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Modello 770: termini per il 2024 e novità per il 2025
Entro il 31 ottobre i sostituti d'imposta devono inviare il Modello 770/2024 in modalità telematica, provvedendo direttamente o tramite intermediario.
A tal proposito le Entrate hanno approvato il modello 770/2024 e le relative specifiche tecniche: Scarica qui il file.
Per tutte le regole leggi: Modello 770/2024: tutte le regole per l'invio entro il 31.10.
Per il Modello 770/2025 anno di imposta 2024 sono invece previste delle novità, approvate con la Riforma Fiscale e in particolare con il Decreto Semplificazioni Adempimenti, vediamo di seguito i dettagli.
770/ 2025 o dichiarazione annuale dei compensi erogati
L'art 16 del Dlgs n 1/2024 prevede, per quanto riguarda gli adempimenti dei sostituti di imposta una alternativa alla compilazione e presentazione del Modello 770.
In sintesi, si introduce la facoltà per i datori di lavoro di rendere noti i dati collegati alle ritenute alla fonte sui compensi per lavoro subordinato o autonomo, in via diretta al momento dei versamenti mensili stessi, dettagliando l’ammontare delle ritenute e delle trattenute operate, gli eventuali importi a credito e gli altri dati individuati con provvedimento del direttore delle Entrate.
In particolare, la norma specifica che al fine di semplificare la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d'imposta, i soggetti obbligati a operare ritenute alla fonte, che corrispondono compensi che costituiscono redditi di lavoro dipendente o autonomo, sotto qualsiasi forma, effettuano i versamenti mensili delle ritenute e delle trattenute indicando anche l'importo delle ritenute e delle trattenute operate, gli eventuali importi a credito e gli altri dati individuati con il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate.
Le comunicazioni dei dati effettuate sono equiparate a tutti gli effetti alla esposizione dei medesimi dati nella dichiarazione dei sostituti d'imposta di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. 3.
In via sperimentale, possono avvalersi delle disposizioni del presente articolo i sostituti d'imposta con un numero complessivo di dipendenti al 31 dicembre dell'anno precedente non superiore a 5.
Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate può essere ampliato il numero massimo di dipendenti. Attenzione al fatto che l'adesione al sistema semplificato tramite comportamento concludente è vincolante per l'intero anno d'imposta per cui è esercitata.
Il pagamento delle ritenute e delle trattenute è effettuato, con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, presentando il modello F24 esclusivamente mediante i servizi telematici dell'Agenzia delle entrate.
Contestualmente all'invio, ai fini del pagamento delle ritenute, il sostituto d'imposta autorizza l'Agenzia delle entrate all'addebito sul proprio conto identificato dal relativo codice IBAN, intrattenuto presso una banca, Poste Italiane o un prestatore di servizi di pagamento, convenzionati con la medesima Agenzia.
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Diritti d’autore e imponibilità IVA: condizioni necessarie
Con la Ordinanza n 15916/2024 la Cassazione chiarisce che i compensi per i diritti discografici sono soggetti ad IVA, ove venga in rilievo la cessione di diritti (o beni similari a quelli) d'autore verso corrispettivo e, dunque, una prestazione di servizi che, in quanto tale, è operazione imponibile.
Restano fuori campo IVA le cessioni relative ai diritti d'autore in senso stretto operate dall’autore (o dai suoi eredi), tranne che riguardino disegni, opere di architettura o dell’arte cinematografica.
La causa riguarda un cantante che ha ricevuto dall'Agenzia delle Entrate una avviso di accertamento per il 2006.
Veniva contestata la non deducibilità di alcune fatture relative a servizi di catering e noleggio di attrezzature, in quanto, secondo l'ADE, non fossero inerenti all’attività artistica del contribuente.
Inoltre, veniva contestata l’emissione irregolare di una fattura nei confronti di una società inglese per la cessione dei diritti di sfruttamento di un disco.
La Commissione tributaria regionale riformava la decisione di primo grado, ma gli eredi del cantante proponevano ricorso per Cassazione, vediamo i dettagli della pronuncia.
Diritti d’autore e imponibilità IVA: condizioni necessarie
La Suprema Corte ha affermato che i compensi per i diritti discografici sono soggetti ad IVA, ove venga in rilievo la cessione di diritti (o beni similari a quelli) d'autore verso corrispettivo e, dunque, una prestazione di servizi che, in quanto tale, è operazione imponibile.
