• Locazione immobili 2024

    Imposta di registro su canoni di locazione retroattivi dopo rinuncia alla disdetta

    A seguito di una rinuncia alla disdetta di un contratto di locazione con effetto retroattivo, le somme già versate come indennità di occupazione (e tassate come tali) si trasformano in canoni di locazione.

    Di conseguenza, il contribuente non perde quanto pagato in più (la diversa aliquota prevista per le due fattispecie comporta il versamento di un’imposta superiore al dovuto), ma ha diritto a chiedere il rimborso o a compensare l’imposta eccedente con l'imposta dovuta per le annualità successive dello stesso contratto, purché rispetti il termine di tre anni e presenti la documentazione adeguata.

    Questo il chiarimento fornito dall'Agenzia delle Entrate con l'Interpello n. 207 dell’8 agosto 2025 riguarda un caso che ha coinvolto un locatore e l’Agenzia del Demanio.
    La società istante aveva locato immobili a Torino, Genova e Imperia a diverse amministrazioni pubbliche, con contratti registrati a partire dal 2013. Tra dicembre 2021 e dicembre 2022, sia il locatore che il conduttore avevano formalizzato la disdetta dei contratti. Alla scadenza, però, gli immobili non erano stati liberati e l’occupazione era proseguita senza titolo.

    Per il 2023 erano quindi state corrisposte indennità di occupazione, considerate di natura risarcitoria e tassate con imposta di registro al 3%, ai sensi dell’art. 9 della Tariffa, Parte I, del DPR 131/1986.

    La novità normativa e la retroattività

    La situazione è cambiata con la Legge di Bilancio 2024 (art. 1, comma 69, L. 213/2023), che ha introdotto la possibilità per chi aveva disdetto il contratto di rinunciare agli effetti della disdetta stessa. Se accettata, la rinuncia retroagisce alla data della disdetta, assicurando la prosecuzione del rapporto locatizio agli stessi termini previsti per il rinnovo automatico.

    Nel caso in esame, tra aprile e maggio 2024 le parti hanno formalizzato la rinuncia alla disdetta per tutti gli immobili. Questo ha comportato la trasformazione delle indennità di occupazione in veri e propri canoni di locazione, soggetti all’imposta di registro dell’1% prevista per i fabbricati strumentali locati da soggetti IVA.

    Il problema fiscale: imposta versata in eccesso

    L’istante si è quindi trovato ad aver pagato un’imposta più alta di quella dovuta.

    Per le annualità 2022-2023 e 2023-2024 aveva già versato complessivamente circa 88.778 euro (calcolati al 3%), mentre l’imposta effettiva, all’1%, ammontava a circa 75.071 euro.

    La domanda posta all’Agenzia delle Entrate era se fosse possibile:

    • autoliquidare l’imposta all’aliquota corretta dell’1%;
    • compensare verticalmente l’imposta versata in eccesso con quella dovuta per le annualità successive;
    • oppure chiedere il rimborso dell’eccedenza.

    La risposta dell’Agenzia delle Entrate

    L’Agenzia ha confermato che, essendo retroattivo l’effetto della rinuncia, i canoni devono essere tassati all’1% e che quindi l’imposta versata in più può essere recuperata.

    In particolare:

    • rimborso: può essere richiesto ai sensi dell’art. 77, comma 1, TUR, entro tre anni dal momento in cui è sorto il diritto alla restituzione, che coincide con l’accettazione della rinuncia alla disdetta.
    • compensazione: in alternativa, l’eccedenza può essere imputata all’imposta dovuta per le annualità successive degli stessi contratti, sempre entro il termine triennale.

    L’Agenzia sottolinea che spetta all’Ufficio competente valutare la spettanza del rimborso o della compensazione e procedere di conseguenza.

    Allegati:
  • Reverse Charge

    Reverse charge nel settore logistica: nuovo modello di comunicazione opzione

    Con il provvedimento n. 309107 del 28 luglio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello di comunicazione dell’opzione per l’applicazione del regime transitorio in materia di reverse charge IVA nelle prestazioni di servizi rese a imprese che operano nel settore del trasporto, della movimentazione merci e della logistica.

