• Accertamento e controlli

    Autotutela tributaria: come presentare l’istanza

    Con la Circolare n 21/2024 le Entrate forniscono chiarimenti e istruzioni sulle novità introdotte dal Nuovo Statuto del Contribuente in merito all'istituto dell'Autotutela.

    Vediamo le regole per l'istanza commentate dall'Agenzia.

    Istanza di autotutela tributaria: a chi presentarla

    Gli articoli 10-quater e 10-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente hanno riformato l'istituto dell'autotutela tributaria, distinguendola in due categorie

    • autotutela obbligatoria,
    • autotutela facoltativa. 

    Tali norme in vigore dal 18 gennaio 2024, mirano a garantire una maggiore tutela dei diritti del contribuente, introducendo criteri chiari per l'esercizio dell'autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria.

    La Circolare specifica che la richiesta di autotutela va indirizzata all’Ufficio che ha emesso l’atto di cui si chiede l’annullamento.
    Inoltre, si evidenzia che la competenza a esercitare il potere di autotutela sussiste in capo alle strutture territoriali mentre quelle centrali non sono coinvolte nei relativi procedimenti, ad eccezione delle ipotesi di richieste di autotutela aventi a oggetto atti a rilevanza esterna emessi da queste ultime.
    Pertanto, in capo agli Uffici centrali non è configurabile alcun potere di intervento rispetto agli atti rientranti nell’esclusiva competenza delle strutture territoriali, provinciali o regionali, che abbiano provveduto alla loro adozione.

    Nell’ipotesi in cui il contribuente presenti, per errore, la richiesta a una struttura non competente (come, ad esempio, a una Direzione regionale per un atto emesso da un Ufficio di una Direzione provinciale), la struttura ricevente deve trasmettere tempestivamente detta richiesta all’Ufficio competente, informandone contestualmente il contribuente all’indirizzo indicato nella richiesta stessa o, in assenza, a quello risultante come domicilio fiscale in anagrafe tributaria, analogamente a quanto previsto, nella previgente disciplina, dall’articolo 5 del DM n. 37 del 1997, secondo il quale «in caso di invio di richiesta ad un Ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all’Ufficio competente dandone comunicazione al contribuente» e in ossequio ai principi di leale collaborazione e buona fede previsti dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.

    Istanza di autotutela tributaria: contenuto e modalità

    L’istanza deve rappresentare in modo esaustivo tutti gli elementi (di fatto e di diritto) su cui si fonda la richiesta di autotutela e va corredata di tutta la documentazione in possesso del richiedente idonea a dimostrare la sussistenza dei vizi che giustificano la revisione dell’atto.
    L’istanza deve essere presentata avvalendosi di strumenti atti a certificarne l’invio da parte del soggetto legittimato a presentarla, tramite, ad esempio, l'utilizzo dei servizi telematici (accesso tramite SPID, CIE o CNS), tramite posta elettronica certificata o in alternativa tramite consegna a mano con accesso fisico allo sportello.
    Al fine di garantire l’efficienza dell’azione amministrativa, è opportuno che le richieste di autotutela riportino:

    • i dati identificativi del contribuente o del suo eventuale rappresentante a cui è stato notificato l’atto di cui si chiede l’annullamento;
    • i dati di contatto a cui inviare comunicazioni e notificare l’eventuale provvedimento di accoglimento o diniego della richiesta indicando l’indirizzo di posta elettronica certificata. Qualora l’istante non sia titolare di indirizzo di posta elettronica certificata, oppure essendo titolare di un indirizzo PEC lo stesso non sia inserito nei pubblici registri, si potrà indicare nell’istanza di autotutela quale dato di contatto utile ai fini delle comunicazioni e delle notifiche, l’indirizzo PEC del difensore/procuratore/intermediario munito di mandato o procura alle liti per la presentazione dell’istanza, da cui risulti l’elezione di domicilio presso lo stesso;
    • in mancanza di uno dei predetti domicili digitali, la notifica del provvedimento deve essere eseguita al domicilio fiscale del contribuente istante risultante dall’anagrafe tributaria;
    • gli estremi dell’atto di cui si chiede l’annullamento;
    • una dettagliata descrizione della fattispecie e ogni documentazione utile
      allo svolgimento della fase istruttoria da parte degli Uffici;
    • i vizi dell’atto e le ragioni di fatto e di diritto, in modo chiaro ed esaustivo, per le quali si chiede l’annullamento;
    • la sottoscrizione del richiedente o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell’articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, previa procura, in calce o a margine dell'atto, ovvero allegata all'istanza.

