente. Anche qui, il ricorso è stato respinto: la Cassazione ha ribadito che l’appalto è lecito quando l’appaltatore organizza autonomamente il processo produttivo, anche in assenza di mezzi propri, purché eserciti un potere direttivo reale sui lavoratori. La cooperativa aveva effettivamente gestito il personale senza ingerenze della società appaltatrice DHL, che si era limitata a stabilire criteri generali per il servizio (zone di consegna, strumenti di comunicazione, ecc.)
Appalto lecito: responsabilità del committente limitata
La Corte di Cassazione ha confermato l’impostazione del giudice d’appello, chiarendo che non sussiste alcuna responsabilità del committente (in questo caso DHL) quando l’appalto è stato eseguito secondo i requisiti di legge. Ai sensi dell’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003, è necessaria la presenza di un’organizzazione autonoma da parte dell’appaltatore, anche in assenza di beni materiali, purché vi sia un effettivo potere direttivo sui lavoratori.
Nel caso esaminato, la Cooperativa Elettra aveva gestito direttamente gli autisti, assegnando i turni e organizzando il lavoro, senza ingerenze sostanziali da parte di DHL. Inoltre, il lavoratore non aveva richiesto formalmente la responsabilità solidale del committente per le spettanze economiche. Pertanto, la Cassazione ha escluso qualsiasi vincolo giuridico tra il lavoratore e DHL e ha confermato che la cessazione del rapporto con la Cooperativa non costituiva un licenziamento ingiustificato.
Con questa decisione, la Corte ha fornito un’importante precisazione sulla corretta interpretazione dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003, contribuendo a delimitare con maggiore chiarezza i confini tra appalto lecito e interposizione fittizia, tutelando sia i diritti dei lavoratori che la certezza dei rapporti giuridici tra imprese.
Tabella comparativa tra appalto lecito e appalto illecito
Caratteristica Appalto lecito Appalto illecito (interposizione fittizia) Organizzazione del lavoro A carico dell'appaltatore, in modo autonomo In realtà organizzato dal committente Direzione e controllo L'appaltatore esercita un potere direttivo effettivo sui lavoratori Il committente impartisce istruzioni direttamente ai lavoratori Finalità del contratto Realizzazione di un risultato autonomo (opera o servizio) Semplice fornitura di manodopera senza reale autonomia organizzativa Presenza di mezzi e strumenti Non indispensabile possederli, se c'è capacità organizzativa Spesso assenti, e comunque usati sotto il controllo del committente Responsabilità per retribuzioni e contributi In caso di appalto lecito: solo l'appaltatore risponde In caso di illecito: può configurarsi la responsabilità del committente Riferimento normativo Art. 29 D.Lgs. 276/2003 Art. 18 D.Lgs. 276/2003; L. 1369/1960 (oggi abrogata) Nota pratica: Come chiarito dalla Cassazione (Ord. n. 16153/2025), strumenti forniti dal committente e linee guida generali non bastano a dimostrare un'ingerenza diretta, se l’organizzazione della prestazione è effettivamente in capo all’appaltatore.
-
Decontribuzione SUD: in Uniemens verifica automatica per le PMI
Con il messaggio 2398 del 30 luglio 2025 INPS informa che è stata resa disponibile una nuova funzionalita online nelle denunce mensili Uniemens che verifica in automatico se l'azienda rispetta i criteri per fruire della Decontribuzione SUD ovvero l' esonero dal versamento dei contributi previdenziali, (articolo 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2024, n. 207) destinato alle microimprese e alle piccole e medie imprese che occupano lavoratori a tempo indeterminato, nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
Vengono anche fornite le precisazioni per il superamento dell'eventuale blocco delle domande.
Verifica automatica forza lavoro e superamento del blocco
L'istituto infatti che a norma dell’articolo 1, comma 407, della legge di Bilancio 2025 rientrano nella nozione di microimpresa e di piccola e media impresa i datori di lavoro privati che hanno alle proprie dipendenze non più di 250 dipendenti, ai sensi dell’allegato I al regolamento (UE) 2014/651 della Commissione
Il regolamento prende dunque in considerazione i tre seguenti criteri:
– il calcolo del numero dei dipendenti effettivi;
– il fatturato annuo;
– il totale di bilancio annuo.