    Il modello, corredato dalle relative istruzioni, recepisce le disposizioni introdotte dall’art. 1, commi 59 e 60, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, come modificati dal decreto-legge 17 giugno 2025, n. 84, ed è utilizzabile già dal 30 luglio 2025.

    Scarica il Modello con le relative istruzioni di compilazione.


    Ambito di applicazione e finalità

    Il nuovo modello riguarda le prestazioni di servizi effettuate tramite contratti di:

    • appalto e subappalto;
    • affidamento a soggetti consorziati;
    • rapporti negoziali equivalenti.

    Il regime transitorio prevede che il pagamento dell’IVA sia effettuato dal committente in nome e per conto del prestatore, con responsabilità solidale di quest’ultimo. L’opzione:

    • può essere esercitata anche nei rapporti tra subappaltatori, indipendentemente dalla scelta effettuata nel rapporto tra committente e primo appaltatore;
    • ha durata triennale a decorrere dalla data di trasmissione della comunicazione;
    • può riguardare uno o più contratti tra le stesse parti, indicati in moduli separati all’interno della stessa comunicazione.

    Modalità di presentazione

    La trasmissione del modello avviene esclusivamente in via telematica:

    • direttamente dal committente;
    • oppure tramite un intermediario abilitato ai sensi dell’art. 3, commi 2-bis e 3, del DPR 322/1998.

    Per la compilazione e l’invio è necessario utilizzare il software gratuito “ReverseChargeLogistica”, disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

    L’intermediario deve rilasciare al committente:

    • copia della comunicazione trasmessa;
    • ricevuta telematica attestante l’avvenuto invio, che costituisce prova di presentazione.

    Contenuto del modello

    Il modello si compone di sezioni dedicate a:

    1. Dati del committente e dell’eventuale rappresentante firmatario;
    2. Dati del prestatore;
    3. Dati del contratto, comprese:
      • qualificazione del prestatore (esecutore diretto, consorzio, subappaltante, ecc.);
      • date di stipula, inizio e fine contratto;
      • valore annuale o descrizione dell’oggetto;
    4. Subappaltatori o imprese consorziate coinvolti;
    5. Luoghi di esecuzione del contratto.

    È prevista inoltre la possibilità di presentare una comunicazione correttiva, ma senza modificare opzioni già esercitate: si possono soltanto rettificare dati errati relativi a tali opzioni.

    Consultazione e versamento dell’imposta

    Il prestatore e il committente possono consultare i dati della comunicazione accedendo al Cassetto fiscale nella propria area riservata, anche tramite intermediario delegato. Il versamento dell’IVA, effettuato dal committente, dovrà avvenire:

    • senza compensazione;
    • entro il termine del mese successivo alla data di emissione della fattura;
    • con modello F24 utilizzando il codice tributo “6045”, secondo le istruzioni  fornite con risoluzione del 28.07.2025 n. 47.

    Allegati:
  • Oneri deducibili e Detraibili

    Accertamento analitico-induttivo: costi deducibili in via presuntiva

    La Corte di Cassazione, con ordinanza depositata a luglio, interviene su un caso di accertamento fiscale ai danni di una società e dei suoi soci, ribadendo un principio importante: anche nell’accertamento analitico-induttivo il contribuente può dedurre i costi in via presuntiva

    Si tratta di una pronuncia destinata ad avere rilevanza pratica, soprattutto alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023.

    Accertamento analitico-induttivo: costi deducibili in via presuntiva

    Il caso riguarda una società sas e i suoi soci, destinatari di un avviso di accertamento per l’anno 2014, con riprese fiscali ai fini IRAP, IRPEF e IVA. L’Amministrazione finanziaria aveva riscontrato ricavi non contabilizzati e costi indeducibili, rinvenendo documentazione extracontabile nel corso di una verifica condotta dalla Guardia di Finanza.

    L’accertamento, oltre che sulla società, fu esteso ai soci secondo la disciplina della trasparenza (art. 5 del TUIR), e fu impugnato avanti alle Commissioni tributarie provinciale  con esito sfavorevole ai contribuenti.

    In secondo grado, la Corte di Giustizia Tributaria Regionale confermava la validità dell’atto impositivo, valorizzando la “contabilità parallela” rinvenuta presso la sede della società e ritenendo inidonei gli elementi difensivi prodotti dai ricorrenti.