  • IMU e IVIE

    Variazioni aliquote IMU 2025: attivo il portale per i Comuni

    Il MEF informa che, come anticipato nel Comunicato del 27 settembre 2024, è stata resa disponibile, all’interno del Portale del federalismo fiscale, nell’apposita sezione denominata “Gestione IMU”, l’applicazione informatica attraverso cui i comuni possono individuare le fattispecie in base alle quali diversificare le aliquote dell’IMU nonché elaborare e trasmettere il relativo Prospetto per l’anno di imposta 2025.  

    Ricordiamo però che, con il DM 6 settembre del MEF è stato integrato il decreto 7 luglio 2023 concernente l'individuazione delle fattispecie in materia di imposta municipale propria (IMU), in base alle quali i comuni possono diversificare le aliquote di cui ai commi da 748 a 755 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre  2019,  n. 160.

    Attenzione al fatto che, i Comuni dovranno usare dal 1 gennaio 2025 la piattaforma preposta sul portale federalismo fiscale.

    Per provvedere all'aedempimento sono anche state aggiornate le linee guida, scarica qui il file.

    Riepiloghiamo le novità previste a partire dal 2025.

    Aliquote IMU diversificabili dai Comuni: le regole 2025

    Il Decreto MEF del 6 settembre pubblicato nella GU del 18 settembre, integra le fattispecie di diversificazione delle aliquote IMU da parte dei comuni.

    In dettaglio, è approvato l'allegato A che sostituisce l'allegato A del Decreto 7 luglio 2023, con cui sono state individuate le fattispecie in materia di imposta municipale propria (IMU), in base alle quali i comuni possono diversificare le aliquote di cui all'art. 1, commi da 748 a 755, della legge 27 dicembre 2019, n. 160.
    L'attuale allegato A, di cui al decreto 6 settembre, modifica e integra  le condizioni in base alle quali i comuni possono  introdurre ulteriori differenziazioni all'interno di ciascuna delle fattispecie già previste.

    Nel caso in cui il comune eserciti la facoltà deve in ogni caso effettuare la diversificazione nel rispetto dei criteri generali di ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalità e non discriminazione. 

    I comuni elaborano e trasmettono al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze il Prospetto, recante le fattispecie di interesse selezionate, tramite l'applicazione informatica  disponibile nell'apposita sezione del portale del federalismo fiscale, attiva, per l'IMU 2025 dal 31 ottobre scorso.

    Inoltre sono pubblicate le Linee guida per l’elaborazione e la trasmissione del Prospetto delle aliquote dell’IMU”, aggiornate con le modifiche apportate dal citato decreto 6 settembre 2024. 

    I comuni possono diversificare le aliquote dell'IMU rispetto a quelle di cui all'art. 1, commi da 748 a 755 della legge n. 160 del 2019, solo utilizzando l'applicazione informatica di cui al comma 1 ed esclusivamente con riferimento alle fattispecie di cui all'art. 2.
    L'applicazione informatica deve essere utilizzata anche se il comune non intende diversificare le aliquote ai sensi del comma 2.

    Attenzione al fatto che, le aliquote stabilite dai comuni nel Prospetto hanno effetto, ai sensi dell'art. 1, comma 767, della legge n. 160 del 2019, per l'anno di riferimento, a condizione che il Prospetto medesimo sia pubblicato sul sito internet del Dipartimento delle  finanze del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 28 ottobre dello stesso anno.

    Il mef ricorda, infine, che, per il primo anno di applicazione obbligatoria del Prospetto, in deroga all'art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 e all’art. 1, comma 767, terzo periodo, della legge n. 160 del 2019, in mancanza di una delibera approvata secondo le modalità previste dal comma 757 del medesimo art. 1 e pubblicata nel termine di cui al successivo comma 767, si applicano le aliquote di base di cui ai commi da 748 a 755 del citato art. 1 della legge n. 160 del 2019. 

    Le aliquote di base continueranno ad applicarsi sino a quando il comune non approvi una delibera secondo le modalità appena descritte.

    Allegati:
  • Riforma fiscale

    Nuova Autotutela tributaria: istruzioni ADE

    Con la Circolare n 21 del 7 novembre si pubblicano le istruzioni operative per gli Uffici finanziari territoriali in materia di autotutela tributaria, a seguito delle novità introdotte con gli articoli 10-quater e 10- quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente.