Sono fuori campo IVA, invece, le cessioni relative ai diritti d'autore in senso stretto operate dall'autore (o dai suoi eredi), salvo che riguardino disegni, opere di architettura o dell'arte cinematografica (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21694 del 08/10/2020, RV. 659071-04).
In particolare, nella motivazione della citata pronuncia, si osserva che la tutela del diritto d'autore, disciplinata dalla L. n. 633 del 1941, assume rilievo sul piano fiscale solo sotto il profilo di carattere patrimoniale, quale diritto allo sfruttamento esclusivo della creazione a fini economici.
La Cassazione specifica inoltre che il diritto di sfruttamento dell'opera, inoltre, si articola in una pluralità di contenuti, in quanto ricomprende (artt. 12-19, L. n. 633 del 1941) il diritto di riproduzione (ossia di moltiplicazione dell'opera con ogni mezzo), di esecuzione e/o rappresentazione dell'opera, di diffusione (anche a distanza), di distribuzione, di elaborazione (ossia di apportare modifiche all'opera originale).
La normativa in esame individua, poi, accanto a quello d'autore, una seconda categoria di diritti, definiti "diritti connessi all'esercizio del diritto di autore", alla cui disciplina è dedicato il Titolo II della legge, il cui Capo III riguarda specificamente i "Diritti degli artisti interpreti e degli artisti esecutori".
Si tratta, in particolare, di diritti distinti rispetto al diritto d'autore in senso stretto.
Nella Convenzione di Roma del 26 ottobre 1961 ("Protezione degli artisti interpreti o esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione"), l' art. 1 stabiliva che la "protezione prevista dalla presente convenzione lascia intatta la protezione del diritto di autore sulle opere letterarie ed artistiche".
Peraltro, la nozione di diritti connessi al diritto d'autore, ma da questo distinti, è conosciuta anche nell'ordinamento unionale, trovando apposita disciplina nella direttiva n. 92/100/CEE concernente il "diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d'autore in materia di proprietà intellettuale", poi ribadita dalla successiva direttiva 2006/115/CE che la ha sostituita ed il cui articolo 12 ("Rapporti tra il diritto d'autore e i diritti connessi") espressamente statuisce che "La protezione dei diritti connessi con il diritto d'autore a norma della presente direttiva lascia totalmente impregiudicata la protezione del diritto d'autore".
Nel caso in esame, si controverte in ordine ai compensi relativi non al diritto d'autore in senso stretto, bensì ai diritti connessi al diritto d'autore e, in particolare, a quelli concernenti il contratto discografico, con cui l'artista cede, in esclusiva, i diritti di utilizzazione economica dei supporti, su cui sono state trasferite le sue prestazioni artistiche.
L'artista, in tal modo, si impegna, per la durata convenuta, a prestare la propria opera artistica e professionale per l'incisione, la registrazione e la riproduzione delle proprie o altrui opere musicali; inoltre, cede i suoi diritti di artista interprete ed esecutore, e il diritto di pubblicare, diffondere, riprodurre e mettere in commercio le registrazioni realizzate in esecuzione del contratto, mentre il produttore, a sua volta, si obbliga a sopportare le spese necessarie per la realizzazione delle registrazioni, a riversarle sui fonogrammi e a metterle in commercio, nonché a versare le royalties sulle vendite delle registrazioni (in genere in percentuale sul prezzo fisso del supporto o della vendita digitale).
Quanto all'assoggettamento ad Iva del diritto d'autore e dei diritti connessi, si deve innanzitutto tener conto che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti.
Pertanto, le cessioni del diritto d'autore ovvero di diritti o beni similari verso corrispettivo costituiscono, in via generale, prestazioni di servizi e, in quanto tali, sono soggette ad Iva.
Il successivo quarto comma, lett. a, peraltro, in deroga, dispone: "Non sono considerate prestazioni di servizi: a) le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore effettuate dagli autori e loro eredi o legatari, tranne quelle relative alle opere di cui ai nn. 5) e 6) dell'art. 2 della L. 22 aprile 1941, n. 633, e alle opere di ogni genere utilizzate da imprese a fini di pubblicità commerciale".
Le due disposizioni non sono tuttavia sovrapponibili.
La non assimilazione alle prestazioni di servizi è riconosciuta infatti solo se le cessioni (e le altre operazioni):
- 1) siano state effettuate direttamente dall'autore (o eredi);
- 2) siano relative "a diritti d'autore", ma neppure per tutti poiché sono escluse alcune specifiche ipotesi di opere (i disegni, le opere di architettura e dell'arte cinematografica).
