• La casa

    Prima casa immobile preposseduto: chiarimenti sul credito d’imposta

    Con la Risposta a interpello n 238 del 10 settembre le Entrate trattano ancora il tema della agevolazione prima casa.

    Nello specifico l’Agenzia delle Entrate interviene su una questione rilevante per la prassi applicativa delle agevolazioni “prima casa”, in particolare per quanto riguarda la possibilità di fruire del credito d’imposta ex art. 7, L. 448/1998 nei casi in cui il nuovo acquisto agevolato preceda la vendita dell’immobile già posseduto. 

    L’interpello si inserisce nel contesto della modifica introdotta dalla Legge di Bilancio 2025, che ha esteso da 12 a 24 mesi il termine per la rivendita dell’immobile preposseduto, ai sensi del comma 4-bis della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa Parte I allegata al TUR.

    L'istante ha acquistato una nuova abitazione nel 2024 beneficiando dell’aliquota IVA agevolata del 4%, impegnandosi contestualmente a vendere l’immobile precedentemente acquistato con i benefici “prima casa” entro il nuovo termine biennale.

    Il quesito posto alle Entrate verte sulla possibilità di utilizzare il credito d’imposta in dichiarazione (mod. 730/2025) in relazione alla precedente imposta di registro versata, includendo anche la quota relativa al figlio fiscalmente a carico.

    L’Istante aveva acquistato nel 2003 un’abitazione in comproprietà al 50% con il futuro coniuge, beneficiando delle agevolazioni “prima casa” e versando un’imposta di registro di 1.000 euro. 

    Dopo il decesso del coniuge nel 2011, ha ereditato un ulteriore 25% dell’immobile, mentre il restante 25% è stato devoluto al figlio minore, fiscalmente a carico. 

    Nel 2024, ha effettuato un nuovo acquisto agevolato, versando IVA al 4%, impegnandosi a vendere l’immobile precedente nei termini previsti dalla legge. Il contribuente chiede di poter detrarre l’intero importo dell’imposta di registro versata nel 2003, inclusa la quota del figlio, in sede di dichiarazione dei redditi per il 2024. 

    Prima casa: il credito di imposta nel caso di immobile preposseduto

    L'agenzia ricorda che la modifica normativa introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, co. 116, L. 207/2024) ha esteso a due anni il termine per l’alienazione dell’immobile preposseduto al fine di mantenere i benefici “prima casa”, modificando il comma 4-bis della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa Parte I allegata al TUR. 

    Tale estensione, come chiarito anche dalla risposta n. 127/2025, si applica anche ai casi in cui il termine annuale non sia ancora scaduto al 31 dicembre 2024.

    Questa disposizione consente, in deroga alla regola generale, di acquistare un nuovo immobile agevolato prima di vendere quello preposseduto, a condizione che la vendita avvenga entro due anni.

    Viene anche ricordato che l’art. 7, comma 1, L. 448/1998 riconosce un credito d’imposta nei casi in cui il contribuente alieni l’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e ne acquisti un altro, sempre agevolato, entro un anno.

     Tuttavia, con la circolare 12/E del 2016 e successivi chiarimenti (inclusa la recente risposta n. 197/2025), l’Agenzia ha esteso in via interpretativa l’applicabilità del credito anche all’ipotesi inversa: riacquisto prima della vendita, a condizione che quest’ultima avvenga entro i termini previsti dal comma 4-bis, ora due anni.

    Il diritto al credito sorge in via provvisoria con il nuovo acquisto agevolato e si consolida solo se l’alienazione dell’immobile preposseduto avviene entro i due anni. 

    In mancanza, il contribuente decade dai benefici “prima casa” e perde anche il diritto al credito.

    L’Agenzia ha precisato che il credito è personale e deve essere calcolato in proporzione alla quota di proprietà effettivamente posseduta e trasferita. 

    Nel caso di specie, l’Istante può beneficiare del credito solo nella misura corrispondente alla propria quota del 75% (50% acquisito nel 2003 + 25% ereditato nel 2011).

