• Accertamento e controlli

    Saldo di cassa negativo e accertamento induttivo

    La recente ordinanza della Corte di Cassazione numero 25750 del 26 settembre 2024 prende in esame l’incresciosa situazione in cui dalla contabilità del contribuente risulti un saldo di cassa negativo.

    Non è la prima volta che la Corte di Cassazione esamina una situazione del genere, tra le deliberazioni più recenti si ricorda anche la numero 7538 del 26 marzo 2020.

    Sul fatto va segnalato che la Corte di Cassazione pone l’accento sulla gravità della situazione; infatti, se il saldo di cassa in rosso risulti acclarato, secondo la Corte, già solo questo è situazione sufficiente per giustificare un accertamento induttivo.

    Infatti, la sussistenza di un saldo di cassa negativo implica che le voci di spesa sono superiori agli introiti registrati; questo, oltre a costituire una evidente anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati, in misura pari almeno al disavanzo.  

    Tale situazione, secondo la Corte di Cassazione è sufficiente a legittimare un accertamento induttivo del reddito di d’impresa, ex articolo 39 del DPR 600/1973 e articolo 54 del DPR 633/1972, rispettivamente per imposte sui redditi e IVA.

    Sulla questione l’ordinanza numero 25750/2024 richiama il principio di diritto già emanato nel 2020 dall’ordinanza numero 7538.

    L’inversione dell’onere della prova

    La medesima ordinanza 25750/2024 analizza anche il collegato problema dell’onere della prova.

    Secondo la Corte di Cassazione, infatti, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio a carico dell’ente è soddisfatto proprio dalla presenza dei documenti relativi ai suddetti conti.

    Invece, per quanto riguarda il contribuente, si determina un’inversione dell’onere della prova, che diviene a suo carico: sarà il contribuente a dover dimostrare che gli elementi risultanti dalla documentazione bancaria non sono riferibili  a operazioni imponibili

    Dovendo anche fornire, a riguardo, una prova non generica, ma analitica con riferimento a ogni specifico movimento bancario per il quale si vuole dimostrare la non imponibilità fiscale.

    Sul punto l’ordinanza numero 25750/2024 richiama quanto di recente già enunciato sempre dalla Corte di Cassazione con la deliberazione numero 2928 del 29 gennaio 2024.

  • Appalti

    Somma risarcitoria nel contratto di appalto: IVA o registro?

    Con Risposta a interpello n 223 del 18 novembre le Entrate chiariscono quando una somma risarcitoria, corrisposta nell'ambito di un contratto di appalto NON è imponbile IVA.

    Nel caso di specie una società si aggiudicava in via definitiva l'appalto avente ad oggetto l'esecuzione di lavori per ristrutturazione ed adeguamento a norma  di un ospedale.

    Le parti sottoscrivevano il contratto d'appalto soggetto alle previsioni del d.lgs. n. 163/2006 e del d. P.R. n. 207 del 2010.
    L'Istante riferisce che nel corso dell'esecuzione contrattuale sopravvenivano circostanze impreviste ed imprevedibili che inducevano la Direzione lavori ad adottare provvedimenti di sospensione dei lavori e consegne parziali.

    L'aggiudicataria contestava la legittimità di tali sospensioni mediante l'iscrizione di alcune riserve nel registro di contabilità, con cui quantificava il danno ai sensi dell'articolo 160 del d. P.R. n. 207 del 2010.
    Sorgeva una controversia tra la stessa Istante e la società che sfociava nel procedimento giudiziario pendente dinanzi al Tribunale ed avente ad oggetto la domanda di condanna al pagamentodi una somma.
    L'Istante si costituiva nel giudizio in questione contestando la complessiva debenza della somma.
    Nel corso del giudizio, le parti avviavano una verifica in contraddittorio dei danni patiti, a cui seguiva di comune accordo la quantificazione del pregiudizio subito dall'appaltatore in ragione delle sospensioni dei lavori.
    L'Istante, chiedeva di sapere se la somma che corrisponderà alla società, che ritiene vada corrisposta a titolo di risarcimento del danno, debba essere considerata non rilevante a fini Iva, ai sensi dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

    Somma risarcitoria nel contratto di appalto: imponibilità IVA

    Le Entrate evidenziano che dalla individuazione della natura giuridica delle somme da corrispondere si ricava il corretto trattamento fiscale applicabile ai fini Iva, alle predette somme.
    In particolare, occorre verificare se le somme da corrispondere rappresentano il corrispettivo per una prestazione ricevuta ovvero il risarcimento per inadempimento o irregolarità nell'adempimento di obblighi contrattuali.