La collocazione fuori campo Iva investe solo i diritti d'autore in senso stretto (e, peraltro, neppure tutti e sempreché l'operazione sia stata realizzata direttamente dall'artista e non da altri soggetti) e non può essere estesa a quelli connessi, la cui cessione resta soggetta alla disciplina ordinaria.
Per la territorialità, infine, occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 43 della dir. 112/2006/CE, il luogo di una prestazione di servizi è il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione a partire dalla quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.
A tale regola generale corrisponde quanto previsto dall'art. 7, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, che prevede che le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso.
Ciò posto, come evidenziato nella sentenza impugnata, la contestata fattura attiene alla cessione non del diritto d'autore, ma dei diritti economici ad esso connessi e, in particolare, dei diritti di sfruttamento dell'opera musicale.
Ad avviso dei ricorrenti, non sussisterebbe il requisito della territorialità ai fini Iva, poiché si trattava di un importo minimo garantito, totalmente slegato dai quantitativi di vendita dell'opera nel territorio italiano, ma la doglianza non può essere accolte.
Come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, la fattura aveva ad oggetto la corresponsione di un "anticipo minimo garantito".
Il termine "anticipo" presuppone, comunque, la successiva corresponsione di un saldo e lascia intendere che tale importo aveva la medesima natura degli eventuali compensi da corrispondersi successivamente.
Peraltro, come sopra osservato, ai sensi dell'art. 7, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ratione temporis, sono soggette ad Iva tutte le prestazioni di servizi rese da soggetti che hanno domicilio nel territorio dello Stato e, quindi, a prescindere dalla successiva commercializzazione ad opera del soggetto destinatario.
Ciò rende irrilevante il territorio in cui l'opera musicale del contribuente è stata successivamente commercializzata da parte della società cessionaria dei diritti di sfruttamento, considerato che non risulta essere oggetto di contestazione la sussistenza del domicilio in Italia del contribuente.
Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, rigettato.
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Aiuti alle imprese per la moria del Kiwi: tutte le regole
Nel decreto ministeriale del 18 settembre il Ministero dell'agricoltura ha disciplinato gli aiuti per le imprese di produzione del Kiwi per la moria 2023.
La misura è stata prevista dal DL Agricoltura convertito in Legge n 101/2024 pubblicata in GU n 163 del 13 luglio
Tutte le regole degli aiuti al settore del kiwi.
Imprese produzione del Kiwi: sostegni dal Dl Agricoltura
L’articolo 3 del DL Agricoltura prevede misure a sostegno delle imprese agricole che hanno subito e segnalato danni alle produzioni di kiwi e alle piante di actinidia a causa della “moria del kiwi” nel 2023, ma non hanno beneficiato di risarcimenti derivanti da polizze assicurative o da fondi mutualistici.
Le misure di sostegno di cui all’articolo 5, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 102 del 2004, alle quali si consente l’accesso, prevedono:
- contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato,
- prestiti ad ammortamento quinquennale a tasso agevolato,
- proroga delle operazioni di credito agrario e agevolazioni previdenziali.
La dotazione del “Fondo di solidarietà nazionale – interventi indennizzatori” viene incrementata di 44 milioni di euro per l'anno 2024, di cui 4 milioni di euro per gli interventi di sostegno ai produttori di kiwi e 40 milioni di euro per i danni da attacchi di peronospora alle produzioni viticole.
La ripartizione delle somme tra le regioni sarà effettuata sulla base dei fabbisogni risultanti dalle domande di accesso al Fondo presentate dai beneficiari, con preferenza per le imprese agricole che hanno adottato buone pratiche agricole per contenere gli effetti della “moria del kiwi”.
La dotazione del Fondo mutualistico nazionale per la copertura dei danni catastrofali meteoclimatici alle produzioni agricole di 2,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025, nonché la dotazione del Fondo per il funzionamento delle Commissioni uniche nazionali di 600.000 euro annui a decorrere dall'anno 2024.
Aiuti Imprese Kiwi 2024: tutte le regole
Viene pubblicato in GU n 232 del 3 ottobre, il Decreto dell'Agricoltura del 18 settembre con interventi compensativi per le imprese agricole che hanno subito danni alle produzioni di kiwi e alle piante di actinidia, a causa del fenomeno denominato «moria del kiwi.