In particolare, la categoria delle micro, piccole e medie imprese è costituita da imprese che hanno:
- 1. meno di 250 occupati;
- 2. un fatturato annuo che non supera i 50 milioni di euro o, in alternativa, 3. un totale di bilancio annuo che non supera i 43 milioni di euro.
Dato che per la qualificazione di PMI entrambi i criteri soprariportati devono essere rispettati nel relativo periodo di riferimento, l'istituto ha reso disponibile una apposita funzionalità all’interno delle denunce mensili volta a verificare la forza lavoro del mese di competenza .
Lo strumento impedisce di fatto, in via prudenziale, la possibilità di inviare la denuncia con valorizzazione della “Decontribuzione Sud PMI” qualora il numero di dipendenti calcolato nel mese risulti superiore alle 250 unità.
Tuttavia, considerato che per calcolare gli effettivi e gli importi finanziari bisogna tenere in considerazione anche l'ultimo esercizio contabile chiuso ed effettuare il calcolo su base annua, tale controllo può essere superato dal soggetto interessato che ritenga di rientrare nell’ambito di legittima applicazione della misura inviando la denuncia mensile con la valorizzazione della “Decontribuzione Sud PMI”.
In questo casi il soggetto interessato dovrà fornire, se richiesta dall’Istituto, la documentazione probante relativa al rispetto delle soglie dimensionali annue e di fatturato o di bilancio .
-
Protocollo lavoro nelle emergenze climatiche: pubblicato il decreto
E' stato recepito con decreto ministeriale 95 del 09.7.2025 l'Accordo firmato il 2 luglio 2025 presso il Ministero del lavoro per un " Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro", resosi necessario per l'eccezionale ondata di caldo che ha colpito anche quest'anno il paese.
Nei giorni successivi alla firma era proseguita la raccolta delle firme di tutte le parti sociali, ora elencate nel decreto. Si tratta in particolare di :
- CISL
- CGIL
- UIL
- UGL
- CONFINDUSTRIA
- CONFARTIGIANATO
- CNA
- COLDIRETTI
- ANCE
- CONFAGRICOLTURA
- CASARTIGIANI
- CONFCOOPERATIVE
- LEGACOOP
- AGCI
- CIA – AGRICOLTORI ITALIANI
- CONFESERCENTI
- CONFCOMMERCIO
Il ministro del lavoro ha affermato che "Con la sottoscrizione del Protocollo caldo al Ministero, le parti sociali hanno dato una risposta importante ai lavoratori e alle imprese, in un momento eccezionale ; il protocollo, il primo dopo il Covid-19 ha l’obiettivo di scongiurare infortuni e malattie professionali connessi al clima estremo. L’obiettivo è coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative. Allo stesso tempo si propone di valorizzare le iniziative, anche contrattuali, di categoria, territorio o azienda, già assunte in sede nazionale e di diventare un punto di riferimento per gli eventuali provvedimenti adottati dalle amministrazioni locali".
Come noto attualmente sono in vigore molte ordinanze regionali che vietano il lavoro nelle ore piu calde della giornata Il documento ministeriale chiarisce le modalità di armonizzazione di questi documenti con le indicazioni del protocollo, che si basa anche sulle linee guida INAIL.
Da segnalare in particolare l'obbligo per i datori di lavoro di condivide con Inps gli accordi sottoscritti a livello territoriale in materia di CIG.
Vediamo più in dettaglio i contenuti dell'accordo quadro.
Protocollo quadro misure di contenimento dei rischi nelle emergenze climatiche
Ecco una panoramica dettagliata delle misure previste dal Protocollo quadro, sottoscritto il 2 luglio 2025, che nasce con i seguenti obiettivi:
- Contenere i rischi lavorativi derivanti da emergenze climatiche (in particolare il caldo estremo).
