• Operazioni Straordinarie

    Marchio ceduto: non è ramo d’azienda

    Con la Risposta a interpello n 210 del 19 agosto le Entrate chiariscono il trattamento fiscale della cessione del marchio.

    L’Agenzia relativamente al caso di specie, che di seguito verrà enunciato, ha chiarito che la cessione di un marchio accompagnata da diritti IP collegati (come disegni, modelli e diritti d’autore su materiali promozionali) non configura una cessione di ramo d’azienda, ma va trattata come cessione di singoli beni, rilevante ai fini IVA.

    Vediamo il caso di specie.

    Marchio ceduto: non è ramo d’azianda

    Secondo le Entrate nel caso di specie trattato dall'interpello il marchio ceduto non è ramo d’azienda e quindi risulta soggetto a IVA.

    In particolare, la società istante chiedeva se tale operazione dovesse essere considerata:

    • una cessione di singoli beni (marchio + diritti IP), e quindi imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 2 del D.P.R. 633/1972;
      oppure
    • una cessione di ramo d’azienda, esclusa da IVA e soggetta invece a imposta di registro in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. b) dello stesso decreto IVA.

    L’istanza è stata presentata da una società operante nel settore della profumeria e dei cosmetici che ha acquistato il marchio “DELTA” di altra società.

    In precedenza, l'istante era già licenziataria esclusiva del marchio e curava tutte le fasi produttive, promozionali e commerciali dei prodotti collegati.

    L’operazione ha comportato:

    • la cessione del marchio registrato in diverse classi merceologiche;
    • il trasferimento di alcuni diritti IP connessi (disegni, modelli, diritti d’autore);
    • la risoluzione del contratto di licenza precedente tra ALFA e BETA.

    L'istante con i dubbi su elencati sosteneva che:

    • l’operazione aveva ad oggetto solo beni immateriali isolati, non un complesso aziendale;
    • la cedente non svolgeva attività imprenditoriale con quei beni (non aveva personale, impianti, contratti in essere);
    • tutte le funzioni operative ed economiche collegate al marchio erano già gestite dall'istante in qualità di licenziatario;
    • mancava quindi il requisito essenziale di “organizzazione” richiesto per configurare un ramo d’azienda.

    Secondo l’Agenzia è condivisibile l’impostazione dell’istante, stabilendo che non si è in presenza di una cessione di ramo d’azienda, ma di una cessione di singoli beni immateriali, e in particolare di un marchio e dei diritti IP connessi, rilevante ai fini IVA.

    Secondo l'agenzia appunto vi è:

    • assenza di organizzazione autonoma. Non sono stati trasferiti elementi essenziali per proseguire autonomamente un’attività economica: quali personale, contratti, relazioni commerciali o strutture operative. I beni ceduti non costituiscono, nel loro insieme, un complesso organizzato e idoneo a proseguire un’attività imprenditoriale.
    • precedente gestione operativa del marchio da parte dell'istante. La società istante già svolgeva in via esclusiva tutte le attività operative legate al marchio, in virtù del contratto di licenza. Il cedente non svolgeva direttamente l’attività d’impresa relativa al marchio, né prima né dopo la cessione.
    • e pertanto la cessione ha rilevanza ai fini IVA. L’operazione rientra tra le prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 2 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto concerne la cessione di diritti su marchi, disegni, modelli e simili. Quindi è soggetta a IVA, secondo il principio generale dell’imponibilità delle prestazioni di servizi
    • si prevede l'applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. In base al principio di alternatività tra IVA e imposta di registro (art. 40 del TUR), l’imposta di registro sarà dovuta in misura fissa, pari a 200 euro.

  • Il Condominio

    Nudo proprietario e usufruttuario: diritti e obblighi verso il condominio

    Lo Studio numero 24-2025/C del Consiglio Nazionale del Notariato, pubblicato il 4 giugno 2025 sul sito istituzionale dell’ente, affronta il coordinamento tra le norme civilistiche e quelle sul condominio, nel caso in cui un immobile sia gravato da un diritto reale come l’usufrutto.

    Nel caso in esame il proprietario dell’immobile è colui che ne detiene la nuda la proprietà, ma il diritto all’uso e a goderne è in capo all’usufruttario: in questa particolare situazione, che si differenzia in modo sostanziale dal caso in cui l’immobile sia detenuto in piena proprietà, i rapporti di relazione con il condominio, in termini di ripartizione di diritti e oneri tra le parti interessate, possono assumere contorni poco definiti, che lo studio del Notariato è intenzionato a chiarire.