In particolare, l'art 1 del decreto stabilisce che i danni causati alle produzioni di kiwi e alle piante di actinidia, a causa del fenomeno denominato «moria del kiwi», nel corso della campagna 2023, sono concessi contributi finalizzati alla ripresa economica e produttiva, di cui all'art. 5, commi 2 e 3, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, a favore delle micro, piccole e medie imprese attive nella produzione di kiwi che a causa delle suddette infezioni abbiano subito danni superiori al 30 per cento della produzione lorda vendibile.
Gli aiuti sono subordinati alle seguenti condizioni:- a) sono versati unicamente a seguito di disposizioni amministrative nazionali di contenimento del fenomeno della moria del kiwi, che saranno emanate per la campagna 2024;
- b) sono versati in uno dei seguenti ambiti:
- i. un programma pubblico, a livello dell'Unione, nazionale o regionale, di prevenzione, controllo o eradicazione dell'epizoozia o dell'organismo nocivo ai vegetali in questione;
- ii. misure di emergenza imposte dall'autorità pubblica competente dello Stato membro;
- iii. misure atte a eradicare o contenere un organismo nocivo ai vegetali attuate in conformità dell'art. 18, dell'art. 28, paragrafi 1 e 2, dell'art. 29, paragrafi 1 e 2, dell'art. 30, paragrafo 1, e dell'art. 33, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/2031.
Il programma e le misure di cui alla lettera b), conterranno una descrizione dei provvedimenti di prevenzione, controllo o eradicazione di cui trattasi.
Gli aiuti non riguardano misure per le quali la legislazione unionale stabilisce che i relativi costi sono a carico del beneficiario, a meno che il costo di tali misure non sia interamente compensato da oneri obbligatori imposti ai beneficiari.Gli aiuti sono pagati direttamente all'azienda interessata.
Gli aiuti sono limitati ai costi e ai danni causati alle produzioni di kiwi e alle piante di actinidia, a seguito di riconoscimento ufficiale da parte del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste mediante decreto di declaratoria da adottarsi su proposta della regione territorialmente competente.
Il regime di aiuto è introdotto entro tre anni dall'anno 2023, periodo in cui sono state registrate le perdite causate alle produzioni di kiwi e alle piante di actinidia, e gli aiuti possono essere erogati entro il 31 dicembre 2027.
Il regime di aiuto finanzia solamente il risarcimento del danno da perdita di prodotto dovuto al fenomeno della moria del kiwi e da moria delle piante di actinidia ai sensi del comma 10 dell'art. 26, regolamento (UE) 2022/2472, con esclusione di contributi per le misure di prevenzione.L'indennizzo per i danni alle produzioni è calcolato tenendo conto delle produzioni di kiwi ottenute nel 2023 rispetto alla media delle produzioni ottenute nel triennio precedente o quinquennio precedente, in questo caso va tolta la produzione più elevata e quella più bassa e si fa la media delle tre rimanenti.
Per le piante di actinidia distrutte si considera il costo di rimpiazzo nell'ambito del programma pubblico di cui all'art. 1, comma 2.
Non sono concessi aiuti individuali ove sia stabilito che il mancato contenimento del fenomeno della moria del kiwi sia stato causato deliberatamente dal beneficiario o sia la conseguenza della sua negligenza.
Gli aiuti e gli eventuali altri pagamenti ricevuti dal beneficiario, compresi quelli percepiti nell'ambito di altre misure nazionali o unionali per gli stessi costi ammissibili, sono limitati all'80% dei costi ammissibili.L'intensità di aiuto può essere aumentata al 90% nelle zone soggette a vincoli naturali.
L'imposta sul valore aggiunto (IVA) non e' ammissibile, salvo nel caso in cui non sia recuperabile ai sensi della legislazione nazionale sull'IVA.
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Riacquisto diritto di usufrutto: non spetta l’agevolazione prima casa
Con Risposta a interpello n 192 del giorno 4 ottobre si chiariscono dettagli su Agevolazione ''prima casa'' – e riacquisto diritto di usufrutto (comma 4 della Nota II–bis, articolo 1, Tariffa, Parte I del TUR).
L'Istante ha acquistato un immobile abitativo, fruendo dell'agevolazione c.d. ''prima casa'' di cui alla Nota II bis all'articolo 1 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Prima del decorso del termine di cinque anni dall'acquisto, tale immobile è stato ceduto.
