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Spazi esterni bar e ristoranti: nuove regole in arrivo
Il nuovo decreto legislativo sul riordino delle strutture amovibili (dehors, pedane, tavolini, ombrelloni, elementi di arredo urbano), adottato in attuazione della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 (L. 193/2024, art. 26) entrerà in vigore, salvo proproghe, dal 2026.
Si chiude definitivamente la lunga fase emergenziale avviata con il Covid, quando la normativa aveva previsto deroghe per agevolare le attività di somministrazione di alimenti e bevande.Il decreto introduce regole uniformi e semplificate per l’occupazione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico da parte di bar, ristoranti e pubblici esercizi, con novità anche per i Comuni.
Spazi esterni bar e ristoranti: cosa cambia per i Comuni
I Comuni diventano protagonisti dell’attuazione della nuova disciplina in quanto responsabili di adempimenti specifici.
Inoltre, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, la Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero della cultura individuerà, con appositi elenchi, i siti archeologici e i beni culturali di eccezionale valore.
I Comuni dovranno pubblicare tali elenchi sui propri siti istituzionali, garantendone la consultazione da parte dei cittadini ed emettere:
- regolamenti comunali con disposizioni che assicurino:
- il passaggio dei mezzi di soccorso;
- zone adeguate per il transito di persone con disabilità o ridotta mobilità,
- procedure edilizie uniformi infatti secondo le nuove norme l’installazione dei dehors sarà soggetta a CILA (Comunicazione di inizio lavori asseverata) semplificata. Nei casi di utilizzo temporaneo fino a 180 giorni basterà una semplice comunicazione;
- accordi semplificatori: i Comuni potranno stipulare intese con le Soprintendenze per adottare criteri standardizzati sulle tipologie di dehors ammissibili, con vantaggi in termini di velocità e chiarezza procedurale.
Dehors: novità per bar e ristoranti e Comuni
Per gli esercenti, la riforma definisce chiaramente cosa si intende per strutture amovibili e quando è necessaria un’autorizzazione, in particolare in esse sono comprese:
- tavolini, sedute, ombrelloni, pedane, paratie frangivento;
- elementi di arredo urbano e strutture leggere di copertura;
- dehors anche chiusi, purché smontabili e non legati da opere murarie.
Sono escluse invece le strutture non destinate direttamente alla somministrazione, come depositi o ricoveri di attrezzature.
In gran parte degli spazi pubblici, l’installazione di dehors non sarà più subordinata alle autorizzazioni previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004).
Resta comunque obbligatoria l’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico, rilasciata dal Comune.
L’autorizzazione culturale/paesaggistica resta necessaria per i dehors collocati in prossimità di siti archeologici e monumenti di eccezionale valore storico-artistico.
In questi casi, l’esame della Soprintendenza avverrà secondo parametri precisi:
- mantenimento della percezione visiva del bene e delle prospettive urbane;
- distanze minime dal monumento;
- omogeneità e decoro dei materiali utilizzati;
- progettazione integrata con lo spazio circostante.
La Soprintendenza dovrà pronunciarsi entro 45 giorni, con la regola del silenzio-assenso in caso di mancata risposta.
Il decreto prevede una disciplina transitoria per garantire un passaggio graduale:
- le strutture amovibili già installate ai sensi delle norme emergenziali (art. 9-ter, D.L. 137/2020) potranno restare fino al 31 dicembre 2025.
- dal 1° gennaio 2026, gli esercenti avranno 90 giorni di tempo per presentare domanda di autorizzazione, se i dehors si trovano in aree vincolate.
- in caso di diniego, le strutture dovranno essere rimosse e i luoghi ripristinati entro 180 giorni.
In sintesi quindi, il nuovo assetto produce effetti concreti per entrambe le parti:
- per i Comuni: maggiore responsabilità nella pubblicazione degli elenchi, nel rilascio delle autorizzazioni di suolo pubblico e nel controllo del rispetto delle regole. In cambio, beneficeranno di procedure uniformi e strumenti di semplificazione.