    A tal proposito, con riferimento all'esame del presupposto oggettivo per l'applicazione dell'Iva, l'articolo 3, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che «Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte»

    L'articolo 15, comma 1, n. 1) dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che non concorrono a formare la base imponibile «le somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell'adempimento degli obblighi del cessionario o del committente».
    Sulla base di tale ultima norma, quindi, viene prevista l'esclusione dalla base imponibile delle somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell'adempimento degli obblighi del cessionario o del committente.
    Pertanto, le somme dovute a titolo risarcitorio, sulla base della predetta norma, sono escluse dal campo di applicazione dell'imposta.

    Con riferimento alla fattispecie rappresentata dall'Istante, nella bozza di scrittura privata allegata, si fa presente che «nel corso della esecuzione del contratto si verificavano circostanze che determinavano l'adozione di provvedimenti di sospensione dei lavori anche in ragione della necessità di predisporre una perizia di variante finalizzata alla integrazione del progetto per sopravvenute esigenze dell'(Istante), nonché dal fatto che l'(Istante) era tenuta ad erogare le prestazioni sanitarie senza soluzione di continuità. Ciò determinava l'insorgere di rivendicazioni economiche ad opera della società aggiudicataria, con conseguente iscrizione di riserve nei registri di contabilità 

    Nel corso dell'esecuzione sopravveniva anche la pandemia da covid19, causa di forza maggiore questa che dapprima imponeva la sospensione obbligatoria dei lavori e, di seguito, creava problemi in ordine al regolare prosieguo degli stessi, di fatto acuendo le problematiche già insorte. Nella situazione di stasi operativa venutasi a determinare,
    la società con nota del (…) comunicava all'(Istante) la volontà di recedere dal contratto a termini dell'art. 159 co. 4 D.P.R. 207/2010 e dall'art. 7 co. 4 del contratto di appalto, ferme le riserve medio tempore iscritte e quella da ultimo scritta con tale nota».
    Il citato articolo 159, comma 4 del dPR 5 ottobre 2010, n. 207 stabilisce che «qualora la sospensione, o le sospensioni se più di una, durino per un periodo di tempo superiore ad un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione dei lavori stessi, o comunque quando superino sei mesi complessivi, l'esecutore può richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità; se la stazione appaltante si oppone allo scioglimento, l'esecutore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti».

    Analogamente, l'articolo 7, comma 4 del contratto di appalto stipulato tra l'Istante e la società prevede che «qualora i periodi di sospensione superino un quarto della durata complessiva prevista per l'esecuzione di lavori, ovvero i sei mesi complessivi, l'appaltatore può richiedere lo scioglimento del contratto senza indennità; se la stazione appaltante si oppone allo scioglimento, l'appaltatore ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri derivanti dal prolungamento della sospensione oltre i termini suddetti. In ogni altro caso, per la sospensione dei lavori, qualunque sia la causa, non spetta all'appaltatore alcun compenso o indennizzo».
    Ciò premesso, come precisato nella bozza di scrittura privata, successivamente «l'appaltatrice notificava all'Istante atto di citazione avanti al Tribunale di (…), con cui domandava il risarcimento del danno, come da riserve iscritte durante l'esecuzione dei lavori in vigenza del contratto d'appalto e a seguito della comunicazione di scioglimento…».

    Pertanto, in ragione del procedimento giudiziario pendente, con la allegata bozza d'atto, le parti «intendono accertare la consistenza della concreta situazione giuridica venutasi a creare nel corso dell'esecuzione del contratto, a causa della sospensione dei lavori e del loro anomalo andamento, precisandone definitivamente il contenuto, l'essenza e gli effetti».

