• Accertamento e controlli

    Somme transitate su c/c del socio: quando sono imputabili alla società

    Con l’ordinanza n. 17108 del 25 giugno 2025, la Corte di cassazione è intervenuta sul tema della legittimità della riferibilità a una società di capitali delle movimentazioni bancarie personali del socio amministratore.

    Il pronunciamento chiarisce in quali condizioni l’Agenzia delle entrate può imputare a una Srl somme transitate su conti correnti personali del socio unico.

    La norma di riferimento è l’articolo 32 del DPR n. 600/1973 che attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di utilizzare dati bancari per fondare accertamenti presuntivi.

    Somme transitate su c/c del socio: quando sono imputabili alla società

    L’Agenzia delle Entrate ha notificato avvisi di accertamento ad una Srl e al socio amministratore unico, fondando l'accertamento su indagini finanziarie da cui emergevano movimentazioni bancarie (versamenti e prelevamenti in contanti) su un conto personale estero intestato al socio.

    L'agenzia sosteneva che le somme movimentate erano da imputare alla società, poiché:

    • tra tutte le imprese riconducibili al socio, solo la Srl aveva un volume d'affari tale da giustificare quei flussi;
    • vi era identità tra socio unico e amministratore unico, quindi controllo totale.

    Il motivo dell'accertamento delle Entrate risiede nella presunzione legale (ex art. 32 DPR 600/1973) di ricavi non dichiarati a carico della società, anche se le operazioni erano sul conto personale del socio.

    La Cassazione ha respinto il ricorso della società, confermando la linea dell’Agenzia delle Entrate affermando il seguente principio: "La riferibilità alla società di somme transitate sul conto personale del socio è giustificata quando quest’ultimo cumula in sé le cariche di socio unico e amministratore unico, situazione che genera un controllo totale e incondizionato sulla società stessa."

    In sintesi per la Cassazione

    • non è sufficiente dire che il conto è “personale” se il soggetto ha un controllo pieno sulla società;
    • in queste condizioni, non c’è reale separazione patrimoniale tra persona fisica e società;
    • le movimentazioni si presumono riferibili alla società, salvo prova contraria dettagliata e documentata (che nel caso non è stata fornita).

  • Accertamento e controlli

    Controlli formali dichiarazione 2023: invio documenti entro il 30 settembre

    Il MEF ha confermato che i contribuenti e i professionisti avranno tempo fino a settembre per rispondere alle comunicazioni di irregolarità (art 36 ter dDPR 600/73) relative alle dichiarazioni dei redditi 2023 (anno d’imposta 2022), inviate a partire da  giugno.

    Era sta l'informativa n 110 del 14 luglio del CNDCEC che sottolienava la possibilità, accordata dall'agenzia delle entrate, di trasmettere la documentazione relativa al controllo formale delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2022 fino ai primi quindici giorni di settembre.

    Con una pec del MEF ad ANC si forniscono i dettagli sull'invio degli eventuali dati a supporto.

    Controlli formali dichiarazioni 2023: c’è tempo fino a settembre

    Nell’ultima decade del mese di giugno e nel mese di luglio sono state recapitate dall’Agenzia delle Entrate richieste di documentazione relative al controllo formale, ex art. 36-ter del D.P.R. 600/1973, delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2022, con cui si invitano i contribuenti a trasmettere la documentazione richiesta entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.
    Cadendo il termine di trenta giorni in un periodo già critico per gli studi professionali per i numerosi adempimenti in scadenza nel mese di luglio, il CNDCEC si era attivato immediatamente con i vertici dell’Agenzia delle Entrate al fine di sensibilizzarli sul punto e valutare la possibilità di uno slittamento del predetto termine a dopo la pausa estiva.
    L’Agenzia ha rappresentato che, come esplicitamente indicato nelle comunicazioni inviate, in ogni caso, la documentazione sarà valutata anche se trasmessa oltre il suddetto termine” di trenta giorni (termine non previsto dalla legge e, quindi, da considerarsi meramente ordinatorio) e che per la trasmissione dei documenti e delle informazioni richieste vige la sospensione dei termini dal 1° agosto al 4 settembre prevista dall’art. 37, comma 11-bis, secondo periodo, del D.L. 223/2006.

