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Regime impatriati 2025 e patto di sospensione del contratto
Con la risposta n. 142/2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’applicabilità del nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati, introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209. Nello specifico si conferma che, in linea generale, la stipula di un patto di sospensione del contratto non è di per sé causa ostativa per l’accesso al nuovo regime agevolato previsto dal D.lgs. n. 209/2023.
Tuttavia, ai fini della concreta applicabilità dell’agevolazione, resta necessario verificare in fase di controllo tutti gli elementi di fatto e i requisiti soggettivi previsti dalla norma. Vediamo i dettagli del caso e la risposta
Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate
Il caso riguarda un cittadino italiano assunto da una società italiana dal 2007, successivamente distaccato all’estero in varie fasi fino al 2022, con incarichi svolti per un’altra società estera.
Nel gennaio 2023, l’interessato ha stipulato un patto di sospensione del rapporto di lavoro con la società italiana subentrata nel contratto originario, sospensione valida fino a dicembre 2025.
Tale accordo è stato finalizzato per permettergli di accettare un nuovo impiego all’estero presso la stessa società in cui aveva già lavorato fuori dall’Italia.
Il patto non prevedeva alcuna retribuzione né obblighi contributivi o assicurativi.
A maggio 2023, l’interessato ha trasferito la residenza all’estero e intende rientrare in Italia a partire dal 2026, riprendendo il rapporto con il datore di lavoro sospeso. L’interessato possiede anche un titolo di laurea valido per dimostrare l’elevata qualificazione richiesta dal regime agevolativo.
Il dubbio sollevato riguarda la possibilità di accedere al nuovo regime agevolato per lavoratori impatriati a partire dal 2026, nonostante l’interruzione formale e temporanea del contratto tramite il patto di sospensione.
I requisiti indicati dall’Agenzia
L’articolo 5 del D.lgs. n. 209/2023 prevede che i redditi di lavoro prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato a partire dal 2024 concorrono alla formazione del reddito complessivo solo per il 50% del loro ammontare, fino a un massimo di 600.000 euro annui. Per poter fruire dell’agevolazione devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
- Il contribuente non deve essere stato fiscalmente residente in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al rientro;
- Deve risiedere fiscalmente in Italia per almeno quattro anni consecutivi;
- L’attività lavorativa deve essere prestata in misura prevalente sul territorio nazionale;
- Deve possedere una qualificazione o specializzazione elevata (ai sensi del D.lgs. n. 108/2012 e del D.lgs. n. 206/2007).
- Il periodo minimo di permanenza all’estero può salire a sei o sette anni se il lavoratore è impiegato, prima e dopo il rientro, dallo stesso soggetto o da una società appartenente al medesimo gruppo, definito secondo l’art. 2359 del codice civile.
In base ai chiarimenti precedenti forniti dall’Agenzia (risposta n. 41/2025), per valutare il rispetto dei requisiti temporali di residenza estera è necessario verificare se il lavoratore presta la propria attività, prima e dopo il trasferimento, per lo stesso datore di lavoro o per un soggetto del medesimo gruppo.
Se non vi è coincidenza, bastano tre anni di residenza estera; altrimenti, il minimo si eleva.
Patto di sospensione e regime impatriati: la posizione dell’Agenzia
Nella risposta n. 142/2025, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, per determinare l’accesso al regime impatriati, occorre anzitutto verificare se vi sia o meno coincidenza tra i soggetti coinvolti nel rapporto di lavoro all’estero e in Italia. In caso di mancanza di coincidenza (cioè, se le società non fanno parte dello stesso gruppo), il periodo minimo richiesto di residenza estera è di tre anni.
Nel caso in esame, il lavoratore rientrerà in Italia per riprendere il lavoro con la società con cui aveva sospeso il rapporto. Tuttavia, poiché non è possibile accertare nell’ambito dell’istanza di interpello se questa società e quella estera facciano parte dello stesso gruppo (ai sensi dell’art. 2359 c.c.), l’Amministrazione si limita a indicare che, in assenza di coincidenza tra i soggetti, l’agevolazione è accessibile con almeno tre anni di residenza estera. Inoltre, la stipula di un patto di sospensione del rapporto di lavoro, anche se prorogato, non rileva come ostacolo normativo per l’accesso all’agevolazione. Non essendovi specifici vincoli nella norma in merito a sospensioni contrattuali, questa circostanza non influisce sulla possibilità di applicare il regime agevolato.
