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Sanzioni per omesse ritenute: la Consulta conferma la misura in vigore
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 103 del 2025, ha affrontato una questione sollevata dal Tribunale di Brescia riguardante la legittimità dell’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638), come modificato dall’art. 23, comma 1, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (convertito nella legge 3 luglio 2023, n. 85). La norma prevede che, in caso di omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali per un importo non superiore a 10.000 euro annui, si applichi una sanzione amministrativa da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.
La sentenza riconferma la legittimità della cornice sanzionatoria prevista per gli omessi versamenti contributivi inferiori alla soglia penale, ribadendo il principio secondo cui la discrezionalità legislativa è limitata solo da evidenti profili di irragionevolezza, qui ritenuti insussistenti. Ecco tutti i dettagli.
Il caso: sanzioni INPS per omessi versamenti sotto i 10.000 euro
La questione era stata sollevata nell’ambito di due giudizi promossi da soggetti sanzionati dall’INPS per omessi versamenti riferiti agli anni 2013-2015.
I ricorrenti contestavano la sproporzione della sanzione minima e l’impossibilità di graduarla in base alle condizioni soggettive, soprattutto nei casi in cui l’inadempimento del datore di lavoro fosse dovuto a gravi difficoltà finanziarie.
Si ricorda anche che già nel 2023 la Consulta era stata chiamata a valutare la legittimità delle sanzioni amministrative nella misura prevista prima delle modifiche apportate dall’art. 23 comma 1 del DL 48/2023, . in quel caso gli atti erano stati rimessi al giudice per una rivalutazione in attesa dell'entrata in vigore delle novità.
Il giudizio della Corte: discrezionalità del legislatore e proporzionalità
Nel valutare la questione, la Consulta ha ricordato che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione delle sanzioni, purché rispetti il principio di proporzionalità. Inoltre secondo la Corte, l’omesso versamento di ritenute di competenza dei lavoratori è un comportamento particolarmente grave, poiché comporta la distrazione di somme destinate alla copertura previdenziale, incidendo su diritti fondamentali costituzionalmente tutelati (artt. 1, 4, 35, 38 Cost.).
La Corte ha ritenuto che la previsione sanzionatoria – anche nel suo minimo – sia coerente co la finalità deterrente della norma, volta a contrastare efficacemente l’evasione contributiva. Ha inoltre sottolineato che eventuali situazioni soggettive che impediscano l’adempimento (come lo stato di necessità o l’assenza di dolo) non incidono sulla misura della sanzione ma, semmai, sulla sussistenza o meno della responsabilità, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Il confronto con il reato penale e le conclusioni della Consulta
Un altro aspetto critico sollevato dal giudice a quo riguardava l’apparente paradosso per cui la sanzione amministrativa per omessi versamenti sotto soglia, in certi casi, può risultare economicamente più gravosa rispetto al quella prevista per l’omesso versamento superiore alla soglia di 10.000 euro, che costituisce reato.
Tuttavia, la Corte ha respinto anche questa osservazione, precisando che la responsabilità penale comporta una serie di conseguenze ulteriori (processo penale, possibili pene accessorie, limitazioni reputazionali e contrattuali) che non si esauriscono nella pena pecuniaria e che rendono improprio un mero confronto aritmetico.
Pertanto, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Rispondendo anche alle obiezioni della Presidenza del Consiglio ha anche sottolineato che nessun vuoto normativo sarebbe comunque derivato da un eventuale accoglimento, poiché la disciplina generale delle sanzioni amministrative prevede un minimo edittale residuale (art. 10, legge n. 689/1981).
Ma, nel merito, la previsione di una sanzione minima elevata si giustifica per l’importanza del bene giuridico tutelato e la gravità dell’illecito.
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Licenziamenti collettivi: cosa prevede la normativa europea
Una sentenza della Corte di Giustizia chiarisce i limiti della direttiva 98/59/CE nei casi di lavoratori messi a disposizione da imprese esterne ai fini del calcolo complessivo dei dipendenti in una procedura di licenziamento collettivo. Ecco il caso e le motivazioni della sentenza C -419/24 del 19 giugno 2025.
Il contesto del caso: lavoratori esterni e licenziamento collettivo
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata recentemente chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di cassazione francese, relativa all’interpretazione dell’art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi.