    I contribuenti ricorrevano in Cassazione affidando la propria difesa a cinque motivi di impugnazione, tutti volti a contestare:

    • la carenza di motivazione della sentenza d’appello;
    • l’uso improprio di presunzioni semplici;
    • l’omessa considerazione di documentazione giustificativa dei costi sostenuti;
    • il mancato riconoscimento dei costi relativi ai ricavi presunti.

    I primi quattro motivi sono stati rigettati dalla Corte, che ha confermato la piena motivazione della sentenza d’appello, e la legittimità dell’uso di elementi extracontabili a fini probatori.

    La Cassazione però con il quinto motivo, in cui i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento di costi correlati ai maggiori ricavi accertati ad opera della Corte di Giustizia Tributaria regionale.

    La Cassazione, al contrario, ha accolto il motivo, affermando un principio aggiornato sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023.

    Secondo la Suprema Corte, anche in presenza di accertamento analitico-induttivo – cioè basato su anomalie parziali nella contabilità ma non completamente privo di riferimenti – il contribuente può opporre la prova contraria in forma presuntiva, sostenendo l’esistenza di costi proporzionati ai ricavi presunti.

    In particolare, la Cassazione ha evidenziato come, dopo la sentenza n. 10/2023 della Consulta, sarebbe irragionevole non riconoscere al contribuente tale possibilità, creando una disparità rispetto a chi è sottoposto ad accertamento induttivo puro, dove invece la deduzione forfetaria dei costi è già ammessa.


    Nell’ordinanza, la Corte afferma espressamente che “In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2023, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfetaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall'ammontare dei maggiori ricavi presunti.

  • PRIMO PIANO

    Società cancellata dal Registro Imprese: al liquidatore poteri per 5 anni

    La Cassazione n 10429/2025 ha trattato il caso di una società cancellata dal registro imprese, fornendo chiarimenti sui poteri del liquidatore anche dopo la cancellazione.

    In sintesi, il principio affermato dalla Suprema Corte specifica che il liquidatore, nonostante l’ente non sia più giuridicamente esistente, conserva tutti i poteri di rappresentanza sul piano sostanziale e processuale per i successivi cinque anni.

    Vediamo il caso di specie.

    Cancellazione società: la normativa vigente

    L'Amministrazione finanziaria recuperava spese di sponsorizzazione nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese con atto impositivo notificato al liquidatore e agli ex soci, in virtù della disposizione derogatoria di cui all’articolo 28, comma 4, Dlgs n. 175/2014, a norma della quale, ai soli fini degli atti di accertamento dei tributi, del contenzioso e della riscossione, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del Codice civile ha effetto trascorsi “cinque anni” dalla richiesta di cancellazione medesima.

    I giudici tributari annullavano l’atto di accertamento in quanto ritenuto notificato a società “estinta” in persona del liquidatore, ritenuto soggetto privo di legittimazione passiva. 

    Secondo i giudici di secondo grado, in particolare, nei confronti del liquidatore sarebbe invocabile soltanto la responsabilità ai sensi dell’articolo 36 del Dpr n. 602/1973, dovendo l’atto impositivo emesso nei confronti della società essere rivolto ai soci, che succedono nei rapporti debitori facenti capo alla società ma non estinti.

    L’Agenzia delle entrate proponeva quindi ricorso in Cassazione, valorizzando il dettato della norma speciale e sostenendo una “perpetuatio” dei poteri del liquidatore.

    La Suprema Corte ha accolto le ragioni del Fisco innanzitutto ribadendo la natura sostanziale della disposizione speciale di sopravvivenza della società e quindi la portata “non retroattiva” della norma.   Il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione dal registro delle imprese sia stata presentata a partire dal 13 dicembre 2014. 

    Cancellazione società: la decisione della Cassazione

    Appurata la vigenza della disposizione, la Suprema corte ha precisato che la norma “non si limita a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare la notificazione dell’atto impositivo, ma il liquidatore deve necessariamente conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale”. 

    Per la Cassazione “egli deve poter non soltanto ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, ma anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, come è confermato dalla circostanza che l’estinzione è posticipata anche ai fini della efficacia e validità degli atti del contenzioso”. 