L'Istante intende, entro un anno, «rilevare, con atto notarile, l'usufrutto totale a titolo oneroso di una abitazione, sita in un comune diverso, da destinare a propria residenza e abitazione principale con piena disponibilità dell'immobile»
In sede di documentazione integrativa l'istante spiega anche che, «il riacquisto della ''prima casa'' potrà riguardare anche l'acquisizione, a titolo gratuito, del diritto di abitazione o usufrutto».
Ciò posto, domanda chiarimenti e chiede:
- se può fruire nuovamente dell'agevolazione '' prima casa'' e del credito d'imposta per il riacquisto, entro un anno, del diritto di abitazione/usufrutto sul nuovo immobile, senza incorrere nella decadenza dall'agevolazione fruita;
- se la parte residua del credito d'imposta, dopo l'acquisto del suddetto diritto, possa essere utilizzata nella dichiarazione dei redditi, in diminuzione dell'IRPEF dovuta.
Riacquisto diritto di usufrutto: non spetta l’agevolazione prima casa
L'agenzia delle Entrate ricorda innanzitutto che il trasferimento dell'immobile acquistato fruendo dell'agevolazione ''prima casa'', prima del decorso del termine di cinque anni dalla data dell'atto di acquisto, comporta la decadenza dal regime di favore fruito.
La perdita del beneficio non opera qualora il contribuente, entro un anno dall'alienazione effettuata prima del decorso del quinquennio, proceda «all'acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale»
Tale condizione, precisa l'agenzia, si realizza soltanto con l'acquisto del diritto di piena proprietà dell'immobile e non con l'acquisto del diritto di usufrutto o di abitazione sul medesimo .
Ai sensi della citata Nota IIbis, comma 1, infatti, l'agevolazione si applica «agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse», mentre, al fine di evitare la decadenza dall'agevolazione, occorre procedere, entro un anno dall'alienazione dell'immobile acquistato con i benefici, all'«acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale» (cfr. comma 4 della Nota IIbis).
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 11 giugno 2020, n. 11221, in riferimento al medesimo comma 4 della Nota IIbis,
afferma che «A differenza della fattispecie relativa all'accesso al beneficio la norma non estende espressamente il suo ambito di applicazione anche agli acquisti di diritti reali di godimento sul bene, limitandosi a richiedere l'acquisto di un immobile da destinarsi ad abitazione principale» (cfr. anche Cassazione 3 novembre 2023, n. 30527, ove si afferma che «questa Corte ha evidenziato come la disciplina dettata per il riacquisto dell' immobile trovi la propria ratio nel fine di favorire l'acquisto della casa di proprietà [...]»
Per ''acquisto'' deve intendersi l'acquisizione del diritto di proprietà dell'abitazione, e pertanto l'acquisto del diritto reale di godimento di cui alla fattispecie in esame, non integra la fattispecie giuridica prevista dal citato comma 4 di «acquisto di altro immobile» e non rappresenta un titolo idoneo ad evitare la decadenza dall'agevolazione fruita.
Tale decadenza comporta anche il mancato riconoscimento del credito d'imposta di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, in quanto, come precisato con circolare 12 agosto 2005, n. 38/E, il credito d'imposta in esame non spetta, tra l'altro, se il contribuente è decaduto dall'agevolazione prima casa in relazione al precedente acquisto, in quanto ciò comporta automaticamente, oltre al recupero delle imposte ordinarie e delle sanzioni, anche il recupero del credito eventualmente fruito.
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Obblighi Dac 7: le corrette definizioni di venditore e piattaforma
Le Entrate hanno pubblicato il Principio di Diritto n 3/2024 in risposta a dubbi sulle definizioni di:
- venditore e
- piattaforma,
relativamente ai soggetti su cui ricadono gli obblighi di comunicazione dei dati che scaturiscono dalla Direttiva DAC 7.
Leggi anche Piattaforme online: invio dati alle Entrate prorogato al 15.02
Dac 7: le corrette definizioni di venditore e piattaforma
L'Agenzia delle Entrate chiarisce quale sia la corretta interpretazione delle definizioni di:
- “piattaforma”
- e “venditore”
contenute nel Dlgs n. 32/2023 di attuazione della Direttiva (Ue) 2021/514 (Dac 7), relativa alla cooperazione amministrativa fiscale tra i Paesi dell’Unione.
La direttiva impegna gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinché i gestori di piattaforme digitali acquisiscano e comunichino, con modalità standardizzate, una serie di dati sui venditori in rete, alle competenti Amministrazioni fiscali, al fine del successivo scambio di informazioni.