Il caso trattato nella causa C 419 2024 nasce da una controversia tra una società francese del settore alberghiero e una lavoratrice licenziata nel quadro di una procedura collettiva avviata a seguito della chiusura temporanea della struttura ricettiva per ristrutturazione.
In particolare, la questione ruotava attorno al numero complessivo di dipendenti da considerare per valutare se vi fosse l’obbligo di predisporre un piano di salvaguardia dell’occupazione, previsto dalla normativa francese per le imprese con almeno 50 dipendenti che intendano licenziare almeno 10 lavoratori in 30 giorni.
Il nodo interpretativo riguardava il computo, ai fini del raggiungimento della soglia, anche dei lavoratori messi a disposizione da una società esterna presenti stabilmente nei locali dell’albergo.
L’inquadramento giuridico e la posizione delle parti
La direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 stabilisce le regole minime comuni tra gli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, con particolare attenzione alla procedura di consultazione e informazione dei rappresentanti dei lavoratori. Tuttavia, non prevede alcun obbligo di predisporre piani specifici per la salvaguardia dell’occupazione. La normativa francese invece, in particolare l’articolo L.1233-61 del Code du travail, stabilisce tale obbligo per imprese con almeno 50 dipendenti e licenziamenti consistenti.
La Corte d'appello francese aveva annullato il licenziamento perché la società datrice non aveva incluso, nel calcolo dell'organico, gli 11 lavoratori della società esterna operanti da lungo tempo nell'albergo. La Corte di cassazione ha quindi chiesto alla Corte di Giustizia se, ai sensi della direttiva europea, tali lavoratori potessero essere considerati abitualmente impiegati presso l’impresa utilizzatrice.
Secondo la società, i lavoratori esterni non potevano essere computati, in quanto non potevano essere oggetto del licenziamento né beneficiari del piano di salvaguardia.
Di diverso avviso la Corte d’appello, che li ha considerati come parte della forza lavoro effettiva dell’impresa.
La decisione della Corte di Giustizia e le sue implicazioni
Con la sentenza del 19 giugno 2025 nella causa C-419/24, la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale, stabilendo che la direttiva 98/59/CE non trova applicazione in un caso come quello descritto. La Corte ha chiarito che tale direttiva non impone alcun obbligo specifico in merito alla predisposizione di piani di salvaguardia dell’occupazione e che, di conseguenza, le disposizioni nazionali che impongono tale onere restano di esclusiva competenza degli Stati membri.
La decisione si fonda su un principio consolidato: le norme dell’Unione si applicano solo se la situazione oggetto della controversia rientra nel loro ambito. La direttiva 98/59/CE, che armonizza solo parzialmente le procedure di licenziamento collettivo, non prevede criteri rigidi per il calcolo della soglia di dipendenti né obbliga alla predisposizione di piani di tutela, lasciando ampia discrezionalità alla legislazione nazionale. In questo quadro, l’art. L.1233-61 del codice del lavoro francese si configura come una norma più favorevole ai lavoratori, pienamente lecita ma autonoma rispetto alla normativa europea.
In definitiva, la Corte non si è espressa nel merito della definizione di “lavoratore abitualmente occupato”, ma ha rinviato ogni valutazione al giudice nazionale.
Si ribadisce il principio secondo cui le direttive europee non possono essere invocate per valutare disposizioni nazionali che impongono obblighi ulteriori rispetto al quadro armonizzato. La disciplina francese sul computo dei lavoratori esterni e sull’obbligo di elaborare un piano di salvaguardia resta, dunque, esclusiva prerogativa del legislatore nazionale.
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Tecnici radiologi e medici radiologi prestazioni INAIL 2025 : le istruzioni
E' stato pubblicato il 16 maggio 2025 sul sito istituzionale del Ministero del lavoro il decreto 59 del 24 aprile con la definizione della retribuzione convenzionale per il 2025 ai fini della determinazione dei nuovi importi delle prestazioni economiche erogate dall’Inail per tecnici radiologi e allievi esposti all'azione di raggi X e sostanze radioattive che avranno decorrenza dal 1 luglio 2025 con le misure riportate nel paragrafo successivo
Il 28 maggio è apparso anche il decreto del 24 aprile 2025 sulla retribuzione convenzionale da assumersi per la liquidazione delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL a favore dei medici esposti a radiazioni ionizzanti, con decorrenza 1° luglio 2025,
In data 4 luglio INAIL ha pubblicato le consuete circolari di istruzioni.(v. ultimo paragrafo).