    Considerato quindi che, come detto, le comunicazioni sono state recapitate a partire dall’ultima decade di giugno, ragionevolmente la trasmissione della documentazione e delle informazioni richieste potrà avvenire, senza conseguenze, indicativamente anche nei primi quindici giorni del prossimo mese di settembre.

    La Direzione centrale servizi fiscali dell’Agenzia ha inviato una PEC al Presidente dell’Associazione nazionale commercialisti, Marco Cuchel, che aveva portato all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria il problema dell’invio della documentazione in risposta agli avvisi ricevuti dal Fisco.

    Cuchel faceva notare che il termine per rispondere a tali avvisi di irregolarità sarebbe scaduto in un periodo già pieno di scadenze, e a ridosso della sospensione feriale (art 7 quater comma 16 del DL 193/2016), senza poterne beneficiare, pertanto vi era stata la richeista di "proroga" al 30 settembre per invio dei dati.

    La richeista è stata accolta dall’Agenzia che, nella PEC recapitata all’ANC, ribadisce quanto già spiegato al Consiglio nazionale e riportato nell’Informativa n. 110/2025. “Premesso che nella comunicazione dell’Agenzia delle Entrate è stato espressamente indicato che la documentazione sarà valutata anche se pervenuta oltre il termine di 30 giorni, si rappresenta che gli uffici dell’Agenzia sono stati invitati a non procedere, nell’immediato, alla comunicazione degli esiti del controllo formale, nel caso in cui il suddetto termine scada in prossimità del periodo di sospensione e non sia ancora pervenuta alcuna documentazione. Pertanto, in relazione alle richieste in oggetto recapitate alla fine dello scorso mese di giugno, si segnala che la trasmissione della documentazione potrà ragionevolmente avvenire a partire da settembre" .

    Il termine parrebbe quindi il 30 settembre e quindi non il15 come prima anticipato dai Commercialisti.

  • Corsi Accreditati per Commercialisti

    Azienda avviata e ceduta: c’è incompatibilità con la professione di Commercialista?

    Con il pronto ordini n 80 il CNDCEC si è espresso con un nuovo orientamento sulla incompatibilità per un Iscritto che concede in affitto a terzi l’azienda detenuta.
    Con il quesito pervenuto si chiede se l’avvio, da parte di un dottore commercialista, di un’attività commerciale in qualità di titolare diretto (ad esempio, un esercizio di vendita al dettaglio e/o un’attività di somministrazione di alimenti e bevande), successivamente concessa in affitto a terzi (unica azienda detenuta) a pochi giorni dall’avvio, possa configurarsi come situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione, considerato che in tal modo verrebbe meno – di fatto – la qualificazione soggettiva di imprenditore commerciale.

    Vediamo il commento del CNDCEC.

    Incompatibilità – Iscritto che concede in affitto a terzi l’azienda detenuta

    Viene premess che ai sensi dell’art. 4, co. 1, lett. a), del D.lgs. 139/2005, l’esercizio della professione di dottore commercialista e di esperto contabile è incompatibile con l’esercizio, anche non prevalente né abituale, dell’attività di impresa in nome proprio o altrui e per proprio conto. Il medesimo articolo, al secondo comma, prevede che l'incompatibilità è esclusa qualora l'attività, svolta per conto proprio, sia diretta alla  gestione patrimoniale o ad attività di mero godimento o conservative.
    La norma è chiaramente volta a preservare l’indipendenza, l’autonomia e l’imparzialità del professionista, evitando che l’esercizio di attività imprenditoriali – per loro natura soggette a logiche di profitto e concorrenza – possa compromettere l’obiettività nell’esercizio della funzione professionale.
    Nel caso di specie, si rileva come l’iscritto, pur avendo inizialmente assunto la veste di imprenditore  commerciale, abbia successivamente e tempestivamente proceduto alla stipula di un contratto di affitto  d’azienda, trasferendo a terzi il godimento del complesso aziendale e rinunciando, di fatto, alla gestione diretta dell’attività d’impresa. 