L’Agenzia ha però precisato che non è di sua competenza accertare né l’effettiva appartenenza delle società al medesimo gruppo, né la residenza fiscale del lavoratore o la sua effettiva qualificazione specialistica: tali aspetti sono riservati all’attività di controllo e non rientrano nell’ambito applicabile all’interpello.
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Regime ricercatori: il reddito rilevante per essere fiscalmente a carico
La Risposta n. 67/2025 dell'Agenzia delle Entrate, affronta un quesito relativo agli incentivi fiscali per il rientro in Italia di ricercatori che hanno svolto attività all'estero.
La questione riguarda specificamente la possibilità per un ricercatore, che ha beneficiato del regime fiscale agevolato previsto dall'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, di essere considerato fiscalmente a carico del coniuge.
Si ricorda che questo regime fiscale prevede l'esclusione dalla formazione del reddito imponibile del 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e ricercatori che, dopo aver svolto attività di ricerca o docenza all'estero per almeno due anni, rientrano in Italia e acquisiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato.
Regime agevolato ricercatori il caso
Nell'interpello l'Istante, una ricercatrice rientrata in Italia nel 2022, ha chiesto chiarimenti sull'applicabilità delle detrazioni fiscali per coniuge a carico, ai sensi dell'articolo 12 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
La ricercatrice ha precisato che il suo reddito soggetto a tassazione è inferiore a 2.840,51 euro, e ha chiesto se tale reddito possa essere considerato ai fini della detrazione per coniuge a carico, nonostante la quota esente prevista dal regime agevolato.
La questione è particolarmente complessa perché riguarda l'interpretazione delle norme fiscali relative al calcolo del reddito complessivo ai fini delle detrazioni per familiari a carico da coordinare con l'agevolazione cd "rientro dei cervelli".
Regime agevolato ricercatori : la risposta dell’Ade
L'Agenzia delle Entrate, nel rispondere al quesito, ha chiarito che il reddito escluso dall'IRPEF in applicazione dell'articolo 44 del decreto-legge n. 78/2010 non deve essere computato ai fini della determinazione del limite di reddito per essere considerati a carico di un familiare, ai sensi dell'articolo 12 del TUIR.
Questo perché la norma non prevede espressamente che la quota esente debba essere aggiunta al reddito complessivo per la verifica del limite reddituale.
Pertanto, la quota di reddito esente non rileva ai fini della determinazione del reddito complessivo del familiare.
L'Agenzia ha dunque confermato che, nel caso specifico, qualora il reddito complessivo dell'Istante, determinato al netto della quota esente, non superi i 2.840,51 euro, la ricercatrice potrà essere considerata fiscalmente a carico del coniuge, con conseguente riconoscimento delle detrazioni fiscali previste.
Come di consueto l'Agenzia precisa che il parere è stato reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati dall'Istante, assumendo la veridicità e la concreta attuazione delle informazioni fornite.
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Frontalieri Svizzera : le novità dal 2025
La Legge di Bilancio 2025, ovvero la legge 207 2024 ormai in vigore, introduce due importanti novità per i lavoratori frontalieri con la Svizzera e tutti i frontalieri italiani che operano all'estero e fanno rientro in Italia con cadenza settimanale.
Nello specifico, l'articolo 1 , commi 97-99 , dedicati ai lavoratori frontalieri, recepisce le novità dell'accordo Italia-Svizzera entrato in vigore nel 2023, anche se ancora in attesa della definizione del protocollo operativo, e include anche una norma interpretativa dell'art. 51 comma 8-bis del TUIR, estendendo l'applicazione del regime delle retribuzioni convenzionali.
Frontalieri Svizzera: novità nella Legge di Bilancio 2025
In particolare all' art.1 commi 97-99 si prevede che "nelle more della ratifica ed entrata in vigore del Protocollo di modifica, i lavoratori frontalieri, come definiti all’articolo 2, lettera b), dell’Accordo, inclusi coloro che beneficiano del regime transitorio previsto dall’articolo 9 dell’Accordo medesimo, possono svolgere, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2024 e fino alla data di entrata in vigore del predetto Protocollo, fino al 25 per cento della loro attività di lavoro dipendente in modalità di telelavoro presso il proprio domicilio nello Stato di residenza senza che ciò comporti la perdita dello status di lavoratore frontaliere".