- Garantire la prosecuzione delle attività produttive tutelando la salute psicofisica dei lavoratori.
- Promuovere buone pratiche condivise, anche attraverso accordi contrattuali a livello nazionale, territoriale e aziendale.
Il documento si riferisce sia ai lavoratori outdoor (esposti direttamente agli agenti atmosferici) che indoor, specie in ambienti privi di condizioni microclimatiche idonee.
Le Misure previste nel protocollo :
A. Valutazione e gestione del rischio
- Il rischio climatico, incluso il microclima, deve essere integrato nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) ai sensi degli articoli 28 e 29 del D.Lgs. 81/2008.
I datori di lavoro sono obbligati a monitorare quotidianamente i bollettini ufficiali meteo (es. www.salute.gov.it/caldo) e a prevedere azioni preventive immediate in caso di allerta.
- B. Integrazione nei contratti collettivi
È prevista l’attivazione di tavoli contrattuali nazionali, territoriali o aziendali, per tradurre il protocollo in misure specifiche per ciascun settore.
Le misure possono confluire nei CCNL vigenti.
C. Temi specifici d’intervento
Il protocollo individua alcune buone prassi da declinare a livello settoriale:
- Informazione e formazione specifica sui rischi climatici.
- Sorveglianza sanitaria mirata ai rischi da calore e microclima.
- Fornitura adeguata di DPI e indumenti in funzione della stagione.
- Riorganizzazione di turni e orari di lavoro, ad esempio anticipando o posticipando l’inizio delle attività.
D. Misure per i cantieri temporanei (Titolo IV, D.Lgs. 81/2008)
I Coordinatori per la sicurezza dovranno includere il rischio microclima nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC).
I datori di lavoro appaltatori devono prevedere nel POS misure come:
- aree d’ombra,
- pause più frequenti,
- fornitura di bevande,
- adeguamento dei DPI.
Da notare che il testo pubblicato sul sito del Ministero, prevede l'obbligo per i datori di lavoro di trasmettere alla sede Inps competente gli accordi «sottoscritti a livello territoriale con la parte sindacale in attuazione del…protocollo, che prevedono l’erogazione di misure di integrazione salariale volte a fronteggiare eccezionali situazioni climatiche».
Il ruolo delle istituzioni e l’attuazione
Dal punto di vista del supporto istituzionale alla realizzazione delle misure si prevede che l’INAIL potrà riconoscere premialità per le imprese che applicano accordi attuativi del protocollo, senza incremento della spesa pubblica.
Il Ministero del Lavoro è chiamato a:
- formalizzare il protocollo;
- facilitare l’uso degli ammortizzatori sociali (es. CIGO, CISOA), anche per stagionali;
- qualificare le ordinanze e i protocolli attuativi come giustificazioni valide per ritardi nei lavori dovuti a eventi climatici estremi.
Le parti firmatarie si incontreranno entro sei mesi dalla sottoscrizione per verificare l’attuazione del protocollo. Inoltre potranno essere istituiti gruppi di lavoro territoriali o settoriali con il coinvolgimento di autorità sanitarie locali e altri enti istituzionali.
-
Licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese: no al tetto di 6 mensilità
Con la sentenza n. 118 del 2025, depositata il 21 luglio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. 23/2015, «limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”».
La Corte ha stabilito cioè che il limite risarcitorio invalicabile, applicato in modo uniforme a tutti i datori di lavoro sotto soglia, viola i principi di uguaglianza, adeguatezza della tutela e dignità del lavoratore, sanciti dagli articoli 3, 4, 35, 41 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta Sociale Europea.
Secondo la Consulta, la previsione di un tetto massimo rigido impediva al giudice di personalizzare il risarcimento in base alla gravità dell’illegittimità del licenziamento, rendendolo talmente esiguo da trasformarlo in una liquidazione forfetaria e standardizzata, inidonea a garantire un ristoro effettivo e una funzione deterrente.
La sentenza non ha invece censurato il dimezzamento delle indennità rispetto alle imprese sopra soglia, considerandolo compatibile con la Costituzione, purché inserito in una forbice ampia e flessibile.