    L’affitto d’azienda, come noto, configura un contratto con effetti obbligatori e di natura continuativa, mediante il quale il locatore (in questo caso, il professionista) si spoglia dell’esercizio dell’attività imprenditoriale in favore dell’affittuario, il quale assume in via esclusiva la conduzione dell’impresa.

    Dunque, in via di principio il professionista che si limiti a concedere in affitto la propria azienda, senza ingerenza nella gestione né partecipazione agli utili dell’attività esercitata dall’affittuario, non riveste più la qualifica soggettiva di imprenditore, in quanto difetta il requisito dell’esercizio effettivo dell’attività economica organizzata ai fini della produzione o scambio di beni o servizi, ai sensi dell’art. 2082 c.c.

    La sola titolarità giuridica dell’azienda non appare sufficiente a integrare una causa di incompatibilità, qualora l’iscritto si astenga da qualsiasi attività gestionale o decisionale e mantenga un ruolo meramente passivo rispetto all’attività d’impresa.

    A favore di tale conclusione depongono le Note interpretative CNDCEC, che escludono l’incompatibilità qualora l’impresa sia diretta alla gestione

    patrimoniale immobiliare e mobiliare di mero godimento o conservativa.

    Ne deriva che, nel caso in esame, non sembra configurarsi alcuna causa di incompatibilità, a condizione che:

    • i) l’affitto d’azienda sia effettivo e non simulato;
    • ii) il professionista si astenga da qualsiasi ingerenza nella gestione dell’azienda affidata a terzi.

    Tale conclusione è coerente con l’interpretazione sistematica del disposto normativo e con le citate Note interpretative, che, pur ribadendo l’incompatibilità con l’attività di impresa commerciale, impongono di valutare la concreta sussistenza di un effettivo esercizio dell’attività imprenditoriale e non la mera titolarità formale dell’azienda

  • Corsi Accreditati per Commercialisti

    Errori del commercialista sulla dichiarazione: conseguenze

    Con la Ordinanza n 22742/2025 la Cassazione ha statuito che è compito del contribuente verificare che il commercialista incaricato trasmetta correttamente in via telematica la dichiarazione dei redditi all’agenzia delle Entrate, ritenendo fondato il ricorso dell’agenzia delle Entrate contro un contribuente per indebita compensazione orizzontale. 

    Errori del commercialista sulla dichiarazione: conseguenze

    La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 22742/2025, è tornata a chiarire un principio fondamentale:

    • il contribuente non è automaticamente sollevato dalle sanzioni tributarie se non dimostra di aver vigilato sull’operato del professionista incaricato.

    Il ricorso prende le mosse da un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e un contribuente, a seguito di un avviso di recupero per indebita compensazione orizzontale.

    Quest’ultima sarebbe stata eseguita non direttamente dal contribuente, ma da un soggetto incaricato esclusivamente per l’impugnazione di una cartella esattoriale.

    Il nodo da sciogliere è se può il contribuente essere sanzionato per un comportamento scorretto commesso da un professionista, se lui stesso non ha materialmente partecipato all’illecito.

    In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto parzialmente il ricorso del contribuente, annullando le sanzioni per assenza dell’elemento soggettivo.

    Anche in appello, la Corte tributaria di secondo grado ha confermato la decisione, ritenendo che il contribuente fosse estraneo all’operazione contestata e che la responsabilità sanzionatoria non potesse essergli imputata.

    L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di secondo grado, sollevando una questione giuridica centrale: a chi spetta l’onere della prova dell’assenza di colpa, quando un adempimento fiscale viene demandato a un consulente esterno?

    Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe mal interpretato l’art. 5 del D.Lgs. 472/1997, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., che regola appunto l’onere della prova.

    La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte tributaria regionale in diversa composizione.

    La Cassazione afferma che il contribuente non può limitarsi a dichiararsi estraneo ai fatti, deve dimostrare di aver vigilato diligentemente sull’operato del professionista, anche se la condotta di quest’ultimo non è penalmente rilevante.

    La Corte richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui:

    • la responsabilità per le violazioni tributarie presuppone colpevolezza, anche sotto forma di negligenza,
    • la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente.

