• Lavoro Dipendente

    Spese di trasferta all’estero: l’agenzia conferma la non tracciabilità

    Con Risposta a interpello n 188 del Entrate confermano che non è necessaria la tracciabilità, ai fini della non imponibilità delle spese di trasferta estere.

    L'istante è un Ministero che ha chiesto chiarimenti in merito al trattamento fiscale dei rimborsi spese ai dipendenti impegnati in missioni e/o trasferte
    all'estero alla luce delle modifiche recate dall'articolo 1, comma 81, della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (legge di Bilancio 2025), in merito alle modalità con le quali il dipendente è tenuto ad effettuare il pagamento.
    Al riguardo, l'Istante rappresenta che i propri dipendenti possono essere inviati
    in missione e/o in trasferta in Paesi in cui gli strumenti di pagamento tracciati non sono
    diffusi
    ciò premesso, chiede quale debba essere il corretto trattamento fiscale nel caso in cui il dipendente effettui una missione e/o una trasferta in un Paese in cui non è possibile effettuare un pagamento tracciato.

    L'articolo 1, comma 81, lettera a), della legge di Bilancio 2025 ha modificato l'articolo 51, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), in materia di indennità per trasferte o missioni di lavoratori dipendenti, aggiungendo, infine, il seguente periodo:

     «I rimborsi delle spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto effettuati mediante autoservizi pubblici non di linea di cui all'articolo 1 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, per le trasferte o le missioni di cui al presente comma, non concorrono a formare il reddito se i pagamenti delle predette spese sono eseguite con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241».
    In sostanza, al fine della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente dei rimborsi spese di cui al citato comma 5 dell'articolo 51, il dipendente deve effettuare i relativi pagamenti con mezzi diversi dal contante.

    Successivamente, l'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge 17 giugno 2025, n. 84 ha modificato il suddetto detto periodo del comma 5 aggiungendo dopo le parole: «I rimborsi delle spese» le seguenti: «, sostenute nel territorio dello Stato,».
    Pertanto, a seguito di tale modifica legislativa, ai fini della non imponibilità dei rimborsi spese ai dipendenti ai sensi del comma 5 dell'articolo 51 del Tuir, per missioni e/ o trasferte effettuate al di fuori del territorio dello Stato non è più richiesta la tracciabilità del pagamenti

  • Agevolazioni per le Piccole e Medie Imprese

    Credito ZES: chiarimenti sugli importi della componente immobiliare

    Con la Risposta a interpello n 183 dell'8 luglio le Entrate replicano ad una società che vorrebbe beneficiare del credito di imposta per gli investimenti nelle ZES ora ZES UNICA.

    Ricordiamo che l'agevolazione è stata introdotta dall'articolo 16 del decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 162, come da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 485, della legge 30 dicembre 2024 n. 207 (legge di bilancio 2025).
    La società svolge la propria attività presso uno stabilimento sito in […] in virtù di contratto di locazione commerciale e vorrebbe accedere al Credito di imposta ZES Unica in quanto intende estendere la capacità dello stabilimento esistente, acquistando nuovi macchinari, impianti e attrezzature nonché procedere ''[al]l'acquisto dell'immobile strumentale, costituito dalla parte attualmente locata e da una nuova porzione costituita da immobile e piazzale''.
    La società istante chiarisce che l'acquisto dell'immobile avrà un costo pari a euro 600.000,00 circa, mentre il costo degli ulteriori beni strumentali (macchinari eattrezzature varie) ammonta a euro 270.000,00.
    Si chiede chiarimento sull'interpretazione dell'articolo 16, comma 2, del decretolegge n. 124 del 2023 e dell'articolo 3, comma 5, del decreto del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 17 maggio 2024, con cui sono stati definiti i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito nella parte in cui prevedono che ''[i]l valore dei terreni e dei fabbricati ammessi all'agevolazione non può superare il cinquanta per cento del valore complessivo dell'investimento agevolato''.

    Ai fini del riconoscimento del beneficio, la disciplina distingue gli investimenti immobiliari da quelli non immobiliari: è stabilito che, in relazione a ogni singolo progetto agevolabile, il valore della sua componente immobiliare non può essere superiore alla metà del valore complessivo del bonus richiesto.