Retribuzioni convenzionali 2025 tecnici radiologi
Sulla base della legge 4 agosto 1965 n. 1103, recante “Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica” e, in particolare, l'articolo 15, come sostituito dall'articolo 6 della legge 31 gennaio 1983, n. 25, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 4 agosto 1965, n. 1103, e al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968, n. 680, sulla regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'attività di tecnico sanitario di radiologia medica”, il quale, al comma 1, prevede che "La retribuzione convenzionale annua da assumere come base per la liquidazione delle rendite è fissata, annualmente (…) in relazione alla media delle retribuzioni iniziali, comprensive dell'indennità integrativa speciale dei tecnici sanitari di radiologia medica dipendenti dalle strutture pubbliche, sentita la Federazione nazionale dei collegi tecnici di radiologia medica", le retribuzioni convenzionali dal 1 luglio 2025 sono le seguenti:
Anno Retribuzione convenzionale Anno 2016 e precedenti 29.370,51 € Anno 2017 29.611,96 € Anno 2018 30.134,54 € Anno 2019 29.917,09 € Anno 2020 30.004,82 € Anno 2021 – 2025 30.620,24 € Retribuzioni convenzionali e rivalutazione INAIL per medici esposti a radiazioni
La retribuzione convenzionale da assumersi per la liquidazione delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL a favore dei medici esposti a radiazioni ionizzanti, con decorrenza 1° luglio 2025, è stabilita nella misura di euro 66.866,83
Le medesime prestazioni economiche in corso di godimento sono riliquidate applicando il coefficiente di rivalutazione dell’1,008.
Le istruzioni INAIL circolari 41 e 42 del 4.7.2025
La Circolare n. 41/2025 sulla rivalutazione delle prestazioni per i medici esposti a radiazioni comunica ni particolare che le Sedi INAIL procederanno alla liquidazione d’ufficio con i modelli standard di comunicazione (170/IMec e 171/IMec), prevedendo aggiornamenti anagrafici entro 15 giorni dalla ricezione.
La Circolare n. 42/2025 riguardante la rivalutazione delle prestazioni economiche e la determinazione della retribuzione convenzionale per i tecnici sanitari autonomi di radiologia medica e per gli allievi dei relativi corsi, precisa che , la liquidazione delle prestazioni avverrà d’ufficio nel rateo di rendita di agosto 2025, accompagnata da apposita comunicazione tramite i modelli INAIL. Le eventuali variazioni anagrafiche dovranno essere comunicate tempestivamente per l’aggiornamento degli archivi informatici.
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Licenziamento e legge 104: obbligo di repechage personalizzato
Con la sentenza n. 18063 del 3 luglio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – si è espressa in merito al licenziamento di un lavoratore beneficiario della legge 104/1992, avvenuto a seguito della soppressione del posto di lavoro e del rifiuto del dipendente di accettare una ricollocazione con diversa articolazione oraria.
Il lavoratore, da vent’anni in azienda, aveva sempre prestato servizio con un orario a ciclo continuo e beneficiava dei permessi previsti dalla legge 104 per assistere la moglie con disabilità grave.
Il datore di lavoro, a fronte della soppressione della posizione occupata, gli aveva offerto un impiego alternativo come carrellista nel reparto spedizione, ma su doppio turno, rifiutata dal dipendente per incompatibilità con le esigenze di assistenza.
In prima istanza, il Tribunale aveva annullato il licenziamento, ma in secondo grado la Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto legittimo il recesso dell'azienda, affermando che l’azienda avesse assolto all’obbligo di repêchage e che il rifiuto del lavoratore fosse ingiustificato
L’intervento della Cassazione: errori nella valutazione del repêchage
La Cassazione ha ribaltato la sentenza della Corte d’Appello, accogliendo due dei motivi di ricorso presentati dal lavoratore: l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la mancata pronuncia sulla domanda di licenziamento discriminatorio (art. 112 c.p.c.).
In particolare, è stato ritenuto erroneo non considerare che, come evidenziato dagli atti di causa e dal Libro Unico del Lavoro (LUL), l’azienda aveva successivamente assunto altri dipendenti anche con l’orario richiesto dal lavoratore, dimostrando l’esistenza di soluzioni alternative alla cessazione del rapporto.
Secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro è tenuto – in forza del principio di buona fede e correttezza e ai sensi dell’art. 2103 c.c. – a ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori, qualora queste siano compatibili con le sue capacità e con l’organizzazione aziendale vigente. Tale obbligo risulta ancora più stringente nei confronti di lavoratori che fruiscono dei benefici previsti dalla legge 104/1992. La Corte ha anche richiamato i principi costituzionali a tutela del lavoro (artt. 4, 35 e 41 Cost.) e la giurisprudenza consolidata secondo cui il licenziamento deve essere sempre considerato una “extrema ratio”.
Conclusione: illegittima la mancata verifica di possibile demansionamento
La Cassazione ha ritenuto che la Corte territoriale non abbia correttamente verificato se fosse davvero impossibile una ricollocazione del dipendente in mansioni compatibili con l’orario a ciclo continuo. Il fatto che altri lavoratori siano stati successivamente assunti con tale regime orario, e che lo stesso fosse ancora in uso in vari reparti aziendali, dimostra che l’opzione era praticabile e andava valutata attentamente.
Inoltre, la Corte ha censurato il mancato esame della domanda relativa alla natura discriminatoria o comunque illecita del licenziamento, ritenendo sufficiente la sua riproposizione da parte del lavoratore nella memoria di costituzione in appello.
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna è stata cassata con rinvio ad altra sezione, che dovrà riesaminare la vicenda considerando il principio per cui il repêchage, soprattutto in presenza di lavoratori tutelati dalla legge 104/1992, non può limitarsi a una proposta standard, ma deve essere concreto, documentato e calibrato anche sulle esigenze di cura e assistenza familiare del dipendente.
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Assegno d’invalidità: integrazione al minimo anche col contributivo
Con la sentenza n. 94/2025 pubblicata il 3 luglio , la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 1, comma 16, della legge n. 335/1995 (nota come Riforma Dini), nella parte in cui nega l’integrazione al minimo agli assegni ordinari di invalidità interamente calcolati con il sistema contributivo. La norma, introdotta per razionalizzare la spesa pensionistica nel passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, impediva infatti che questi assegni beneficiassero della quota integrativa, differenziandosi da quelli misti o retributivi.
La Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione, ritenendo che questa esclusione violi gli articoli 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, per disparità di trattamento e insufficiente tutela dei soggetti disabili in condizione di bisogno.
L’assegno ordinario d’invalidità, destinato a chi ha visto ridotta la capacità lavorativa a meno di un terzo per cause fisiche o mentali, presenta caratteristiche peculiari tali da giustificare una disciplina integrativa speciale, anche sotto il regime contributivo.
Ecco le motivazioni della pronuncia dell Consulta.
Integrazione dovuta per una prestazione assistenziale-ponte
La Corte costituzionale afferma in primo luogo che sin dalla sua introduzione con la legge n. 222/1984, l’assegno ordinario d’invalidità si è distinto da altre prestazioni pensionistiche per finalità e modalità di calcolo.
Esso risponde a una logica assistenziale oltre che previdenziale, offrendo un sostegno economico a lavoratori in età ancora attiva ma resi parzialmente inabili al lavoro.
In questo contesto, anche l’integrazione al minimo ha assunto una forma diversa: non un’equiparazione automatica al minimo INPS, ma una somma aggiuntiva a carico del fondo sociale, oggi gestito dal GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), finanziato tramite la fiscalità generale.
La Corte sottolinea che escludere dal beneficio chi percepisce l’assegno solo in forma contributiva non consente alcun risparmio per le casse pubbliche, poiché il relativo costo è già coperto da fondi assistenziali.
Inoltre, il rischio concreto è che un soggetto invalido in età lavorativa, con un assegno di importo molto basso, resti privo di qualsiasi supporto economico se non ha i requisiti per altre misure come l’assegno di invalidità civile, l’assegno di inclusione o l’assegno unico familiare.
Effetti della sentenza e decorrenza
La Corte ha evidenziato che l’assegno ordinario d’invalidità non rientra nella categoria delle prestazioni previdenziali mirate alla copertura della vecchiaia, ma svolge una funzione diversa e anticipata, destinata a coprire il periodo di attività lavorativa interrotto o limitato per ragioni sanitarie. Proprio per questa sua natura, non può essere equiparato agli altri trattamenti pensionistici esclusi dall’integrazione al minimo in base alla legge del 1995.