    La restante quota del 25%, intestata al figlio minore, non può generare credito in favore del genitore, anche se fiscalmente a carico, in quanto manca la titolarità diretta del bene.

    Ai sensi dell’art. 7, co. 2, L. 448/1998, il credito può essere utilizzato in dichiarazione dei redditi successiva al riacquisto, in compensazione dell’IRPEF dovuta. Resta fermo che l’importo del credito non può superare l’imposta dovuta sul nuovo acquisto (in questo caso l’IVA al 4%).

    Allegati:
  • Contenzioso Tributario

    Cessione quote societarie ai figli: quando è reato perchè evitare recupero debiti fiscali

    Con Sentenza n. 29943/2025 la Cassazione ha stabilito che configurano il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (ex articolo 11 Dlgs n. 74/2000), anche i comportamenti che appaiono formalmente leciti ma che complessivamente rappresentano uno stratagemma finalizzato a sottrarre garanzie patrimoniali all'esecuzione del debito da parte dell'Amministrazione finanziaria.

    Vediamo i dettagli della causa.

    Cessione quote societarie ai figli: quando è reato perchè evita il recupero debiti fiscali

    Un soggetto veniva condannato dal Tribunale penale perché ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 11 Dlgs n. 74/2000, per avere compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte mediante la cessione al figlio convivente delle proprie quote di una società semplice.

    La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, di qui il ricorso in Cassazione.

    L'imputato eccepiva l'errata applicazione dell' articolo 11 citatoda parte del giudice di seconde cure, che aveva ritenuto che la cessione al figlio di una percentuale delle proprie quote di partecipazione nella società avesse natura fraudolenta per essere stata posta in essere per occultare i propri beni ipregiudicando l'attività di recupero dell'Amministrazione finanziaria.

    La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile premettendo che l’articolo 11 Dlgs n. 74/2000 sanziona alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. 

    Come evidenziato da precedente pronuncia (Cassazione n 36290/2011) Il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'erario.

    Secondo la giurisprudenza di legittimità la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame èstata più volte evidenzaita.

    A tale proposito, la suprema Corte ha chiarito che il reato in questione è integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare l'attività di recupero della amministrazione finanziaria.

    Nel novero di “altri atti fraudolenti” sono compresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni sia anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.

    La Cassazione ha specificato che la nozione di atto fraudolento è da evidenziarsi come:   

    • “ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno” (cfr Cassazione n. 25677/2012), ovvero
    • ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione)” ovvero
    • “qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione” (cfr Cassazione n. 3011/2016).

    Con riferimento all'alienazione di beni, l’orientamento consolidato prevede che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei a eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell'articolo 11 Dlgs n. 74/2000, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione.

    Infine la Cassazione ha chiarito che la nozione di "atti fraudolenti" comprende tutti quei comportamenti che, quand'anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell'eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato (cfr Cassazione n. 25677/2012).

    Pertanto è corretta la pronuncia della Corte d’Appello che aveva rilevato l’esistenza di un comportamento fraudolento finalizzato a rendere difficoltosa la procedura di riscossione coattiva del debito.

  • Dichiarazione 730

    730/2025: come correggere errori e mancanze

    Il Modello 730/2025 per dipendenti e pensionati va presentato entro il 30 settembre prossimo.

    Attenzione però al fatto che, se dopo aver inviato il modello 730 ci si accorge di aver dimenticato dei dati o di averli inseriti in modo errato, ed è già trascorso il periodo utile per poterlo annullar, ossia il termine del 20 giugno 2025, occorre presentare il modello “Redditi correttivo” entro il 31 ottobre 2025. 

    Dopo questa data è possibile presentare il modello “Redditi integrativo”. 