    Ciò significa, tra l’altro, che l’investimento immobiliare non può superare quello in attrezzature e impianti e che il solo acquisto di edifici e terreni non consente l’accesso al tax credit.

    L'agenzia conferma la soluzione dell'istante ossia che le spese per l'acquisto di terreni e l'acquisizione, realizzazione o l'ampliamento di immobili strumentali possono accedere al calcolo del credito d’imposta Zes unica fino a una quota del 50% in relazione a ogni singolo progetto di investimento. 

    Pertanto, l’impresa che spende 600mila euro per l’acquisto di un immobile e 270mila euro per l’acquisto di macchinari, ai fini del bonus Zes Unica, deve considerare un investimento complessivo di 540mila euro, visto che la componente immobiliare non può superare il 50% del totale agevolabile e, quindi, nel caso specifico, 270mila euro.

    Nell'interpello viene riepilogata le norme in base alle quali risultano agevolabili gli investimenti, ''facenti parte di un progetto di investimento iniziale come definito all'articolo 2, punti 49, 50 e 51, del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, relativi all'acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nel territorio, nonché all'acquisto di terreni e all'acquisizione, alla realizzazione ovvero all'ampliamento di immobili strumentali agli investimenti'', effettuati tra il 1° gennaio 2024 e il 15 novembre 2024 [e anche quelli effettuati tra il 1° gennaio 2025 e il 15 novembre 2025 come, da ultimo, previsto dall'articolo 1, comma 485, lettera c), della legge n. 207 del 2024].
    In relazione agli investimenti aventi ad oggetto l'acquisto di terreni e l'acquisizione, realizzazione ovvero l'ampliamento di immobili strumentali, l'articolo 16, comma 2, del decretolegge n. 124 del 2023 e l'articolo 3, comma 5, del decreto attuativo, stabiliscono che ''[i]l valore dei terreni e dei fabbricati ammessi all'agevolazione non può superare il cinquanta per cento del valore complessivo dell'investimento agevolato''.
    Attesa la ratio di limitare la componente agevolata riferita all'acquisto di beni immobili strumentali (di seguito, ''componente immobiliare'') rispetto a quella relativa
    all'acquisizione degli altri asset strumentali agevolati (di seguito, ''componente non immobiliare''), con le previsioni citate viene stabilito che, in relazione a ogni singolo progetto di investimento avente le caratteristiche richieste dal citato articolo 16 e rilevante ai fini del Credito di imposta ZES Unica, il valore della sua componente immobiliare agevolata non può essere superiore alla metà (ossia, al cinquanta per cento) del valore complessivo dell'investimento agevolato.
    Ciò implica, in concreto, che il valore agevolato della componente immobiliare non può essere superiore a quello della componente non immobiliare e che, dunque, laddove l'investimento immobiliare costituisca l'unica spesa riconducibile al progetto di investimento iniziale, lo stesso non è agevolabile per l'assenza di ulteriori investimenti elegibili al Credito di imposta ZES Unica in altri asset strumentali (cd. ''componente nonimmobiliare'').

    Allegati:
  • Accertamento e controlli

    CPB e riammissione a rottamazione quater: sana la decadenza?

    Il Concordato Preventivo Biennale (CPB), introdotto dal D.lgs. 13/2024, rappresenta uno degli strumenti principali della riforma fiscale attuata in esecuzione della delega di cui alla Legge n. 111/2023. 

    Tale regime agevolativo è rivolto ai contribuenti di minori dimensioni, titolari di reddito d’impresa o lavoro autonomo, che applicano gli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) e che operano sul territorio italiano.

    L'art. 10, comma 2, del D.lgs. 13/2024 stabilisce precisi requisiti di regolarità fiscale e contributiva per l'accesso al CPB e in particolare, non devono sussistere:

    • debiti per tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, oppure
    • debiti contributivi,

    se definitivamente accertati (con sentenza irrevocabile o atti non più impugnabili) e di importo pari o superiore a 5.000 euro

    Tuttavia, tali debiti non rilevano se oggetto di:

    • provvedimenti di sospensione (giudiziali o amministrativi),
    • rateazioni regolarmente in corso, fino a decadenza dei relativi benefici.