Considerato l’impatto finanziario potenzialmente significativo derivante dal riconoscimento retroattivo degli arretrati, la Corte ha stabilito che gli effetti della sentenza decorreranno dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, evitando effetti ex tunc che avrebbero gravato eccessivamente sulla finanza pubblica per l’anno in corso.
La pronuncia rappresenta un importante intervento di riequilibrio costituzionale, che rafforza le garanzie a tutela delle persone con disabilità lavorativa, riaffermando il principio di uguaglianza e il diritto a un’esistenza libera e dignitosa, come sancito dalla Carta costituzionale.
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Studi Professionali: da EBiPro contributi per genitori, disabilità, centri estivi
L’Ente Bilaterale Nazionale degli Studi Professionali (E.Bi.Pro.) amplia il ventaglio delle prestazioni a sostegno del welfare integrativo di lavoratrici e lavoratori del comparto, introducendo tre nuove misure rivolte ai padri, ai caregiver familiari e alle famiglie con figli in età scolare.
Le domande vanno presentate online, tramite il portale dell’Ente, da parte del datore di lavoro o direttamente dal lavoratore, a seconda della prestazione.
Di seguito una panoramica delle nuove misure attive a partire dal 23 giugno 2025.
In allegato il nuovo Regolamento in vigore dal 2 luglio 2025 .
Indennità per congedo parentale del padre o genitore unico
Si tratta di un contributo aggiuntivo settimanale di 100 euro per un massimo di 12 settimane (1.200 euro totali), riservato ai padri lavoratori o ai genitori unici affidatari che usufruiscano del congedo parentale entro il compimento del terzo anno di età (o ingresso in famiglia) del bambino.
Chi può richiederlo:
La domanda deve essere presentata dal datore di lavoro, che anticipa l'importo in busta paga.
Possono beneficiarne i lavoratori con almeno sei mesi di anzianità contributiva a E.Bi.Pro. e con datori di lavoro in regola con i versamenti alla bilateralità.
- Documentazione necessaria:
- Stato di famiglia (padre) o autocertificazione stato civile (monogenitore);
- Certificato di nascita del bambino;
- Buste paga con evidenza del congedo fruito;
In seguito, la busta paga con l’indennità anticipata.
Tempistiche per la domanda
Non sono previste finestre temporali annuali. La richiesta può essere presentata in qualsiasi momento e viene liquidata entro 120 giorni dalla presentazione completa.
Contributo per familiari con indennità di accompagnamento INPS
Cos'è:
Un contributo una tantum di 500 euro, richiedibile al massimo due volte durante tutta la durata dell'iscrizione del lavoratore a E.Bi.Pro., destinato a dipendenti con familiari (genitori, figli, fratelli/sorelle, coniugi, uniti civilmente o conviventi registrati) percettori di indennità di accompagnamento INPS per inabilità totale.
Chi può richiederlo:
La richiesta è a cura del datore di lavoro, che anticipa la somma in busta paga.
Documentazione necessaria:
- Certificazione INPS dell’indennità di accompagnamento in corso di validità;
- Autocertificazione del grado di parentela;
- Busta paga con l’indennità anticipata.
Tempistiche:
La domanda è presentabile in qualsiasi momento, ma il datore di lavoro deve inoltrare la busta paga entro 3 mesi dall’anticipazione. La liquidazione da parte di E.Bi.Pro. avviene entro 120 giorni.
Rimborso per i Centri Estivi 2025
Cos'è:
Un rimborso pari al 30% delle spese sostenute, fino a un massimo di 300 euro, per la frequenza di centri estivi da parte dei figli durante l’estate 2025 (giugno-settembre), nel periodo di sospensione scolastica.
Chi può richiederlo:
In questo caso, la domanda è presentata direttamente dal lavoratore iscritto a E.Bi.Pro., purché abbia almeno 6 mesi di anzianità contributiva.
Documentazione necessaria:
Fatture o ricevute fiscali intestate al genitore o al figlio, redatte su carta intestata del centro estivo e indicanti periodo e dati identificativi del bambino;
Copia dell’ultima busta paga.