Obiettivo è la ricostruzione dei ricavi realizzati dagli operatori attraverso il web, soprattutto se i proventi transitano attraverso piattaforme stabilite in giurisdizioni estere.
Il Dlgs n 32/2024 (in attuazione della Direttiva) impone ai gestori di piattaforme digitali che soddisfano determinati requisiti (c.d. ''gestori di piattaforma con obbligo di comunicazione'') l'obbligo di:
- espletare le procedure di adeguata verifica in materia fiscale, ai fini dell'identificazione dei venditori presenti sulle piattaforme;
- comunicare all'Agenzia delle entrate, al fine del successivo scambio con le Amministrazioni fiscali estere, una serie di informazioni riguardanti i venditori, le attività intermediate per il tramite della piattaforma, i corrispettivi versati ai venditori in relazione a tali attività e i conti finanziari sui quali vengono accreditati i corrispettivi.
L' ADE, con il principio di diritto n 3/2024, vuole chiarire la corretta definizione dei due termini.
Prima di replicare al quesito, riporta le definizioni del quesito che evidenziava che:
- è una ''piattaforma'' ''qualsiasi software accessibile agli utenti, compresi i siti web o parti di essi e le applicazioni, anche mobili, che consente ai venditori di essere collegati con altri utenti allo scopo di svolgere, direttamente o indirettamente, un'attività pertinente per tali utenti (…)'';
- è un ''venditore'' ''un utente della piattaforma, sia esso una persona fisica o un'entità, che si è registrato sulla piattaforma durante il periodo oggetto di comunicazione e svolge un'attività pertinente''.
Inoltre, ''attività pertinente'' è ''un'attività svolta al fine di percepire un corrispettivo, ad eccezione di quelle svolte da un venditore che agisce in qualità di dipendente del gestore di piattaforma o di un'entità collegata del gestore di piattaforma, e che rientra in una delle tipologie elencate di seguito:
- 1) la locazione di beni immobili, compresi gli immobili residenziali e commerciali, nonché qualsiasi altro bene immobile e spazio di parcheggio;
- 2) i servizi personali;
- 3) la vendita di beni;
- 4) il noleggio di qualsiasi mezzo di trasporto'.
L'’Agenzia osserva che la definizione di attività pertinente data dal decreto su indicata:
- non richiede necessariamente che vi sia un contatto diretto tra gli utenti-venditori e gli altri utenti di un sito web
- né che le attività pertinenti vengano svolte dai venditori nei confronti degli altri utenti in maniera “indiretta'” e, quindi, attraverso la piattaforma stessa o il suo gestore.
L’Amministrazione spiega che, l’ipotesi di un’attività svolta anche “indirettamente” dal venditore comporta che la cessione da parte del gestore della piattaforma in nome proprio e per conto dell'utente-venditore non alteri la riconducibilità dell’operazione tra quelle oggetto di comunicazione.
Tali conclusioni sono coerenti con quelle assunte in sede Ocse, contenute nelle Model Rules. Viene specificato infatti che la risposta n. 15 alle Frequently Asked Questions, relativa alle Model Rules (ottobre 2023) ha precisato che deve essere considerata come “piattaforma”, un sito web di locazione di alloggi, che mette a disposizione beni immobili agendo a proprio nome ma per conto di venditori terzi e i relativi affitti devono essere considerati attività pertinenti.
Il gestore, in tal caso, è tenuto a comunicare i corrispettivi ricevuti dai venditori registrati sulla piattaforma in relazione a tali attività pertinenti.
In sintesi, quindi, anche se non consente ai venditori di interagire con gli altri utenti, un sito web che permette ai primi di cedere beni materiali ai secondi, anche in modo indiretto, attraverso la piattaforma stessa o il suo gestore, rappresenta una “piattaforma” secondo le previsioni dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del Dlgs n. 32/2023.
Per la nozione di “venditore”, l’Agenzia precisa che l'espressione “registrato sulla piattaforma” riportata dall'articolo 2, comma 1, lettera n) del Dlgs, comprende, in via generale, tutti i casi in cui i dati del venditore che utilizza la piattaforma risultano in qualche modo acquisiti dalla piattaforma stessa, e possano, quindi, essere successivamente oggetto di comunicazione.
Di conseguenza, rilevano anche le ipotesi in cui l'utente non si abbia uno specifico account o profilo, ma sia entrato in una relazione contrattuale con il gestore della piattaforma.
La conclusione, specifica l'ADE, è coerente con le indicazioni fornite dal Commentario alle Model Rules, con riferimento alla analoga definizione di venditore (Seller).