- per gli esercenti: più chiarezza normativa. Nelle aree non vincolate, l’installazione dei dehors sarà più veloce e meno burocratica. Nelle aree di pregio culturale, invece, occorrerà programmare per tempo la documentazione e rispettare requisiti di decoro e compatibilità.
- regolamenti comunali con disposizioni che assicurino:
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Lavori sotto tensione: elenco aggiornato soggetti autorizzati
Con il Decreto direttoriale del Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero della Salute del 9 settembre 2025 è stato aggiornato l'elenco relativo a :
- i soggetti abilitati per l'effettuazione dei lavori su impianti alimentati a frequenza industriale a tensione superiore a 1000V e
- i soggetti formatori dei lavoratori impiegati per i lavori sotto tensione,
come previsto al punto 3.4 dell'Allegato I del Decreto ministeriale 4 febbraio 2011 e articolo 82, comma 2 del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
Attenzione al fatto che l'abilitazione si applica in particolare :
a) ai lavori sotto tensione eseguiti da parte di operatori agenti dal suolo, dai sostegni delle parti in tensione, dalle parti in tensione, da supporti isolanti e non, da velivoli e da qualsiasi altra posizione atta a garantire il rispetto delle condizioni generali per l'esecuzione dei lavori in sicurezza;
b) alla sperimentazione sotto tensione che preveda lo sviluppo e l'applicazione di modalità, di tipologie di intervento e di attrezzature innovative.
L'elenco, allegato al decreto, sostituisce integralmente il 13° elenco adottato con decreto direttoriale di luglio 2025.
Elenco soggetti autorizzati e Commissione
L'elenco dei soggetti autorizzati prevede che:
- l' iscrizione ha validità triennale dalla data del decreto,
- le aziende autorizzate devono comunicare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, gli incidenti rilevanti o i gravi infortuni rientranti nel campo di applicazione del D.M. 4.2.2011.
Qualsiasi variazione nello stato di fatto o di diritto che le aziende autorizzate o i soggetti formatori intendono operare, deve essere comunicata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, previo parere della Commissione interministeriale per i lavori sotto tensione si esprime in merito alla variazione comunicata.
A seguito di gravi inadempienze delle aziende autorizzate può essere disposta l'immediata sospensione dell' scrizione nell'elenco delle aziende autorizzate o dei soggetti formatori.
Nei casi di particolare gravità si procede alla cancellazione.
La Commissione per i lavori sotto tensione è istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, ed è composta da:
a) un rappresentante effettivo ed uno supplente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con funzione di Presidente;
b) un rappresentante effettivo ed uno supplente del Ministero della salute;
c) un rappresentante effettivo ed uno supplente del Comitato Elettrotecnico Italiano, di seguito CEI;
d) un rappresentante effettivo ed uno supplente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, di seguito INAIL.
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Prima casa immobile preposseduto: chiarimenti sul credito d’imposta
Con la Risposta a interpello n 238 del 10 settembre le Entrate trattano ancora il tema della agevolazione prima casa.
Nello specifico l’Agenzia delle Entrate interviene su una questione rilevante per la prassi applicativa delle agevolazioni “prima casa”, in particolare per quanto riguarda la possibilità di fruire del credito d’imposta ex art. 7, L. 448/1998 nei casi in cui il nuovo acquisto agevolato preceda la vendita dell’immobile già posseduto.
L’interpello si inserisce nel contesto della modifica introdotta dalla Legge di Bilancio 2025, che ha esteso da 12 a 24 mesi il termine per la rivendita dell’immobile preposseduto, ai sensi del comma 4-bis della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa Parte I allegata al TUR.
L'istante ha acquistato una nuova abitazione nel 2024 beneficiando dell’aliquota IVA agevolata del 4%, impegnandosi contestualmente a vendere l’immobile precedentemente acquistato con i benefici “prima casa” entro il nuovo termine biennale.
Il quesito posto alle Entrate verte sulla possibilità di utilizzare il credito d’imposta in dichiarazione (mod. 730/2025) in relazione alla precedente imposta di registro versata, includendo anche la quota relativa al figlio fiscalmente a carico.