    Inoltre, con l'accordo si prevede che:

    • «L'Istante corrisponde alla società l'importo di complessivi € (…), a titolo di risarcimento danni, quantificato secondo i criteri di cui all'art. 160 D.P.R. 207/2010, in relazione a tutte le domande proposte con l'atto di citazione notificato all'Istante in data (…) e per cui è pendente un giudizio dinanzi al Tribunale di (…), e conseguentemente riconosce come non fondata la domanda riconvenzionale proposta nel medesimo giudizio».
    • e che: «La società quindi, dichiara di accettare tale importo e di ritenerlo pienamente satisfattivo di tutto quanto domandato con l'atto di citazione e che '' L'(Istante) corrisponderà in un'unica soluzione l'importo di € (…) alla società mediante bonifico bancario sull'IBAN della Società entro (…) giorni dalla sottoscrizione della presente scrittura privata».

    Tutto ciò premesso, l'agenzia nell'interpello ritiene che la somma che dovrà essere corrisposta dall'Istante all'appaltatore, non costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi o di una cessione di beni, ma assolve una funzione esclusivamente risarcitoria, ed è pertanto esclusa dal campo di applicazione dell'Iva.

    Infine, considerato che nel caso di specie dall'accordo tra le parti deriva un obbligo di pagamento a carico dell'Istante, tale atto è soggetto a registrazione in termine fisso con applicazione dell'imposta proporzionale del 3 per cento, prevista, ai sensi dell'articolo 9 della Tariffa, parte prima allegata al TUR, per gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale»

    Allegati:
  • Attualità

    Verifica codici fiscali: il via dal 15 novembre il servizio massivo ADE

    Con un avviso del 7 novembre 2024, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto che dal 15 novembre al 15 dicembre 2024 è disponibile il servizio di verifica dei codici fiscali – Servizio Anagrafico Massivo SM1.02, vediamo chi riguarda e come accedervi.

    Verifica codici fiscali: il via dal 15 novembre

    Il servizio è rivolto a:

    • imprese bancarie e assicurative,
    • altri operatori finanziari, 
    • gestori di utenze, gestori di fondi integrativi del servizio sanitario nazionale.

    L'Agenzia delle Entrate, ia norma del D.L. n. 78/2010, rende periodicamente disponibile il Servizio Anagrafico Massivo-SM1.02, che consente, per un dato elenco di soggetti, la verifica dell’esistenza del codice fiscale e della corrispondenza con i dati anagrafici presenti in Anagrafe Tributaria, nonché l’acquisizione delle corrette informazioni ove mancanti. 

    Attenzione al fatto che possono accedere al servizio solo i soggetti che abbiano inviato all’Agenzia delle Entrate le comunicazioni obbligatorie per l’anno precedente la richiesta di verifica.

    Il servizio è erogato via PEC (Posta Elettronica Certificata) mediante il SID dove si accreditano gli enti. 

    In particolare, il SID permette, per gli enti caratterizzati da particolare complessità organizzativa e numerosità dei clienti, anche il colloquio automatizzato tra sistemi mediante scambio di file in modalità FTP su rete privata virtuale (VPN).

    Il Servizio Anagrafico Massivo permette di individuare il soggetto per codice fiscale o per dati anagrafici.

    Con le interrogazioni, le informazioni anagrafiche e il codice fiscale restituiti dal servizio corrispondono alla situazione più aggiornata registrata in Anagrafe Tributaria per il soggetto in questione.

    Il servizio consente, per ogni richiesta inviata, l’interrogazione di un numero massimo di 100.000 posizioni.

    L’Ente può trasmettere più file di richiesta ed il numero massimo di interrogazioni/verifiche è determinato in proporzione a quello delle comunicazioni inviate all’Agenzia delle Entrate per l’anno precedente la richiesta. 

    I soggetti che effettuano la verifica per la prima volta, possono verificare un numero di codici fiscali pari al totale delle comunicazioni inviate per l’anno precedente. 

    Quelle che invece hanno già fruito del Servizio Anagrafico Massivo, possono verificare un numero di codici fiscali pari al 20% del numero di comunicazioni inviate all’Agenzia per l’anno precedente.