    L’istanza di interpello n. 176/2025, presentata da una società ha riguardato proprio l’interazione tra CPB e procedura di Rottamazione Quater ex Legge 197/2022, modificata dal D.L. 202/2024.

    Il contribuente aveva esercitato l’opzione per il CPB 2024-2025, dichiarando che alla data del 31/12/2023 risultava titolare di un ruolo superiore a 5.000 euro, regolarmente oggetto di rateazione nell’ambito della Rottamazione Quater. 

    Tuttavia, nel 2024 è incorso nella decadenza dalla definizione agevolata, per aver effettuato un pagamento oltre i 5 giorni di tolleranza previsti dalla legge.

    Successivamente, il contribuente ha chiesto se la riammissione alla Rottamazione Quater (prevista dall’art. 3-bis del D.L. 202/2024, convertito dalla Legge 15/2025) potesse salvaguardare gli effetti del CPB già esercitato, l'agenzia nega questa possibilità.

    Decadenza dal Concordato Preventivo Biennale e riammissione alla Rottamazione Quater

    L'Agenzia delle Entrate non ha condiviso l’impostazione dell’istante e il suo diniego si fonda su due elementi chiave:

    • decadenza avvenuta prima dell’accettazione della proposta di CPB. In tal caso, ai sensi dell’art. 10, c. 2, D.lgs. 13/2024, il contribuente non possiede i requisiti di accesso, in quanto il debito (superiore a 5.000 euro) non è più coperto da un piano di rateazione valido.
    • decadenza avvenuta dopo l’accettazione della proposta di CPB. In questo caso, si verifica una delle cause di decadenza dal regime, ex art. 22, comma 1, lett. d), D.lgs. 13/2024, in quanto vengono meno i presupposti di regolarità richiesti ex art. 10.

    In entrambi i casi, il CPB cessa di produrre effetto per entrambi i periodi d’imposta.

    L'agenzia evidenzia che il cuore della questione sia nell'art 3-bis del DL n 202/2024 che introduce la possibilità per i contribuenti decaduti dalla Rottamazione Quater al 31 dicembre 2024 di essere riammessi presentanto apposita dichiarazione (scaduta il 30 aprile 2025) 

    Tuttavia, l’Agenzia chiarisce che la riammissione ha effetto solo ai fini della prosecuzione della Rottamazione Quater

    Essa non sana retroattivamente il venir meno dei requisiti di accesso al CPB, né impedisce la decadenza già intervenuta per effetto della perdita dei benefici della precedente rateazione.

    Pertanto, anche nel caso in cui il contribuente sia riammesso alla definizione agevolata, ciò non è idoneo a conservare gli effetti del CPB.

    La risposta ad interpello n. 176/2025 conferma un principio centrale nel nuovo impianto del concordato preventivo biennale: la permanenza nei regimi premiali richiede una condizione continuativa di compliance fiscale

    La semplice riammissione a una procedura agevolata non sana le cause di decadenza già verificatesi né reintegra retroattivamente i requisiti per il CPB.

    Per i consulenti e i contribuenti interessati al CPB, è fondamentale coordinare attentamente tutte le posizioni debitorie pendenti, soprattutto nei rapporti con Agenzia Entrate-Riscossione.

    Allegati:
  • Attualità

    Passaporto presso Poste: tutte le regole per richiederlo

    Il passaporto può essere rinnovato o richiesto anche negli uffici postali. 

    Secondo gli accordi (stipulati in data 28 febbraio 2024) tra il Ministero dell'Interno e Poste Italiane il servizio, partito inizialmente in via sperimentale nel piccolo comune di San Pietro in Casale (Bo) è estato esteso a molti altri comuni del territorio Italiano.

    Con il Decreto 3 luglio 2024 rubricato “Determinazione dell'importo dell'onere a carico dell'interessato per presentare l'istanza di rilascio del passaporto elettronico presso gli sportelli degli uffici postalisono stati definiti gli importi da corrispondere.