    Viene invece precisato che “sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall’art. 2495, comma 2, cod. civ., sono posticipati anche ai fini dell'efficacia e validità degli atti del contenzioso”.

    La Corte aveva già evidenziato che il soggetto intestatario e destinatario della notifica dell’atto impositivo ove questa si collochi entro il segmento temporale del quinquennio, è e rimane la società e per essa l’ex liquidatore.

    Pertanto secondo la Corte il liquidatore è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, per i cinque anni successivi alla cancellazione. 

    Decorso detto termine, può dirsi riespanso il fenomeno successorio in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

  • Contabilità e Bilancio PMI

    Affitto di ramo d’azienda e ammortamenti: quando spettano al concedente per la Cassazione

    La Cassazione con l’ordinanza n 19653/2025 si  è pronunciata in merito al trattamento fiscale, nell’ambito del reddito d’impresa, delle quote di ammortamento dei beni dell’azienda concessa in affitto.

    In sintesi viene fornito un importante chiarimento per distinguere la casistica da quella delle spese di manutenzione, vediamo i dettagli del caso di specie e della pronuncia della suprema corte.

    Ammortamento beni d’azienda concessi in affitto

    Una società a responsabilità limitata svolge attività di acquisizione e messa a disposizione di beni immobili strumentali, in particolare centri commerciali e cinematografi, attraverso contratti di affitto di ramo d’azienda

    Tali beni, dislocati in diverse Regioni italiane, vengono ceduti in gestione operativa agli affittuari, con clausole contrattuali specifiche.

    L’Agenzia delle Entrate ha contestato la deduzione delle quote di ammortamento dei beni strumentali operata dalla società concedente, sostenendo che, in base all’art. 102, comma 8 del TUIR, il diritto spettasse agli affittuari. 

    Secondo l’Amministrazione, i contratti prevedevano il riaccredito delle spese di manutenzione ordinaria agli affittuari, rendendoli di fatto responsabili della conservazione dell’efficienza del ramo d’azienda.

    La norma fiscale in questione stabilisce che le quote di ammortamento dei beni compresi nell’azienda affittata sono deducibili da chi è tenuto a mantenerne l’efficienza

    Tale obbligo ricade di consueto sull’affittuario, come previsto anche dall’art. 2561 del Codice civile, che attribuisce all’affittuario la gestione e la conservazione del compendio aziendale.

    Nel caso analizzato, i contratti di affitto derogavano espressamente agli articoli del codice civile, stabilendo che fosse la società concedente a doversi occupare della conservazione dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti.

    Tuttavia, altre clausole prevedevano il riaddebito agli affittuari di alcune spese di manutenzione ordinaria, generando incertezza sull’attribuzione del diritto alla deduzione.

    La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione favorevole alla società, già espressa in primo grado, ritenendo che la deducibilità delle quote di ammortamento fosse legittimamente esercitata dal concedente. I giudici hanno riconosciuto la validità della deroga contrattuale all’art. 2561 c.c., attribuendo l’obbligo di conservazione al concedente.

    La Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza dell’obbligo contrattuale di mantenimento in efficienza del compendio aziendale in capo all’affittuario, la deducibilità degli ammortamenti resta in capo al concedente

    La decisione della CTR è stata ritenuta corretta anche nella distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e spese per la conservazione dell’efficienza dell’intera organizzazione.

    Il diritto alla deduzione delle quote di ammortamento si fonda sul rischio di deperimento economico del bene, che normalmente grava sull’affittuario. Tuttavia, nel caso in cui tale rischio sia contrattualmente attribuito al concedente, non si verifica la traslazione del diritto alla deduzione, che rimane in capo al soggetto che sopporta l’onere.

    La Cassazione ha sottolineato che è necessario distinguere tra:

    • spese per il mantenimento dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti, poste a carico del concedente in virtù della deroga contrattuale;
    • spese di manutenzione ordinaria e servizi generali (pulizia, vigilanza, antincendio, gestione neve, ecc.), poste a carico degli affittuari, che non implicano trasferimento dell’obbligo di conservazione.