    Vengono forniti chiarimenti in merito all’esercizio del potere di autotutela tributaria, alla luce della nuova disciplina dell’istituto.
    In particolare, il citato decreto legislativo ha:

    • introdotto una regolamentazione distinta ed espressa delle ipotesi di:
      • autotutela obbligatoria (articolo 10-quater) 
      • e facoltativa (articolo 10-quinquies), avendo riguardo anche ai riflessi di queste ultime sulla responsabilità amministrativo- contabile dell’amministrazione finanziaria (art. 10-quater, comma 3);
    • abrogato la previgente disciplina in materia di autotutela tributaria e, in  particolare, l’articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564,  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, nonché il  decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37.

    Tanto premesso, con la circolare, in ossequio al principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione, si forniscono istruzioni operative agli Uffici per garantirne l’uniformità di azione in relazione all’applicazione della nuova disciplina dell’autotutela, dando rilievo al contenuto dell'istanza di autotule e alle modalità di presentazione.

    Autotutela obbligatoria: le regole

    L’articolo 10-quater dello Statuto dei diritti del contribuente, rubricato «Esercizio del potere di autotutela obbligatoria», dispone, al comma 1, che l’amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione:

    • a) errore di persona;
    • b) errore di calcolo;
    • c) errore sull’individuazione del tributo;
    • d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria;
    • e) errore sul presupposto d’imposta;
    • f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
    • g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.

    In linea con le esigenze di certezza alle quali la disposizione si ispira le ipotesi ivi richiamate devono ritenersi tassative e, quindi, di stretta interpretazione.

    In via preliminare, è opportuno chiarire che, coerentemente con la volontà del legislatore delegante di «potenziare l’esercizio del potere di autotutela», rientra nella nozione di atto di imposizione qualunque atto mediante il quale l’amministrazione finanziaria eserciti il proprio potere autoritativo con effetti di natura patrimoniale pregiudizievoli nei riguardi del contribuente.

    In tale nozione, rientrano, tra l’altro, gli «atti recanti una pretesa impositiva»6 (come, ad esempio, gli avvisi di accertamento e di rettifica) e quelli di chiusura della partita IVA.

    La disposizione normativa sopra richiamata pone, dunque, a carico dell’amministrazione finanziaria, l’obbligo di esercitare il potere di autotutela di atti di imposizione, ivi inclusi gli atti di accertamento catastale

    • (i) quando ricorrano i vizi tassativamente elencati dalla stessa 
    • e (ii) sempre che gli stessi diano luogo a forme di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione.

    Al riguardo, la Relazione al decreto che ha novellato le norme, precisa che «il riferimento alla evidente illegittimità o infondatezza si richiama espressamente al concetto di “errori manifesti” utilizzato dalla delega ed incorpora il significato attribuito dalle vigent norme di legge al profilo oggettivo dell’istituto dell’autotutela (oltre all’abrogato articolo 68 del D.P.R. n. 287/1992 anche l’articolo 2-quater del D.L. n. 564/1994 si riferisce congiuntamente agli atti “illegittimi o infondati” per individuare l’oggetto dell’autotutela)».

    Emerge, dunque, con chiarezza dai lavori preparatori della disposizione in esame e in particolare dalla Relazione, che deve escludersi «l’obbligatorietà dell’autotutela in tutti i casi in cui la questione appaia dubbia, anche per l’esistenza di contrasti giurisprudenziali».

    Si ritiene, che, in caso di autotutela ad istanza di parte, il contribuente sia tenuto ad indicare puntualmente il tipo di vizio da cui è affetto l’atto e le ragioni in virtù delle quali il predetto vizio sia riconducibile ad una delle fattispecie tassative di cui all’articolo 10-quater.

    Ciò non esclude, tuttavia, che, ove sussistano obiettive condizioni di incertezza relative al corretto inquadramento della fattispecie, «anche per l’esistenza di contrasti giurisprudenziali», l’amministrazione finanziaria, in sede istruttoria, tenuto conto anche degli elementi indicati nell’istanza, può rilevare che la fattispecie rappresentata non rientri tra quelle che legittimano il ricorso all’articolo 10-quater per l’assenza della condizione di «manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione».

    In definitiva, alla luce della ratio sottesa alla distinzione tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa, si ritiene che i vizi elencati dall’articolo 10- quater, configurino ipotesi di autotutela obbligatoria laddove il loro apprezzamento non presupponga la soluzione di questioni interpretative obiettivamente incerte, come, ad esempio, per l’esistenza di contrasti

    giurisprudenziali, dovendosi tali vizi manifestare, in ogni caso, in errori rilevabili ictu oculi.