    Tale onere, inizialmente fissato in euro 14,20 IVA inclusa, ora viene rideterminato con Decreto del 21 maggio 2025 come segue:

    Il costo del servizio a carico  del richiedente  per  ricevere  il passaporto elettronico al proprio domicilio, mediante spedizione con apposito invio fornito in assicurazione ed eseguito da operatori postali, è fissato in euro 9,88 (nove/88). 

    L'importo  dovrà essere versato  in  denaro  contante  all'operatore  postale addetto alla consegna. 

    Oltre al costo su indicato infatti ai fini del rilascio del passaporto devono essere considerati il pagamento degli oneri dovuti per legge:

    • il bollettino per il passaporto ordinario 42,50 euro, effettuato a nome di chi richiede il passaporto attraverso un bollettino postale di conto corrente n. 67422808 intestato al Ministero dell'Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro con la causale: “importo per il rilascio del passaporto elettronico" e 
    • una marca da bollo da 73,50 euro in contrassegno telematico acquistabile nelle rivendite di valori bollati o nelle tabaccherie.

    per un totale di 130,20 euro.

    Passaporto presso Poste: come fare

    Il servizio di rinnovo e rilascio passaporti presso Poste è attivo in molti comuni italiani.

    Per verificare se è presente nel proprio comune cliccare qui. 

    Il servizio per il rilascio del passaporto prevede che per richiederlo si debba consegnare all’operatore dell’ufficio postale:

    • un documento di identità valido, 
    • il codice fiscale, 
    • due fotografie una delle quali autenticata, 
    • e pagare in loco il bollettino per il passaporto ordinario (42,50 euro) e una marca da bollo da 73,50 euro.

    Invece per il rinnovo del passaporto sarà necessario consegnare all'ufficio postale:

    • oltre ai documenti su indicati,
    • anche il vecchio passaporto o la copia della denuncia di smarrimento o furto del vecchio documento. 

    Grazie alla piattaforma tecnologica in dotazione agli Uffici Postali Polis, l’operatore raccoglierà le informazioni e i dati biometrici del cittadino (impronte digitali e foto), ritirando il vecchio passaporto o la copia della denuncia di smarrimento in caso di rinnovo, e invierà poi tutta la documentazione all’ufficio di Polizia di riferimento.

    Ricordiamo che il servizio di cui si tratta rientra nel progetto “Polis – Case dei servizi di cittadinanza digitale”, promosso dal Mimit con Poste Italiane nell’ambito del Piano Nazionale Complementare al PNRR, che tra le altre iniziative prevede la creazione di “sportelli unici” di prossimità nei Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti per facilitare l’accesso dei cittadini residenti ai servizi pubblici in modalità digitale.

    Con l’avvenuta stipula di Convenzioni di servizio con l’INPS, il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Interno, sono attivi presso gli Uffici Polis i servizi relativi al rilascio dei certificati anagrafici e di stato civile, dei certificati previdenziali e di alcuni servizi giudiziari. 

    I nuovi servizi sono forniti dagli Uffici Postali allo sportello, nelle sale dedicate o tramite totem digitali che permetteranno al cittadino di eseguire le richieste in modalità self-service.

  • Agevolazioni per le Piccole e Medie Imprese

    Tax credit opere audiovisive: nuove regole

    Il tax credit relativo alla produzione nazionale e internazionale di opere audiovisive, ossia l’incentivo fiscale che consente all’industria cinematografica di sostenere la produzione, la distribuzione e la promozione di tali opere cambia forma.

    Le nuove disposizioni arrivano con due Decreti della direzione generale Cinema e Audiovisivo del ministero della Cultura, che rafforzano la trasparenza e la tracciabilità dell’agevolazione fiscale.

    Tax credit opere audiovisive: nuove regole

    Il tax crediti consiste nel riconoscimento di crediti di imposta calcolati sulla base dei costi sostenuti per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale e internazionale di film, opere tv, opere web, videogiochi e per l’apertura o ristrutturazione di sale cinematografiche, per i costi di funzionamento delle sale stesse e per le industrie tecniche. 

