• Le Agevolazioni per le Ristrutturazioni Edilizie e il Risparmio Energetico

    Remissione in bonis del cessionario eliminata dall’ F24

    Con Risoluzione n 18 del 7 marzo le Entrate prevedono la soppressione del codice identificativo “10” denominato “cessionario/fornitore dal Modello F24.

    Il codice in oggetto da indicare nel modello F24 Elide, serviva per versare, con la remissione in bonis, la sanzione ridotta in caso di mancato invio della comunicazione dell’opzione per lo sconto in fattura o la prima cessione del credito da bonus edilizi. 

    In particolare, il codice identificativo doveva essere riportato nell’omonimo campo della “sezione” “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare” insieme al codice fiscale del primo cessionario o del fornitore che aveva acquistato il credito.  

    Nel campo doveva essere indicato il codice fiscale del primo cessionario o del fornitore che aveva acquistato il credito.

    Con la Risoluzione in oggetto viene ricordato che con risoluzione n. 58/E del 11 ottobre 2022 sono state impartite istruzioni per il versamento, tramite modello F24 ELIDE, della sanzione dovuta per avvalersi della remissione in bonis, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, ai fini dell’invio della comunicazione dell’opzione per lo sconto in fattura o la prima cessione del credito in relazione alle detrazioni spettanti per lavori edilizi, di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.

    In proposito, l’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39, ha stabilito che “Le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, non si applicano in relazione all’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate dell’esercizio delle opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ivi incluse quelle relative alle cessioni delle rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute negli anni precedenti.”.

    Tanto premesso con la presente risoluzione si procede alla soppressione del codice identificativo “10” denominato “cessionario/fornitore”.

  • Senza categoria

    Bollo di almeno 1 euro sulle criptoattività: replica del MEF

    Con interrogazione parlamentare del 4 marzo presentata da Giulio Centemero e altri parlamentari premesso che:

    • l'articolo 13, comma 2-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972 prevede l'applicazione dell'imposta di bollo proporzionale dello 0,2 per cento in relazione alle comunicazioni periodiche alla clientela relative a prodotti finanziari, anche non soggetti ad obbligo di deposito, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati o relative a cripto-attività di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-sexies), del Testo unico delle imposte sui redditi;
    • con riferimento all'importo dell'imposta di bollo, l'Agenzia delle entrate con circolare n. 48 del 2012, aveva ritenuto applicabile la regola generale prevista per il settore finanziario, precisando che: «L'articolo 3, comma 3, del DPR n. 642 del 1972 stabilisce, infatti, che “In ogni caso l'imposta è dovuta nella misura minima di euro 1, ad eccezione delle cambiali e dei vaglia cambiari di cui, rispettivamente, all'articolo 6, numero 1, lettere a) e b), e numero 2, della tariffa – Allegato A – annessa al presente decreto, per i quali l'imposta minima è stabilito in euro 0,50”»;
    • con successiva circolare n. 30 del 27 ottobre 2023, l'Agenzia delle entrate ha precisato che: «il valore da assoggettare all'imposta di bollo è quello al termine del periodo di rendicontazione o, in caso di mancata rendicontazione, è quello riferibile al 31 dicembre di ogni anno, come rilevabile dall'intermediario o dal prestatore di servizi che applica l'imposta»; rispetto alle modalità e ai termini di versamento dell'imposta, inoltre, l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che «(…) sono gli stessi di quelli previsti attualmente per l'imposta di bollo per le comunicazioni relative ai prodotti finanziari»;

    tuttavia, nello specifico settore delle cripto-attività è ben possibile che il valore delle stesse detenute da un determinato utente sia inferiore a 1 euro lungo tutto l'arco dell'anno civile si domadava se trovi conferma che, nell'ambito della rendicontazione di cripto-attività, debba applicarsi il limite minimo di 1 euro, anche nelle ipotesi in cui la giacenza di cripto-attività – al relativo valore di conversione in fiat, – sia inferiore ad 1 euro.

    Vediamo in sintesi la replica.

    Il MEF ha chiarito che, al di fuori delle ipotesi di non debenza del tributo, l’imposta di bollo del 2 per mille in relazione alle comunicazioni periodiche alla clientela relative alle criptoattività è dovuta nella misura minima di 1 euro, anche qualora il controvalore in euro di tale asset sia inferiore alla soglia di 1 euro durante tutta la durata dell’anno.

  • Senza categoria

    Imponibile un NFT convertito in criptovalute

    La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 8269 del 28 febbraio 2025, prende in esame il caso di un artista che cede le sue opere in formato digitale attraverso un NFT, acronimo di Non Fungible Token, ricevendo in cambio un corrispettivo per la cessione e delle royalties ai trasferimenti successivi.

    Nell’ambito dell’arte telematica, l’utilizzo di un NFT è abbastanza comune, in quanto lo strumento è in grado di garantire la provenienza, l’unicità e l’autenticità dell’opera.

    Ciò che caratterizza la situazione esaminata dalla Corte è il fatto, anche questo tutt’altro che inusuale, che il corrispettivo per la cessione percepito dall’artista fosse regolato in criptovalute, ether nel caso specifico.

    Secondo il contribuente la cessione di NFT dietro pagamento in criptovalute non doveva rappresentare reddito imponibile, in quanto la rilevanza fiscale si sarebbe manifestata nel momento in cui le criptovalute incassate fossero state convertite in valuta fiat.

    La sentenza 8269/2025 della Corte di Cassazione

    Di ben diverso avviso è invece la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza 8269/2025, ritiene che la cessione di un NTF, in questo caso, costituisce reddito imponibile in quanto cessione di una opera d’arte o comunque di un’opera dell’ingegno.

    La fattispecie quindi, secondo l’interpretazione della Corte, non rientrerebbe nel campo delle plusvalenze da cripto-attività, ex articolo 67 comma 1 lettera c-sexies del TUIR, ma nel campo del lavoro autonomo, ex articolo 53 del medesimo codice.

    Il fatto che tale opera sia stata incorporata in un supporto digitale, il Non Fungible Token, il quale esso stesso è l’oggetto digitale che viene trasferito nella compravendita, non cambia la sostanza dell’operazione, in quanto il NFT costituisce una sorta di certificato di autenticità dell’opera che si trasferisce attraverso di esso.

    Inoltre neanche il fatto che il corrispettivo sia stato corrisposto in criptovalute costituisce elemento rilevante in questa situazione: semplicemente, per la corretta quantizzazione del reddito imponibile, l’ammontare percepito in criptovalute dovrà essere convertito in euro, quale valuta fiat corrente.

    Fondamentalmente, in una cessione come quella qui esaminata, rientrante nell’ambito del lavoro autonomo, il fatto che il corrispettivo sia corrisposto in criptovalute costituisce una situazione assimilabile a quella in cui il corrispettivo sia pagato in natura, che può essere facilmente quantizzato in termini monetari attraverso una stima del valore del bene corrisposto.

    Qualcuno potrebbe rilevare, come nota la stessa Corte di Cassazione, che le criptovalute sono soggette a notevoli fluttuazioni del prezzo; ma va detto che questo non costituisce un problema per la determinazione del valore alla data della cessione, dato che tali valori sono ormai facilmente identificabili dalle quotazioni delle criptovaluta a cui possono accedere facilmente anche i contribuenti privati.

    In ragione di tutto ciò, anche nel caso in cui ci sia della buona fede nell’interpretazione fiscale, la mancata dichiarazione di un tale reddito, superati i limiti previsti dall’articolo 4 del Decreto Legislativo 74/2000, comporta la contestazione del reato di dichiarazione infedele.

    Nel complesso la posizione assunta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 8269/2025, presenta una sua coerenza interna.

    Anche se qualcuno volesse contestare il fatto che una tale cessione costituisca davvero reddito di lavoro autonomo, andrebbe puntualizzato che l’applicazione dell’articolo 67 comma 1 lettera c-sexies, con ogni probabilità, non sarebbe comunque favorevole al contribuente.

    Infatti la norma qualifica come redditi imponibili le plusvalenze e gli altri proventi derivanti dalla cessione di cripto-attività, eccezione fatta per il caso in cui avvenga una permuta tra cripto-attività “aventi eguali caratteristiche e funzioni”; se è vero, e lo è, che sia una criptovaluta che un NFT appartengono entrambi alla grande famiglia delle cripto-attività, tuttavia non sembrano quelle caratteristiche e funzioni similari richieste dalla norma, per cui la permuta di un NFT rappresentativo di un’opera d’arte con delle criptovalute con ogni probabilità costituirebbe una fattispecie imponibile anche ai sensi dell’articolo 67 comma 1 del TUIR.

  • Determinazione Imposta IRES

    Errori contabili: come correggerli, rilevanza Ires e Irap

    Con Risposta a interpello n 63 del 4 marzo le Entrate chiariscono il caso di una società che ha erroneamente imputato un bene.

    La questione riguarda la correzione nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2023 di un errore contabile commesso nel 2022. Nello specifico, la società ha erroneamente contabilizzato l’acquisto di due semirimorchi usati come costo di esercizio invece che come beni strumentali ammortizzabili, portando alla loro deduzione immediata nell'anno 2022, con effetti sulle imposte.

    La S.r.l. chiede se la correzione dell'errore possa avvenire direttamente nelle dichiarazioni dei redditi 2023, senza la necessità di presentare una dichiarazione integrativa per il 2022.

    I chiarimenti riguardano l'interpretazione e applicazione delle seguenti disposizioni normative:

    • l'articolo 83, comma 1, del TUIR, come modificato dal Decreto-Legge n. 73/2022 e dalla Legge n. 197/2022, ai fini delle imposte sui redditi delle società (IRES).
    • l'articolo 8, comma 1-bis, del Decreto-Legge n. 73/2022, ai fini dell'IRAP.

    Vediamo la replica delle Entrate.

    Errori contabili: come correggerli se rilevanti per Ires e Irap

    L'agenzia riepiloga che, nel caso di specie, l'errore contabile ha conseguentemente determinato l'erronea imputazione del complessivo ammontare di tale costo nell'anno di acquisto degli automezzi (2022); costo che, invece, doveva essere ripartito lungo l'intera vita utile degli stessi mediante il meccanismo contabile dell'ammortamento.

    L'Istante si interroga sulla possibilità di attribuire rilevanza fiscale (ai fini IRES e IRAP) alla correzione dell'errore contabile derivante da un'errata classificazione di una posta contabile, avvenuta nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2023 (primo esercizio soggetto a revisione legale) attraverso una rettifica (positiva) del saldo degli utili portati a nuovo (trattandosi di un errore qualificato dalla Società come ''rilevante'' in base all'OIC 29).
    Va ricordato che laddove l'errore contabile rappresentato in istanza risultasse, invece, conseguenza di una non corretta applicazione di norme fiscali (ossia, in altri termini, non fosse qualificabile come errore secondo i principi contabili nazionali valutazione che non è riconducibile all'area dell'istituto dell'interpello), le previsioni qui richiamate concernenti la rilevanza fiscale dell'errore contabile non troverebbero, in radice, applicazione.

    L'agenzia precisa che in relazione agli effetti fiscali della correzione degli errori contabili, in base all'attuale formulazione dell'articolo 83, comma 1, del Tuir ''ai soggetti che procedono alla correzione di errori contabili in bilancio e che applicano la ''derivazione rafforzata'' e sono sottoposti a revisione legale, viene riconosciuto a fini fiscali il corrispondente componente correttivo nel medesimo esercizio in cui la correzione è eseguita; possibilità che viene, tramite le previsioni del richiamato
    comma 1bis, estesa anche ai fini dell'IRAP per le voci di bilancio rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile del tributo regionale. La citata modifica normativa, quindi, consente di dare rilevanza ai fini fiscali alla correzione degli
    errori contabili, sia quelli qualificati come ''rilevanti'',
    sia come ''non rilevanti'' in applicazione di corretti principi contabili, nell'esercizio/periodo di imposta in cui avviene la correzione stessa, in luogo della presentazione della dichiarazione integrativa di cui ai commi 8 e 8 bis del decreto del Presidente della Repubblica 2 luglio 1998, n. 322 (che, tuttavia, continua a trovare applicazione in relazione ai casi in cui difettino i requisiti soggettivi e/o oggettivi per la fruizione delle semplificazioni in commento). […]
    Ciò comporta, altresì, che nei confronti del contribuente che procede (sempre nel rispetto delle condizioni richieste dall'articolo 83 del Tuir) a detta correzione risulta preclusa la possibilità di ricorrere alla presentazione di una dichiarazione dei redditi integrativa per emendare quella del periodo d'imposta in cui si è verificato l'errore contabile oggetto della procedura di correzione.

    Analoga soluzione deve ritenersi applicabile anche ai fini dell'IRAP per quanto riguarda la correzione degli errori contabili che riguardano le voci rilevanti ai fini della determinazione del tributo regionale'' (così la richiamata risposta n. 73 del 2024).

    Secondo la Società, l'errata rilevazione del costo sostenuto per l'acquisto degli automezzi avrebbe determinato un'''errata qualificazione della ''natura'' del componente negativo di reddito''; nella specie, si ritiene che l'errore contabile sia ascrivibile a un'errata classificazione della posta contabile in questione, la quale ha comportato, a sua volta, un'errata imputazione temporale di tale costo ai fini IRES e IRAP.

    Nella circolare n. 7/E del 28 febbraio 2011, è stato precisato, in generale, che sotto il profilo contabile ''le qualificazioni attengono alla ''sostanziale'' individuazione degli effetti di ciascuna operazione aziendale, le ''classificazioni'', invece, costituiscono il passo successivo: infatti, una volta individuato il ''modello'' giuridiconegoziale di riferimento e una volta chiarito se l'operazione presenti unicamente profili patrimoniali o si manifesti, in tutto o in parte, come fenomeno reddituale occorre definirne gli specifici effetti che la stessa eventualmente produce sul reddito (e, contestualmente, individuare la specifica appostazione in bilancio dei relativi elementi reddituali e/o patrimoniali)''.

    Ciò implica che una diversa classificazione in bilancio può generare una diversa imputazione temporale dei relativi componenti di reddito.
    In base a quanto indicato dalla Società, l'errore nella classificazione della posta contabile concernente il costo per l'acquisto dei beni in parola ha determinato un errore nella quantificazione (riducendolo) dell'utile di esercizio relativo al 2022, il quale ha assunto, a sua volta, valenza fiscale in quanto ha comportato, in capo alla Società, l'integrale deducibilità (ai fini IRES e IRAP) del costo in parola (senza procedere all'ammortamento di detto costo vista la natura strumentale del bene acquistato a utilità differita)

    Come ricordato nella citata risposta n. 73 del 2024 la finalità delle modifiche introdotte dall'articolo 8, commi 1, lettera b), e 1 bis, del citato decretolegge n. 73 del 2022 risiede nella volontà del Legislatore fiscale di semplificare gli adempimenti degli operatori quando pongono in essere una procedura di correzione di errori contabili in conformità ai principi contabili ''evitando così alle imprese la presentazione di un'apposita dichiarazione integrativa (IRES IRAP) del periodo in cui la componente di reddito avrebbe dovuto essere contabilizzata ed eliminando i connessi oneri di adempimento'' (comunque, a condizione che, per i componenti negativi oggetto di correzione, non siano scaduti i termini per emendare la dichiarazione infedele).
    Valorizzando, dunque, la predetta finalità di semplificazione sottesa alle disposizioni normative in esame, si ritiene che anche nel caso di specie (avente ad oggetto la correzione di un errore di classificazione che ha comportato una a sua volta errata imputazione temporale di componenti negativi) sussistano le condizioni richieste dalla legge per attribuire rilevanza sul piano fiscale (sia ai fini IRES che ai fini IRAP) alla correzione degli errori contabili effettuata dalla Società.
    A tale soluzione non è ostativo il fatto che l'errore contabile sia stato commesso dalla Società nell'ambito di un esercizio non soggetto a revisione legale dei conti. 

    Infatti, data la formulazione delle disposizioni in commento si ritiene che, ai fini della loro applicazione, rilevi solo la circostanza che l'esercizio in cui l'errore viene corretto (ossia, quello nel quale vengono contabilizzate le poste correttive degli errori contabili) sia soggetto a revisione legale (nella specie, il 2023).
    Coerentemente a quanto affermato nella risposta n. 73 del 2024, a fronte del recupero a tassazione dei costi erroneamente dedotti (nel 2022) tramite un'apposita variazione in aumento del reddito imponibile IRES nel 2023, in merito alla quota di ammortamento non dedotta nel 2022 si ritiene che la Società potrà dedurre nel 2023 tale quota nei limiti dell'importo deducibile ai sensi dell'articolo 102, commi 1 e 2, del Tuir per il periodo d'imposta a cui detta quota si riferisce (2022). 

    Infatti, si ricorda che ''[i]n generale, le previsioni introdotte dall'articolo 8 del decreto legge n. 73 del 2022 che attribuiscono rilevanza fiscale alle poste correttive degli errori contabili nei termini sopra detti, non consentono di derogare alle altre norme fiscali (diverse dall'articolo 83 del Tuir) che limitano o riducono la rilevanza fiscale di determinati componenti reddituali (come, ad esempio, i commi 1 e 2 dell'articolo 102 citato). In altri termini, non può ammettersi la deduzione nell'ambito del periodo d'imposta in cui la correzione avviene di un componente negativo di reddito per un importo maggiore di quello ''cristallizzato'' nel singolo periodo d'imposta interessato dall'errore contabile qualora detto errore non fosse stato commesso (ottenendo così, fermo restando il rispetto dei principi contabili, il ripristino, nel periodo d'imposta in cui avviene la correzione, del regime fiscale applicabile al singolo componente reddituale negativo nel periodo d'imposta in cui l'errore che lo riguarda, è stato commesso)'' (così la citata risposta n. 73).
    Inoltre, in relazione al meccanismo di deduzione degli interessi passivi previsto dall'articolo 96 del Tuir, va evidenziato che, fermo restando che anche i componenti reddituali rilevanti ai fini fiscali a seguito della correzione dell'errore contabile concorreranno sempre nel rispetto delle previsioni del comma 4 del menzionato articolo 96 alla determinazione del risultato operativo lordo (ROL) nell'anno in cui viene eseguita la correzione (2023), la Società dovrà tener conto del quantum dei costi in questione che hanno ridotto il ROL riferito al 2022 operando una corrispondente variazione in aumento di quello riferito al 2023 (anno di rilevazione dell'errore), sempreché naturalmente il costo in questione abbia assunto rilevanza ai fini della quantificazione del ROL riferito al 2022. 

    Per quanto riguarda la quota di ammortamento relativa al 2022, poi, la Società dovrà assicurare che questa comunque non concorra alla formazione del ROL per effetto della correzione dell'errore contabile, sempre nel rispetto di quanto stabilito dal comma 4 dell'articolo 96 del Tuir.
    Infine ai fini IRAP, la correzione dell'errore contabile riferito al 2022 comporterà, per il periodo d'imposta 2023: una variazione in aumento del valore della produzione corrispondente ai costi (erroneamente) dedotti nel 2022 ai fini della determinazione del tributo regionale; e una variazione in diminuzione in misura pari alla quota dell'ammortamento degli automezzi relativa al 2022 rilevante ai fini della determinazione del costo della produzione ai fini IRAP ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 199

    Si rimanda alla lettura della Risposta a interpello n 63/2025 per tutti gli approfondimenti del caso.

    Allegati:
  • Agricoltura

    Consulenza aziendale in Agricoltura: nuove regole coerenti con la PAC

    Pubblicato in GU n 52 del 4 marzo il Decreto 19 febbraio 2025 che  istituisce  il  Sistema  di  consulenza aziendale in Agricoltura.

    Il decreto stabilisce  le disposizioni attuative del sistema di consulenza aziendale in agricoltura  al  fine di rendere coerente il sistema di consulenza aziendale,  istituito  dall'art. 1-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  91  convertito, con modificazioni, dalla  legge  11  agosto  2014,  n.  116,  con  le previsioni di cui al regolamento 2021/2115  e  del Piano strategico della PAC 2023-2027 (PSP), elaborato dall'Italia ai  sensi  dell'art. 104 del medesimo regolamento (UE) n. 2021/2115. 

    In sintesi, le disposizioni riguardano la consulenza aziendale resa alle imprese agricole, in relazione a tematiche idonee a perseguire gli obiettivi specifici di cui all’art. 6 del regolamento (Ue) 2 dicembre 2021 n. 2115 e coerenti con l’art. 15 paragrafo 4 del medesimo regolamento, su: “aspetti economici, ambientali e sociali, tenendo conto delle pratiche agronomiche esistenti, oltre a fornire informazioni scientifiche e tecnologiche aggiornate, sviluppate tramite progetti di ricerca e innovazione, anche per quanto riguarda la fornitura di beni pubblici” 

     Ai fini del decreto si intende per: 

    • a)  «consulente»:  persona  fisica  in  possesso  di   qualifiche adeguate e regolarmente formata, che presta la propria opera, per  la fornitura di servizi di consulenza; 
    • b) «destinatario del servizio»:  imprese  agricole,  forestali  e altre imprese operanti in aree rurali a cui sono rivolti i servizi di consulenza; 
    • c) «prestatore di servizi di  consulenza»:  soggetto  pubblico  o privato che presta servizi di consulenza per il tramite di uno o più consulenti adeguatamente qualificati e formati e che,  ove  previsto, contempli, tra le proprie finalità, le attività di consulenza. Sono prestatori di servizi di consulenza anche i liberi professionisti; 
    • d) «Registro unico»: registro nazionale dei prestatori di servizi di consulenza, individuati dalle regioni e province autonome. 
    • e)  «servizi  di  consulenza»:  l'insieme  di  interventi  e   di prestazioni  tecnico-professionali fornite   dai   consulenti   alle imprese, anche in forma aggregata; 
    • f) «tematiche di consulenza»: argomenti oggetto  dei  servizi  di consulenza  idonei  a  perseguire  gli  obiettivi  specifici  di  cui all'art. 6 e coerenti con l'art. 15, paragrafo 4 del  regolamento  UE 2115/2021. 

    Consulenti aziendali in agricoltura: i requisiti

    In particolare ai sensi dell'art 4 del Decreto in oggetto sono considerati in possesso  di  qualifiche adeguate  ai  fini dello svolgimento dell'attività di consulenza gli iscritti agli ordini e  ai collegi  professionali  nelle rispettive tematiche di consulenza.
    Fatte salve le materie per le quali la legge prevede una competenza esclusiva riservata alle categorie professionali di cui al comma 1, sono altresì considerati in possesso di qualifiche adeguate ai fini dello svolgimento dell'attività di  consulenza, i seguenti soggetti: 

    • a) i consulenti in possesso di titolo  di  studio  adeguato  alle tematiche oggetto di consulenza con documentata esperienza lavorativa di  almeno ventiquattro  mesi,  non necessariamente consecutivi, maturata negli ultimi cinque anni solari, nelle medesime tematiche. 
    • b) i consulenti in possesso di titolo  di  studio  adeguato  alle tematiche  oggetto di consulenza  e attestato di   frequenza/con profitto, al termine di una formazione di base che rispetti i criteri minimi di cui al successivo comma 3. 

    Le attività di formazione di base devono rispettare i  seguenti criteri minimi:

    • a) essere svolte da soggetti pubblici, enti riconosciuti  o  enti di formazione accreditati, a livello regionale, nazionale o unionale; 
    • b) avere una durata non inferiore a  24  ore  in  ciascuna  delle tematiche per le quali si intende svolgere il servizio di consulenza, che  puo'  includere  anche  i  temi  connessi  alla  metodologia  di erogazione del servizio di consulenza. 
    • c) prevedere al  termine  del  percorso  formativo  una  verifica finale con il rilascio di un attestato di frequenza con profitto. 

    Le attività di  aggiornamento  professionale nelle rispettive tematiche di consulenza sono obbligatorie per tutti  i  consulenti e dovranno svolgersi con periodicità almeno triennale. 

    Per gli iscritti agli ordini e ai  collegi  professionali  viene assunta  come  valida  e  sufficiente  la formazione prevista   dai rispettivi piani formativi e di aggiornamento professionale, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137. 

    Le attività di aggiornamento professionale devono rispettare  i seguenti criteri minimi: 

    • a) essere svolte da soggetti pubblici, enti riconosciuti  o  enti di formazione accreditati, a livello regionale, nazionale o unionale; 
    • b) avere una durata non inferiore a  12  ore  in  ciascuna  delle tematiche per le quali si intende svolgere il servizio di consulenza; 
    • c) prevedere al  termine  del  percorso  formativo  una  verifica finale con il rilascio di un attestato di frequenza. 

    Per i corsi di formazione di base e di aggiornamento, di cui  ai commi 3 e 6, la frequenza  è  obbligatoria  e deve  essere  pari  o superiore al 75% delle ore di corso previste. 

    L'abilitazione all'esercizio  dell'attività  di  consulente  in materia  di  utilizzo  sostenibile  dei  prodotti fitosanitari è regolamentata dall'art. 8, comma 3, del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 e dal capitolo A.1  del  Piano  d'azione  nazionale  per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, adottato di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento  e di Bolzano, del 22 gennaio 2014.

    Consulenti aziendali in agricoltura: il Registro Unico

    Viene previsto che le Regioni e Province  autonome  identificano  i  prestatori  di servizi di consulenza nel rispetto  dei  propri  ordinamenti  previa verifica del possesso dei requisiti di cui agli  articoli  3 e  4  e aggiornano in via informatica il Registro unico, istituito  dall'art. 6, comma 1, del decreto ministeriale 3 febbraio 2016,  entro novanta giorni dalla data dell'identificazione, fornendo per ciascuno di essi i dati, secondo un modello unificato definito dal Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, in accordo con le regioni e le province autonome.
    Gli estremi identificativi dei prestatori di servizi di consulenza identificati e iscritti nel Registro unico sono pubblicati, con i relativi dati, sul sito del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste

  • Fatturazione elettronica

    Fatture per prestazione di servizi: detrazione solo con dati completi

    Con la Sentenza n 3225 dell'8 febbraio la Cassazione ha precisato che ai fini della detrazione dell'Iva, ovvero dell'applicazione del meccanismo del cd reverse charge, le fatture per prestazioni di servizi, tra le quali rientrano le prestazioni dedotte in un contratto di subappalto, devono contenere l'indicazione dell'entità e della natura degli stessi, nonché la specificazione della data nella quale sono stati effettuati o ultimati.

    Pertanto, il contribuente che chiede la detrazione dell'Iva ha l'onere di dimostrare che sono state soddisfatte le relative condizioni e l'inerenza delle prestazioni alla propria attività d'impresa, ed ove l'Amministrazione ritenga necessari ulteriori elementi ai fini della valutazione della richiesta, di fornire anche tali elementi. 

    Ft per prestazione di servizi: detrazione solo con dati completi

    Con la sentenza n. 3225 dell’8 febbraio 2025, la Cassazione ha accolto un ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria rigettando le sentenze di merito.

    L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di un’impresa edile individuale un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione un maggior reddito derivante da indebite deduzioni relative a costi ed operazioni inesistenti.
    Presupposto dell'accertamento è stata l’emissione di fatture con il meccanismo del cosiddetto reverse charge in difetto di quanto richiesto dall'articolo 17, sesto comma, del Dpr n. 633/1972, e in particolare in difetto rispetto alla genericità delle prestazioni indicate nei documenti contabili giunti sotto la lente del Fisco.
    Impugnato l’atto in Commissione tributaria provinciale, quest’ultimo veniva annullato dai giudici tributari di primo e secondo grado.
    I giudici di merito, sostenevano che erano da considerarsi erronei e infondati i rilievi mossi dall'ufficio all'applicazione del meccanismo del reverse charge, poiché le fatture in contestazione recavano un riferimento a "lavori eseguiti nei cantieri di Bologna, operazione non soggetta ad Iva ai sensi del comma 6, art. 17 D.P.R. 633/72e questo consentiva di ricondurre le prestazioni a un rapporto di subappalto nell'ambito di attività edilizia, chiaramente soggetto all'applicazione della disciplina del reverse charge.

    Ricorrendo in Cassazione, l'Agenzia contestava il fatto che le fatture oggetto dell’avviso di accertamento consentissero l'applicazione del meccanismo del reverse charge.
    Tale meccanismo costituisce una deroga al principio generale secondo cui il versamento dell'Iva è posto a carico del soggetto passivo d'imposta e non è non può essere applicato per analogia.

    Lo stesso è stato esteso, ad opera dell'articolo 1, comma 44, della legge n. 296/2006 alle prestazioni di servizi rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l'attività di costruzione o ristrutturazione di immobili.
    Per l'agenzia l’impresa edile unipersonale aveva l’onere di far in modo che le fatture dalla stessa emesse fossero precise e dettagliate mentre le stesse risultavano generiche ed erano quindi del tutto inidonee a consentire l'individuazione delle caratteristiche delle prestazioni di servizi rese.

    La Cassazione concorda con la tesi dell’Amministrazione finanziaria, cassando la decisione dei giudici tributari di merito.
    La Suprema Corte ricordando che tanto in materia di accertamenti Iva quanto a in materia di accertamenti per imposte dirette, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell'impresa solo se è idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate, ha precisato che ai fini della detrazione Iva, le fatture per prestazioni di servizi, compreso il rapporto di subappalto, devono contenere l'indicazione dell'entità e della natura degli stessi, nonché la specificazione della data nella quale sono stati effettuati o ultimati.
    Viene inoltre chiarito che spetta al contribuente l'onere della prova dell'inerenza del bene o del servizio acquistato all'attività imprenditoriale, avendo lo stesso il preciso onere di dimostrare che sono state soddisfatte le relative condizioni ovvero di fornire anche eventuali elementi integrativi rispetto alle fatture che l'ufficio ritenga necessari ai fini della valutazione della richiesta.
    La Corte ha specificato che il tutto vale anche nel caso in cui il contribuente ritenga che le prestazioni siano assoggettate al reverse charge, la cui applicazione richiede proprio che l’imprenditore documenti in modo adeguato la prestazione mediante la fattura, dimostrando altresì l'inerenza della prestazione.
    La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate enunciando il seguente principio di diritto a mente: "Ai fini della detrazione dell'Iva, ovvero dell'applicazione del meccanismo del cd. reverse charge, le fatture per prestazioni di servizi, tra le quali rientrano le prestazioni dedotte in un contratto di subappalto, devono contenere l'indicazione dell'entità e della natura degli stessi, nonché la specificazione della data nella quale sono stati effettuati o ultimati; pertanto, il contribuente che chiede la detrazione dell'Iva ha l'onere di dimostrare che sono state soddisfatte le relative condizioni e l'inerenza delle prestazioni alla propria attività d'impresa, ed ove l'Amministrazione ritenga necessari ulteriori elementi ai fini della valutazione della richiesta, di fornire anche tali elementi".

  • Certificazione Unica

    Certificazione Unica 2025: indicazione delle mance ai dipendenti

    Entro il 17 marzo occorre inviare la Certificazione Unica e a tal proposito le Entrate hanno pubblicato il Provvedimento n 9454 del 15 gennaio con le regole.

    In dettaglio, vengono anche pubblicati:

    per provvedere agli adempimenti il ci termine ordinario scade il 16 marzo, che però essendo domenica slitta al giorno successivo lunedì 17 marzo.

    Vediamo come compilare la CU 2025 per le mance dei lavoratori dipendenti soggetti ad imposta sostitutiva.

    Certificazione Unica 2025: novità per le mance

    Con l’art. 1, commi da 58 a 62 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, è stato previsto che le somme destinate

    dai clienti ai lavoratori del settore privato a titolo di liberalità costituiscono redditi da lavoro dipendente e, salva

    espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggette ad una tassazione sostitutiva, con l’aliquota del

    5 per cento, entro il limite del venticinque per cento del reddito percepito nell’anno per le relative prestazioni di lavoro.

    Il nuovo regime di tassazione in esame si applica alle mance percepite dai lavoratori del settore privato delle strutture ricettive e degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’art. 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, che risultino titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a euro 50.000, limite reddituale riferito al periodo d’imposta precedente a quello di percezione delle mance da assoggettare ad imposta sostitutiva.

    La base di calcolo cui applicare il 25 per cento è costituita dalla somma di tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno per le prestazioni di lavoro rese nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione, ivi comprese le mance, anche se derivanti da rapporti di lavoro intercorsi con datori di lavoro diversi. 

    Tale importo deve essere indicato nel punto 651 della CU 2025.

    Attenzione al fatto che, il punto 651 va sempre compilato anche in assenza di mance, in tal caso occorre riportare il solo reddito relativo alle prestazioni rese nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione.

    Il limite annuale del venticinque per cento del reddito percepito nell’anno per le prestazioni di lavoro rese, rappresenta una franchigia, pertanto, in caso di superamento dello stesso, solo la parte delle mance eccedente il limite deve essere assoggettata a tassazione ordinaria. 

    Nel punto 652 della CU 2025 occorre riportare l’importo delle mance assoggettate ad imposta sostitutiva.

    L’importo delle mance assoggettato a imposta sostitutiva rileva in tutte le ipotesi in cui le vigenti disposizioni, per

    il riconoscimento della spettanza o per la determinazione, in favore del lavoratore, di deduzioni, detrazioni o benefici a qualsiasi titolo facciano riferimento al possesso di requisiti reddituali.

    Nel punto 653 va riportata l’imposta sostitutiva del cinque per cento operata sull’importo delle mance ricompreso nel limite del venticinque per cento calcolato sull’importo indicato nel punto 651.

    Nel punto 654 va indicato l’importo delle imposte sostitutive non operate per effetto delle disposizioni emanate a seguito di eventi eccezionali, già compreso nel precedente punto 653.

    Nel punto 655 va indicato l’importo delle mance assoggettato a tassazione ordinaria.

    Nei punti da 656 a 663 vanno indicati i dati relativi alle mance erogate da altri soggetti. 

    Nei punti 656 e 657 vanno indicate le mance erogate da altri soggetti assoggettate ad una diversa tassazione rispetto a quella operata dai precedenti sostituti d’imposta. 

    In particolare nel punto 656 va indicato l’importo delle mance già assoggettato dal precedente sostituto ad imposta sostitutiva e per le quali in sede di conguaglio si è provveduto ad assoggettarle a tassazione ordinaria.

    Nel punto 657 va indicato l’importo delle mance già assoggettato dal precedente sostituto a tassazione ordinaria e per le quali in sede di conguaglio si è provveduto ad assoggettarle ad imposta sostitutiva.

    Nel punto 658 indicare il codice fiscale del precedente sostituto che ha corrisposto le mance.

    Nel caso in cui le somme in oggetto siano state assoggettate dal precedente sostituto, a tassazione ordinaria e in sede di conguaglio vengano assoggettate ad imposta sostitutiva si dovranno compilare i punti 658 (codice fiscale

    del precedente sostituto) e 663 (somme erogate dal precedente sostituto assoggettate a tassazione ordinaria).

    Le medesime modalità di compilazione dei predetti punti dovranno essere seguite anche nelle ipotesi di operazioni straordinarie comportanti il passaggio di dipendenti.

    Leggi anche Detassazione mance: nuovi parametri per il 2025 per approfondire le novità introdotte per il prossimo anno sulla certificazione unica, in vigore dal 1° gennaio e quindi applicabili sulla CU 2026.