    L’obbligo di comunicazione al condominio

    In via preliminare va chiarito che, in base all’articolo 1130 comma 1 numero 6 del Codice civile, è obbligo delle parti interessate comunicare all’amministratore del condominio la situazione della proprietà dell’immobile, con gli annessi diritti reali di godimento, affinché questi possa aggiornare l’anagrafe condominiale.

    Se, nel corso del tempo, i dati comunicati subiscono variazioni (ad esempio per modifica o estinzione di diritti reali minori), anche tali modifiche devono essere comunicate all’amministrazione condominiale entro il termine di sessanta giorni e in forma scritta.

    Lo Studio 24-2025/C evidenzia che si rileva un difetto di coordinamento fra l’articolo 1130, numero 6, del Codice civile (il quale prevede la comunicazione all’amministratore di ogni modifica dei dati condominiali in forma scritta) e l’articolo 63, comma 5, delle Disposizioni attuative del Codice civile (secondo cui deve essere trasmesso all’amministratore in copia autentica il titolo che determina il trasferimento del diritto sul bene):  secondo il Notariato il conflitto va risolto in favore dell’articolo 1130, numero 6, del Codice civile; per cui l’obbligo di comunicazione può essere assolto con una semplice dichiarazione di avvenuta stipula, rilasciata dal notaio rogante e provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del registro di anagrafe condominiale.

    La partecipazione in assemblea

    La partecipazione in assemblea condominiale costituisce il diritto principale che il proprietario di un immobile può far valere nei confronti del condominio. Quando un immobile non si trova in piena proprietà, la partecipazione in assemblea assume dei connotati specifici, in quanto il diritto viene ripartito tra nudo proprietario e usufruttario.

    Ai sensi dell’articolo 67, commi 6 e 7, delle Disposizioni attuative del Codice civile:

    • per le deliberazioni riguardanti questioni di ordinaria amministrazione o il godimento di cose e servizi comuni, il voto in assemblea condominiale spetta all’usufruttario;
    • per le deliberazioni riguardanti innovazioni, ricostruzioni o manutenzione straordinaria delle parti comuni, il voto spetta al nudo proprietario.

    In conseguenza di ciò l’amministrazione condominiale, a seconda dell’ordine del giorno, dovrà convocare l’usufruttario eo il nudo proprietario, in modo che ognuno di essi possa votare in modo distinto.

    Il Notariato puntualizza che anche l’usufruttuario è legittimato a impugnare le delibere assembleari inerenti l’approvazione di lavori straordinari, così come il nudo proprietario può impugnare le delibere concernenti spese di manutenzione ordinaria: ciò in conseguenza di quel vincolo di solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario grazie al quale ogni delibera è direttamente e immediatamente azionabile contro entrambi, di cui si dirà nel prosieguo dell’articolo.

    Le spese condominiali

    Seguendo la stessa logica che governa l’esercizio del diritto di voto in assemblea, le spese condominiali vanno ripartite tra usufruttario e nudo proprietario in base alla loro natura, come disposto dagli articoli 1004 e 1005 del Codice civile; con maggiore precisione:

    • sono a carico dell’usufruttario le spese e gli oneri relativi “alla custodia, all’amministrazione e alla manutenzione ordinaria del bene”;
    • sono a carico del nudo proprietario le spese di manutenzione straordinaria, quelle volte a garantire la solidità strutturale del bene.

    Ai fini di una corretta ripartizione delle spese, risulta necessario chiarire cosa si intende, in questo frangente, con spese di manutenzione straordinaria a carico del nudo proprietario.

    In via preliminare va ricordato che il comma 2 dell’articolo 1004 del Codice civile, nel dare all’usufruttuario l’onere della manutenzione ordinaria, addossa a questi anche le riparazioni straordinarie divenute necessarie a seguito dell’inadempimento degli obblighi di manutenzione ordinaria. Nota infatti il Notariato che “l’onere in esame diviene obbligo per l’usufruttuario, quando al suo inadempimento si colleghi il sorgere di esigenze straordinarie, che si sarebbero evitate con la manutenzione ordinaria”. Quando il rifiuto ad adempiere le opere di manutenzione ordinaria mettono a rischio l’integrità dell’immobile, in base all’articolo 1015 del Codice civile è possibile persino la revoca dell’usufrutto.