    L’amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere all’istanza di autotutela obbligatoria entro il termine di 90 giorni dalla sua ricezione

    Tale conclusione discende dal combinato disposto di cui agli articoli 19, comma 1, lettera g-bis) – che, come detto, inserisce tra gli atti impugnabili anche il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’articolo

    10-quater – e 21, comma 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che stabilisce che il ricorso avverso il rifiuto tacito sulle istanze di autotutela obbligatoria può essere proposto decorsi novanta giorni dalla loro presentazione.

    Il comma 2 dell’articolo 10-quater dispone che «L’obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione».

    Al riguardo, la Relazione ha fornito alcuni elementi utili a circoscrivere meglio le ipotesi di esclusione dell’obbligo di autotutela in presenza dei presupposti di cui al comma 1.

    In particolare, la stessa chiarisce che «per evidenti esigenze di certezza, al comma 2 si prevede il divieto di esercitare l’autotutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria», con l’ulteriore precisazione che «non è ostativo all’autotutela né un giudicato meramente processuale, né un giudicato sostanziale basato su motivi diversi da quelli che giustificano l’autotutela».

    Pertanto, pur in presenza di un giudicato sostanziale, il potere di autotutela deve, comunque, essere esercitato per vizi che dimostrino la manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione diversi da quelli sui quali si è pronunciato il giudice.

    Per le medesime ragioni di certezza, il legislatore ha individuato in un anno il limite temporale dell’autotutela obbligatoria relativa ad atti definitivi e ha disposto che il termine annuale decorre «dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione».

    In tali ipotesi, ai fini del rispetto del computo del termine di un anno dalla definitività dell’atto, rileva la data di presentazione dell’istanza di autotutela da parte del contribuente. Pertanto, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere anche oltre l’anno dalla definitività dell’atto di imposizione purché l’istanza di autotutela sia stata presentata prima di tale termine.

    Tenuto conto dei principi della legge delega che hanno guidato l’introduzione degli articoli 10-quater e 10-quinquies in esame, deve considerarsi, tuttavia, riconosciuta al contribuente la facoltà di presentare, anche oltre la scadenza del predetto termine annuale, un’istanza di autotutela facoltativa, rappresentando quest’ultima una categoria residuale che, in quanto tale, ricomprende i casi in cui ci si trovi al di fuori del perimetro, espressamente delineato, dell’autotutela obbligatoria.

    Per ragioni di certezza dei rapporti giuridici, richiamate dal legislatore delegato, l’istanza di autotutela – sia essa facoltativa che obbligatoria – non può più essere presentata o, comunque, una volta presentata, il provvedimento di autotutela non può più intervenire quando l’atto di imposizione è stato oggetto, anche parzialmente, di qualunque forma di definizione della pretesa, anche agevolata (ad esempio, nel caso di accertamento con adesione, conciliazione, acquiescenza).

    Ad esempio, qualora il contribuente – pur impugnando un avviso di accertamento – abbia definito in via agevolata le sanzioni, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, la richiesta di autotutela e l’eventuale provvedimento dell’Ufficio potranno interessare esclusivamente la pretesa avanzata a titolo d’imposta, dovendosi ritenere ferma l’irripetibilità delle somme versate per la definizione agevolata delle sanzioni.

    Per quanto concerne l’indicazione tassativa dei vizi che configurano, nei casi di manifesta illegittimità, ipotesi di autotutela obbligatoria, l’elenco contenuto nell’articolo 10-quater dello Statuto dei diritti del contribuente non coincide con

    quello contenuto nel citato articolo 2 del decreto ministeriale n. 37 del 1997.

    L’articolo 10-quater non contempla espressamente, infatti, le seguenti fattispecie:

    • l’evidente errore logico;
    • la doppia imposizione;
    • la sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati.

    Al riguardo, si ritiene che tali ipotesi possano confluire nella fattispecie dell’errore sul presupposto d’imposta. In particolare, rileverà:

    • l’errore logico, qualora lo stesso determini una palese infondatezza dell’atto che si traduca nel ritenere indebitamente realizzato il presupposto d’imposta;
    • la doppia imposizione, qualora sia espressamente vietata da una norma e la cui violazione determini la mancata realizzazione del presupposto d’imposta;
    • la sussistenza di requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni ed agevolazioni qualora l’errore riguardi i presupposti per fruire delle predette deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi.