L’Istante aveva acquistato nel 2003 un’abitazione in comproprietà al 50% con il futuro coniuge, beneficiando delle agevolazioni “prima casa” e versando un’imposta di registro di 1.000 euro.
Dopo il decesso del coniuge nel 2011, ha ereditato un ulteriore 25% dell’immobile, mentre il restante 25% è stato devoluto al figlio minore, fiscalmente a carico.
Nel 2024, ha effettuato un nuovo acquisto agevolato, versando IVA al 4%, impegnandosi a vendere l’immobile precedente nei termini previsti dalla legge. Il contribuente chiede di poter detrarre l’intero importo dell’imposta di registro versata nel 2003, inclusa la quota del figlio, in sede di dichiarazione dei redditi per il 2024.
Prima casa: il credito di imposta nel caso di immobile preposseduto
L'agenzia ricorda che la modifica normativa introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, co. 116, L. 207/2024) ha esteso a due anni il termine per l’alienazione dell’immobile preposseduto al fine di mantenere i benefici “prima casa”, modificando il comma 4-bis della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa Parte I allegata al TUR.
Tale estensione, come chiarito anche dalla risposta n. 127/2025, si applica anche ai casi in cui il termine annuale non sia ancora scaduto al 31 dicembre 2024.
Questa disposizione consente, in deroga alla regola generale, di acquistare un nuovo immobile agevolato prima di vendere quello preposseduto, a condizione che la vendita avvenga entro due anni.
Viene anche ricordato che l’art. 7, comma 1, L. 448/1998 riconosce un credito d’imposta nei casi in cui il contribuente alieni l’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e ne acquisti un altro, sempre agevolato, entro un anno.
Tuttavia, con la circolare 12/E del 2016 e successivi chiarimenti (inclusa la recente risposta n. 197/2025), l’Agenzia ha esteso in via interpretativa l’applicabilità del credito anche all’ipotesi inversa: riacquisto prima della vendita, a condizione che quest’ultima avvenga entro i termini previsti dal comma 4-bis, ora due anni.
Il diritto al credito sorge in via provvisoria con il nuovo acquisto agevolato e si consolida solo se l’alienazione dell’immobile preposseduto avviene entro i due anni.
In mancanza, il contribuente decade dai benefici “prima casa” e perde anche il diritto al credito.
L’Agenzia ha precisato che il credito è personale e deve essere calcolato in proporzione alla quota di proprietà effettivamente posseduta e trasferita.
Nel caso di specie, l’Istante può beneficiare del credito solo nella misura corrispondente alla propria quota del 75% (50% acquisito nel 2003 + 25% ereditato nel 2011).
La restante quota del 25%, intestata al figlio minore, non può generare credito in favore del genitore, anche se fiscalmente a carico, in quanto manca la titolarità diretta del bene.
Ai sensi dell’art. 7, co. 2, L. 448/1998, il credito può essere utilizzato in dichiarazione dei redditi successiva al riacquisto, in compensazione dell’IRPEF dovuta. Resta fermo che l’importo del credito non può superare l’imposta dovuta sul nuovo acquisto (in questo caso l’IVA al 4%).
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Cessione quote societarie ai figli: quando è reato perchè evitare recupero debiti fiscali
Con Sentenza n. 29943/2025 la Cassazione ha stabilito che configurano il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (ex articolo 11 Dlgs n. 74/2000), anche i comportamenti che appaiono formalmente leciti ma che complessivamente rappresentano uno stratagemma finalizzato a sottrarre garanzie patrimoniali all'esecuzione del debito da parte dell'Amministrazione finanziaria.
Vediamo i dettagli della causa.
Cessione quote societarie ai figli: quando è reato perchè evita il recupero debiti fiscali
Un soggetto veniva condannato dal Tribunale penale perché ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 11 Dlgs n. 74/2000, per avere compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte mediante la cessione al figlio convivente delle proprie quote di una società semplice.
La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, di qui il ricorso in Cassazione.
L'imputato eccepiva l'errata applicazione dell' articolo 11 citatoda parte del giudice di seconde cure, che aveva ritenuto che la cessione al figlio di una percentuale delle proprie quote di partecipazione nella società avesse natura fraudolenta per essere stata posta in essere per occultare i propri beni ipregiudicando l'attività di recupero dell'Amministrazione finanziaria.