    Va evidenziato inoltre che:

    • se la nuova dichiarazione comporta un maggiore credito o un minor debito, si può chiedere l’eventuale rimborso o, in caso contrario, pagare l’imposta dovuta;
    • se il contribuente riscontra errori commessi dal soggetto che ha prestato l’assistenza fiscale deve comunicarglielo il prima possibile, per permettergli l’elaborazione di un Modello 730 “rettificativo”;
    • se il contribuente si accorge di non aver fornito tutti gli elementi da indicare nella dichiarazione, le modalità di integrazione della dichiarazione originaria sono diverse a seconda che le modifiche comportino o meno una situazione a lui più favorevole.

    Vediamo le varie casistiche.

    730/2025: termini e modalità di correzione

    Integrazione della dichiarazione che comporta un maggiore credito, un minor debito o un’imposta invariata
    Se il contribuente si accorge di non aver fornito tutti gli elementi da indicare nella dichiarazione e l’integrazione e/o la rettifica comportano
    un maggiore credito o un minor debito (ad esempio, per oneri non indicati nel Mod. 730 originario) o un’imposta pari a quella determinata
    con il Modello 730 originario (ad esempio per correggere dati che non modificano la liquidazione delle imposte), a sua scelta può:

    • presentare entro il 25 ottobre un nuovo modello 730 completo di tutte le sue parti, indicando il codice 1 nella relativa casella “730 integrativo” presente nel frontespizio. Il Modello 730 integrativo deve essere comunque presentato a un Caf o a un professionista abilitato
      anche in caso di assistenza precedentemente prestata dal sostituto. Il contribuente che presenta il Modello 730 integrativo deve esibire
      la documentazione necessaria al Caf o al professionista abilitato per il controllo della conformità dell’integrazione che viene effettuata.
      Se l’assistenza sul Mod. 730 originario era stata prestata dal sostituto d’imposta occorre esibire al Caf o al professionista abilitato tutta
      la documentazione;
    • presentare un modello Redditi Persone fisiche 2025, utilizzando l’eventuale differenza a credito e richiedendone il rimborso. Il modello
      Redditi Persone fisiche 2025 può essere presentato:
      • entro il 31 ottobre (correttiva nei termini);
      • oppure entro il termine previsto per la presentazione del modello REDDITI Persone fisiche 2025 relativo all’anno successivo (dichiarazione integrativa);
      • oppure entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (dichiarazione integrativa –
        art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998). In questo caso l’importo a credito potrà essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa. Nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa è indicato il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa.

    730/2025: cosa fare se i dati del sostituto sono incompleti

    Se il contribuente si accorge di non aver fornito tutti i dati per consentire di identificare il sostituto che effettuerà il conguaglio o di averli forniti in modo inesatto può presentare entro il 25 ottobre un nuovo modello 730 per integrare e/o correggere tali dati. 

    Attenzione al fatto che, in questo caso dovrà indicare il codice 2 nella relativa casella “730 integrativo” presente nel frontespizio.

    Il nuovo modello 730 deve contenere, pertanto, le stesse informazioni del modello 730 originario, ad eccezione di quelle nuove indicate nel riquadro “Dati del sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio”.

    730/2025: cosa fare se vari dati sono incompleti

    Quando l'integrazione della dichiarazione riguarda vari dati da cui scaturiscono un maggior importo a credito, un minor debito oppure un’imposta invariata occorre procedere come segue.
    Se il contribuente si accorge sia di non aver fornito tutti i dati che consentono di identificare il sostituto che effettuerà il conguaglio (o di
    averli forniti in modo inesatto) sia di non aver fornito tutti gli elementi da indicare nella dichiarazione e l’integrazione e/o la rettifica comportano
    un maggior importo a credito, un minor debito oppure un’imposta pari a quella determinata con il modello 730 originario, il contribuente
    può presentare entro il 25 ottobre un nuovo modello 730 per integrare e/o correggere questi dati, indicando il codice 3 nella
    relativa casella “730 integrativo” presente nel frontespizio.