Tempistiche:
Le domande devono essere presentate dal 1° settembre al 31 dicembre 2025 esclusivamente tramite la piattaforma online. È possibile includere nella stessa domanda le spese per più figli
Requisiti generali – modalità di domanda e di pagamento
Tutte le misure sono rivolte a lavoratori:
- assunti con il CCNL Studi e Attività Professionali;
- con almeno sei mesi continuativi di anzianità contributiva a C.A.DI.PROF./E.BI.PRO.;
- in forza presso lo studio al momento della domanda;
- i cui datori di lavoro siano in regola con i versamenti alla bilateralità di settore.
Come presentare le domande
L’accesso avviene tramite l’Area Riservata sul sito www.ebipro.it, con procedura online e vanno allegati documenti in formato PDF leggibili e non criptati.
Le domande vengono istruite in ordine cronologico, e i rimborsi liquidati entro 120 giorni dalla presentazione completa.
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Contributi 2025 per piccoli coloni e compartecipanti familiari in agricoltura
Con la Circolare INPS n. 108 del 2 luglio 2025, l’Istituto ha reso note le disposizioni relative alla contribuzione dovuta dai concedenti per i piccoli coloni e compartecipanti familiari (PC/CF) per l’anno 2025, ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. 488/1968 e dell’art. 7 della legge 233/1990.
Le aliquote includono le componenti previdenziali, assistenziali e assicurative, nonché le agevolazioni per territori svantaggiati. Il versamento è previsto in quattro rate, con prima scadenza fissata al 16 luglio 2025.
Contributi 2025 piccoli coloni e compartecipanti familiari – Aliquote e agevolazioni
L’aliquota per il FPLD è confermata al 30,19%, così suddivisa:
- 21,35% a carico del concedente
- 8,84% a carico del concessionario
Agevolazioni e riduzioni
Per i concedenti restano in vigore i seguenti esoneri:
- Assegni familiari: -0,43%
- Tutela maternità: -0,03%
- Disoccupazione: -0,34% + ulteriore -1,00%
Contributi INAIL
Resta invariato il contributo per l’assicurazione infortuni sul lavoro:
- Aliquota ordinaria: 10,125%
- Addizionale: 3,1185%
Confermata la riduzione dei premi INAIL pari al 14,80% per le aziende agricole aventi diritto.
Contributi 2025 piccoli coloni e compartecipanti familiari – Agevolazioni per zone tariffarie
Di seguito le aliquote di riduzione per le zone montane e svantaggiate:
Territorio Agevolazione Contributo dovuto Non svantaggiati — 100% Montani 75% 25% Svantaggiati 68% 32% Tabella aliquote contributive 2025
tabella contributiva 2025 Voci contributive Totale Concedente Concessionario Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti 30,19% 21,35% 8,84% Quota base 0,11% 0,11% Assistenza Infortuni sul Lavoro 10,125% 10,125% Addizionale Infortuni sul lavoro 3,1185% 3,1185% Disoccupazione 2,75% 2,75% Esonero art. 120 L. 388/2000 -0,34% -0,34% Esonero art.1 Legge 266/2005 -1,00% -1,00% Prestazioni economiche di malattia 0,683% 0,683% Tutela lavoratrici madri 0,03% 0,03% Esonero art. 120 L. 388/2000 (maternità) -0,03% -0,03% Assegni familiari 0,43% 0,43% Esonero art. 120 L. 388/2000 (AF) -0,43% -0,43% Scadenze e modalità di pagamento
Come ricordato anche nel messaggio del 20 giugno 2025 le quattro rate dovranno essere versate entro:
- 16 luglio 2025
- 16 settembre 2025
- 17 novembre 2025
- 16 gennaio 2026
L'istituto ha comunicato anche che dal 2025 gli avvisi di tariffazione della contribuzione sia per i lavoratori autonomi agricoli che per piccoli coloni e compartecipanti non saranno più disponibili nel tradizionale “Cassetto previdenziale per agricoltori autonomi”, in fase di dismissione.
Tutti i contribuenti devono fare riferimento al nuovo “Cassetto previdenziale del Contribuente”, accedendo alla sezione “Dati complementari” > “Stampa lettera F24”.
Si ricorda che già dal 1° settembre 2024, l’accesso ai servizi telematici INPS è possibile esclusivamente tramite:
- SPID (livello ≥ 2)
- CIE 3.0
- CNS (Carta Nazionale dei Servizi).