Inoltre, si prevede che, in sede di imposizione sui salari, stipendi e altre remunerazioni come disciplinata dall’articolo 3 dell’Accordo, l’attività di lavoro dipendente svolta dal lavoratore frontaliere in modalità di telelavoro presso il proprio domicilio nello Stato di residenza, fino a un massimo del 25 per cento del tempo di lavoro, si considera effettuata nell’altro Stato contraente presso il datore di lavoro
Frontalieri e Distaccati novità legge di Bilancio 2025
Il comma 99 chiarisce invece che l'interpretazione autentica delle disposizioni di cui all’art. 51 comma 8-bis del TUIR “si interpretano nel senso di includere anche i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto dai dipendenti che, nell’arco di dodici mesi, soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni ritornando in Italia al proprio domicilio una volta alla settimana”.
In sostanza anche i lavoratori che soggiornano per più di 183 giorni all'estero nell'arco di 12 mesi, ma rientrano settimanalmente al proprio domicilio in Italia, possono beneficiare del regime delle retribuzioni convenzionali. Questo significa che la base imponibile del loro reddito sarà calcolata sugli importi forfettari stabiliti annualmente per settore, anziché sugli effettivi guadagni percepiti.
Importante sottolineare che questo chiarimento normativo ha una portata retroattiva, dato che si configura come interpretazione autentica della legge.
ebbene la norma si concentri sui lavoratori frontalieri, la sua portata potrebbe estendersi anche a coloro che operano all'estero senza rientrare quotidianamente, e non possono essere considerati frontalieri ai sensi delle attuali normative.
Un esempio potrebbe essere quello dei lavoratori italiani distaccati in Svizzera che, pur risiedendo in Italia, non rientrano ogni giorno ma rispettano comunque le altre condizioni previste per il regime agevolativo. Sul tema si era espressa favorevolmente l'Agenzia con la risposta a Interpello 428 2023.
Occorre attendere comunque ora che è stata confermata la norma, le istruzioni applicative che dovrebbero essere emanate dell'Amministrazione finanziaria.
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Frontalieri Svizzera: novità nel DL Omnibus convertito
Il Disegno di legge di conversione del decreto legge 131 2024 cd Omnibus è stato approvato definitivamente dalle Camere la scorsa settimana ed è stato pubblicato l'8 ottobre in Gazzetta Ufficiale.
QUi il testo del decreto legge coordinato con la legge di conversione
Uno degli articoli che non ha subito modifiche in corso di conversione è l'articolo 6 che introduce un nuovo regime fiscale opzionale per i lavoratori frontalieri residenti nei comuni italiani situati entro venti chilometri dal confine svizzero, a partire dal periodo d’imposta 2024..
Questi cambiamenti nascono in seguito al nuovo Accordo tra Italia e Svizzera sull’imposizione dei lavoratori frontalieri, firmato il 23 dicembre 2020 e ratificato dall’Italia con la legge n. 83 del 13 giugno 2023. Il nuovo regime si applica in particolare ai “nuovi frontalieri”, ovvero coloro che entreranno nel mercato del lavoro frontaliero dopo l’entrata in vigore dell’Accordo.
Nei prossimi paragrafi analizziamo la novità.
DL Omnibus convertito in legge: tassa sostitutiva per i “nuovi frontalieri”
La principale novità dell'articolo 6 è l’introduzione di una tassazione sostitutiva pari al 25% delle imposte applicate in Svizzera per i redditi da lavoro dipendente percepiti dai lavoratori frontalieri.
Questo regime permette ai lavoratori di evitare la tassazione progressiva ordinaria dell’IRPEF italiana e delle relative addizionali, prevedendo invece un’imposta sostitutiva fissa.
Cosa cambia:
Tassazione ridotta: I lavoratori frontalieri potranno beneficiare di una tassazione inferiore, rispetto alla progressività tipica del sistema italiano.