Allegati: -
Ai fini fiscali anche gli uffici possono essere destinati ad abitazione principale
L’articolo 76 comma 1 lettera b del TUIR delimita il perimetro dell’imponibilità fiscale delle plusvalenze immobiliari realizzate dalle persone fisiche.
Con maggiore precisione, il legislatore fiscale conduce ai redditi diversi quelle operazioni di compravendita immobiliare che sottendono una finalità speculativa, mentre esime dall’imposizione fiscale le operazioni di smobilizzo patrimoniale, che non denotano una finalità speculativa.
Per rintracciare la mancanza della finalità speculativa vengono stabiliti due criteri alternativi:
- che l’immobile ceduto sia stato acquistato (o costruito) più di cinque anni prima;
- che, nel periodo intercorrente tra l’acquisto (o la costruzione) dell’immobile e la successiva cessione, questo sia stato adibito ad abitazione principale da parte del contribuente.
L’ordinanza numero 14528 della Corte di Cassazione, pubblicata il 25 giugno 2024, tratta proprio dell’imponibilità fiscale delle plusvalenze derivanti dall’alienazione dell’abitazione principale del contribuente.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate portava a tassazione la plusvalenza derivante dall’alienazione dell’immobile ritenendo che, essendo l’immobile un ufficio con categoria catastale A10, questo non potesse essere idoneo a configurare l’abitazione principale del contribuente.
Del resto la pretesa è coerente con la posizione assunta ufficialmente dalla prassi con la Risoluzione 105/E/2007: su questa veniva asserito che potevano essere qualificati come abitazioni principali solo gli immobili censiti al catasto come abitazioni (quindi con categoria catastale da A1 a A9), che gli uffici non sono (avendo la categoria catastale A10).
L’ordinanza n 14528/2024 della Corte di Cassazione
Ricordando che la giurisprudenza costituisce fonte di diritto superiore alla prassi, la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 14528 del 25 giugno 2024, puntualizza che:
- l’articolo 76 comma 1 lettera b del TUIR non fa alcun riferimento alla categoria catastale dell’immobile, richiedendo soltanto che questo sia adibito ad abitazione principale;
- il successivo articolo 10 del TUIR dispone che per abitazione principale si intende quella in cui il proprietario o suoi familiari dimorano abitualmente.
Il punto è che il TUIR, nel definire le connotazioni fiscali di questi concetti, pone il punto sull’effettività del fatto che l’immobile sia adibito ad abitazione principale da parte del contribuente, a nulla rilevando criteri formali quali la categoria catastale d’appartenenza o il censimento della residenza in tale immobile.
La Corte di Cassazione, quindi, nega il fatto che l’appartenenza dell’immobile alla categoria catastale A10 possa costituire un elemento ostativo alla qualificazione di un ufficio come abitazione principale, perché ciò che importa è che l’immobile sia stato effettivamente l’abitazione principale del contribuente.
Ovviamente però, il contribuente ha al tempo stesso il diritto e l’onere di dover provare che tale immobile costituisca la sua abitazione principale, in mancanza di altri requisiti formali a sostegno di ciò.
Per concludere la Corte di Cassazione emana il seguente principio di diritto: “in caso di cessione, entro il quinquennio dall’acquisto, di un immobile classificato ad uso ufficio, ma oggettivamente classificabile anche ad altri usi abitativi, l’effettiva adibizione di esso ad abitazione principale del cedente (sul quale grava il relativo onere probatorio) o di un suo familiare, da intendersi come destinazione a dimora abituale, ove realizzatasi per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione, è idonea ad escludere l’assoggettamento a tassazione dell’eventuale plusvalenza conseguita dal cedente, anche se tale destinazione sia avvenuta in contrasto con la classificazione catastale dell’immobile, potendosi anche in tal caso escludere l’intento speculativo dell’operazione”.
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Riforma delle Dogane: tante novità in vigore dal 4 ottobre
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n 232 del 3 ottobre il Dlgs n 141 del 26 settembre con Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell'Unione e revisione del sistema sanzionatorio.
Il decreto approvato nell'ambito della Riforma Fiscale (Legge n 111/2023) vuole disciplinare una ampia riforma delle Dogane.
Tra le novità di rilievo si evidenziano:
- il rafforzamento dei controlli integrati tra Agenzia delle Dogane e Guardia di finanza;
- il superamento dell’istituto della controversia doganale;
- la riscrittura delle sanzioni amministrative;
- l'inclusione dell'IVA all'importazione nei diritti doganali.