La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile premettendo che l’articolo 11 Dlgs n. 74/2000 sanziona alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Come evidenziato da precedente pronuncia (Cassazione n 36290/2011) Il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'erario.
Secondo la giurisprudenza di legittimità la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame èstata più volte evidenzaita.
A tale proposito, la suprema Corte ha chiarito che il reato in questione è integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare l'attività di recupero della amministrazione finanziaria.
Nel novero di “altri atti fraudolenti” sono compresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni sia anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.
La Cassazione ha specificato che la nozione di atto fraudolento è da evidenziarsi come:
- “ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno” (cfr Cassazione n. 25677/2012), ovvero
- ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione)” ovvero
- “qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione” (cfr Cassazione n. 3011/2016).
Con riferimento all'alienazione di beni, l’orientamento consolidato prevede che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei a eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell'articolo 11 Dlgs n. 74/2000, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione.
Infine la Cassazione ha chiarito che la nozione di "atti fraudolenti" comprende tutti quei comportamenti che, quand'anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell'eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato (cfr Cassazione n. 25677/2012).
Pertanto è corretta la pronuncia della Corte d’Appello che aveva rilevato l’esistenza di un comportamento fraudolento finalizzato a rendere difficoltosa la procedura di riscossione coattiva del debito.
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Bonus adozioni internazionali: come e quando fare domanda
In data 6 settembre 2025 è stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 207, l’Avviso riguardante il Decreto della Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, firmato il 22 luglio 2025, recante “rimborso, ai genitori adottivi, delle spese sostenute per le adozioni concluse nell’anno 2024 e un ulteriore contributo per i genitori adottivi di minori con Special Needs”.
Possono richiedere il rimborso i coniugi, entrambi residenti sul territorio nazionale, le cui procedure di adozione si sono concluse tra il 1° gennaio 2024 ed il 31 dicembre 2024.
Bonus adozioni internazioanali: come e quando fare domanda
Con il Decreto n. 1686 dell’8 Giugno 2025 riparte il bonus adozione, l'agevolazione rivolta alle famiglie che hanno intrapreso un percorso di adozione internazionale considerato complesso e che, alla data del 1° Gennaio 2025, risulta ancora pendente.
La norma estende a partire dal 31 Luglio 2025, la possibilità di presentare domanda anche a chi non è riuscito a farlo entro la scadenza dello scorso anno, come prevista dal precedente Decreto del 29 Aprile 2024.
Le istanze per il rimborso potranno essere presentate dalle ore 00:01 del 10 settembre 2025, alle ore 23:59 dell’8 dicembre 2025, secondo le modalità indicate nel citato decreto.
I genitori adottivi possono presentare istanza di rimborso congiunta delle spese adottive mediante il sistema on line “Adozione Trasparente” del Dipartimento per le politiche della famiglia, con esclusione di qualsiasi altro mezzo, tramite autenticazione con SPID (Sistema Pubblico Identità Digitale) e CIE (Carta d’Identità Elettronica).
I genitori adottivi che hanno beneficiato dell’adozione di cui all’art. 36, comma 4, della legge 4 maggio 1983 n.184 e coloro che, nei casi particolari previsti, hanno concluso la procedura adottiva senza l'assistenza di un Ente autorizzato, possono presentare istanza a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento o, in alternativa, tramite Posta Elettronica Certificata al seguente indirizzo: [email protected].
Assistenza verrà fornita a chi vuole inviare quesiti – esclusivamente per posta elettronica -all’indirizzo: [email protected] , non oltre 10 giorni antecedenti il termine ultimo previsto per la presentazione delle istanze di rimborso, indicando nell'oggetto “quesito DM rimborsi”.
Inoltre, è sempre attivo il Servizio della Linea CAI Rimborsi ogni mercoledì dalle ore 14.00 alle ore 16.00 (Tel: +39 06 67793222).