Nessun diritto al credito d’imposta: A differenza di quanto previsto per i frontalieri sotto il vecchio regime, i lavoratori che opteranno per il nuovo regime fiscale non avranno diritto al credito d’imposta in Italia per le tasse pagate in Svizzera. Questo rappresenta un importante cambiamento rispetto alla normativa precedente.
Da segnalare inoltre la differenziazione tra “vecchi” e “nuovi frontalieri”
- i cc.dd. “nuovi frontalieri” si applica un regime di tassazione concorrente in forza del quale,i salari,gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe da essi ricevute sono imponibili nello Stato contraente di svolgimento dell’attività lavorativa (Svizzera), non potendo, tuttavia, l’imposta eccedere l’80 per cento di quanto dovuto in base alle disposizioni sulle imposte domestiche IRPEF incluse le imposte locali. Successivamente, lo Stato di residenza (Italia)assoggetta tale reddito a tassazione progressiva ai fini IRPEF, riconoscendo lavoratore italiano, al fine di eliminare la doppia imposizione, un credito d’imposta per quanto versato in Svizzera ex articolo 165 del decreto delPresidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR);
- i cc.dd. “vecchi frontalieri” rientrano nel regime transitorio di cui all’articolo 9 del nuovo Accordo, continuando, pertanto, ad essere soggetti a imposizione esclusiva in Svizzera.
DL Omnibus convertito. Estensione dell’elenco dei comuni frontalieri
Un ulteriore cambiamento riguarda la definizione dei comuni di frontiera. In passato, non esisteva un elenco definito di comuni italiani considerati frontalieri; la Svizzera gestiva tale elenco unilateralmente, includendo solo i comuni situati entro venti chilometri dal confine con i Cantoni dei Grigioni, Ticino e Vallese.
Con il nuovo Accordo, è stato definito un elenco ufficiale di 72 comuni italiani situati entro venti chilometri dal confine svizzero che non erano stati precedentemente inclusi. Ciò consente ai residenti di questi comuni di accedere al nuovo regime fiscale, pur non avendo beneficiato del vecchio regime dei frontalieri.
Cosa cambia:
- Aumento del numero di comuni eleggibili: L’aggiunta di nuovi comuni all’elenco significa che un numero maggiore di lavoratori potrà beneficiare del nuovo regime fiscale.
- Maggiore chiarezza normativa: La definizione dei comuni di frontiera è ora uniforme tra Italia e Svizzera, eliminando le discrepanze interpretative che esistevano in passato.
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Lavoratori impatriati: il tirocinio formativo retribuito non rientra nel regime speciale
Il lavoratore italiano che rientra in in Italia per continuare la sua formazione con un master che prevede un tirocinio presso un'azienda italiana, per il quale è riconosciuta un'indennità mensile di partecipazione, non può beneficiare del regime speciale previsto per i lavoratori impatriati, introdotto dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015 (c.d. decreto Internazionalizzazione), in quanto il tirocinio, sebbene retribuito, non costituisce un vero e proprio rapporto di lavoro, ma è considerato un periodo di formazione e orientamento al lavoro.
Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate con la risposta all'istanza di interpello del 15.07.2024 n. 152.
Il Caso dell'Interpello n. 152/2024
L'istante è un professionista italiano, che ha trascorso gli ultimi anni lavorando in Germania e ha deciso di tornare in Italia per continuare la sua formazione con un master.
Durante il master, è previsto un tirocinio presso un'azienda italiana, per il quale viene riconosciuta un'indennità mensile, l'istante chiede se può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per i lavoratori impatriati, introdotte dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, che offre notevoli vantaggi fiscali per chi rientra in Italia per lavorare.
Requisiti del Regime Speciale
Per beneficiare di queste agevolazioni, il decreto stabilisce che il lavoratore deve:
- trasferire la residenza in Italia;
- non essere stato residente in Italia nei due anni precedenti il trasferimento e impegnarsi a risiedere in Italia per almeno due anni;
- svolgere l'attività lavorativa prevalentemente in Italia.
Queste agevolazioni sono valide per 5 anni, a partire dal periodo d'imposta in cui viene trasferita la residenza fiscale in Italia e per i 4 anni successivi.