Risarcimento per licenziamento illegittimo: il contesto normativo
Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, noto come parte del “Jobs Act”, ha introdotto un nuovo regime per i contratti a tutele crescenti, modificando in modo rilevante la disciplina dei licenziamenti illegittimi.
In particolare, l’articolo 9, comma 1, stabiliva che, nei casi di licenziamenti dichiarati illegittimi da parte di datori di lavoro con meno di 15 dipendenti (quindi non soggetti all’articolo 18 della legge 300/1970, lo Statuto dei lavoratori), l’indennità risarcitoria dovesse essere dimezzata rispetto a quella prevista per le imprese sopra soglia e, in ogni caso, non potesse superare le sei mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo del TFR per ogni anno di servizio.
Tale disciplina mirava a rendere più sostenibili i costi per le piccole imprese, ma ha generato ampio dibattito sul piano costituzionale, in particolare per la sua rigidità e per la difficoltà di adattare il risarcimento alla gravità del licenziamento.
Già con la sentenza n. 183 del 2022 la Corte Costituzionale aveva segnalato l’inadeguatezza del limite massimo fisso, invitando il legislatore a intervenire. Tuttavia, a distanza di oltre due anni, nessuna modifica normativa era stata introdotta, rendendo necessario un nuovo intervento diretto della Consulta
Implicazioni pratiche della decisione: cosa cambia
A seguito della pronuncia, il risarcimento per licenziamenti illegittimi da parte di datori di lavoro con meno di 15 dipendenti non sarà più soggetto al tetto delle sei mensilità.
Pur restando in vigore il dimezzamento previsto dal d.lgs. 23/2015, si amplia la forbice risarcitoria:
- dai precedenti 3-6 mesi si passa a
- un intervallo potenziale di 3-18 mensilità, allineato alla metà della fascia prevista per le grandi imprese (6-36 mensilità).
Di fatto sarà il giudice del lavoro, caso per caso, a determinare l’importo dell’indennità, tenendo conto di vari elementi:
- anzianità del lavoratore,
- gravità della violazione,
- comportamento delle parti e
- caratteristiche dell’impresa, tra cui non solo il numero di dipendenti, ma anche fatturato e bilancio
Questa apertura alla valutazione giudiziale personalizzata segna un riequilibrio tra le esigenze delle imprese e i diritti dei lavoratori e risponde anche alla mancata attuazione legislativa auspicata dalla precedente sentenza.
-
Uniemens: documento e allegato tecnico aggiornati giugno 2025
Il 30 giugno INPS ha pubblicato sul sito istituzionale un nuovo allegato tecnico Uniemens, con gli aggiornamenti sul flusso Uniemens dei dipendenti.
II Documento tecnico era stato aggiornato in vece alla data del 28 marzo 2025
Disponibile anche lo schema di validazione UNIEMENS aggiornato al 5 giugno e un nuovo elenco Codici Contratto sempre aggiornati al 30 dicembre 2024.
Si ricorda che questo sistema di inoltro delle denunce mensili relative ai lavoratori dipendenti è in vigore dal 2009 ed è obbligatorio per tutti i datori di lavoro.
Prima della introduzione del flusso UNIEMENS, il datore di lavoro compilava il modello DM10 per denunciare all'INPS le retribuzioni dei dipendenti, i contributi dovuti e l’eventuale conguaglio delle prestazioni, delle agevolazioni e degli sgravi anticipati per conto dell’INPS.
Uniemens i manuali d’uso aggiornati
L'invio della denuncia mensile sulle retribuzioni dei dipendenti tramite flusso UNIEMENS deve essere inoltrato online all'INPS attraverso il servizio dedicato.
Ulteriori istruzioni e approfondimenti su UNIEMENS sono disponibili sul sito INPS nella sezione Imprese e liberi professionisti, alla pagina Trasmissione Uniemens datori di lavoro privati
Allegati: -
Riposo nelle festività infrasettimanali: è un diritto inderogabile?