    La sola denuncia del professionista non basta a escludere la colpa, se non è accompagnata da elementi che dimostrino di aver esercitato un controllo effettivo sull’operato del consulente.

    Questa ordinanza rafforza un principio essenziale: 

    • la delega a un professionista non esonera il delegante da responsabilità, salvo che venga provata l’assenza di colpa.

    Va però evidenziato che, benchè se il commercialista sbaglia paga il cliente in prima battuta, si può invocare la responsabilità contrattuale.

    Il commercialista è comunque responsabile del suo operato, in base al generale principio della responsabilità contrattuale.

    Il contribuente costretto a pagare l'Erario potrà poi legittimamente rifarsi sul professionista davanti al Tribunale, chiedendo il rimborso del danno subito.

  • La casa

    La comproprietà nello stesso comune preclude la prima casa

    La Corte di Cassazione con la pronuncia n 24477 del 3 settembre ha confermato che l’agevolazione “prima casa” è esclusa anche nei casi di comunione ordinaria tra coniugi, non solo in caso di comunione legale. 

    Si segna un punto sulla interpretazione della Nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/1986 sulla agevolazione prima casa.

    Vediamo il caso di specie.

    Comproprietà casa nello stesso comune preclude la prima casa

    La vicenda trae origine da un avviso di rettifica notificato dall’Agenzia delle Entrate a una contribuente che aveva acquistato un immobile chiedendo l’agevolazione prima casa.

    L’Ufficio contestava la spettanza del beneficio, rilevando che essa già risultava contitolare, in comunione ordinaria con il coniuge, di un altro immobile situato nello stesso comune.

    Secondo l’Agenzia, questo elemento bastava a precludere l’accesso all’agevolazione, sulla base della lett. b) della Nota II-bis del DPR n. 131/1986. 

    La contribuente eccepiva che tale preclusione valesse solo per i casi di comunione legale e che, nel suo caso, il regime patrimoniale era di separazione dei beni, dunque con titolarità individuale delle quote.

    La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, sposando integralmente la tesi dell’Agenzia delle Entrate.

    Secondo i giudici, la dicitura “in comunione con il coniuge” di cui alla lett. b) della Nota II-bis deve essere interpretata in senso letterale, senza limitazioni al solo caso della comunione legale.

    La Corte ha enunciato il seguente principio: "In materia di agevolazione prima casa, la circostanza che l'acquirente sia già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione ordinaria di altra abitazione idonea nello stesso Comune preclude il riconoscimento dell'agevolazione

    Viene chiarito che, essendo la lett. b) riferita specificamente al comune in cui è situato l’immobile, non è corretto interpretarla in senso restrittivo alla sola comunione legale. 

    Al contrario, tale distinzione è esplicitata solo nella lett. c) della stessa Nota, che riguarda invece la titolarità su tutto il territorio nazionale.

    Secondo i giudici di legittimità le norme fiscali agevolative, essendo eccezionali, sono soggette a stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.

    Non è quindi possibile ampliare il significato delle espressioni normative con interpretazioni analogiche o estensive.

    Il termine “comunione con il coniuge” va preso nel suo senso ordinario, che include qualsiasi forma di contitolarità, anche se non legata al regime patrimoniale legale.

    La Corte ha anche escluso che la titolarità pro-quota di un immobile in comunione ordinaria con il coniuge equivalga a inidoneità abitativa, specificando che in presenza di matrimonio in essere (quindi non in caso di separazione legale), si presume la coabitazione e l’idoneità abitativa del bene comune, a prescindere dalla quota posseduta.

  • Turismo

    IVA per attività culturali e ricreative di promozione del territorio: l’ADE chiarisce

    Con la Risposta a interpello n. 229/2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti sul trattamento IVA applicabile a tre attività turistico-culturali gestite da un’Azienda speciale pubblica: 

    L'ente pubblico economico promuove la valorizzazione del territorio comunale attraverso la gestione di attività turistiche a valenza educativa, culturale e ambientale e si occupa di:

    • visita guidata a una miniera (con museo, livelli storici, guide e sicurezza);
    • parco speleologico (tour in ambienti naturali e artificiali, con DPI e personale specializzato);
    • traversata del ponte tibetano, nuovo percorso aereo immersivo.