  • Corsi Accreditati per Commercialisti

    Semplificazioni bilanci PMI: consultazione OIC prolungata fino al 20.12

    L'OIC nell'ambito del progetto di semplificazione delle norme di bilancio per i soggetti minori quali le PMI invita ad inviare i propri input entro il 20 dicembre (termine prorogato, dall'iniziale 20.11, con comunicato dell'OIC) 

    I soggetti interessati alla call possono essere, come dettagliato dallo stesso OIC:

    • prepares o imprese
    • professione contabile
    • auditors
    • useres o finanziatori

    Semplificazioni PMI: l’OIC avvia la richiesta di questionari entro il 20 novembre

    Il comunicato stampa datato 21 ottobre dell'organismo italiano di contabilità specifica che, nell’ambito del progetto volto a semplificare le norme di bilancio per i soggetti di minori dimensioni (piccole e micro imprese) l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) ha posto in consultazione quattro questionari destinati ai suoi principali stakeholder. 

    Il progetto trae origine da istanze provenienti da alcuni stakeholder dell’OIC e di particolare attualità se si considera che l’art. 9 della legge 9 agosto 2023, n. 111, nel recare la delega fiscale, ha previsto che tra i principi e i criteri direttivi specifici che devono ispirare il Governo nell’esercizio della delega vi sia anche quello di “semplificare e razionalizzare la disciplina del codice civile in materia di bilancio, con particolare riguardo alle imprese di minori dimensioni”. 

    I suggerimenti che perverranno nel corso della consultazione – che si concluderà il prossimo 20 novembre – potranno essere utili all’OIC sia per valutare eventuali iniziative da intraprendere in tema di principi contabili ma anche nei confronti del legislatore considerato che l’OIC, ai sensi dell’art. 9-bis del d.lgs. 38/2005, “fornisce supporto all'attività del Parlamento e degli Organi Governativi in materia di normativa contabile”. 

    All’iniziativa dell’Organismo Italiano di Contabilità sono interessate potenzialmente circa un milione di imprese, secondo i parametri stabiliti dalla nuova direttiva contabile europea.

    La raccolta di input avverrà attraverso 4 differenti questionari, ciascuno focalizzato sulle caratteristiche specifiche dello stakeholder cui è rivolto:

    un questionario per i preparers (le imprese), 

    uno per la professione contabile, 

    uno per gli auditor 

    e uno per gli user (i finanziatori).

    Ciascuno di essi si articola su varie tipologie di domande: 

    • conoscitive, 
    • di carattere generale, 
    • sulle semplificazioni esistenti e
    •  sulle principali problematiche riscontrate nella predisposizione del bilancio.

    All’esito della consultazione, l’OIC valuterà la pubblicazione di un feedback statement in cui i dati pervenuti saranno considerati su base aggregata e anonima. 

  • Fatturazione elettronica

    Imposta di bollo e-fatture: pagamento del III trimestre entro il 2.12

    Con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica, prima verso le Pubbliche amministrazioni e poi verso i privati, l’articolo 6 del Dm 17 giugno 2014 ha disciplinato l’assolvimento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche, prevedendo l’obbligo di riportare una specifica annotazione su quelle soggette a tale imposta e disponendo modalità e termini di versamento.

    L’annotazione di assolvimento dell’imposta di bollo sulla fattura elettronica avviene valorizzando a “SI” il campo “Bollo virtuale” contenuto all’interno del tracciato record della fattura elettronica. 

    Periodicamente, l’importo complessivo dell’imposta di bollo relativa alle fatture elettroniche deve essere versato dal contribuente mediante presentazione di modello F24.

    La prossima scadenza è il 30 novembre prossimo, vediamo un riepilogo dei termini e modalità di pagamento.

    Imposta di bollo fatture elettroniche: entro il 2.12 il 3° TRIM

    Si avvicina la scadenza per il versamento dell’imposta di bollo delle fatture elettroniche relative al terzo trimestre 2024.

    Per i soggetti obbligati, il 2 dicembre 2024 (il termine ordinario del 30 novembre cade di sabato) scade il termine per il pagamento dell’imposta di bollo sulle fatture emesse nel terzo trimestre dell'anno 2024.

    Le scadenze sono riepilogate dalla tabella che segue tratta dalla Guida Ade 2024

    Ricordiamo che, il Decreto Semplificazioni n. 73/2022 convertito nella legge n. 122/2022, ha introdotto semplificazioni per le modalità di versamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche, incrementando da 250,00 euro a 5.000,00 euro, il limite di importo entro il quale è possibile effettuare il versamento cumulativamente anziché in modo frazionato.