    Definito ciò, e rilevato che sul tema esiste una sorta di conflitto tra le norme del Codice civile e quelle sul condominio, secondo lo Studio 24-2025/C del Consiglio Nazionale del Notariato:

    • all’usufruttuario […] viene attribuito l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva, con la relativa responsabilità”;
    • al nudo proprietario sono, invece, attribuite le opere che incidono sulla struttura e la destinazione della cosa, in quanto incidenti sull’utilizzazione del bene nel momento in cui la servitù personale (usufrutto, uso o abitazione che sia) giunga a estinzione e la proprietà, grazie all’elasticità che la contraddistingue, si riespanda pienamente”.

    Di conseguenza è obbligo dell’amministratore del condominio ripartire le spese condominiali in funzione di questi principi; però va precisato che, in base al comma 8 dell’articolo 67 delle disposizioni attuative del Codice civile, in ogni caso nudo proprietario e usufruttario sono solidalmente responsabili per il pagamento delle spese condominiali, a prescindere dalla loro natura.

  • Adempimenti Iva

    Regime IVA IOSS: le novità dalla Direttiva UE n 1539

    La Direttiva UE 2025/1539 adottata dal Consiglio lo scorso 18 luglio viene pubbliucata sulla Gazzetta dell'Unione il giorno 25 luglio e contiene norme per incentivare l'uso del regime speciale IVA noto come IOSS.

    Tale regime IOSS (Import One Stop Shop) vuoole rendere più efficace la riscossione dell’IVA gravante sulle vendite a distanza di beni importati.

    La direttiva entra in vigore dal prossimo 14 agosto, ma le relative disposizione hanno decorrenza dal 1° luglio 2028 e dovranno essere recepite dai singoli Stati membri Ue nelle legislazioni nazionali.

    In genereale ricordiamo che il regime IOSS consente di registrarsi in un unico Stato membro per dichiarare e versare l’IVA dovuta in relazione alle vendite a distanza di beni importati, di valore non superiore a 150 euro, effettuate in tutti gli Stati membri Ue.

    Con le modifiche apportate alla Direttiva 2006/112/CE si prevede che i fornitori che effettuano vendite rientranti nell’ambito applicativo dell’IOSS, senza essere registrati al regime speciale, diventeranno, di norma, debitori dell’IVA all’importazione e dell’IVA sulle vendite a distanza negli Stati membri di destinazione finale dei beni, con il conseguente obbligo di registrarsi ai fini IVA in ciascuno di tali Stati.

    Regime IVA IOSS: le novità dalla Direttiva UE n 1539

    In particolare, tra le altre le novità, l'articolo 201 della Direttiva  2006/112/CE viene così modificato:                                                            

    • 1.   all'importazione l'IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d'importazione,
    • 2.   in deroga al paragrafo 1 del presente articolo, il fornitore o, se del caso, il fornitore presunto a norma dell'articolo 14 bis, paragrafo 1, che effettua vendite a distanza di beni importati da territori terzi o paesi terzi che sarebbero ammissibili al regime speciale di cui al titolo XII, capo 6, sezione 4, è il debitore dell'IVA all'importazione,
    • 3.   se il fornitore o il fornitore presunto di cui al paragrafo 2 del presente articolo non è stabilito nella Comunità ma in un paese terzo con cui né l'Unione né lo Stato membro di importazione hanno concluso un accordo di assistenza reciproca di portata analoga alla direttiva 2010/24/UE (*1) del Consiglio e al regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, tale fornitore o fornitore presunto designa un rappresentante fiscale nello Stato membro di importazione quale debitore dell'IVA all'importazione.

    Attenzione al fatto che gli Stati membri adottano e pubblicano entro il 30 giugno 2028 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. 

    Essi informano immediatamente la Commissione.
    Essi applicano tali misure a decorrere dal 1° luglio 2028.
    Quando gli Stati membri adottano tali misure, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

    Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle misure principali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

  • Agevolazioni per le Piccole e Medie Imprese

    Contributi diretti 2024 Imprese Editrici: piattaforma aperta fino al 30 settembre

    Riattivata la piattaforma per la gestione delle domande per l’ammissione ai contributi diretti per l’anno 2024 a favore delle imprese editrici di quotidiani, editi e diffusi in Italia o all’estero, e delle imprese editrici di periodici editi e diffusi in Italia.