    Esso spetta a condizione che l’opera per la quale viene richiesto abbia “eleggibilità culturale”, determinata in base a un punteggio minimo.
    Il tax credit è previsto anche in relazione alla spesa sostenuta, sul territorio nazionale, per la realizzazione di opere audiovisive non aventi il requisito della nazionalità italiana, realizzate utilizzando manodopera italiana, su commissione di produzioni estere (tax credit internazionale).

    Il bonus è regolato dalla Legge Cinema o legge n 220/2016 e numerosi decreti ministeriali hanno completato la disciplina, demandando a decreti direttoriali la definizione delle ulteriori modalità, disposizioni tecniche e applicative per il riconoscimento del credito d’imposta.

    Con l’obiettivo di rafforzare la trasparenza e garantire un controllo più efficace sui costi e sulla tracciabilità dei flussi finanziari, la direzione generale Cinema e Audiovisivo del ministero della Cultura ha ritenuto di aggiornare il quadro provvedimentale, emanando:

    • a) il Decreto Direttoriale n 2540 del 26 giugno 2025, in materia di tax credit produzione internazionale
    • b) il Decreto Direttoriale n 2541 del 26 giugno 2025, per la produzione nazionale.

    Entrambi gli atti delineano in modo specifico le procedure di accesso per le imprese al fine dell'ottenimento del credito di imposta.

    Vediamo le principali novità che essi hanno apportato alla disciplina:

    • viene previsto l’obbligo di un conto corrente dedicatoda parte dei beneficiari degli incentivi. Sempre al fine di garantire la tracciabilità, e con riferimento alle richieste a consuntivo, sono state dettate regole precise per la fatturazione. Le fatture, i documenti di spesa e la documentazione attestante i pagamenti, di importo superiore a mille euro, emessi a partire dalla data di pubblicazione dei decreti direttoriali, devono riportare obbligatoriamente l’indicazione del titolo dell’opera a cui si riferiscono, pena l’ineleggibilità del costo; sempre a pena di ineleggibilità del costo, tutte le fatture e i documenti attestanti i costi eleggibili devono essere pagati mediante strumenti di pagamento che consentano la piena tracciabilità dei flussi finanziari e a valere sul conto dedicato. Non sono considerati eleggibili i costi la cui regolazione è avvenuta con lo strumento della compensazione di posizioni di debito e credito con i fornitori di beni o servizi;
    • la direzione generale Cinema e Audiovisivo (Dgca) potrà richiedere, anche ai fini della cedibilità del credito di imposta, una perizia di congruità sui costi eleggibili dichiarati, redatta da un soggetto terzo e indipendente e in possesso di adeguati requisiti di esperienza e professionalità e secondo metodologie e standard di riferimento preventivamente comunicate;
    • rafforzate le regole già in vigore per l’assunzione del personale e l’affidamento di servizi a soggetti esterni. Tra gli allegati da fornire dai richiedenti vi sarà l’elenco del personale coinvolto in ciascuna prestazione, con indicazione del codice fiscale e del relativo costo; la documentazione attestante il pagamento in favore del fornitore, secondo le modalità indicate dai decreti stessi; l’autodichiarazione del fornitore attestante: 
      • i. l’assenza di sub contrattazione a soggetti terzi in modalità “a cascata”;
      •  ii. l’eleggibilità delle spese sostenute; iii. con riferimento alla propria impresa e relativamente alla specifica fornitura, le autodichiarazioni sugli aspetti lavoristici (cfr articolo 2 di entrambi i decreti)
    • per il tax credit internazionale arriva l’obbligo di consegna della copia dell’opera.

    Attenzione al fatto che il Ministero ha comunicato che sono in arrivo altri dettagli tecnici con ulteriori avvisi, consultare il sito di riferimento, clicca qui, per ulteriori novità.

  • Accertamento e controlli

    Accertamento bancario: quando è valido anche senza i numeri di conto corrente

    Con l’Ordinanza n. 15021/2025 la Cassazione ha ribadito un principio consolidato in materia di accertamenti bancari: l’assenza dei numeri di conto corrente negli avvisi di accertamento non ne inficia la validità, qualora il contribuente abbia ricevuto informazioni sufficienti per esercitare il proprio diritto di difesa.