    In particolare a partire dalle fatture quelle emesse dal 1° gennaio 2023

    • se l’ammontare dell’imposta di bollo dovuta sulle fatture del 1° trimestre non supera in totale 5.000 euro, la stessa potrà essere versata insieme all’imposta dovuta per il 2° trimestre, entro il 30 settembre, 
    • se l’ammontare dell’imposta complessivamente dovuta sulle fatture emesse nei primi due trimestri non supera l’importo di 5.000 euro, il pagamento potrà avvenire insieme con l’imposta dovuta per il terzo trimestre, entro il 30 novembre.

    Leggi anche Imposta di bollo fatture elettroniche 3° trimestre 2024: pagamento entro il 2 dicembre per altri dettagli.

  • Riforma fiscale

    Terreni donati: cambiano le plusvalenze da cessione

    Il DLgs. di Riforma di Irpef e Ires prevede che per le cessioni di terreni donati rileverà il costo del donante.

    La disposizione del comma 1 dell'art 7 rubricato Plusvalenze delle aree edificabili ricevute in donazione si applica alle cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria effettuate a partire dalla data di entrata in vigore del decreto.

    In attuazione dell’art. 5 comma 1 lett. h) n. 1 della L. 111/2023, l’art. 7 dello schema del Dlgs. di riforma di Irpef e Ires prevede la revisione del criterio di determinazione delle plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.

    Ossia, qualora tali terreni siano acquistati per effetto di donazione, come prezzo di acquisto, si assumerà quello sostenuto dal donante.

    Terreni donati: cambiano le regole per le plusvalenze da cessione

    Attualmente norma di riferimento, ossia l'art. 68 comma 2 ultimo periodo del TUIR, prevede che Per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili e di successione.

    Con l'art 7 su indicato si va appunto a modificare tale previsione e all’articolo 68 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni: 

    • a) al comma 1, secondo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, aumentato dell’imposta sulle donazioni nonché di ogni altro costo successivo inerente»; 
    • b) al comma 2, il quarto periodo è sostituito dai seguenti: «Per i terreni acquistati per effetto di successione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nella relativa dichiarazione, od in seguito definito e liquidato, aumentato dell’imposta di successione nonché di ogni altro costo successivo inerente. Per i terreni acquistati per effetto di donazione si assume come prezzo di acquisto quello sostenuto dal donante aumentato dell’imposta sulle donazioni nonché di ogni altro costo successivo inerente.».

    La relazione illustrativa al Dlgs in oggetto, di prossima introduzione, ha evidenziato che la norma intende risolvere la questione che concerne gli effetti della donazione dei terreni edificabili a familiari seguita, entro un ristretto arco temporale, dalla loro cessione a terzi a opera dei donatari. 

    Si introdurrà un principio analogo a quello cui si ispira la legislazione vigente con riguardo alle cessioni degli immobili acquisiti per donazione da non più di cinque anni, per i quali è stabilito che si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.

    Si impedisce il perpetrarsi di operazioni finalizzate esclusivamente a evitare o ridurre la tassazione della plusvalenza rispetto a quella che sarebbe derivata dalla cessione dell’area edificabile qualora la stessa fosse stata effettuata direttamente dal donante.

  • La casa

    Comunione legale tra coniugi: le dichiarazioni per il bonus prima casa

    Con Ordinanza n 26703 del 14 ottobre 2024 la Cassazione ha affermato un principio importante per i coniugi in comunione legale e l'acquisto di abitazione con agevolazione prima casa.

    In particolare, i coniugi che intendono acquistare un’abitazione con le agevolazioni “prima casa”, esseno in regime di comunione legale, devono intervenire entrambi in atto, al fine di rendere le dichiarazioni previste dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa allegata al Testo unico sull’imposta di registro, Dpr n. 131/1986. 