    Per il riepilogo delle regole leggi anche: Contributi Quotidiani e Periodici: domande entro il 31 gennaio

    Contributi diretti 2024 Imprese Editrici: piattaforma aperta fino al 30 settembre

    Con avviso del 18 luglio il Dipartimento specifica che la piattaforma per le domande del contributo in oggetto rimarrà aperta fino al 30 settembre 2025, data entro la quale le imprese dovranno procedere, a pena di decadenza, all’inserimento dei dati e dell’ulteriore documentazione istruttoria prevista:

    • dall’art. 2, commi 4 e 5, del DPCM 28 luglio 2017 (giornali diffusi sul territorio nazionale)
    •  e dall’art. 2, comma 3, del DPCM 15 settembre 2017 (quotidiani italiani diffusi all’estero) ovvero dell’intera documentazione indicata nei suddetti provvedimenti, ove non prodotta unitamente alla domanda.

    Gli editori possono accedere alla piattaforma, raggiungibile all'indirizzo:

    Una volta inseriti i dati, i prospetti e le dichiarazioni sostitutive previsti per legge saranno generati automaticamente dalla piattaforma, fatti salvi alcuni campi che dovranno essere compilati a cura dell’editore.

    La modulistica, certificata dal revisore ove richiesto dalla legge, dovrà essere poi ricaricata sulla piattaforma unitamente alle relazioni di certificazione e al bilancio di esercizio per il successivo invio.

    Attenzione al fatto che sono sempre disponibiliti per i supporto tecnico i seguenti recapiti:

    • casella di posta elettronica [email protected] 
    • versione aggiornata del manuale utente  con le istruzioni per l'utilizzo della piattaforma (l'elenco delle modifiche rispetto alle revisioni precedenti del manuale è nel § 1.1).

  • Rimborso Iva

    Dichiarazione omessa: il contribuente può chiedere il rimborso dell’imposta a credito

    In base al comma 7 dell’articolo 2 del DPR 322/1998 una dichiarazione presentata entro il termine di 90 giorni dalla data di scadenza si considera valida, pur essendo sanzionabile per il ritardo; una dichiarazione trasmessa oltre tale termine di 90 giorni si considera invece omessa, ma costituisce comunque “titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d'imposta”.

    Chiarito, quindi, che anche in caso di dichiarazione cosiddetta ultratardiva le imposte da essa scaturenti sono comunque liquidate, la domanda che si pone è cosa succede nell’opposto caso in cui dalla dichiarazione emerge una imposta a credito.

    Il contribuente ha il diritto di chiedere il rimborso di queste imposte, anche quando la dichiarazione fiscale da cui scaturiscono è stata trasmessa oltre il termine dei 90 giorni dalla scadenza (e quindi si considera omessa)?

    La prassi è intervenuta sulla questione con la Risoluzione numero 82 del 24 dicembre 2020: qui, l’Agenzia delle Entrate sostiene che “per il riconoscimento del credito emergente dalla dichiarazione omessa, il contribuente è comunque tenuto a presentare istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numero 602”.

    Ciò vuol dire che, secondo l’Agenzia, trasmettere una dichiarazione fiscale oltre il termine della scadenza dei 90 giorni, con la quale si richiede il rimborso dell’imposta attraverso la compilazione a rimborso del quadro RX (o del quadro VX in caso di dichiarazione annuale IVA), non è sufficiente per chiedere e ottenere il rimborso; diversamente, secondo la prassi, dovrebbe essere trasmessa una separata richiesta di rimborso all’ente, ex articolo 38 del DPR 602/1973.

    Il diverso parere della Corte di Cassazione

    Di ben diverso avviso la Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza numero 18715, pubblicata il 9 luglio 2025, afferma che la richiesta di rimborso effettuata attraverso la dichiarazione fiscale (compilando a rimborso i quadri RX o VX, rispettivamente per i redditi e l’IVA), presentata oltre il termine dei 90 giorni dalla scadenza della trasmissione della stessa, è da considerarsi comunque valida, anche se la dichiarazione con cui viene trasmessa è omessa; o, per meglio dire, usando le parole della Corte, “la dichiarazione ultratardiva, in quanto inesistente, non fa sorgere il diritto al rimborso risultante dalla stessa, salvo che nella stessa dichiarazione non sia stata formulata una esplicita richiesta in tal senso”, per cui il contribuente ha “l'onere di formulare una espressa istanza al riguardo”, ma “detta istanza […] può ritenersi validamente rappresentata anche dalla dichiarazione dei redditi tardivamente presentata, ove in essa egli non si sia limitato ad esporre il credito d'imposta, ma ne abbia specificamente domandato il rimborso”.