    730/2025: cosa fare per integrazione che genera uno sfavore per il contribuente

    Se il contribuente si accorge di non aver fornito tutti gli elementi da indicare nella dichiarazione e l’integrazione o la rettifica comporta un
    minor credito o un maggior debito deve utilizzare il modello REDDITI Persone fisiche 2025.
    Il modello REDDITI Persone fisiche 2025 può essere presentato:

    • entro il 31 ottobre (correttiva nei termini). In questo caso, se dall’integrazione emerge un importo a debito, il contribuente dovrà procedere
      al contestuale pagamento del tributo dovuto, degli interessi calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera e della sanzione in
      misura ridotta secondo quanto previsto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997 (ravvedimento operoso);
    • entro il termine previsto per la presentazione del modello REDDITI relativo all’anno successivo (dichiarazione integrativa). In questo
      caso se dall’integrazione emerge un importo a debito, il contribuente dovrà pagare contemporaneamente il tributo dovuto, gli interessi
      calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera e le sanzioni in misura ridotta previste in materia di ravvedimento operoso;
    • entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (dichiarazione integrativa – art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998). In questo caso se dall’integrazione emerge un importo a debito, il contribuente dovrà pagare contemporaneamente il tributo dovuto, gli interessi calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera e le sanzioni in misura ridotta previste in materia di ravvedimento operoso.

  • Accertamento e controlli

    Termine di notifica della cartella post decadenza dalle rate

    Con l’ordinanza n. 24766 dell’8 settembre 2025, la Sezione V della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per gli operatori fiscali: la decorrenza del termine per la notifica della cartella di pagamento in caso di decadenza dalla rateizzazione concessa con accertamento con adesione.

    Vediamo il principio della Cassazione.

    Termine di notifica della cartella post decadenza dalle rate

    L'importante principio stauito chiarisce che in tema di riscossione delle imposte, il termine di decadenza di cui all'art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/73 ,
    dal potere di riscuotere imposte e sanzioni oggetto di una cartella di pagamento emessa ex artt. 36-bis D.P.R. n. 600/73 e 54-bis D.P.R. n. 633/72 , a seguito della decadenza dalla rateizzazione del debito fissata in sede di accertamento con adesione, decorre non dalla dichiarazione, bensì dal momento della scadenza della rata non pagata o pagata in ritardo.

    Il contenzioso nasce da una cartella di pagamento emessa nei confronti di una società a responsabilità limitata, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 (e art. 54-bis del D.P.R. 633/1972 per l’IVA), relativa all’anno d’imposta 2010.

    La cartella era conseguente alla decadenza dalla rateizzazione del debito precedentemente concordata in sede di accertamento con adesione. 

    La società aveva effettuato il primo pagamento, ma non aveva versato le rate successive.

    Di qui l’iscrizione a ruolo dell’intero importo residuo (al netto di quanto versato) e la successiva notifica della cartella nel 2014. 

    La contribuente eccepiva la decadenza del potere di riscossione: secondo la difesa, il termine triennale previsto dall’art. 25, comma 1, del D.P.R. 602/1973 era decorso, essendo la cartella stata notificata oltre tre anni dalla dichiarazione relativa al 2010.

    Le Commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano accolto la tesi della società. 

    La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato l’accoglimento in appello, ritenendo applicabile il termine triennale ordinario, con decorrenza dalla presentazione della dichiarazione.

    L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione della CTR, denunciando la violazione dell’art. 3-bis del D.Lgs. 462/1997, sostenendo che la cartella era stata legittimamente emessa e notificata in quanto il termine non decorre dalla dichiarazione, ma dalla scadenza della rata non pagata, come previsto per i casi di decadenza da rateizzazione.

    La Cassazione ha accolto il ricorso, ribaltando la sentenza di merito e affermando un principio importante per l’operatività della riscossione:“Il termine di decadenza di cui all’art. 25, comma 1, dal potere di riscuotere imposte e sanzioni oggetto di una cartella di pagamento emessa ex artt. 36-bis e 54-bis, a seguito della decadenza dalla rateizzazione del debito fissata in sede di accertamento con adesione, decorre non dalla dichiarazione, bensì dal momento della scadenza della rata non pagata o pagata in ritardo.”