    Resta inteso, comunque, che anche in tali ipotesi deve sussistere la manifesta illegittimità dell’atto di imposizione.

    L’elenco di cui all’articolo 10-quater contempla, invece, una fattispecie che l’articolo 2 del decreto ministeriale n. 37 del 1997 non prevedeva expressis verbis, e cioè l’errore sull’individuazione del tributo.

    In tale ipotesi, potrebbero rientrare i casi di erronea applicazione di un’imposta in luogo di un’altra, come, ad esempio, in caso di non corretta applicazione dei principi di alternatività IVA-imposta di registro ovvero di imposta sulle donazioni – imposta di registro.

    Le fattispecie non riprodotte nell’elenco contenuto nell’articolo 10-quater e che, comunque, non integrano altre ipotesi ivi contemplate, non rilevano ai fini dell’autotutela obbligatoria e, dunque, l’amministrazione non ha l’obbligo di esercitare il relativo potere; resta ferma, in tali ipotesi, la possibilità di esercitare il potere di autotutela facoltativa.

    Leggi Autotutela tributaria: come presentare l'istanza per le istruzioni.

  • Start up e Crowdfunding

    Start up e PMI innovative: gli incentivi per chi investe

    Pubblicata in GU n 261 la legge n 162 del 2024 con Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up  e delle piccole e medie imprese innovative mediante  agevolazioni  fiscali  e incentivi agli investimenti.

    La legge composta da 5 articoli entrerà in vigore il 22 novembre prossimo, vediamo le novità per queste realtà imprenditoriali.

    Incentivi fiscali per investimenti in start-up e in PMI innovative

    Con l'art 2 della legge si prevede che per gli investimenti effettuati in start-up innovative e in PMI innovative per i quali è riconosciuta  una  detrazione dall'imposta sul reddito delle persone fisiche ai sensi dell'articolo  29-bis  del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ovvero dell'articolo  4,  comma 9-ter, del decreto-legge 24  gennaio  2015,  n.  3,  convertito,  con modificazioni,  dalla  legge  24  marzo  2015,  n.  33, qualora   la detrazione  sia  di  ammontare  superiore  all'imposta   lorda,  per l'eccedenza è riconosciuto un credito d'imposta  utilizzabile  nella dichiarazione dei redditi in diminuzione delle imposte  dovute  o  in compensazione ai sensi dell'articolo 17  del  decreto  legislativo  9 luglio 1997, n. 241.

    Il credito d'imposta è fruibile nel periodo  di imposta in cui e' presentata  la  dichiarazione  dei  redditi  e  nei periodi di imposta successivi.
    Le disposizioni si  applicano  agli  investimenti effettuati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello  in corso al 31 dicembre 2023.

    Patrimonializzazione imprese trmite sviluppo del mercato italiano dei capitali

    Inoltre con l'art 3 al fine  di  sostenere la  patrimonializzazione delle  imprese italiane e il rafforzamento delle filiere, reti  e infrastrutture strategiche tramite lo sviluppo del mercato  italiano dei  capitali, all'articolo 27 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34,  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, dopo il comma 5 è  inserito il comma 5-bis che prevede quanto segue.

    Limitatamente all'operatività a condizioni di mercato di cui al comma 4, con esclusione delle operazioni di ristrutturazione di cui al comma  5,  sesto  periodo, il  Patrimonio  Destinato può altresì effettuare interventi tramite la sottoscrizione di quote  o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio di nuova costituzione e istituiti in Italia, gestiti da società per la gestione del risparmio autorizzate  ai  sensi  dell'articolo  34  del testo  unico  delle  disposizioni  in materia  di   intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, o da gestori autorizzati ai sensi degli  articoli  41-bis,  41-ter  e 41-quater del medesimo testo unico, la cui politica  di  investimento sia coerente con le finalità del Patrimonio Destinato nel  rispetto delle seguenti condizioni:

    • a) ferma restando la coerenza dello specifico investimento con le priorità e finalità del Patrimonio Destinato gli organismi  di  investimento collettivo del risparmio investono prevalentemente in titoli  quotati in mercati regolamentati o  sistemi  multilaterali  di negoziazione italiani emessi da emittenti di  medio-piccola capitalizzazione con sede legale o significativa e stabile organizzazione in Italia, anche con fatturato annuo inferiore a euro 50 milioni;
    • b) per la quota non  prevalente,  ai  fini  di  ottimizzare  la gestione dei rischi di portafoglio  e  liquidità gli  organismi di investimento collettivo  del  risparmio  possono  investire,  secondo limiti, criteri e condizioni stabiliti con il Regolamento di  cui  al comma 6,  in  titoli  quotati  in  mercati  regolamentati  o  sistemi multilaterali di negoziazione italiani emessi da emittenti  con  sede legale o significativa e stabile organizzazione in Italia,  anche  in deroga al comma 4, lettera b);
    • c) le disposizioni di cui alle lettere a)  e  b)  si  applicano anche  ai  titoli  emessi  da  emittenti che hanno   completato positivamente il processo di ammissione alla  quotazione  su  mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione  italiani,  con data certa di inizio negoziazione;
    • d) ai fini di ottimizzare la gestione dei rischi di  liquidita' gli  organismi  di  investimento  collettivo del risparmio possono altresì investire, secondo limiti, scadenze,  criteri  e  condizioni stabiliti con il Regolamento di cui al comma 6, in titoli  di  debito emessi dalla Repubblica italiana, da Stati membri dell'Unione europea partecipanti all'area euro e dalla Commissione europea;
    • e)  l'ammontare  delle  quote  o   azioni   dell'organismo   di investimento collettivo del  risparmio  sottoscritte  dal Patrimonio Destinato e' mantenuto nel limite del 49 per cento dell'ammontare del patrimonio dell'organismo di investimento collettivo  del  risparmio; la restante quota dell'ammontare  del  patrimonio  dell'organismo  di investimento   collettivo   del   risparmio   e'   sottoscritta    da co-investitori  privati  alle  medesime  condizioni  del   Patrimonio Destinato».

    A decorrere dalla data  di  entrata  in  vigore  della  presente legge, l'articolo 23 del regolamento di cui al decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze 3 febbraio 2021, n. 26, è abrogato  e le altre disposizioni del medesimo regolamento si applicano in quanto compatibili. 

    Legge start up e PMI innovative: ulteriori modifiche a norme precedenti

    La legge di cui sitratta ha inotlre previsto:

    • modifiche all'articolo 14 del decreto-legge 25 maggio  2021,  n.  73,  convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n.  106,  in materia di agevolazioni agli  investimenti  in  start-up  e  PMI innovative, nonche' disposizioni in materia di Anagrafe  nazionale  delle ricerche,
    • modifiche  al  testo  unico  delle   disposizioni  in materia  di  intermediazione finanziaria,  di  cui  al  decreto  legislativo  24  febbraio 1998, n. 58 

    cui si rimanda dal testo di legge.

  • Imposta di registro

    Atto notarile di rettifica di atto nullo: l’imposta di registro da applicare

    Con Risposta di interpello n 214 del 31 ottobre le entrate chiariscono il perimetro di tassazione ai fini dell'imposta di registro di un atto notarile di rettifica e conferma di atto nullo.

    Sinteticamente l'imposta di registro applicabile è al 3% prevista per gli Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, vediamo il perchè. 

    Atto notarile di rettifica e conferma di atto nullo: l’imposta di registro da applicare

    Si replica ad un Notaio istante che incaricato della stesura di un atto di ''rettifica e conferma di atto nullo'', rappresenta che:

    «in detto atto, non era stata fatta alcuna menzione di tale fabbricato; di conseguenza, il predetto atto, oltre all'omissione dell'indicazione del fabbricato, è incorso nella causa di nullità prevista dall'articolo 46, comma 1, D.P.R. 380/2001 e dell'allora vigente articolo 40, legge 28 febbraio 1985 n.47 dal momento che l'originario venditore dell'epoca ha omesso di indicare gli estremi del permesso di costruire ed i successivi titoli edilizi in forza del quale il fabbricato è stato edificato»

    L'Istante chiede se debba procedersi alla tassazione del fabbricato omesso nell'atto di trasferimento precisando che «il dubbio ricade sul fatto che sia controverso se questi fabbricati già esistenti siano stati o meno trasferiti all'epoca dell'atto citato, in cui si è pagata la tassazione relativa al solo terreno, e se quindi, in sede di rettifica e conferma di tale atto nullo debba procedersi alla tassazione dei fabbricati medesimi ed in che misura»