Vediamo più in dettaglio cosa si prevede per l'IVA.
Dlgs Riforma Dogane: IVA inserita tra i diritti doganali
Con l'art 27, del Titolo III Capo I, rubricato Diritti doganali e diritti di confine si prevede che sono diritti doganali tutti quei diritti che l'Agenzia è tenuta a riscuotere in forza di vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea o da disposizioni di legge.
Fra i diritti doganali costituiscono diritti di confine, oltre ai dazi all'importazione e all'esportazione previsti dalla normativa unionale, i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o all'esportazione, i diritti di monopolio, le accise, l'imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all'atto dell'importazione, a favore dello Stato.
L'imposta sul valore aggiunto non costituisce diritto di confine nei casi di:- a) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell'imposta sul valore aggiunto per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell'Unione europea;
- b) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell'imposta sul valore aggiunto e vincolo a un regime di deposito diverso dal deposito doganale.
In proposito occorre evidenziare che la previsione è in contrato con la giurisprudenza della Corte UE e della Cassazione.
La Corte di Giustizia UE, ha distinto più volte i dazi all’importazione dall’IVA, e nella causa n C-714/20 ha affermato che l’IVA all’importazione “non fa parte dei dazi all’importazione” (ex art. 5 punto 20 del CDU).
Anche la Cassazione si è espressa in proposito e le Sezioni Unite con sentenza n. 18286/2024, hanno chiarito che “la diversità tra dazi e IVA all’importazione comporta che, ai fini della determinazione delle sanzioni, non può essere cumulato il rispettivo ammontare dei diritti evasi”.
Dlgs Dogane: i nuovi controlli con la GdF
L’art. 4 si prevede un maggior coordinamento delle attività di controllo tra Agenzia delle Dogane e Guardia di Finanza nell’ambito delle rispettive aree di competenza.
Con l'art 12 si prevede che il personale dell'Agenzia, per assicurare l'osservanza delle disposizioni stabilite dalle leggi in materia doganale e dalle altre leggi la cui applicazione è demandata all'Agenzia, può procedere, direttamente o a mezzo dei militari della Guardia di finanza, alla visita dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere che attraversano la linea di vigilanza doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli spazi stessi.
Quando sussistono fondati sospetti di irregolarità i mezzi di trasporto possono essere sottoposti anche a ispezioni o controlli tecnici particolarmente accurati diretti ad accertare eventuali occultamenti di merci.
Il detentore del veicolo è tenuto a prestare la propria collaborazione per l'esecuzione delle verifiche, osservando le disposizioni a tal fine impartite dagli organi di cui al comma 1.
Le disposizioni si applicano anche nei confronti dei bagagli e degli altri oggetti in possesso delle persone che attraversano la linea di vigilanza doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli spazi stessi.
Con l'art 13 si prevede che il personale dell'Agenzia, per assicurare l'osservanza delle disposizioni stabilite dalle leggi in materia doganale e delle altre leggi la cui applicazione è demandata all'Agenzia, può invitare coloro che per qualsiasi motivo circolano nell'ambito degli spazi doganali a esibire gli oggetti e i valori portati sulla persona.
In caso di rifiuto e ove sussistano fondati motivi di sospetto, con provvedimento scritto e motivato dell'Agenzia, le persone di cui al comma 1 possono essere sottoposte a perquisizione personale.
Della perquisizione è redatto processo verbale che, insieme al provvedimento di cui al comma 2, è trasmesso entro quarantotto ore alla competente autorità giudiziaria.
L'autorità giudiziaria, se riconosce legittimo il provvedimento di cui al comma 2, lo convalida entro le successive quarantotto ore.Con l'art 14 invece si prevede che le disposizioni di cui agli articoli 12 e 13 si applicano, al fine di assicurare l'osservanza delle norme in materia doganale e valutaria, anche fuori degli spazi doganali, nei confronti delle persone, dei bagagli e dei mezzi di trasporto che comunque attraversano il confine terrestre dello Stato, nonchè nei confronti dei natanti e aeromobili, dei relativi equipaggi e passeggeri e dei bagagli quando risulti o sussista motivo di ritenere che i predetti natanti e aeromobili siano in partenza per l'estero ovvero in arrivo dall'estero. In tali casi alla competenza del personale dell'Agenzia e' sostituita quella dei militari della Guardia di finanza.