    La Corte chiarisce che non si applica la regola generale dell’art. 25, comma 1, che prevede la notifica entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, perché si è in presenza di una fattispecie speciale.

    Infatti, quando la cartella deriva non da un controllo ordinario sulla dichiarazione, ma da una decadenza dal piano di rateizzazione concesso in sede di adesione, la disciplina applicabile è quella di cui all’art. 3-bis, comma 5, del D.Lgs. 462/1997.

    Tale norma prevede che:“La notificazione delle cartelle di pagamento conseguenti alle iscrizioni a ruolo previste dal comma 4 è eseguita entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di scadenza della rata non pagata.”

    In altri termini, il termine decorre dalla scadenza della rata non versata, e non più dal periodo d’imposta originario o dalla presentazione della dichiarazione.

  • Corsi Accreditati per Commercialisti

    Elezioni Commercialisti 2026: si vota il 15 e 16 gennaio

    Il Consiglio Nazionale dei commercialisti, in data 6 agosto, ha deliberato che le elezioni per il rinnovo dei Consigli degli Ordini territoriali in carica nel periodo febbraio 2026 – febbraio 2030 si terranno nei giorni 15 e 16 gennaio 2026. 

    Nelle stesse date avranno luogo anche le elezioni del Collegio dei Revisori/Revisore unico e dei Comitati Pari Opportunità territoriali

    Lo comunicava lo stesso Consiglio nazionale con l’informativa 124/2025.

    Inoltre il Regolamento elettorale, adottato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 20 maggio 2025,  trasmesso al Ministro della Giustizia per l’approvazione è stato approvato, vediamo tutti i dettagli.

    Elezioni Commercialisti 2026: si volta il 15 e 16 gennaio

    Con un comunicato stampa dell'11 settembre il CNDCEC informa del fatto che il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha approvato il 9 settembre il regolamento per lo svolgimento delle elezioni dei Consigli degli Ordini territoriali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e del collegio dei revisori. 

    Lo stesso Consiglio nazionale, nella seduta del 6 agosto 2025, aveva deliberato le date del 15 e 16 gennaio 2026 per lo svolgimento della tornata elettorale e aveva contestualmente trasmesso il regolamento al Ministro della Giustizia per l’approvazione.

    Il presidente De Nuccio ha commentato l'approvazionie specificando quanto segue:

    “Con l’ok del Ministero della Giustizia al regolamento si compie un altro passo del percorso elettorale della nostra categoria. In questi mesi è stata fatta circolare l’ipotesi che fosse in atto il tentativo di ottenere una proroga di queste elezioni. In realtà, come ho avuto più volte modo di affermare pubblicamente, il percorso elettorale non è mai stato messo in discussione e ha seguito il suo normale iter. Le elezioni si terranno regolarmente con il sistema elettorale attualmente vigente. Con l’approvazione del regolamento da parte della Giustizia vengono dunque clamorosamente smentite ipotesi messe strumentalmente in campo nell’irresponsabile tentativo di bloccare la riforma del nostro ordinamento professionale”.

    Riforma professione Commercialisti ed Esperti Contabili

    Inoltre sempre a tema professioni occorre evidenziare che in data 11 settembre il Cdm ha approvato la riforma dell’Ordinamento dei Commercialisti ed Esperti Contabili, con un Disegno di legge delega presentato dal ministero della Giustizia.

    Come evidenziato dal comunicato stampa del Governo il testo mira a riorganizzare le attività professionali e a valorizzare i profili multidisciplinari della categoria dei commercialisti ed esperti contabili, al fine di rispondere in modo più efficace alle esigenze del mercato.

    Il Governo è delegato a riordinare le attività professionali, distinguendo quelle riservate per legge da quelle che connotano tipicamente la professione nell’ambito tributario, economico-aziendale, finanziario, societario e giuslavoristico.