    L'articolo 59 bis della legge 16 febbraio 1913, n. 89 dispone che «Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato».
    Dunque, il notaio può rettificare ''errori od omissioni materiali'' relativi ai dati riportati in atti pubblici o scritture private autenticate, mediante una propria certificazione, che si sostanzia in una dichiarazione di scienza relativa ai dati preesistenti all'atto, dei quali il notaio ha conoscenza.
    L'articolo 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (''Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985'') prevede che «1. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento […] di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria […]. 4. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa».
    Nel caso di specie, l'Istante produce una bozza di atto denominato ''Rettifica ai sensi dell'art. 59bis della L. 16 febbraio 1913, n. 89 e Conferma di atto nullo ai sensi dell'art. 46, comma 4, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380'', dal quale risulta che gli eredi intendono correggere l'errore materiale relativo alla data di nascita della parte acquirente (de cuius) del terreno di cui all'atto di compravendita stipulato e confermare urbanisticamente il suddetto atto di provenienza, ai sensi dell'articolo 46, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e del disposto di cui al previgente articolo 40 della legge
    28 febbraio 1985, n. 47, «al fine di sanare la nullità del citato atto e la conseguente invalidità della relativa nota di trascrizione».

    Nel caso di specie, quindi, con la bozza dell'atto esaminato non viene effettuata una mera rettifica di dati catastali dell'immobile oggetto del precedente trasferimento, che non comparivano in modo corretto, ma viene modificata una parte essenziale del contratto, ovvero l'immobile oggetto del negozio precedente che, conseguentemente,
    acquisisce un valore economico differente.
    A parere della scrivente, dunque, lo stipulando atto pur non producendo effetti traslativi nell'individuare gli immobili oggetto del precedente atto di compravendita e dei relativi riferimenti catastali, ridefinisce l'oggetto del precedente atto di trasferimento e assume una portata innovatrice dell'assetto giuridico preesistente e modificativa rispetto all'atto rettificato, rilevante ai fini della tassazione indiretta.

    Ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, nella fattispecie in esame, in ossequio all'articolo 20 del citato TUR, secondo cui «L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione,
    anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi»
    , si ritiene applicabile l'imposta di registro nella misura proporzionale del 3 per cento, prevista per gli «Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», ai sensi dell'articolo 9 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR.
    Detta aliquota del 3 per cento è da applicare al ''valore del bene o del diritto'' oggetto dell'atto in esame che, trattandosi di beni immobili, si intende ''il valore venale in comune commercio'' (art. 51 del TUR)

    Allegati:
  • Dichiarazione redditi Società di Capitali

    Residenza fiscale società: la novità della direzione effettiva

    Pubblicata la Circolare n 20 del 4 novembre con chiarimenti sulle novità in vigore dal 2024 sulla residenza fiscale di società ed enti, come previsti dalla Riforma Fiscale.

    A seguito delle modifiche apportate all’articolo 73 del Tuir dal Dlgs 209/2023 di attuazione della legge delega di riforma del sistema fiscale, si sono previste diverse novità sul concetto di residenza fiscale per le società e enti e sinteticamente, secondo le nuove regole, sono considerati residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. 

    Vediamo cosa contiene la circolare Ade.

    Residenza fiscale società: la novità della direzione effettiva

    La Circolare n 20 evidenzia che l’articolo 73, comma 3, del TUIR, nella versione previgente alle modifiche attuate dal Decreto, considerava fiscalmente residenti in Italia le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta, mantenevano nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale.
    Si trattava di tre criteri alternativi, con la conseguenza che la ricorrenza di uno solo era sufficiente a radicare la residenza fiscale della società o dell’ente nel nostro Paese.
    L’evoluzione normativa dell’articolo 73, comma 3, del TUIR è rappresentata come segue.

    Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. 

    Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. 

    Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. 

    Gli organismi di investimento collettivo del risparmio si considerano residenti se istituiti in Italia.

    Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. 

    Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.

    Nella Relazione illustrativa si chiarisce che il criterio della sede di direzione effettiva, letto unitamente a quello della gestione ordinaria in via principale (su cui si rinvia al successivo paragrafo) “segna inoltre il superamento del riferimento
    alla sede dell’amministrazione, che ha determinato significative difficoltà interpretative e applicative”.
    L’articolo 2 del Decreto, infatti, nel modificare il comma 3 dell’articolo 73 del TUIR, stabilisce che: “Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”. 

    A tal riguardo, la Relazione illustrativa chiarisce che “ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi”. Pertanto, le decisioni assunte dai soci non rilevano per individuare la sede di direzione effettiva, fatta eccezione per quelle aventi contenuto gestorio.
    La riforma operata dal Decreto persegue l’obiettivo di individuare un criterio di collegamento sostanziale tra l’ente e il Paese di residenza. Il principio di prevalenza della sostanza sulla forma consente, da una parte, di non svuotare di significato il criterio di collegamento e, dall’altra, in una prospettiva di raccordo con le normative degli altri Stati, di prevenire eventuali conflitti di residenza, per effetto del disallineamento tra i criteri adottati dai singoli ordinamenti per fissare la residenza nel rispettivo territorio nazionale.