    In sostanza, presentando una dichiarazione dei redditi o dell’IVA oltre il termine dei 90 giorni dalla scadenza, richiedendo a rimborso l’eventuale imposta a credito compilando il quadro RX o VX, comporta la legittimità della trasmissione dell’istanza di rimborso, anche se questa è contenuta all’interno di una dichiarazione che si considera omessa.

    Quindi il ritardo comporta l’omissione della dichiarazione, ma non della richiesta di rimborso in questa contenuta.

    Ciò presumibilmente perché, ai fini della validità della domanda di rimborso, le norme non prevedono uno specifico vincolo temporale o formale, per cui, nel momento in cui la richiesta è a conoscenza dell’amministrazione fiscale, anche trasmessa attraverso una dichiarazione fiscale che per diverse motivazioni si considera omessa, l’istanza acquisisce comunque validità.

  • Agevolazioni per le Piccole e Medie Imprese

    Transizione 5.0: aggiornamento della piattaforma e nuove funzionalità

    Con l’intervento di manutenzione della piattaforma “Transizione 5.0”, svolto nella giornata del 7 agosto, sono state introdotte le seguenti funzioni, pensate per semplificare le procedure e ampliare le possibilità per le imprese beneficiarie del credito d’imposta.

    Nuove funzionalità disponibili dopo l’aggiornamento

    1. Energy Service Company come beneficiaria

    Gli utenti potranno indicare una Energy Service Company (ESCo) quale soggetto beneficiario del credito d’imposta.

    2. Segnalazione del cumulo con altre agevolazioni

    Sarà possibile dichiarare l’eventuale cumulo con altre misure di sostegno già ottenute o richieste per i medesimi costi ammissibili.

    3. Sostituzione di beni materiali

    Per i beni compresi nell’Allegato A, sarà consentito indicare la sostituzione con un bene equivalente, già ammortizzato da almeno 24 mesi alla data di presentazione della domanda di accesso al beneficio.

    4. Semplificazioni per beni di valore inferiore a 300.000 €

    Per beni con spesa inferiore a 300.000 euro, in alternativa alla perizia asseverata o alla certificazione di un ente accreditato, sarà possibile caricare una dichiarazione del legale rappresentante del soggetto beneficiario.

    5. Aggiornamento delle categorie di impianti termici

    La tipologia “Energia termica da fonte geotermica” sarà sostituita da: “Energia termica da fonte geotermica, acqua/acqua e acqua/aria”. Restano invariati i massimali previsti dalla Tabella 2b, Sezione II, del DM 24 luglio 2024.

    Dove trovare istruzioni e approfondimenti

    La Guida all’utilizzo del portale TR5, con spiegazioni dettagliate e indicazioni operative, è disponibile nella sezione dedicata del sito GSE, che qui alleghiamo.

  • Abuso Diritto

    Abuso del diritto: a rischio la holding che non distribuisce gli utili

    Una persona fisica può detenere una o più partecipazioni societarie per il tramite di una società di capitali, anche unipersonale, la cui attività è costituita appunto dalla gestione di partecipazioni mobiliari.

    Una tale società prende il nome di holding, e il suo utilizzo costituisce una legittima scelta da parte del contribuente.

    Nel sistema fiscale italiano il percepimento di un dividendo diviene a tassazione piena nel momento in cui questo arriva nelle mani della persona fisica, che è soggetta a una imposta sostitutiva del 26%.

    Diversamente i passaggi intermedi di dividendi, da una società di capitali a un’altra società di capitali, sono soggetti solo a una piccola imposta: il 24% di IRES sul 5% del dividendo percepito, che porta a una pressione fiscale sull’intero dividendo del solo 1,2%, in base alle previsioni dell’articolo 89 del TUIR.

    La scelta operata dal legislatore ha come motivazione la necessità di non duplicare imposizione fiscale durante i passaggi intermedi, lasciando solo una piccola imposta come contropartita del fatto che le società di capitali percepenti i dividendi, a differenza delle persone fisiche, possono dedurre i costi collegati alle partecipazioni.