    La presenza di clausole di riaddebito non è, di per sé, sufficiente per attribuire agli affittuari il diritto alla deduzione degli ammortamenti.

    La Corte di Cassazione ha conseguentemente rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

  • Reverse Charge

    Reverse charge della logistica anche per le Agenzie per il Lavoro

    Torniamo a occuparci del Decreto Fiscale, il Decreto Legge 84 del 17 giugno 2025 contenente “Disposizioni urgenti in materia fiscale”.

    Il DL è stato convertito il giorno 1 agosto 2025 dalla Legge 108, per cui adesso ha assunto forma definitiva.

    Tra gli interventi che hanno trovato trattazione nel DL e qualche modifica in sede di conversione c’è l’articolo 9 che tratta di reverse charge.

    Cosa prevede il DL 84/2025 convertito

    L’articolo 9 prevede la soppressione delle condizioni soggettive relative alla prevalenza di manodopera per l’applicazione del reverse charge in diversi settori della logistica.

    In conseguenza di ciò avviene un ampliamento della platea delle operazioni soggette a reverse charge nei settori: 

    • del trasporto, 
    • della movimentazione merci e 
    • della logistica,

    in quanto non è più necessario che l’attività avvenga, con prevalenza di manodopera, presso la sede del committente e utilizzando beni strumentali riconducibili a quest’ultimo.

    Essendo una deroga al regime ordinario di applicazione dell’IVA, la modifica normativa diverrà operativa solo dopo l’autorizzazione dell’Unione Europea.

    Anche le ApL soggette a reverse charge

    In conseguenza dell’eliminazione del “prevalente utilizzo di manodopera e beni del committente”, la disciplina del reverse charge nel settore della logistica è stato esteso anche agli appalti di trasporto più semplici.

    Il comma 1 dell’articolo 9 prevede espressamente che anche “le parole: «ne' alle agenzie per il lavoro di cui all'articolo 4 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276» sono soppresse” dal comma 6, lettera a-quinquies), dell'articolo 17 del DPR 633/1972.
    In conseguenza di ciò la legge di conversione ha rimosso l’esclusione delle ApL dalla nuova disciplina: le Agenzie per il Lavoro rientrano quindi a tutti gli effetti nel perimetro del reverse charge e nel regime temporaneo opzionale, a condizione che il destinatario del servizio non applichi lo split payment.

    Dato che l’applicazione del nuovo regime di reverse charge richiede l’autorizzazione dell’Unione Europea, fino a quando questa non verrà concessa, il regime assume forma solo opzionale.

    L’opzione può essere esercitata attraverso la trasmissione telematica del modello approvato il 28 luglio 2025 dall’Agenzia delle Entrate con Provvedimento numero 309107/2025,  a partire dal giorno 30 luglio scorso.

  • Ravvedimento

    CPB, nuovo Ravvedimento speciale 2025: i dettagli

    Era nell’aria da diverso tempo, e prima di essere confermato ha subito delle riformulazioni, ma in Commissione Finanze è stato approvato un emendamento al cosiddetto Decreto Fiscale, il DL 84/2025, con il quale si ripropone, anche per quest’anno, il Ravvedimento speciale per i contribuenti che aderiranno al Concordato Preventivo Biennale.

    L’ultima riformulazione del correttivo è stata effettuata per recepire alcune modifiche dell’ultima ora. La legge di conversione è stata  pubblicata in GU il 1 agosto 2025. QUI IL TESTO COORDINATO

    Rispetto alle previsioni, la modifica più rilevante sul Ravvedimento Speciale riguarda l’ambito di applicazione: potranno infatti sanare gli anni fiscali dal 2019 al 2023 solo coloro che aderiranno al CPB quest’anno, per il biennio 2025-2026.

    Diversamente da quanto ipotizzato precedentemente, non è prevista la possibilità di sanare il 2023 per coloro che hanno aderito al CPB l’anno scorso per il biennio 2024-2025.

    È facile ipotizzare che tra le motivazioni della scelta ci sia il fatto che il Ravvedimento speciale costituisca un mezzo per incentivare l’adesione al CPB, strumento su cui l’attuale governo ha puntato molto, ma che si sta rivelando deludente nel numero di adesioni.

