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Riforma Fiscale: delega prorogata fino al 29 agosto 2026
L’orizzonte temporale per il completamento della riforma fiscale avviata nel 2023 viene ufficialmente esteso.
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, sabato 9 agosto, della legge n. 120 dell’8 agosto 2025, sono state introdotte modifiche mirate alla legge n. 111/2023, che aveva conferito la delega per la revisione complessiva del sistema tributario.
Il provvedimento, composto da un unico articolo, interviene su cinque punti centrali della legge delega, con lo scopo di rimodulare scadenze, definire con maggiore precisione gli ambiti di intervento e aggiornare i criteri direttivi, così da armonizzare l’attuazione della riforma con il calendario, particolarmente complesso, previsto per il riordino del fisco.
In particolare, si estende da 24 a 36 mesi il termine per l’adozione dei decreti legislativi di revisione del sistema tributario, decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge n. 111/2023, posticipando di fatto la scadenza al 29 agosto 2026 (in luogo del 29 agosto 2025).
Contestualmente, la scadenza per l’emanazione di eventuali provvedimenti correttivi o integrativi è posticipata al 29 agosto 2028, restando comunque invariata la previsione di una proroga automatica di 90 giorni qualora i pareri parlamentari vengano espressi in ritardo.
Di seguito si propone un’analisi delle modifiche introdotte, organizzata in base alle previsioni dell’articolo 1 della legge delega.
Riforma Fiscale: più tempo per l’adozione dei decreti attuativi
Come anticipato, il testo proroga dal 29 agosto 2026 il termine entro cui il Governo può esercitare il potere di delega previsto dalla legge 9 agosto 2023, n. 111, in materia di riforma del sistema fiscale e, di conseguenza, il termine per l’adozione dei decreti correttivi e integrativi al 29 agosto 2028.
Inoltre, viene rivisto uno dei principi di delega, prevedendo la possibilità di estendere anche ai tributi regionali e locali la disciplina del trattamento dei debiti tributari prevista dagli articoli 23, 63, 64-bis, 88, 245 e 284-bis del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019), relativa al pagamento parziale o dilazionato dei tributi.
È confermata, inoltre, la facoltà di introdurre un’analoga disciplina per l’istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Infine, viene inserito un nuovo principio di delega che affida al legislatore delegato il compito di:
- uniformare l’ordinamento, lo stato giuridico e il ruolo dei magistrati tributari, per quanto compatibili, a quelli della magistratura ordinaria;
- disciplinare, fatte salve le prerogative dell’avvio del procedimento disciplinare attribuite al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, nonché le competenze decisorie del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, le fattispecie disciplinari con le relative sanzioni e procedure, il regime delle incompatibilità, la dispensa dal servizio e il trasferimento d’ufficio.
Riforma fiscale: testi unici rinviati al 2026
Nella versione originaria dell’articolo 21, comma 1, della legge n. 111/2023, il Governo era incaricato di emanare, entro il 31 dicembre 2025, uno o più decreti legislativi per il riordino organico della normativa tributaria, seguendo le procedure indicate dall’articolo 1 della stessa legge.
Con la modifica introdotta dalla lettera e), il termine viene esteso di un anno, ovvero la predisposizione dei testi unici fiscali slitta infatti al 31 dicembre 2026.
L’intervento si inserisce nel quadro della più ampia proroga dei termini di delega prevista dalla lettera a), garantendo coerenza tra le diverse scadenze dell’attuazione della riforma.
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Regime di tassazione dei redditi dei terreni: nuove istruzioni dell’Agenzia delle Entrate
L’8 agosto 2025 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Circolare n. 12/E, con la quale ha fornito agli Uffici le indicazioni operative sul riordino del regime di tassazione dei redditi dei terreni.
Si tratta di un intervento attuativo del decreto legislativo n. 192/2024, emanato in applicazione della legge delega per la riforma fiscale (legge n. 111/2023), che introduce un quadro aggiornato e più inclusivo per le attività agricole, riconoscendo anche quelle tecnologiche e orientate alla sostenibilità ambientale.
Un concetto di reddito agrario più ampio
La riforma amplia il perimetro delle attività considerate produttive di reddito agrario, includendo anche quelle che non si basano direttamente sullo sfruttamento del terreno ma sono legate alla cura di un ciclo biologico, realizzate con tecniche innovative.
Rientrano ora nella tassazione catastale:
- coltivazioni “fuori suolo” in fabbricati accatastati (categorie C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10), come vertical farm, colture idroponiche o micropropagazione in vitro, entro il limite di superficie definito dalla normativa,
- produzioni agricole “green”, comprese quelle che generano beni immateriali come i crediti di carbonio certificati, se realizzate con modalità virtuose sotto il profilo ambientale.
In entrambi i casi, i redditi così prodotti sono assoggettati a un regime fiscale semplificato, basato su tariffe catastali, e non più alla tassazione ordinaria, entro specifici limiti quantitativi.
Nuove regole per reddito dominicale e agrario
La circolare dettaglia il metodo di calcolo:
- a regime, la determinazione avverrà secondo criteri stabiliti da un decreto interministeriale, che definirà anche la “superficie agraria di riferimento”;
- in via transitoria, si applica la tariffa d’estimo più alta della provincia, incrementata del 400%, sia per il reddito dominicale sia per quello agrario, rapportata alla superficie della particella catastale su cui insiste l’immobile produttivo.
È previsto inoltre un confronto obbligatorio tra il reddito dominicale rivalutato e la rendita catastale dell’immobile: se quest’ultima è più alta, diventa la base imponibile minima.
Attività agricole a tutela dell’ambiente
La nuova lettera b-ter) dell’art. 32 TUIR qualifica come reddito agrario i proventi derivanti dalla produzione di beni, anche immateriali, ottenuti da coltivazione, allevamento o silvicoltura che contribuiscono alla tutela ambientale e alla lotta ai cambiamenti climatici, un esempio tipico è la cessione di crediti di carbonio.
Questi redditi sono tassati catastalmente fino a concorrenza di un limite di “agrarietà” calcolato sui corrispettivi delle altre cessioni di beni agricoli.
L’eccedenza rispetto al limite è considerata reddito d’impresa, determinato forfettariamente applicando un coefficiente di redditività del 25%.
Società agricole e regime catastale
Il decreto estende i criteri forfettari dell’art. 56-bis TUIR anche alle società agricole che hanno optato per la tassazione catastale ex legge 296/2006.
Tuttavia, per l’attività agrituristica restano ferme le regole speciali previste dalla legge n. 413/1991:
- il reddito è determinato applicando il coefficiente del 25% sui ricavi,
- con esclusione della possibilità di utilizzare il regime forfettario dell’art. 56-bis per questa specifica attività.
Aggiornamento digitale del catasto
Infine, l’articolo 2 del decreto introduce una procedura automatizzata di aggiornamento delle qualità e classi di coltura per i terreni monitorati da AGEA.
I proprietari e conduttori non dovranno più presentare la denuncia di variazione colturale per queste particelle: sarà AGEA stessa a comunicare le modifiche al catasto. L’obbligo resta solo per i terreni non sottoposti a monitoraggio.
Le nuove disposizioni si applicano ai redditi prodotti a partire dal periodo d’imposta 2024, per i contribuenti con anno solare coincidente con il periodo d’imposta.
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Tax Control Framework: nuove schede tecniche sulla gestione del rischio fiscale
L’Agenzia aggiorna le linee guida sul Tax Control Framework con 3 schede tecniche su swap, diritto di superficie e obbligazioni convertibili.
Con il Provvedimento n. 321934 del 7 agosto 2025, l’Agenzia delle Entrate ha approvato nuove e specifiche istruzioni in materia di mappatura dei rischi fiscali derivanti dai principi contabili applicati dai contribuenti, in attuazione dell’articolo 4, comma 1-quater, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
Le istruzioni, elaborate congiuntamente all’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), integrano le Linee guida sul sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (Tax Control Framework – TCF) già approvate il 10 gennaio 2025 (leggi anche Adempimento collaborativo: le linee guida per obblighi e certificazioni).
Il documento fa parte della strategia di rafforzamento del Regime di adempimento collaborativo, volto a garantire certezza nell’applicazione della norma tributaria, ridurre il contenzioso e promuovere un dialogo costruttivo tra imprese e Amministrazione finanziaria.
Scarica il testo del Provvedimento e le 3 nuove Schede tecniche allegate:
- Allegato 1 – Recesso anticipato da un contratto di commodity swap: trattamento contabile e fiscale
- Allegato 2 – Trattamento contabile, ai fini delle imposte sui redditi, del corrispettivo per la concessione del diritto di superficie
- Allegato 3 – Emissione e chiusura di un prestito obbligazionario convertibile a tasso zero: trattamento contabile e fiscale.
Contesto normativo e obiettivi
Il Regime di adempimento collaborativo, introdotto dal D.Lgs. 128/2015 e recentemente modificato dal D.Lgs. 221/2023 e dal D.Lgs. 108/2024, prevede che le imprese aderenti dispongano di un TCF efficace, ora soggetto a certificazione anche in relazione alla conformità ai principi contabili.
Le nuove istruzioni operative, predisposte nell’ambito del tavolo tecnico Agenzia–OIC istituito il 10 ottobre 2024, mirano a standardizzare e uniformare le modalità di individuazione e gestione dei rischi fiscali connessi alle scelte contabili, facilitando così la transizione verso modelli certificati e riconosciuti.
Le tre nuove schede tecniche approvate
Il provvedimento allega tre schede di mappatura dei rischi che forniscono indicazioni di trattamento contabile e fiscale per specifiche operazioni:
- Recesso anticipato da un contratto di commodity swap
- disciplina le modalità di contabilizzazione della riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi e la rilevanza fiscale del provento derivante dalla chiusura anticipata del derivato,
- il principio di derivazione rafforzata guida la rilevazione ai fini IRES e IRAP in coerenza con la rappresentazione in bilancio.
- Corrispettivo per la concessione del diritto di superficie
- stabilisce che i canoni periodici percepiti per la costituzione di un diritto di superficie a tempo determinato siano contabilizzati come ricavi e non come plusvalenze,
- ai fini fiscali, per i soggetti “Nuovi OIC” si applicano le regole di qualificazione e imputazione temporale derivanti dalla corretta contabilizzazione.
- Emissione e chiusura di un prestito obbligazionario convertibile a tasso zero
- illustra il trattamento IAS/IFRS della componente di debito e di equity, la ripartizione dei costi di transazione e la rilevazione degli interessi passivi “sostanziali”,
- prevede il regime fiscale sia nella fase di vita del titolo sia alla scadenza, con e senza esercizio del diritto di conversione.
Implicazioni per le imprese
Le nuove schede tecniche rappresentano strumenti operativi per i contribuenti, in particolare per le società di maggiori dimensioni e complessità, che intendono aderire o già aderiscono al Regime di adempimento collaborativo. Esse consentono di:
- uniformare i comportamenti contabili e fiscali su operazioni tipiche e potenzialmente critiche;
- ridurre il rischio di contestazioni grazie alla preventiva mappatura e gestione delle fattispecie sensibili;
- facilitare il processo di certificazione del TCF, ora requisito obbligatorio.
Il provvedimento ribadisce inoltre che le istruzioni potranno essere periodicamente aggiornate o integrate, ampliando il ventaglio di casistiche esaminate.
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IRES premiale: regole, condizioni e cause di decadenza
L’articolo 1, commi 436-444, della legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) ha introdotto, per il solo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024, una riduzione di quattro punti percentuali dell’aliquota IRES (dal 24% al 20%), quale misura incentivante per le imprese che destinano una quota significativa dell’utile a investimenti rilevanti, incremento occupazionale e altre finalità strategiche.
Il nuovo decreto attuativo del MEF, pubblicato l'8 agosto 2025, disciplina nel dettaglio:
- le modalità di accesso,
- le tipologie di investimenti ammessi,
- i vincoli,
- le esclusioni e le cause di decadenza,
coordinandosi con le altre disposizioni tributarie interessate.
Ambito soggettivo
Possono beneficiare dell’agevolazione:
- le Società di capitali, cooperative e società di mutua assicurazione residenti;
- gli Enti commerciali residenti;
- le Stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti;
- gli Enti non commerciali limitatamente al reddito d’impresa da attività commerciale.
Sono esclusi dalla riduzione dell’aliquota IRES, le società e gli enti che:
- nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024:
- sono in liquidazione ordinaria o sono assoggettati a procedure concorsuali di
natura liquidatoria di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14; - determinano il proprio reddito imponibile anche parzialmente, sulla base di
regimi forfetari;
- sono in liquidazione ordinaria o sono assoggettati a procedure concorsuali di
- nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024 applicano il regime di
contabilità semplificata.
Condizioni di accesso alla riduzione dell’aliquota IRES
Per usufruire della riduzione, occorre rispettare tutte le seguenti condizioni:
1. Condizioni di accesso relative all’accantonamento dell’utile
Le condizioni di accesso relative all’accantonamento dell’utile sono:
- almeno l’80% dell’utile 2024 va accantonato in apposita riserva, anche per copertura perdite o destinazione a capitale;
- almeno il 30% dell’utile accantonato (e comunque non meno del 24% dell’utile 2023) deve finanziare investimenti rilevanti.
Per chiarire il calcolo della soglia minima di investimento, la relazione illustrativa che accompagna il decreto, propone il seguente caso:
Esempio
Una S.p.A. con esercizio coincidente con l’anno solare consegue nel 2024 un utile di 100, distribuendone 20 ai soci.
Nel 2023 aveva realizzato un utile di 150 assorbito in parte dalla perdita dell’esercizio 2022 di 60.
L’investimento minimo per accedere alla riduzione IRES sarà pari a:- 2024: 100 x 0,80 x 0,30 = 24;
- 2023: 150 x 24 = 36.
Si prende il maggiore tra i due valori: 36.
Pertanto l’impresa dovrà effettuare investimenti rilevanti per almeno 36 per fruire dell’agevolazione.2. Condizioni di accesso relative agli investimenti rilevanti
Ai soggetti che accantonano l’utile alle condizioni e nei limiti di cui sopra, la riduzione dell’aliquota IRES spetta a condizione che siano realizzati gli investimenti rilevanti. Costituiscono investimenti rilevanti quelli che hanno a oggetto:
- Beni “Industria 4.0” e beni immateriali correlati (allegati A e B, L. 232/2016);
- Beni previsti dal piano “Transizione 5.0” (art. 38 D.L. 19/2024) legati a riduzione dei consumi energetici.
Gli investimenti rilevanti devono essere realizzati, a decorrere dal 1° gennaio 2025, ma entro la scadenza del termine ordinario per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 (per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno civile, entro il 31 ottobre 2026).
Si fa riferimento, infatti, al termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei redditi. Per espressa previsione contenuta nel secondo periodo, il termine per la realizzazione degli investimenti rilevanti si determina avendo riguardo a un periodo d’imposta pari a 12 mesi se l’esercizio ha durata superiore.
L’ammontare minimo degli investimenti rilevanti è determinato in misura pari al maggiore fra i seguenti importi:
- 30% dell’utile accantonato, ai sensi dell’articolo 4;
- 24% dell’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
- 20.000 euro.
3. Condizione di accesso relativa alla base occupazionale
La riduzione dell’aliquota IRES spetta a condizione che:
- nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024:
- il numero di unità lavorative per anno non sia diminuito rispetto alla media del triennio precedente;
- siano effettuate nuove assunzioni di lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato che costituiscano incremento occupazionale ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 216, in misura pari ad almeno l’1 per cento del numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato mediamente occupati nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024 e, comunque, in misura non inferiore a un lavoratore dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato;
- l’impresa non abbia fatto ricorso alla CIG nel 2024 o 2025, salvo eventi transitori non imputabili all’impresa (es. intemperie stagionali).
Cause di decadenza
Il beneficio viene revocato se:
- la quota di utile accantonata (netta delle perdite) viene distribuita entro il secondo esercizio successivo al 2024;
- i beni agevolati sono dismessi, ceduti o delocalizzati all’estero entro 5 anni dall’acquisto, salvo sostituzione con beni analoghi o superiori.
In caso di decadenza, l’impresa deve restituire la differenza d’imposta, versandola entro il saldo del periodo in cui si verifica l’evento.
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Accertamento analitico-induttivo: costi deducibili in via presuntiva
La Corte di Cassazione, con ordinanza depositata a luglio, interviene su un caso di accertamento fiscale ai danni di una società e dei suoi soci, ribadendo un principio importante: anche nell’accertamento analitico-induttivo il contribuente può dedurre i costi in via presuntiva.
Si tratta di una pronuncia destinata ad avere rilevanza pratica, soprattutto alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023.
Accertamento analitico-induttivo: costi deducibili in via presuntiva
Il caso riguarda una società sas e i suoi soci, destinatari di un avviso di accertamento per l’anno 2014, con riprese fiscali ai fini IRAP, IRPEF e IVA. L’Amministrazione finanziaria aveva riscontrato ricavi non contabilizzati e costi indeducibili, rinvenendo documentazione extracontabile nel corso di una verifica condotta dalla Guardia di Finanza.
L’accertamento, oltre che sulla società, fu esteso ai soci secondo la disciplina della trasparenza (art. 5 del TUIR), e fu impugnato avanti alle Commissioni tributarie provinciale con esito sfavorevole ai contribuenti.
In secondo grado, la Corte di Giustizia Tributaria Regionale confermava la validità dell’atto impositivo, valorizzando la “contabilità parallela” rinvenuta presso la sede della società e ritenendo inidonei gli elementi difensivi prodotti dai ricorrenti.
I contribuenti ricorrevano in Cassazione affidando la propria difesa a cinque motivi di impugnazione, tutti volti a contestare:
- la carenza di motivazione della sentenza d’appello;
- l’uso improprio di presunzioni semplici;
- l’omessa considerazione di documentazione giustificativa dei costi sostenuti;
- il mancato riconoscimento dei costi relativi ai ricavi presunti.
I primi quattro motivi sono stati rigettati dalla Corte, che ha confermato la piena motivazione della sentenza d’appello, e la legittimità dell’uso di elementi extracontabili a fini probatori.
La Cassazione però con il quinto motivo, in cui i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento di costi correlati ai maggiori ricavi accertati ad opera della Corte di Giustizia Tributaria regionale.
La Cassazione, al contrario, ha accolto il motivo, affermando un principio aggiornato sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023.
Secondo la Suprema Corte, anche in presenza di accertamento analitico-induttivo – cioè basato su anomalie parziali nella contabilità ma non completamente privo di riferimenti – il contribuente può opporre la prova contraria in forma presuntiva, sostenendo l’esistenza di costi proporzionati ai ricavi presunti.
In particolare, la Cassazione ha evidenziato come, dopo la sentenza n. 10/2023 della Consulta, sarebbe irragionevole non riconoscere al contribuente tale possibilità, creando una disparità rispetto a chi è sottoposto ad accertamento induttivo puro, dove invece la deduzione forfetaria dei costi è già ammessa.
Nell’ordinanza, la Corte afferma espressamente che “In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2023, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfetaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall'ammontare dei maggiori ricavi presunti.”
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Vincita al gioco: serve prova analitica contro le presunzioni bancarie
Con l’ordinanza n. 18172/2025, la Cassazione ribadisce l’impianto rigoroso del regime probatorio nelle indagini finanziarie fondate sull’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 e in particolare, non basta asserire che i movimenti bancari traggano origine da una vincita al Superenalotto per sottrarsi alle presunzioni di imponibilità, il contribuente deve fornire una prova piena, analitica e specifica per ogni operazione contestata, documentando non solo la fonte del denaro, ma anche la tracciabilità dei flussi.
Vincita al gioco: serve prova analitica contro le presunzioni bancarie
L’Agenzia delle entrate notificava ad un contribuente promotore finanziario, un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006, contestando un maggior reddito imponibile ai fini Irpef, Iva e Irap.
L’accertamento si basava sulle risultanze di indagini bancarie, che avevano evidenziato movimentazioni sospette sui conti correnti del contribuente.
Il contribuente impugnava l’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale sostenendo che le somme contestate non derivassero da redditi occultati, ma da una vincita al Superenalotto i cui proventi erano stati affidati a una parente che mano mano gli restituiva gli importi.
La CTP accoglieva il ricorso, annullando l’avviso ma ricorrrendo in appello alla Commissione tributaria regionale l'agenzia risultava in parte vincitrice poichè i giudici riducevano l'importo accertato ritenendo in parte provata la tesi difensiva.
L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione, con quattro motivi, tutti accolti dalla suprema Corte.
La Cassazione ha ritenuto contraddittoria e apparente la motivazione della CTR che da un lato ha riconosciuto l’insufficienza probatoria delle giustificazioni fornite dal contribuente, ma dall’altro ha comunque accolto in parte il ricorso.
In particolare, la Corte ha ribadito che per superare la presunzione di imponibilità delle somme versate sui conti correnti, il contribuente deve fornire prova puntuale e specifica della loro provenienza. Nel caso di vincite al gioco, ciò implica l’esibizione dello “scontrino” originale della giocata, non una generica attestazione bancaria.
Nel caso di specie la documentazione prodotta era priva di elementi essenziali mancando:
- il timbro di ricevuta,
- l’indicazione del soggetto che aveva presentato il titolo all’incasso
- la destinazione delle somme.
Inoltre, la parente indicava negava la vinvita ma sosteneva di aver ricevuto somme a titolo di restituzioni di un prestito personale.
La Corte ha inoltre censurato la decisione della CTR per aver considerato giustificati anche versamenti effettuati da soggetti terzi, mai invocati dal contribuente.
La Cassazione ha ribadito che, in base all’orientamento consolidato i redditi dei promotori finanziari devono essere qualificati come redditi d’impresa e la presunzione legale di imponibilità di cui all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 si applica non solo ai versamenti, ma anche ai prelevamenti non giustificati.
Dovendo quindi il contribuente dimostrare analiticamente la causale di ogni singola operazione bancaria.
L’ordinanza n. 18172/2025 in oggetto conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di accertamenti bancari: in presenza di movimentazioni bancarie anomale, il contribuente deve fornire una prova precisa, documentata e coerente della loro natura non reddituale. Non sono sufficienti le mere dichiarazioni o attestazioni generiche per superare la presunzione legale di imponibilità.
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Ripartizione 8xmille: il Governo approva per l’irpef 2024
Il Consiglio dei Ministri del 30 luglio ha deliberato in merito alla ripartizione delle risorse dell’8 per mille relative all’anno 2024 che i contribuenti hanno scelto di destinare allo Stato.
Ripartizione irpef 2024 8xmille: tutti gli importi
Come evidenzia lo stesso Governo nel comunciato stampa pubblicato sul proprio sito istituzionale, le li risorse ammontano, complessivamente, a 202 milioni di euro.
La quota espressa, cioè corrispondente a scelte fatte dai contribuenti tra le varie finalità specifiche cui può essere destinata la quota statale, ammonta a 128 milioni di euro.
La quota inespressa, cioè destinata genericamente allo Stato, senza destinazione specifica da parte del contribuente, ammonta a 73 milioni di euro. Dai 73 milioni deve essere dedotto il 20%, che la legge destina all’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).
Residuano 58,9 milioni di euro che, analogamente all’annualità precedente, vengono destinati alla categoria “Prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche”.
La quota espressa è così ripartita:
- assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati: 9,6 milioni;
- calamità naturali: 25,4 milioni;
- conservazione dei beni culturali: 24 milioni;
- edilizia scolastica: 59,1 milioni;
- fame nel mondo: 19,2 milioni.