    Inoltre il medesimo trattamento fiscale è previsto anche nel caso in cui una società di capitali ceda la partecipazione detenuta conseguendo una plusvalenza in regime di participation exemption, ex articolo 87 del TUIR.

    Per queste ragioni detenere una partecipazione per il tramite di una holding può comportare un evidente vantaggio fiscale fintanto che i dividendi percepiti o le plusvalenze realizzate restino in capo alla società e non vengano distribuite ai soci.

    Una tale situazione deve essere considerata legittima, perché è proprio il meccanismo fiscale sottostante che prevede la piena imposizione fiscale solo nel momento in cui dividendi e plusvalenze arrivano nelle mani della persona fisica, attraverso la distribuzione degli utili da parte della holding.

    Tuttavia, in base al recente Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 sull’abuso del diritto, sembra che tale legittimità possa presentare delle limitazioni.

    Cosa prevede l’Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 sull’abuso del diritto

    Il documento emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 27 febbraio scorso precisa infatti che possono rientrare in una situazione di abuso del dirittoanche i differimenti di imposizione, cioè le situazioni nelle quali il contribuente consegue un vantaggio finanziario, purché si tratti di un rinvio della tassazione sine die o significativamente posticipato, dunque non meramente temporaneo”.

    Sorvolando sull’opportunità (se vogliamo salvaguardare la certezza del diritto) di gravare una possibile contestazione di una scadenza temporale non chiaramente definita, applicando l’indirizzo del MEF al caso esaminato, si può concludere che può essere soggetta a una contestazione di abuso del diritto una holding che non distribuisce dividenti ai propri soci, differendo così “sine die” l’imposizione in capo alle persone fisiche di dividenti percepiti e plusvalenze realizzate.

    Cosa comporta

    Va precisato che un tale orientamento non va preso con eccessiva rigidità, in quando, come sempre accade in tema di abuso del diritto, se ci sono valide motivazioni extrafiscali per motivare un determinato comportamento, l’eventuale contestazione non è legittima.

    Se, infatti, può essere considerato abusivo il comportamento della holding che percepisce dividendi o realizza plusvalenze e lascia in cassa ciò che ha realizzato o lo investe in strumenti finanziari facilmente liquidabili, come farebbe una persona fisica, diversamente una holding che reinveste ciò che ha realizzato, ad esempio in altre partecipazioni, non può subire una tale contestazione essendo quella l’attività tipica della società.

    È parere di chi scrive (e come tale va considerato) che, con ogni probabilità, quanto previsto dall’Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 abbia l’obiettivo di mettere sotto osservazione situazioni limite di utilizzo abusivo dello strumento della holding, come strumento, per la persona fisica, di rimandare all’infinito l’imposizione fiscale interponendo una società; situazione ben diversa da quella in cui una holding opera in una ottica di investimento o reinvestimento.

    Va però sottolineato che a gravare sull’applicazione pratica dell’Atto di indirizzo del MEF ci sono delle difficoltà operative insite in una contestazione basata su questa ipotesi.

    Infatti va ricordato che la distribuzione degli utili, da parte di una società, è una decisione che spetta all’assemblea, e quindi ai soci, e non alla società o ai suoi amministratori: per cui non dovrebbe essere possibile avanzare una contestazione di abuso del diritto alla società, dato che la decisione (e il vantaggio fiscale) è stata assunta dai soci.

    Diversamente, poniamo il caso in cui la holding abbia più soci, e i soci di minoranza abbiano votato in assemblea per la distribuzione degli utili, a differenza del socio di maggioranza: in questo caso la contestazione dovrebbe riguardare solo chi ha negato la distribuzione degli utili o tutti i soci?

    Inoltre non va trascurato un ulteriore problema: anche nel caso in cui una tale contestazione possa essere considerata legittima, quale dovrebbe essere la sanzione?

    Logica vorrebbe l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sulle somme in cassa della holding ma non distribuite; ma se poi, in una fase successiva, la distribuzione avviene effettivamente, questa dovrebbe essere tassata nuovamente? 

    Così si andrebbe a tassare due volte lo stesso reddito, fatto contrario ai principi basilari del nostro ordinamento tributario.

    Quindi, pur comprendendo l’intento di voler limitare eccessi di situazioni limite, le modalità dell’effettiva applicazione pratica della previsione dell’Atto di indirizzo MEF rappresentano nodi ancora tutti da sciogliere.