Con l’ordinanza n. 17383 pubblicata il 28 giugno 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – si è pronunciata su una vicenda che coinvolgeva alcuni lavoratori turnisti impiegati da una società di gestione aeroportuale. I dipendenti rivendicavano il diritto di astenersi dalla prestazione lavorativa durante le festività civili e religiose infrasettimanali, diritto riconosciuto loro in primo grado e poi confermato dalla Corte d’Appello di Firenze.
Quest’ultima aveva infatti ritenuto che, in mancanza di un’esplicita pattuizione individuale, né la legge né la contrattazione collettiva potessero imporre al lavoratore di prestare attività durante queste giornate festive.
La società datrice di lavoro ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando sia l'interesse ad agire dei lavoratori che l’interpretazione della normativa sul riposo festivo, in particolare degli articoli 2 e 5 della Legge 260/1949, dell’art. 3 della Legge 90/1954, e dell’art. 12 delle Preleggi.
Il principio giuridico: quando il riposo è rinunciabile
La Suprema Corte, nella motivazione dell’ordinanza, ha respinto il primo motivo di ricorso confermando che i lavoratori avevano pieno interesse ad agire, essendo la controversia motivata da un oggettivo stato di incertezza sull’esistenza e sull’estensione del loro diritto. La Cassazione ha infatti ricordato che è legittima l’azione giudiziaria anche in presenza di incertezza giuridica, anche se non vi è ancora lesione attuale di un diritto.
Ben più rilevante però è l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, che ha portato alla cassazione della sentenza impugnata.
Secondo la Corte, il diritto del lavoratore a non lavorare durante le festività infrasettimanali, pur essendo riconosciuto dalla legge (Legge 260/1949 e successive integrazioni), non ha carattere assoluto e inderogabile come invece sostenuto dai giudici d'appello. Si tratta infatti di un diritto rinunciabile mediante accordo individuale o collettivo.
La giurisprudenza consolidata – richiamata espressamente dalla Cassazione – afferma che la possibilità per il lavoratore di svolgere attività lavorativa nelle giornate festive può essere pattuita con il datore di lavoro, anche attraverso il semplice richiamo nel contratto individuale alle previsioni di un contratto collettivo che contempli turni articolati su sette giorni (Cass. n. 29907/2021, Cass. n. 16592/2015). Non serve dunque una clausola esplicita che imponga la prestazione nelle festività, se dalla struttura dell’orario turnato, prevista nella contrattazione collettiva e recepita nel contratto individuale, si evince la possibilità di lavorare anche nei giorni festivi.
Verifica della contrattazione collettiva
In base a questi principi, la Cassazione ha censurato la decisione della Corte d’Appello di Firenze, che aveva ritenuto vincolante il diritto dei lavoratori a non lavorare nei giorni festivi, senza considerare se tale diritto fosse già stato oggetto di una regolamentazione collettiva, eventualmente recepita anche nel contratto individuale. L’errore dei giudici di merito è stato quello di richiedere una prova specifica da parte del datore di lavoro sull’indisponibilità del singolo lavoratore e sull’impossibilità di garantire il servizio pubblico essenziale, senza esaminare se l’organizzazione del lavoro su turni – nei fatti operante su sette giorni – fosse già stata concordata come deroga legittima.
La Corte ha quindi rinviato la causa alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, affinché valuti nel merito se la contrattazione collettiva applicata e il comportamento delle parti nel corso del rapporto di lavoro possano costituire elementi idonei a legittimare la prestazione lavorativa anche nelle festività infrasettimanali.
In conclusione, l’ordinanza offre un chiarimento importante per i datori di lavoro e i lavoratori turnisti, specie nei settori che garantiscono servizi pubblici essenziali. Il diritto al riposo festivo non è un dogma inderogabile, ma un principio disponibile che può essere gestito nel rispetto dell’autonomia contrattuale individuale e collettiva. La verifica delle clausole dei contratti collettivi e della prassi lavorativa diventa quindi fondamentale per risolvere eventuali contenziosi.