    L’Istante ha chiesto:

    • se le attività siano esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 22) del DPR 633/1972, in quanto culturali;
    • se i corrispettivi siano soggetti alle regole semplificate di certificazione previste per le attività spettacolistiche (art. 74-quater DPR 633/1972), con utilizzo di biglietteria automatizzata e titoli d’accesso.

    Eserienze turistiche complesse: chiarimenti ADE su corrispettivi e IVA

    Il dubbio dell'istante si concentra su due punti:

    • le attività sono veramente “culturali”? Oppure alcune hanno una natura prevalentemente ludica o commerciale?
    • le modalità di fatturazione con biglietteria automatizzata e comunicazione alla SIAE sono corrette anche per attività esenti da IVA?

    L’Istante sottolinea che tutte le attività sono vendute in pacchetti unici e indivisibili, e che le prestazioni accessorie (caschetti, guide, parcheggi) sono strumentali alla fruizione culturale.

    L’Agenzia riconosce natura culturale e funzione educativa alle seguenti attività:

    • visita alla miniera: esperienza didattica sul patrimonio minerario dismesso, autorizzata dalla Regione.
    • parco speleologico: percorso educativo geologico e speleologico, parte integrante del sito minerario.

    In entrambi i casi, sono esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, n. 22), anche le prestazioni accessorie (noleggio, guide, parcheggio, sicurezza) perché necessarie alla fruizione dell’offerta culturale.

    L’agenzia ribadisce che:"Una prestazione accessoria è esente se è strumentale all’esperienza culturale e non ha valore autonomo per l’utenza."

    Diversamente, la traversata del ponte tibetano non è accompagnata da narrazione culturale e si presenta come un’attività avventurosa e adrenalinica, priva di contenuto educativo e pertanto secondo l'agenzia non può beneficiare dell’esenzione IVA e resta soggetta all’aliquota ordinaria del 22%.

    Per tutte le attività (esenti o meno), i corrispettivi devono essere certificati con titoli di accesso, come previsto dall’art. 74-quater del DPR 633/1972 ossia con l’uso della biglietteria automatizzata certificata SIAE.

    Anche per le attività culturali esenti da IVA, l’Agenzia precisa che l’esonero dalla memorizzazione elettronica non si estende ai titoli di accesso, che vanno comunque emessi tramite dispositivi fiscali abilitati.

  • Agricoltura

    Patrocinio ISMEA: come richiederlo per eventi in ambito agricoltura

    La concessione del patrocinio da parte di ISMEA, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, è vincolata al rispetto dei criteri presenti nell' Allegato 1 – "Procedura di richiesta del patrocinio", pubblicato sul sito dell'Istituto in data 1° settembre:Scarica qui il FAC Simile.
    Il patrocinio rappresenta una forma simbolica di adesione e una manifestazione di apprezzamento da parte dell’Istituto a iniziative ritenute pertinenti e meritevoli.

    Il patrocinio può essere richiesto esclusivamente per iniziative riguardanti le materie di competenza di ISMEA.

    Esso è concesso a titolo gratuito per iniziative a finalità commerciali o di carattere strettamente locale.

    Una volta ottenuta la concessione del patrocinio, l’interessato potrà richiedere il logo ISMEA e il manuale d’uso seguendo le istruzioni che saranno contenute nella stessa lettera di concessione del patrocinio.

    Vediamo come richiederlo.

    Patrocinio ISMEA: come richiederlo per eventi in ambito agricoltura

    La richiesta di patrocinio dell’ISMEA- Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare dovrà essere presentata utilizzando il modello di domanda in allegato, all’indirizzo PEC: [email protected]

    È necessario che la domanda sia presentata in tempo utile a consentire l'istruttoria preliminare da parte di ISMEA, almeno 30 giorni prima del periodo di svolgimento dell'iniziativa, salvo eventuale urgenza comprovata dalla stessa documentazione inviata dal richiedente e motivata nella descrizione dell’iniziativa prevista dal modulo di domanda