Ricordiamo che
- si tratta di un contributo economico destinato alle coppie che hanno avviato un’adozione internazionale complessa,
- l’importo dovrebbe variare da 3.500 a 6.500 euro, in base alla gravità delle difficoltà.
Una volta presentata la domanda, la Commissione per le adozioni internazionali valuterà le domande verificandone l’ammissibilità entro un termine di 60 giorni.
In caso di esito positivo, il contributo verrà erogato direttamente sull’IBAN indicato in fase di domanda.
Bonus adozione internazionale: requisiti
Le coppie richiedenti devono essere in possesso di specifici requisiti quali:
- aver avviato una procedura di adozione internazionale non ancora conclusa al 1° Gennaio 2025 che hanno conferito incarico a un Ente Autorizzato prima del 30 Gennaio 2020 e la cui procedura è ancora pendente al 1° Gennaio 2025;
- aver avviato l’adozione in Paesi con criticità geopolitiche come Cina, Ucraina, Federazione Russa e Bielorussia.
Attenzione al fatto che non sono previsti limiti di reddito o ISEE, né requisiti legati all’età dei genitori ma è sufficiente che la procedura adottiva sia riconosciuta come complessa secondo i criteri stabiliti dalla Commissione per le adozioni internazionali.
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Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
Le Entrate con la Risposta a interpello n 234 del 9 settembre replicano a dubbi sul concordato preventivo, consecuzione tra procedure concorsuali, ed emissione nota di variazione ex art. 26 d.P.R. 633 del 1972
L'istanza è stata presentata dalla società Alfa, esercente attività di commercio di articoli sportivi creditrice commerciale nei confronti della società Beta, attiva nel settore della vendita al dettaglio, che per crisi di liquidità, è divenuta insolvente nei confronti dei propri fornitori.
La società ha provato ad accedere nell’anno 2020 a una procedura di concordato preventivo, che prima ammessa, è stata poi revocata.
Nel 2022, la società Beta ha proposto un nuovo ricorso per concordato preventivo in continuità aziendale, ottenendo l’omologa di un piano di riparto da adempiere entro la fine dell’anno 2027 con una generale falcidia dei crediti, compreso quello vantato dalla società Alfa.
La società creditrice Alfa ha presentato interpello all’Agenzia delle entrate per conoscere le corrette modalità per il recupero dell’Iva fatturata ma che, all’esito della procedura di concordato, verrà incassata soltanto parzialmente.L'istante ha domandato:
- se al caso prospettato debba applicarsi l’articolo 26 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972) nella formulazione ante o post riforma del 2021 a opera del decreto "Sostegni-bis". Il legislatore ha introdotto nella norma i commi 3-bis e 10-bis che stabiliscono la possibilità per il cedente/prestatore di emettere una nota di credito dal momento in cui il cessionario/committente è assoggettato a una procedura concorsuale, ovverosia dal momento dell’apertura della procedura medesima.
- se il recupero dell’Iva possa avvenire all’esito del piano di riparto, quindi al momenti d’infruttuosità della procedura concorsuale, poiché al verificarsi di tale condizione vi è la “ragionevole certezza” dell’incapienza del patrimonio del debitore.
Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
La replica dell'agenzia ai due quesiti ha specificato quanto segue:
- ha escluso il ricorrere di un’ipotesi di una “consecuzione” tra le due procedure concorsuali. Nella specie, la prima procedura di concordato aperta nel 2020 non è “confluita” nella seconda aperta nel 2022, ancorché in presenza di un originario stato di insolvenza. Tanto perché, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, la “consecuzione” prescinde dalla semplice successione cronologica, ma richiede una “unicità della causa”. Riscontrata, quindi, l’autonomia tra le due procedure, per l’Agenzia bisogna fare riferimento alla data di avvio del secondo concordato preventivo. Per questo motivo, pertanto, la norma di riferimento è l’articolo 26 Dpr n. 633/1972 nella sua nuova formulazione;
- l’Agenzia ha richiamato un precedente documento di prassi (lcircolare n. 20/E del 2021), precisando che, laddove il cedente scelga di insinuarsi al passivo e di non emettere la nota di credito al momento dell’apertura della procedura concorsuale (ai sensi dell’articolo 26, comma 3-bis del Dpr n. 633/1972), e la procedura si riveli infruttuosa, il cedente ha la possibilità di avvalersi di quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 26 del decreto Iva. Può insomma attendere la definitività del piano di riparto infruttuoso che attesta il mancato definitivo pagamento del corrispettivo ed emettere la nota di variazione con detrazione dell’imposta.