    Permettere infatti a coloro che hanno aderito l’anno scorso di sanare adesso il 2023 non avrebbe incentivato l’adesione in alcun modo.

    Va tuttavia detto che l’effetto congiunto di CPB e Ravvedimento speciale, può rendere l’adesione appetibile per chi ha bisogno di tutelarsi da eventuali controlli del fisco per il passato; ma non rende il CPB più appetibile per chi di norma paga le imposta e fa fatica a impegnarsi per il futuro, in una situazione globale così incerta come quella attuale.

    Le caratteristiche del nuovo Ravvedimento speciale

    Il Ravvedimento speciale permette di sanare eventuali violazioni tributarie avvenute negli anni   precedenti in modo semplificato, pagando delle sanzioni forfettizzate, evitando così di incorrere in un accertamento tributario.

    Costituisce quindi, a tutti gli effetti, uno scudo fiscale sulle annualità precedenti, a cui è possibile accedere, dopo aver accettato la proposta di CPB per il biennio 2025-2026, dietro versamento di una imposta sostitutiva per le imposte sui redditi (e relative addizionali) e per l’IRAP, da calcolare anno per anno su ogni annualità che il contribuente vuole scudare.

    Il meccanismo di calcolo è analiticamente previsto dall’emendamento approvato dalla Commissione Finanze, che presumibilmente verrà confermato dalla Camera prima e dal Senato poi.

    La base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (IRPEF o IRES), con le eventuali addizionali, e dell’IRAP “è costituita dalla differenza tra il reddito d’impresa o di lavoro autonomo già dichiarato […] in ciascuna annualità e il valore dello stesso incrementato nella misura del”:

    • del 5%, per chi ottiene un punteggio ISA pari a 10;
    • del 10%, per chi ottiene un punteggio ISA compreso tra 8 e 10;
    • del 20%, per chi ottiene un punteggio ISA compreso tra 6 e 8;
    • del 30%, per chi ottiene un punteggio ISA compreso tra 4 e 6;
    • del 40%, per chi ottiene un punteggio ISA compreso tra 3 e 4;
    • del 50%, per chi ottiene un punteggio ISA inferiore a 3.

    Per le annualità 2019, 2022 e 2023 l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi viene calcolata applicando le seguenti aliquote:

    • aliquota del 10%, per chi ottiene un punteggio ISA pari o superiore al 9;
    • aliquota del 12%, per chi ottiene un punteggio ISA compreso tra 6 e 8;
    • aliquota del  15%, per chi ottiene un punteggio ISA inferiore a 6.

    Per i medesimi periodi d’imposta l’aliquota dell’imposta sostitutiva dell’IRAP sarà il 3,9%.

    Ravvedimento speciale: anni 2020-2021

    Per le annualità 2020 e 2021, in considerazione degli effetti della pandemia, le medesime aliquote sono ridotte del 30%.

    I contribuenti potranno accedere al Ravvedimento speciale per una determinata annualità tra il 2019 e il 2023, anche nel caso in cui in questa abbia dichiarato:

    • una delle cause di esclusione dall’ISA legate alla pandemia;
    • una condizione di non normale svolgimento dell’attività
    • una delle cause di esclusione dagli ISA legate all’esercizio di più attività.

    Però, per le annualità interessate da una di queste situazioni, che si caratterizzano per l’assenza di un punteggio ISA:

    • la base imponibile sarà calcolata come differenza tra il reddito d’impresa o di lavoro autonomo già dichiarato in ciascuna annualità e il valore dello stesso incrementato nella misura del 25%;
    • l’aliquota dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle eventuali addizionali sarà il 12,5%;
    • l’aliquota dell’imposta sostitutiva dell’IRAP rimane il 3,9%.

    Fondamentalmente quindi il Ravvedimento speciale previsto per quest’anno ricalca a grosse linee quello dell’anno scorso.

    Come l’anno scorso infatti, il valore complessivo dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali per ciascuna annualità non può essere inferiore a euro mille.

    Il versamento dovrà  essere effettuato in unica soluzione tra il giorno 1 gennaio 2026 e il 15 marzo 2026; è prevista inoltre la possibilità del pagamento rateale in massimo 10 rate mensili maggiorate degli interessi, a partire dal 15 marzo 2026.