    Il fatto.

    Accertamento bancario: quando è valido anche senza i numenri di conto corrente

    Il caso di specie prende avvio da un invito delle Entrate ad una ditta individuale in relazione agli anni di imposta del 2008 e 2009.

    Si notificava un invito con cui si richiedeva di giustificare i movimenti finanziari in entrata e in uscita in relazione a sedici conti correnti relativi a cinque istituti bancari.

    Dopo il contraddittorio venivano notificati due avvisi di accertamento con i quali si contestavano maggiori ricavi non dichiarati per diversi milioni di euro, sulla base di movimentazioni bancarie non giustificate.

    Il contribuente impugnava gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva i ricorsi, ritenendo carente la motivazione degli avvisi per mancata indicazione dei numeri di conto corrente. 

    La decisione veniva confermata in appello. L’Agenzia impugnava la sentenza di appello ricorrendo in Cassazione.

    La Cassazione con l'Ordinanza n 15021/2025 evidenziava che l’assenza dei numeri di conto corrente non è sufficiente a rendere nullo l’accertamento, se il contribuente ha comunque ricevuto informazioni adeguate per comprendere la pretesa fiscale e difendersi.

    L'Agenzia infatti aveva fornito oltre mille pagine di documentazione, con indicazione degli istituti bancari, delle partite Iva e degli importi contestati e durante il contraddittorio, il contribuente aveva avuto modo di fornire giustificazioni e richiedere ulteriori documenti alle banche.

    La Casssazione con una consolidata giurisprudenza ha chiarito che non si può confondere il piano della motivazione dell’atto con quello della prova della pretesa tributaria.

    Infatti, ad avviso della Corte il primo serve a spiegare perché si procede all’accertamento, il secondo riguarda la fondatezza della pretesa nel merito.

    Pertanto, non sussiste alcun vizio di motivazione dell'avviso di accertamento così come prospettato dai giudici di appello.

    La Corte di Cassazione ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria adempie al proprio onere probatorio producendo gli estratti conto, mentre spetta al contribuente dimostrare, in modo analitico, che le movimentazioni non sono riferibili a delle operazioni imponibili.

    Relativamente all'accertamento delle imposte sui redditi, qualora esso sia effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili, mentre l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti correnti.

    Cpncludendo la legittimità di un accertamento non si misura solo sulla forma, ma sulla sostanza delle informazioni fornite.

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    Superbonus al 110% anche nel 2026 per i terremotati

    Il DL n 95/2025 in vigore dal 1° luglio tra le novità fiscali, ne contiene una per il superbonus 110%.

    In particolare si estende al 2026 la spettanza dell'aliquota piena del bonus ai soggetti situati nei territori del cratere, vediamo le condizioni.

    Superbonus al 110% anche nel 2026 per i terremotati

    Il DL n 95/2025 con l'art 4 prevede che il superbonus al 110% spetti ancora per il 2026 con possibilità di opzione per la cessione del credito o lo sconto in fattura, al fine di consentire il completamento dei cantieri nelle zone colpite dal sisma.

    In particolare, la disposizione è volta a prorogare il termine di operatività degli Uffici speciali per la ricostruzione del Comune dell’Aquila e dei Comuni del cratere, allo stato avente come scadenza il 31 dicembre 2025.
    Si consente l’accesso alla detrazione per gli incentivi fiscali del superbonus (di cui ai commi 1-ter e 4- quater dell’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) per gli interventi effettuati nei comuni dei territori colpiti da eventi sismici verificatisi nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria a far data dal 24 agosto 2016 dove sia stato dichiarato lo stato di emergenza, anche per le spese sostenute nell’anno 2026, nella misura del 110 per cento, alla condizione che il beneficio sia fruito mediante l’opzione per lo sconto in fattura del valore delle prestazioni e cessione del credito corrispondente, ai sensi dell’articolo 121, comma 1 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.
    Si proroga al 2026 la deroga al generale divieto di esercizio delle opzioni alternative alla detrazione quali sconto in fattura e cessione del credito.