L’Agenzia, condividendo la soluzione proposta dalla Società, ha chiarito che nel caso in concreto non rileva il principio della consecuzione tra le procedure concorsuali; che va applicato l’articolo 26 del Dpr Iva, come novellato dal decreto "Sostegni-bis" e che l’istante può attendere la conclusione della procedura di concordato ed emettere nota di variazione in diminuzione in caso di esito infruttuoso della stessa.
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Non è causa di cessazione del CPB il cambiamento dell’ATECO
Nella risposta a interpello n 236 del 10 settembre le Entrate chiariscono come comportarsi se nella dichiarazione in corso cambia il codice ATECO entrato in vigore dal 1° aprile scorso.
In particolare, la società istante Alfa S.r.l. semplificata, operante come agente plurimandatario nel settore del noleggio di autoveicoli, ha fino ad ora utilizzato il codice ATECO 45.11.02, non perfettamente corrispondente alla sua attività di intermediazione pura, ma il più vicino disponibile nelle tabelle ATECO 2007.
A partire dal 1° gennaio 2025, entra in vigore la nuova classificazione ATECO 2025, che introduce il codice 77.51.00, specificamente riferito ai servizi di intermediazione per il noleggio e il leasing operativo di autoveicoli, senza che l’intermediario fornisca direttamente i veicoli.
La società, intenzionata ad aderire al CPB per gli anni 2025 e 2026, chiede se il cambio di codice ATECO, che implica anche il passaggio da un modello ISA (CM09U) a un altro (EG61U), comporti la cessazione dell’efficacia del Concordato, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 13/2024.
Non è causa di cessazione del CPB il cambiamento dell’ATECO
L’art. 21, co. 1, lett. a), del D.Lgs. n. 13/2024 stabilisce che il CPB cessa di avere efficacia a partire dal periodo d’imposta in cui: «il contribuente modifica l’attività svolta nel corso del biennio concordatario rispetto a quella esercitata nel periodo d’imposta precedente».
Tuttavia, la cessazione non si verifica se per la nuova attività è prevista l’applicazione del medesimo indice sintetico di affidabilità fiscale (ISA) (art. 9-bis del D.L. n. 50/2017).
L’Agenzia conferma che la variazione del codice ATECO dovuta all’aggiornamento ISTAT non comporta, di per sé, la cessazione del CPB, anche se implica l’utilizzo di un diverso modello ISA, purché non vi sia una modifica sostanziale dell’attività realmente svolta.
Il cambio codice ATECO obbligatorio dal 1° aprile 2025 non implica automaticamente la cessazione del CPB.
- il nuovo codice 77.51.00 riflette con maggiore precisione l’attività effettivamente svolta dall’istante, senza rappresentare una modifica sostanziale rispetto al passato;
- anche se si passa da un ISA all’altro (CM09U → EG61U), la ratio della norma è rispettata, perché l’attività rimane invariata nella sostanza.
Secondo l’Agenzia, per la corretta gestione del CPB e delle dichiarazioni:
- nel modello UNICO 2025 (anno d’imposta 2024) deve già essere utilizzato il nuovo codice ATECO 77.51.00 e il relativo ISA EG61U, non più il precedente modello DM09U;
- non è necessario presentare una variazione dei dati anagrafici per il solo aggiornamento del codice ATECO, salvo diversa disposizione normativa.
L'Ade evidenzia quindi che l’eventuale variazione di indice sintetico di affidabilità fiscale (Isa) dovuto alle modifiche nei codici attività derivante dalla nuova classificazione Ateco 2025 non è, di per sé, motivo di esclusione dall’opzione per il concordato preventivo biennale (Cpb) per i periodi d’imposta 2025-2026.
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