    In base alla nota suddetta, è bene ricordare che, il beneficio fiscale in esame è subordinato al rilascio di determinate dichiarazioni che riguardano:

    • la non titolarità, esclusiva o in comunione con il coniuge, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione su altre case situate nello stesso Comune in cui si trova l’immobile da acquistare (lettera “b” della citata nota);
    • la non titolarità, neppure per quote, sull’intero territorio nazionale dei diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione, nuda proprietà, su altre case di abitazione acquistate con le agevolazioni “prima casa” (lettera “c” della citata nota).

    Pertanto l'agevolazione è subordinata al rilascio di tali dichiarazioni, vediamo ora il caso di specie.

    Comunione legale tra coniugi: le dichiarazioni per il bonus prima casa

    Un contribuente impugnava l'avviso di liquidazione notificatogli dalle Entrate poichè si disconosceva le agevolazioni fiscali IVA richieste dal medesimo quale solo acquirente in atto pubblico di un immobile nella misura del 50%, immobile rientrante nel regime di comunione legale dei beni tra coniugi:

    • l'Ufficio rilevava il mancato intervento in atto del coniuge del contribuente e quindi l'omissione delle dichiarazioni previste ai fini della concessione delle agevolazioni in argomento; 
    • richiedeva pertanto l'applicazione dell'IVA secondo l'aliquota ordinaria oltre a interessi e sanzioni di legge;
    • il giudice di primo grado accoglieva il ricorso;
    • appellava l'Agenzia delle entrate;         
    • con la pronuncia gravata la CTR confermava a sentenza di primo grado.

    L'Amministrazione finanziaria con atto affidato a un solo motivo di censura ricorreva in Cassazione.

    La censura si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, c.d. TUR.

    L'agenzia ritiene che la sentenza di merito abbia erroneamente ritenute applicabili le agevolazioni richieste dal contribuente per l'acquisto di un immobile in regime di comunione legale tra coniugi, anche senza l'intervento in atto di acquisto e quindi senza che siano state formulate le dichiarazioni di cui alla nota 2 bis dell'art. 1 della tariffa in argomento del coniuge dell'acquirente.

    Secondo la Corte il motivo è fondato infatti questa ha già avuto modo di rilevare che "a norma dell'art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis lett. b) e c), per il godimento delle agevolazioni fiscali c.d. "prima casa" occorre che l'acquirente dichiari in seno all'atto di acquisto di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare, e di non averne in precedenza, fruito, neppure pro quota, in riferimento all'intero territorio nazionale; la circostanza che l'acquisto si attui per effetto del regime della comunione legale non costituisce, in assenza di specifiche disposizioni in tal senso, eccezione alla regola anzidetta" e che "nel caso d'acquisto di un fabbricato con richiesta delle agevolazioni prima casa, da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, le dichiarazioni prescritte dalla legge debbano riguardare non solo il coniuge intervenuto nell'atto ma, anche, quello non intervenuto e debbano essere necessariamente rese da quest'ultimo";

    Pertanto, nel pronunciare in aperto contrasto con i principi sopra enunciati, il giudice del merito ha evidentemente commesso errore di diritto.

    In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo n diversa composizione, che deciderà in applicazione delle ragioni di diritto sopra enunciato.

    Il caso di specie ha riguardato un atto di assegnazione di alloggio da parte di una cooperativa edilizia in favore di due coniugi in comunione legale dei beni. 

    La comunione disciplinata dagli articoli 159 e seguenti del codice civile, si caratterizza dal fatto che ricadono in comunione legale, salvo alcune eccezioni, “…gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente…” (articolo 177 cc). 

    Pertanto, l’acquisto compiuto da un solo coniuge in regime di comunione legale, anche avente ad oggetto beni immobili, è idoneo a far acquistare la proprietà del bene ad entrambi i coniugi.

    L’atto di assegnazione dell’immobile da parte della cooperativa era stato sottoscritto, quale parte acquirente, solo da uno dei coniugi, il quale aveva chiesto l’applicazione dell’agevolazione “prima casa” in relazione all’intero acquisto e, quindi, anche per la quota di spettanza del coniuge non intervenuto in atto. 

    La Corte ha affermato che "nel caso d’acquisto di un fabbricato con richiesta delle agevolazioni prima casa, da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni le dichiarazioni prescritte dalla legge debbano riguardare non solo il coniuge intervenuto nell’atto ma, anche, quello non intervenuto e debbano essere necessariamente rese da quest’ultimo.”.