La Risposta dell'Agenzia delle Entrate
Nel caso in esame, posto che l'Istante non è rientrato in Italia per iniziare un'attività lavorativa ma per frequentare un ''master MBA'' nel cui ambito sono previsti «tirocini quali complemento della formazione accademica» che «non costituiscono rapporti di lavoro, ma sono periodi di formazione e di orientamento al lavoro» non può applicare il regime speciale per lavoratori impatriati.
Il tirocinio, sebbene retribuito, non costituisce un vero e proprio rapporto di lavoro, ma è considerato un periodo di formazione e orientamento al lavoro.
Questo significa che, nonostante l'indennità di partecipazione ricevuta durante il tirocinio, tali somme non possono beneficiare del regime speciale, poiché non derivano da un'attività lavorativa ma da un'attività formativa.
Dal quadro normativo e di prassi emerge che le disposizioni sono finalizzate ad agevolare i redditi derivanti dallo svolgimento di un'attività lavorativa in Italia da parte di soggetti che vi trasferiscono la residenza fiscale.
Sono da ritenersi, pertanto, escluse dall'agevolazione, in via generale, le somme che non sono corrisposte a fronte della prestazione di una ''attività lavorativa'' svolta nel territorio dello Stato da parte del percipiente quali, ad esempio, le borse di studio corrisposte ai fini di studio o di addestramento professionale (tirocinio e/o stage) che non derivano da un rapporto di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante.
Tali somme, ancorché comprese tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, sono comunque escluse dal regime speciale in quanto derivanti dallo svolgimento di attività formative e non dallo svolgimento di un'attività lavorativa.
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Deduzione contributi lavoro estero: nuovo ok dalla Cassazione
Per i redditi determinati con le retribuzioni convenzionali, è ammessa la deducibilità dei contributi versati nello Stato estero per obbligo di legge.. I contributi possono essere dedotti dal reddito complessivo, anche se esclusi dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Questa in sintesi la conclusione della Corte di Cassazione in una recente sentenza significativa riguardo a un contenzioso tra l'Agenzia delle Entrate e un contribuente.
In questo articolo i dettagli del caso, la questione centrale trattata dalla Corte, e le conclusioni a cui è giunta.
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Contributi previdenziali dipendente versati in Svizzera
Il caso ha avuto origine con un controllo formale effettuato dall'Agenzia delle Entrate sulla dichiarazione dei redditi di R.G. per l'anno d'imposta 2012.
Il lavoratore aveva indicato nella sua dichiarazione contributi assistenziali e previdenziali deducibili dal reddito imponibile per un totale di 36.163 euro.
A seguito di una richiesta dell'Agenzia delle Entrate, R.G. ha prodotto una certificazione relativa alla sua attività lavorativa svolta in Svizzera, dalla quale risultava che aveva versato contributi per un valore equivalente in franchi svizzeri.
Tuttavia, una seconda certificazione ha evidenziato che i contributi versati in Svizzera erano stati inclusi nella base imponibile su cui erano state calcolate le imposte estere.
L'Agenzia delle Entrate ha quindi accertato che tali contributi avevano comportato un risparmio fiscale per R.G. in Italia, portando l'Ufficio a recuperare l'importo dovuto tramite una cartella di pagamento.
R.G. ha impugnato la cartella di pagamento davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Bologna, che ha rideterminato l'imposta dovuta.
Tuttavia, su appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell'Emilia-Romagna ha riformato integralmente la sentenza di primo grado, stabilendo che i contributi versati in Svizzera dovevano essere integralmente dedotti dalla base imponibile ai fini della tassazione italiana.
Le norme sulla deducibilità dei contributi previdenziali e assistenziali esteri
La questione principale trattata dalla Corte di Cassazione riguarda dunque l'interpretazione delle norme sulla deducibilità dei contributi previdenziali e assistenziali versati all'estero.
L'Agenzia delle Entrate ha sostenuto che, in base all'art. 51, comma 8-bis, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), i redditi da lavoro dipendente svolto all'estero dovevano essere determinati sulla base delle retribuzioni "convenzionali" definite annualmente dal ministero, per la quale è esclusa a deducibilità
Di conseguenza, secondo l'amministrazione, i contributi non potevano essere dedotti dal reddito complessivo.