    Allegati:
  • Riforma fiscale

    Residenza fiscale persone fisiche: novità illustrate dall’Ade

    Con la Circolare n 20 del 4 novembre le entrate pubblicano le istruzioni operative sulla residenza fiscale:

    • delle persone fisiche,
    • delle società e degli enti.

    Si evidenzia che la Circolare è stata pubblicata anche in lingua inglese.

    Il corposo documento di 30 pagine è appunto suddiviso in due parti al fine di chiarire diversi aspetti delle novità intropdotte dal decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 che ho dato attuazione a taluni degli interventi previsti dalla legge 9 agosto 2023, n. 111  con cui è stata conferita al Governo la delega per la  revisione del sistema tributario nazionale.

    Tra i criteri direttivi previsti dalla citata Legge delega, rientra la revisione della normativa in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti disciplinata, rispettivamente, dagli articoli 2  e 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre  1986, n. 917.

    Nello specifico, l’articolo 3, comma 1, lett. c), della Legge delega ha demandato al Governo la riforma della “disciplina della residenza fiscale delle  persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la  migliore prassi internazionale e con le Convenzioni sottoscritte dall’Italia per  evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile  organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la  residenza in Italia anche valutando la possibilità di adeguarla all’esecuzione della  prestazione lavorativa in modalità agile”.

    Leggi anche: Residenza fiscale: cosa prevede il Dlgs Fiscalità Internazionale.

    Residenza fiscale persone fisiche: come cambia il concetto di domicilio

    L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n 20/2024 ha illustrato gli effetti delle modifiche introdotte dal Decreto fiscalità internazionale (Dlgs n. 209/2023) in materia di residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti in vigore dal 2024. 

    A differenza della disciplina previgente, il concetto di domicilio fiscale non è più mutuato dal codice civile, ma, in linea con la prassi internazionale, viene riconosciuta prevalenza alle relazioni personali e familiari piuttosto che a quelle economiche. 

    Ciò fatta salva l’eventuale applicazione di disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni. 

    A seguito delle modifiche normative, la semplice presenza sul territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta – 183 giorni in un anno o 184 giorni in caso di anno bisestile, incluse le frazioni di giorno – è sufficiente a configurare la residenza fiscale in Italia. 

    La circolare rende chiarimenti sul computo delle frazioni di giorno e illustra che per effetto dell’introduzione del nuovo criterio della presenza fisica, le persone che lavorano in smart working nello Stato italiano, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono considerate fiscalmente residenti in Italia, senza che sia necessaria la configurazione di alcuno degli altri criteri di collegamento previsti dalla normativa (residenza civilistica, domicilio, iscrizione anagrafica).

    Infine, per effetto delle modifiche introdotte, l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente acquisisce il valore di una presunzione relativa (e non più assoluta) di residenza fiscale in Italia: vale, quindi, salvo prova contraria che può essere fornita dal contribuente.

    Rimane fermo, infine, il criterio della residenza ai sensi del codice civile così come il principio dell’alternatività dei diversi criteri.

    Dalla Circolare mettiamo a confronto la residenza fiscale prima e dopo la riforma:

    Residenza fiscale PF prima della riforma Residenza fiscale PF dopo la riforma
    Ai fini delle imposte sui redditi si
    considerano residenti le persone che
    per la maggior parte del periodo
    d’imposta sono iscritte nelle anagrafi
    della popolazione residente o hanno
    nel territorio dello Stato il domicilio o
    la residenza ai sensi del codice civile.
    Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato
    ovvero sono ivi presenti.
    Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via
    principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.

    Esemplificando si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

    • hanno la residenza, ai sensi del codice civile, nel territorio dello Stato;
    • hanno il domicilio, nella definizione resa dal medesimo articolo 2, comma 2, del TUIR, nel territorio dello Stato;
    • sono presenti nel territorio dello Stato, tenuto conto anche delle frazioni di giorno;
    • sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente , condizione, quest’ultima, che a seguito delle modifiche apportate dal Decreto non riveste più carattere di “presunzione assoluta” bensì di “presunzione
      relativa” che ammette la prova contraria (sul punto, si veda il successivo paragrafo 2.1.4).

    Allegati: