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Tassazione compensazioni di fine rapporto: chiarimenti dall’Agenzia
Le somme corrisposte a titolo di compensazione per la transizione al regime IFR, riferite agli anni 2020-2024, sono fiscalmente assimilabili al trattamento di fine rapporto.
Per esse si applica la tassazione separata ai sensi degli articoli 17 e 19 del TUIR, in coerenza con la natura previdenziale e compensativa della misura.
Così l'Agenzia nella risposta a interpello n. 198 del 30 luglio 2025. Ecco i dettagli del caso e le motivazioni dell'Agenzia.
Il caso al vaglio dell’Agenzia
Nel 2020, un ente pubblico ha introdotto un nuovo trattamento previdenziale interno per il proprio personale, in sostituzione del precedente trattamento di fine rapporto (TFR o TFS) gestito tramite INPS.
Questo cambiamento è stato formalizzato in un nuovo Regolamento, in attuazione dell’art. xx del decreto-legge n. xy/aaaa, con l’adozione di una nuova indennità denominata IFR (Indennità di Fine Rapporto).
Tale modifica ha comportato una riduzione del 30% dell’importo dell’IFR rispetto al trattamento previsto precedentemente.
Per attenuare gli effetti di questa decurtazione e in attesa di un nuovo assetto definitivo a partire dal 2025, l’ente ha previsto specifiche “misure compensative” destinate al personale in servizio nel periodo transitorio 1° gennaio 2020 – 31 dicembre 2024.
In particolare, la delibera dell’ente ha stabilito che il personale in servizio alla data del 7 aprile 2020 potesse scegliere tra:
- il nuovo regime dell’IFR (con riduzione del 30%),
- il tradizionale TFR accompagnato da previdenza complementare,
- oppure il solo TFR.
In ogni caso, è stato previsto il riconoscimento di somme a titolo di compensazione, calcolate come differenza tra quanto sarebbe spettato con il vecchio sistema e quanto effettivamente maturato con il nuovo regime, riferite unicamente al periodo 2020-2024.
L’ente ha quindi presentato interpello all’Agenzia delle Entrate per sapere quale trattamento fiscale applicare a queste somme “compensative”: tassazione separata (più favorevole) oppure ordinaria?
L’istante ha proposto l’applicazione della tassazione separata, sostenendo che:
- le somme si riferiscono anche ad annualità pregresse e non solo all’anno in corso di corresponsione;
- esse sono accessorie a prestazioni previdenziali e, in quanto tali, dovrebbero seguire lo stesso regime fiscale previsto per il trattamento di fine rapporto.
La risposta dell’Agenzia: tassazione separata secondo il TUIR
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 198/2025, ha accolto l’interpretazione proposta dall’ente.
Richiamando gli articoli 17, comma 1, lettera a), e 19, comma 2-bis, del TUIR (D.P.R. 917/1986), ha precisato che le somme in oggetto rientrano nella categoria delle “indennità equipollenti al TFR”, cioè quelle somme una tantum corrisposte in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro e commisurate alla durata dello stesso.
In particolare, l’art. 17 prevede che tali somme, anche se diverse dal TFR, siano soggette a tassazione separata se connesse alla fine del rapporto lavorativo. L’art. 19, comma 2-bis, regola il calcolo dell’imposta per queste indennità, prevedendo uno sconto forfettario per ogni anno di servizio e un’aliquota media determinata in base alla durata del rapporto.
Secondo l’Agenzia, le misure compensative oggetto del quesito:
- sono collegate al rapporto di lavoro;
- sono finalizzate a riequilibrare un trattamento pensionistico ridotto;
- derivano da una delibera dell’ente che agisce come datore di lavoro pubblico.
Pertanto, si tratta di indennità “equipollenti” al TFR e, come tali, devono essere assoggettate alla tassazione separata, più favorevole per i lavoratori rispetto a quella ordinaria, che considera i redditi percepiti nell’anno nel loro complesso.
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Esonero contributivo ZFU Sisma Centro Italia 2025: le istruzioni
Con il messaggio n. 2399 del 30 luglio 2025, l’INPS ricorda che, grazie all’art. 4, co. 5, del D.L. 95/2025, è stata ulteriormente prorogata l’agevolazione contributiva prevista per le imprese situate nella “Zona Franca Urbana Sisma Centro Italia”.
L’agevolazione – che consiste in un esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali (esclusi i premi INAIL) – riguarda i datori di lavoro dei comuni colpiti dagli eventi sismici del 2016 nelle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. L’esonero si applica, nei limiti del de minimis e delle risorse disponibili, anche al periodo d’imposta 2025.
L’intervento estende una misura avviata con il D.L. 50/2017 e successivamente prorogata fino al 2024. Le imprese interessate devono essere destinatarie di un provvedimento di riconoscimento dell’agevolazione rilasciato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Nel messaggio l'istituto fornisce le istruzioni operative per la fruizione del beneficio, che sintetizziamo di seguito.
Fruizione e modalità operative: modello F24 e codici tributo
Le imprese autorizzate possono utilizzare il credito d’imposta maturato per compensare i contributi obbligatori INPS, tramite modello F24 da inviare esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline).
La modalità di fruizione resta invariata rispetto a quanto stabilito nella circolare INPS n. 48/2019, cui si rimanda per i dettagli operativi.
Ai fini della compensazione restano validi anche i codici tributo già istituiti dall’Agenzia delle Entrate per i precedenti periodi:
Codice tributo Anno di riferimento Riferimento normativo Z148 2017 Risoluzione n. 160/E del 21.12.2017 Z149 2018 Risoluzione n. 45/E del 19.06.2018 Z150 2019 Risoluzione n. 78/E del 30.08.2019 Z162 2020 Risoluzione n. 47/E del 13.07.2021 Z164 2021 Risoluzione n. 32/E del 24.06.2022 Z165 2022 Risoluzione n. 32/E del 24.06.2022 Z166 2023-2024 Risoluzione n. 31/E del 22.06.2023 Gli adempimenti per datori e consulenti
Per beneficiare dell’esonero 2025, i consulenti del lavoro e i datori devono:
- verificare l’ammissibilità del datore alla misura e la presenza del provvedimento autorizzativo del Ministero competente;
- utilizzare il modello F24 in compensazione esclusivamente tramite i canali telematici AdE;
- assicurarsi di non superare i limiti del regime “de minimis”;
- seguire le istruzioni della circolare INPS n. 48/2019, valide anche per il 2025.
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Cittadinanza: Imposta di registro unica per la sentenza su più persone
Con la Risposta n. 196/2025, del 30 luglio l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito alla corretta determinazione dell'imposta di registro per le sentenze che riconoscono la cittadinanza italiana a più soggetti appartenenti a un medesimo nucleo familiare.
Il dubbio, sollevato tramite interpello da un contribuente, nasceva dalla volontà di registrare, presso l’Agenzia, un provvedimento giudiziario che riconosceva la cittadinanza non solo al ricorrente principale, ma anche a sua figlia e a due nipoti, tutti nati all’estero.
Il quesito chiedeva, cioè, se l' imposta di registro dovesse essere corrisposta una sola volta per l’intero atto, o se fosse dovuta separatamente per ciascuna persona menzionata nella sentenza.
Secondo l’istante, sulla base del combinato disposto dell’articolo 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico dell’Imposta di Registro – TUR) e dell’articolo 8 della Tariffa, Parte I, allegata allo stesso decreto, l’imposta dovuta per gli atti giudiziari dovrebbe essere sempre in misura fissa, indipendentemente dal numero di soggetti coinvolti nel provvedimento.
Riconoscimento cittadinanza: imposta sull’atto non sulle persone
Nel suo parere, l’Amministrazione finanziaria ha ribadito che ai fini dell’imposta di registro rileva non il documento in sé, bensì il contenuto negoziale dell’atto, cioè la sua “intrinseca natura” e gli “effetti giuridici” prodotti. Ciò vale anche per gli atti giudiziari, come la sentenza in oggetto. L’articolo 20 del TUR prevede, infatti, che l’imposta si applichi in base alla sostanza giuridica dell’atto e non alla sua forma apparente.
In merito alla possibilità che più disposizioni contenute in un atto diano luogo a tassazioni autonome, l’articolo 21 del TUR distingue due ipotesi:
- se le disposizioni sono autonome e non strettamente collegate tra loro, ciascuna è soggetta ad imposta separata;
- se invece esiste un legame necessario e inscindibile tra le varie disposizioni, l’imposta è unica e si applica solo alla disposizione più onerosa.
La giurisprudenza di legittimità ha confermato che questa seconda ipotesi è di stretta interpretazione e si applica solo quando la connessione tra le disposizioni è imposta dalla legge o deriva dalla loro intrinseca natura.
Viene sottolineato che nel caso in esame non si tratta di disposizioni patrimoniali ma di accertamenti privi di contenuto economico. Per questo motivo, l’Agenzia esclude l’applicazione dell’articolo 21 e ritiene che si debba fare riferimento esclusivo al regime ordinario previsto per gli atti giudiziari non patrimoniali.
Imposta di registro e atti giudiziari: chiarimenti normativi
Secondo l’articolo 37 del TUR, sono soggetti a registrazione gli atti dell’autorità giudiziaria che definiscono controversie civili, anche in via parziale. L’articolo 8 della Tariffa, Parte I, stabilisce che gli atti giudiziari “non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale” sono soggetti a imposta fissa. In particolare, la lettera d) del comma 1 dello stesso articolo prevede che l’imposta sia pari a 200 euro per atti come quelli di riconoscimento della cittadinanza, che non implicano alcuna statuzione patrimoniale.
Ne consegue che una sentenza di riconoscimento della cittadinanza che riguarda più persone, ma che non contiene elementi economico-patrimoniali, costituisce un unico atto giudiziario da assoggettare a un’imposta di registro in misura fissa. Non vi è, dunque, alcuna frammentazione dell’atto ai fini fiscali in relazione al numero di soggetti coinvolti.
Il principio espresso con questa risposta può essere esteso, in linea generale, a tutti quegli atti giudiziari che non comportano trasferimenti di ricchezza o riconoscimenti economici, pur coinvolgendo più destinatari.
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Indennità obsolete convertite in welfare: la tassazione secondo l’Agenzia
La mera trasformazione di un elemento monetario della retribuzione in benefit non fa venir meno la natura reddituale del compenso.
Questa la conclusione dell'Agenzia delle Entrate nella Risposta a interpello 195 2025, riguardante il trattamento fiscale di indennità “obsolete” previste da un contratto collettivo nazionale di settore e poi soppresse.
L'azienda istante precisava in particolare che in base ad un nuovo accordo sindacale, in sostituzione di precedenti indennità monetarie, i lavoratori in forza al 31 dicembre 2024 potevano scegliere se:
- ricevere un importo fisso annuo sotto forma di “ad personam” non rivalutabile, pari al 100% del valore medio percepito negli ultimi 5 anni;
- oppure convertire tali importi in prestazioni di welfare aziendale, per un controvalore pari al 105% o 110%, a seconda del tipo di indennità soppressa.
La finalità della misura è duplice: da un lato superare voci retributive non più attuali, dall’altro offrire strumenti alternativi per accrescere la soddisfazione e la fidelizzazione del personale. Secondo l’azienda istante, i benefit concessi attraverso il welfare aziendale non dovrebbero concorrere a formare il reddito da lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51, commi 2 e 3 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con d.P.R. 917/1986.
Il quesito su voci retributive trasformate in welfare – la normativa
Nel fornire la propria risposta (interpello n. 195/2025), l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto richiamato il principio di onnicomprensività sancito dall’articolo 51, comma 1, del TUIR, secondo cui costituiscono reddito da lavoro dipendente «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti», inclusi i beni e servizi concessi dal datore di lavoro.
Come noto lo stesso articolo prevede alcune deroghe, indicate ai commi 2 e 3, che escludono dalla base imponibile specifici benefit, ma solo a condizione che non si tratti di erogazioni sostitutive di retribuzioni monetarie e che tali prestazioni siano riconosciute alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti.
L’Agenzia richiama in questo senso la risoluzione 55/E del 25 settembre 2020, nella quale si afferma che un piano welfare che consente la conversione facoltativa di premi o indennità in benefit non può beneficiare del regime di esenzione se tali somme hanno natura retributiva.
il diniego dell’Agenzia: motivazioni
L'Agenzia sottolinea che nel caso di specie, i lavoratori possono scegliere tra un’erogazione in denaro (ad personam) o in natura (welfare aziendale), ma in entrambi i casi si tratta della conversione di somme che erano parte della retribuzione pregressa.
Questo elemento è determinante: la scelta individuale operata dal dipendente tra due modalità equivalenti rende il beneficio non coerente con le finalità delle norme derogatorie, che prevede il riconoscimento di benefit a categorie omogenee o alla totalità dei dipendenti.
Inoltre non risulta applicabile il regime previsto dalla legge 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), che consente la sostituzione di premi di risultato con prestazioni welfare in quanto nel caso in esame non si tratta di premi legati a incrementi di produttività o parametri analoghi, ma di indennità fisse eliminate per obsolescenza.
Alla luce di queste considerazioni , l’Amministrazione finanziaria conclude che le somme derivanti dalla soppressione delle indennità, anche se convertite in prestazioni di welfare aziendale, devono essere trattate come reddito di lavoro dipendente e tassate secondo le regole ordinarie dell'at 51 comma 1 del TUIR, in quanto la mera trasformazione di un elemento della retribuzione in benefit non fa venir meno la natura reddituale del compenso.
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Decontribuzione SUD: in Uniemens verifica automatica per le PMI
Con il messaggio 2398 del 30 luglio 2025 INPS informa che è stata resa disponibile una nuova funzionalita online nelle denunce mensili Uniemens che verifica in automatico se l'azienda rispetta i criteri per fruire della Decontribuzione SUD ovvero l' esonero dal versamento dei contributi previdenziali, (articolo 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2024, n. 207) destinato alle microimprese e alle piccole e medie imprese che occupano lavoratori a tempo indeterminato, nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
Vengono anche fornite le precisazioni per il superamento dell'eventuale blocco delle domande.
Verifica automatica forza lavoro e superamento del blocco
L'istituto infatti che a norma dell’articolo 1, comma 407, della legge di Bilancio 2025 rientrano nella nozione di microimpresa e di piccola e media impresa i datori di lavoro privati che hanno alle proprie dipendenze non più di 250 dipendenti, ai sensi dell’allegato I al regolamento (UE) 2014/651 della Commissione
Il regolamento prende dunque in considerazione i tre seguenti criteri:
– il calcolo del numero dei dipendenti effettivi;
– il fatturato annuo;
– il totale di bilancio annuo.
In particolare, la categoria delle micro, piccole e medie imprese è costituita da imprese che hanno:
- 1. meno di 250 occupati;
- 2. un fatturato annuo che non supera i 50 milioni di euro o, in alternativa, 3. un totale di bilancio annuo che non supera i 43 milioni di euro.
Dato che per la qualificazione di PMI entrambi i criteri soprariportati devono essere rispettati nel relativo periodo di riferimento, l'istituto ha reso disponibile una apposita funzionalità all’interno delle denunce mensili volta a verificare la forza lavoro del mese di competenza .
Lo strumento impedisce di fatto, in via prudenziale, la possibilità di inviare la denuncia con valorizzazione della “Decontribuzione Sud PMI” qualora il numero di dipendenti calcolato nel mese risulti superiore alle 250 unità.
Tuttavia, considerato che per calcolare gli effettivi e gli importi finanziari bisogna tenere in considerazione anche l'ultimo esercizio contabile chiuso ed effettuare il calcolo su base annua, tale controllo può essere superato dal soggetto interessato che ritenga di rientrare nell’ambito di legittima applicazione della misura inviando la denuncia mensile con la valorizzazione della “Decontribuzione Sud PMI”.
In questo casi il soggetto interessato dovrà fornire, se richiesta dall’Istituto, la documentazione probante relativa al rispetto delle soglie dimensionali annue e di fatturato o di bilancio .
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ADI e SFL: novita carichi di cura e possibili sospensioni
L’INPS ha pubblicato il Messaggio n. 2388 del 29 luglio 2025 per fornire importanti chiarimenti operativi in materia di attribuzione automatica dei carichi di cura nell’ambito dell’Assegno di Inclusione (ADI), in particolare quando vi sono sovrapposizioni con il Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL).
Il messaggio ribadisce che l’INPS procede d’ufficio all’attribuzione del parametro aggiuntivo di 0,40 nella scala di equivalenza (utilizzata per determinare l’importo dell’ADI) a un componente maggiorenne del nucleo familiare per" carichi di cura", qualora siano presenti:
- minori di 3 anni,
- almeno 3 figli minori, o
- persone con disabilità/non autosufficienza,
anche quando non indicato espressamente in domanda.
Incompatibilità ADI e SFL
L'istituto precisa però che se il soggetto a cui verrebbe attribuito d’ufficio il carico di cura è anche beneficiario del SFL (che può essere economicamente più vantaggioso), l’attribuzione non avviene, per evitare il rischio di sovrapposizioni o pagamenti indebiti. Questo perché il riconoscimento del parametro 0,40 implicherebbe l’inserimento nella scala ADI, rendendo la persona incompatibile con il SFL.
Il soggetto potrà comunque continuare a beneficiare del SFL fintanto che la sua domanda resta accolta.
Solo dopo la cessazione o rinuncia a tale misura avviene l'attribuzione del carico di cura nell’ADI. se il soggetto è in possesso dei requisiti.
Riesame domande e retroattività parametro carichi di cura
Il messaggio chiarisce che alcune domande ADI, inizialmente respinte per superamento della soglia di reddito, sono state riesaminate grazie all’attribuzione d’ufficio del carico di cura. In tali casi però possono essere state causate sospensioni legate alla mancata comunicazione di variazioni occupazionali avvenute nel frattempo.
Per risolvere queste eventuali sospensioni, i beneficiari devono presentare il modello “ADI-Com esteso” presso CAF, Patronati o sedi INPS.
Il termine per la presentazione è di 60 giorni dalla ricezione di un SMS o e-mail dell’INPS, e la data da indicare nel modulo è quella in cui si è verificata la variazione, anche se avvenuta nel 2024.
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Fondo Prevedi: aumento contributi rinviato ad ottobre
Con l’allegato accordo sottoscritto il 15 luglio 2925 le Parti istitutive del Fondo Prevedi (Ance, Associazioni Artigiane, Feneal UIL, Filca CISL e Fillea CGIL) hanno stabilito che, in considerazione dei tempi tecnici necessari per gli adeguamenti ai sistemi informatici delle Casse Edili/Edilcasse, la nuova disciplina del contributo contrattuale prevista nell’accordo del 4 luglio 2025 troverà applicazione per i lavoratori assunti a partire dal 1° ottobre 2025. invece che 1 luglio.
Fondo Prevedi cos’è, a cosa serve?
Prevedi è il Fondo Pensione nazionale integrativo ed ha scopo di integrare la pensione pubblica valorizzando le contribuzioni versate a favore dei lavoratori da parte dei datori di lavoro e degli stessi dipendenti, per le aziende che applicano:
- CCNL Edili Industria,
- CCNL Edili Artigianato e
- CCNL Edili Piccola industria Aniem-Anier-Confimi
Il contributo contrattuale ha un importo mensile che varia a seconda della qualifica e del livello di inquadramento di ogni lavoratore: ulteriori informazioni sulle modalità di determinazione di tale contributo sono disponibili nel documento "Guida sul calcolo del contributo contrattuale" nella sezione "Documentazione – Normativa" del sito internet www.prevedi.it.
Ogni lavoratore soggetto ai Contratti di lavoro sopra indicati può decidere liberamente di versare contribuzioni aggiuntive al contributo contrattuale per alimentare la propria posizione previdenziale integrativa e di modificare o sospendere, successivamente, tali contribuzioni (quelle aggiuntive al contributo contrattuale)".
Scarica qui il PDF dei contributi dettagliati aggiornati al 2025 (v. tabella sottostante)
Obbligo trasparenza contributi Prevedi
Si ricorda che dal 1 gennaio 2018 è obbligatoria l'indicazione della voce Fondo Prevedi nella busta paga mensile in corrispondenza del contributo a carico del datore di lavoro (compreso quello contrattuale) e la consegna ai lavoratori dell'informativa sul contributo contrattuale,
- nella prima busta paga o
- nella Certificazione Unica rilasciata ogni anno dal datore di lavoro co oppure
- nel contratto di assunzione del lavoratore,
In particolare il documento in questione, informa i lavoratori che : " in applicazione dei CCNL Edili Industria, Edili Artigianato e Edili Aniem-Anier-Confimi, il datore di lavoro sta versando nel Fondo Prevedi un contributo mensile a Suo favore denominato "contributo contrattuale". Il contributo contrattuale, è a carico del solo datore di lavoro e determina l’"iscrizione contrattuale" al Fondo medesimo, senza alcun obbligo contributivo a carico del lavoratore."
La misura della contribuzione a Prevedi 2025