    Attenzione al fatto che si prevede la revisione della disciplina del tirocinio, con la possibilità di svolgerlo interamente durante il corso di studi, triennale per gli esperti contabili e magistrale per i commercialisti, al fine di ridurre i tempi per l’abilitazione e favorire un accesso più rapido al mondo del lavoro.

    Si introducono misure per definire una disciplina specifica per le società tra professionisti, regolamentandone l’iscrizione all’albo e il funzionamento, in linea con gli obiettivi di semplificazione e innovazione.

    Si rafforza l’obbligo di aggiornamento professionale per gli iscritti, con particolare attenzione alle nuove materie emergenti, come la crisi d’impresa.

    Leggi Riforma Commercialisti approvata: testo del DDL e novità per approfondimento.

  • Adempimenti Iva

    Carte carburante prepagate: quale regime IVA applicare

    La Risposta a interpello n 235 del 10 settembre replica a dubbi di una società che gestisce la distribuzione di carburanti con annessa area di servizio.

    Veniva domandato quale fosse il corretto trattamento IVA delle proprie carte prepagate.

    In particolare, l’impresa aveva predisposto un sistema di carte nominative ricaricabili, utilizzabili esclusivamente per l’acquisto di carburanti (benzina, gasolio, GPL) presso l’unica stazione di servizio gestita dalla stessa.

    All momento della richiesta della carta, il cliente versava l’importo tramite strumenti di pagamento tracciabili o in contanti, ricevuto l’accredito, la società provvedeva non solo alla ricarica della carta, ma anche all’emissione immediata della fattura con evidenza di imponibile e IVA, recante la descrizione “ricarica carta prepagata per vendita carburanti”

    Successivamente, al momento del rifornimento, il corrispettivo dell’erogazione veniva comunque trasmesso telematicamente e nuovamente assoggettato a IVA.

    Da questa procedura derivava un effetto di duplicazione d’imposta: l’IVA risultava liquidata sia al momento della ricarica, sia al momento del rifornimento effettivo. 

    La società ha quindi chiesto se fosse possibile neutralizzare la doppia imposizione mediante annotazioni nel registro dei corrispettivi, trattando la ricarica come una mera anticipazione.

    Vediamo la replica ade.

    Carte carburante prepagate: quele regime IVA applicare

    L’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto richiamato le principali norme in materia. 

    In primo luogo, l’art. 22, comma 3, del DPR 633/1972 (decreto IVA), che disciplina gli obblighi di fatturazione per gli acquisti di carburante da parte di soggetti IVA. Inoltre, il DPR 696/1996 e il D.lgs. 127/2015 regolano rispettivamente gli obblighi di certificazione e di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi.

    Elemento centrale è però il D.lgs. 141/2018, attuativo della direttiva UE 2016/1065, che ha introdotto nell’ordinamento nazionale gli articoli da 6-bis a 6-quater del DPR 633/1972, relativi ai cosiddetti “buoni-corrispettivo”.

    La normativa distingue tra:

    • buoni monouso (quando al momento dell’emissione è nota l’aliquota IVA applicabile alla futura cessione) 
    • buoni multiuso (quando l’imposta diventa determinabile solo al momento del riscatto).

    Nel caso in esame, la carta prepagata non consente di conoscere subito quantità e valore del carburante acquistabile, poiché tali elementi dipendono dal prezzo praticato al momento del rifornimento, variabile nel tempo

    Ne consegue che la carta rientra nella definizione di “buono multiuso” ai sensi dell’art. 6-quater del decreto IVA.

    La qualificazione delle carte carburante come buoni multiuso comporta effetti rilevanti sul piano operativo. 

    L’Agenzia ha chiarito che il trasferimento del credito al momento della ricarica non costituisce un’operazione imponibile ai fini IVA.

    L’imposta diventa esigibile esclusivamente quando il buono viene utilizzato come corrispettivo per il rifornimento di carburante, momento in cui l’operazione si considera effettuata.