D'altra parte, R.G. ha sostenuto che, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. e), del TUIR, i contributi previdenziali e assistenziali vanno dedotti dal reddito complessivo, in quanto non deducibili nella determinazione dei singoli redditi.
Viene menzionata la risposta all’interrogazione parlamentare n. 7-01021 e la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17/2015, che avevano già chiarito che i contributi esteri rappresentano oneri deducibili dal reddito complessivo.
La conclusione della Cassazione e principio di diritto
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, basando la sua decisione su un'interpretazione sistematica delle norme rilevanti.
La Corte ha rilevato che in assenza di una norma espressa che escluda la deducibilità dei contributi dal reddito complessivo, tali contributi devono essere dedotti anche se esclusi dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che le norme sulla determinazione del reddito complessivo fungono da norme di chiusura del sistema delle imposte dirette. Solo attraverso la determinazione del reddito complessivo si arriva al computo dell'imposta lorda e, infine, al calcolo dell'importo dovuto dal contribuente all'erario.
La Corte ha stabilito quindi il seguente principio di diritto: "In tema di imposte dirette, nel caso in cui il reddito di lavoro dipendente sia stato determinato sulla base della retribuzione convenzionale di cui all'art. 51, comma 8-bis, del TUIR, che esclude la deducibilità degli oneri contributivi e assistenziali di cui all'art. 51, comma 2, lett. a), nella determinazione del reddito complessivo del contribuente devono comunque essere dedotti gli oneri di cui all'art. 10, comma 1, lett. e), del TUIR".
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Frontalieri: diritto alle stesse prestazioni sociali dei residenti
Con la sentenza C- 27/23 del 16 maggio 2024 la Corte di Giustizia europea si è espressa affermando il diritto alla parità di trattamento, del lavoratore frontaliero rispetto ai lavoratori residenti, in relazione alle prestazioni sociali che gli vengono garantite. Vediamo i dettagli del caso nei paragrafi seguenti.
La causa: assegni familiari per il minore in affido
La causa riguardava un cittadino belga , residente in Belgio che lavora in Lussemburgo e che percepiva gli assegni familiari per un minore collocato in affidamento con provvedimento del giudice, presso il suo nucleo familiare.
La prestazione sociale è stata percepita percepito per diversi anni Nel 2017, tuttavia, l'ente deputato all'assistenza sociale dei minori del Lussemburgo gli ha revocato tali assegni familiari, ritenendo che il versamento sia limitato ai minori aventi un legame di filiazione diretto (legittimo, naturale o adottivo) con il lavoratore frontaliero e non sia piu applicabile ai casi di affido.
Va specificato però che i minori residenti in Lussemburgo e oggetto di affidamento giudiziario hanno ancora il diritto di percepire tale assegno, versato alla persona fisica o giuridica che ne ha la custodia.
La Corte di cassazione lussemburghese ha quindi chiesto alla corte di Giustizia se sia legittima questa applicazione diversificata delle prestazioni sociali a seconda che il lavoratore sia residente o meno in Lussemburgo o se invece tali norme del codice della previdenza sociale lussemburghese configurino una
discriminazione indiretta, come tale contraria al diritto dell'unione.
La sentenza della Corte: parita di trattamento sociale per i lavoratori frontalieri
Nella sua sentenza, la Corte afferma che, dato che i lavoratori frontalieri contribuiscono al finanziamento delle politiche sociali dello Stato membro ospitante con i contributi fiscali e sociali che versano per l’attività lavorativa , essi devono poter beneficiare delle prestazioni familiari e dei vantaggi sociali e fiscali alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali. Quindi una normativa come quella lussemburghese di cui si tratta, che comporta una differenza di trattamento, risulta contraria al diritto dell’Unione.
Infatti, la normativa di uno Stato membro che prevede che i lavoratori non residenti non possano, a differenza dei lavoratori residenti, percepire un vantaggio sociale per minori collocati in affidamento presso il loro nucleo familiare, di cui essi hanno la custodia e che hanno il domicilio legale nonché la residenza effettiva e continuativa presso di loro, configura una discriminazione indiretta fondata sulla cittadinanza.
La circostanza che la decisione di collocamento in affidamento provenga da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro diverso da quello ospitante del lavoratore interessato non può incidere su tale conclusione.