    In conseguenza di ciò, le fatture eventualmente già emesse per documentare le ricariche non risultano conformi alla disciplina vigente e potranno essere stornate tramite emissione di note di variazione ex art. 26, comma 3, del decreto IVA, al fine di recuperare l’imposta indebitamente versata. 

    Qualora i termini per le note di variazione siano già scaduti, il contribuente potrà ricorrere all’istituto di cui all’art. 30-ter del decreto IVA, fondato sul principio del legittimo affidamento, considerato che la società si era attenuta alle precedenti indicazioni di prassi (circolare 8/E del 2018).

    In sintesi, la Risposta n. 235/2025 conferma che le carte carburante ricaricabili non generano obblighi IVA al momento della ricarica, ma solo al momento dell’effettivo rifornimento, eliminando così il rischio di doppia imposizione e garantendo coerenza con la disciplina europea sui buoni corrispettivo.

  • Banche, Imprese e Assicurazioni

    Società benefit: la pagina dedicata del MIMIT

    Il MIMIT con un avviso del 10 settembre informa del fatto che è online, sul sito del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, la nuova sezione "Società Benefit"dedicata alle aziende che hanno scelto questo modello innovativo di fare impresa, capace di coniugare finalità economiche con responsabilità, sostenibilità e trasparenza.

    Il MIMIT, in collaborazione con Invitalia, è promotore della prima "Benefit Competition" nazionale, iniziativa pionieristica nel panorama italiano che ha l'obiettivo di valorizzare le migliori esperienze imprenditoriali di Società Benefit. 

    La competizione partirà da Milano il 21 novembre e si articolerà in sei tappe territoriali lungo tutto il Paese.

    Startup, imprese già costituite come Società Benefit e realtà interessate ad adottare questa forma giuridica possono candidarsi, compilando l'apposita domanda presente sulla pagina istituzionale

    Le imprese selezionate tra quelle candidate, avranno l’opportunità di presentare le proprie progettualità durante l’evento milanese ad una giuria qualificata, composta da esperti del settore e rappresentanti istituzionali.   

    Il MIMIT ha avviato, in collaborazione con Unioncamere e il sistema camerale, un articolato programma formativo per accompagnare imprese e professionisti nel percorso di costituzione e gestione di una Società Benefit. 

    Società benefit: tutte le caratteristiche

    Le Società Benefit sono società che, nell'esercizio della loro attività economica, ampliano i propri orizzonti oltre il tradizionale scopo di lucro, abbracciando una visione più ampia e responsabile dell'impresa.

    Esse perseguono una o più finalità di beneficio comune, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di tutti i soggetti con cui entrano in relazione:

    • persone 
    • comunità locali, 
    • territori 
    • ambiente,
    • beni culturali e sociali 
    • enti e associazioni, 
    • altri portatori di interesse.

    Introdotte nel panorama giuridico italiano con la Legge 28 dicembre 2015, n. 208, le Società Benefit incarnano l'evoluzione sostenibile dell'impresa del nostro Paese. 

    Questo modello innovativo, riconosciuto e incentivato dallo Stato, dimostra come sia possibile unire profitto e impatto sociale in una strategia imprenditoriale vincente e lungimirante.

    Ciò che distingue una Società Benefit da una tradizionale società commerciale sono tre elementi fondamentali che ne caratterizzano l'identità e il funzionamento:

    • il doppio scopo societario. Mentre una società tradizionale persegue esclusivamente finalità di profitto, una Società Benefit integra questo obiettivo con una o più finalità di beneficio comune, chiaramente specificate nel proprio statuto. Ogni decisione aziendale deve necessariamente bilanciare gli obiettivi economici con quelli di impatto sociale e ambientale, creando un modello di governance che considera tutti gli stakeholder;
    • governance responsabile. Le Società Benefit sono tenute a nominare uno o più amministratori specificamente responsabili dell'impatto sociale dell'azienda. Queste figure professionali hanno il compito di implementare procedure che garantiscano il bilanciamento degli interessi dei diversi portatori di interesse e di assicurare trasparenza in tutte le decisioni che riguardano il perseguimento del beneficio comune;
    • misurazione e comunicazione dell'impatto. Ogni Società Benefit deve redigere annualmente un report di impatto sociale obbligatorio, utilizzando standard di valutazione riconosciuti a livello internazionale. Questi documenti vengono poi pubblicati per garantire massima trasparenza verso tutti gli stakeholder, permettendo una valutazione oggettiva dei risultati raggiunti sia in termini economici che di beneficio comune.

    Società Benefit: i vantaggi

    La scelta di trasformarsi in Società Benefit comporta numerosi vantaggi tangibili che spaziano dalla sfera competitiva agli aspetti reputazionali.

    Tra questo vi è l'attrazione dei talenti: le nuove generazioni di lavoratori mostrano una crescente preferenza per aziende che abbiano un chiaro scopo sociale oltre al profitto. 

    Questo fenomeno si traduce in una maggiore capacità di attrarre e trattenere i migliori professionisti sul mercato. 

    Altro vantaggio è maggiore efficacia nella fidelizzazione dei clienti.

    I consumatori contemporanei orientano sempre più le loro scelte d'acquisto verso brand che dimostrano un autentico impegno nella responsabilità sociale.

    Le Società Benefit accedono inoltre a nuovi mercati in forte espansione, particolarmente nel settore dell'economia sostenibile, e sviluppano una maggiore resilienza aziendale grazie a un modello di business più solido e orientato al lungo termine. 

    Questa visione strategica permette di affrontare meglio le sfide del mercato e di costruire relazioni più durature con tutti gli stakeholder.

    In fine tra i vantaggi vi è la vera e propria certificazione di una società benefit.

    Essa acquisce lo status di responsabilità sociale d'impresa avendo maggiore credibilità presso gli investitori ESG (Environmental, Social, Governance), segmento in costante crescita nel panorama finanziario internazionale.

    Il riconoscimento istituzionale da parte dello Stato italiano e l'appartenenza a un movimento imprenditoriale innovativo e in continua espansione completano il quadro dei vantaggi reputazionali.

    Società Benefit: le fasi del processo di trasformazione

    La trasformazione in Società Benefit richiede un approccio metodico e consapevole che si articola in diverse fasi, ciascuna fondamentale per il successo del processo:

    1. il primo passo consiste in una valutazione preliminare approfondita della propria realtà aziendale. Occorre effettuare un'analisi della mission aziendale e dei valori che la guidano, l'identificazione delle specifiche finalità di beneficio comune che si intendono perseguire e una valutazione realistica dell'impatto economico che la trasformazione comporterà. Questa fase è cruciale perché permette di verificare l'autenticità della motivazione e la sostenibilità del progetto. La modifica dello statuto societario rappresenta il cuore tecnico-giuridico della trasformazione. È necessario inserire nell'oggetto sociale le specifiche finalità di beneficio comune che l'azienda si impegna a perseguire, definire chiaramente le modalità di governance responsabile che saranno adottate e indicare gli standard internazionali che verranno utilizzati per misurare l'impatto sociale e ambientale generato. 
    2. la seconda fase contiene la procedura notarile che formalizza legalmente la trasformazione attraverso una delibera dell'assemblea dei soci, la redazione dell'atto notarile di modifica dello statuto e l'iscrizione al Registro delle Imprese con la specifica dicitura "Società Benefit". Questo passaggio sancisce ufficialmente la nuova identità societaria. Infine, gli adempimenti operativi rendono concreto il nuovo modello di business attraverso la nomina del responsabile dell'impatto, l'implementazione dei processi di misurazione dell'impatto sociale e ambientale e la redazione del primo report annuale. Questi strumenti operativi sono essenziali per trasformare gli impegni statutari in azioni concrete e misurabili.