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Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
Le Entrate con la Risposta a interpello n 234 del 9 settembre replicano a dubbi sul concordato preventivo, consecuzione tra procedure concorsuali, ed emissione nota di variazione ex art. 26 d.P.R. 633 del 1972
L'istanza è stata presentata dalla società Alfa, esercente attività di commercio di articoli sportivi creditrice commerciale nei confronti della società Beta, attiva nel settore della vendita al dettaglio, che per crisi di liquidità, è divenuta insolvente nei confronti dei propri fornitori.
La società ha provato ad accedere nell’anno 2020 a una procedura di concordato preventivo, che prima ammessa, è stata poi revocata.
Nel 2022, la società Beta ha proposto un nuovo ricorso per concordato preventivo in continuità aziendale, ottenendo l’omologa di un piano di riparto da adempiere entro la fine dell’anno 2027 con una generale falcidia dei crediti, compreso quello vantato dalla società Alfa.
La società creditrice Alfa ha presentato interpello all’Agenzia delle entrate per conoscere le corrette modalità per il recupero dell’Iva fatturata ma che, all’esito della procedura di concordato, verrà incassata soltanto parzialmente.L'istante ha domandato:
- se al caso prospettato debba applicarsi l’articolo 26 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972) nella formulazione ante o post riforma del 2021 a opera del decreto "Sostegni-bis". Il legislatore ha introdotto nella norma i commi 3-bis e 10-bis che stabiliscono la possibilità per il cedente/prestatore di emettere una nota di credito dal momento in cui il cessionario/committente è assoggettato a una procedura concorsuale, ovverosia dal momento dell’apertura della procedura medesima.
- se il recupero dell’Iva possa avvenire all’esito del piano di riparto, quindi al momenti d’infruttuosità della procedura concorsuale, poiché al verificarsi di tale condizione vi è la “ragionevole certezza” dell’incapienza del patrimonio del debitore.
Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
La replica dell'agenzia ai due quesiti ha specificato quanto segue:
- ha escluso il ricorrere di un’ipotesi di una “consecuzione” tra le due procedure concorsuali. Nella specie, la prima procedura di concordato aperta nel 2020 non è “confluita” nella seconda aperta nel 2022, ancorché in presenza di un originario stato di insolvenza. Tanto perché, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, la “consecuzione” prescinde dalla semplice successione cronologica, ma richiede una “unicità della causa”. Riscontrata, quindi, l’autonomia tra le due procedure, per l’Agenzia bisogna fare riferimento alla data di avvio del secondo concordato preventivo. Per questo motivo, pertanto, la norma di riferimento è l’articolo 26 Dpr n. 633/1972 nella sua nuova formulazione;
- l’Agenzia ha richiamato un precedente documento di prassi (lcircolare n. 20/E del 2021), precisando che, laddove il cedente scelga di insinuarsi al passivo e di non emettere la nota di credito al momento dell’apertura della procedura concorsuale (ai sensi dell’articolo 26, comma 3-bis del Dpr n. 633/1972), e la procedura si riveli infruttuosa, il cedente ha la possibilità di avvalersi di quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 26 del decreto Iva. Può insomma attendere la definitività del piano di riparto infruttuoso che attesta il mancato definitivo pagamento del corrispettivo ed emettere la nota di variazione con detrazione dell’imposta.
L’Agenzia, condividendo la soluzione proposta dalla Società, ha chiarito che nel caso in concreto non rileva il principio della consecuzione tra le procedure concorsuali; che va applicato l’articolo 26 del Dpr Iva, come novellato dal decreto "Sostegni-bis" e che l’istante può attendere la conclusione della procedura di concordato ed emettere nota di variazione in diminuzione in caso di esito infruttuoso della stessa.
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Non è causa di cessazione del CPB il cambiamento dell’ATECO
Nella risposta a interpello n 236 del 10 settembre le Entrate chiariscono come comportarsi se nella dichiarazione in corso cambia il codice ATECO entrato in vigore dal 1° aprile scorso.
In particolare, la società istante Alfa S.r.l. semplificata, operante come agente plurimandatario nel settore del noleggio di autoveicoli, ha fino ad ora utilizzato il codice ATECO 45.11.02, non perfettamente corrispondente alla sua attività di intermediazione pura, ma il più vicino disponibile nelle tabelle ATECO 2007.
A partire dal 1° gennaio 2025, entra in vigore la nuova classificazione ATECO 2025, che introduce il codice 77.51.00, specificamente riferito ai servizi di intermediazione per il noleggio e il leasing operativo di autoveicoli, senza che l’intermediario fornisca direttamente i veicoli.
La società, intenzionata ad aderire al CPB per gli anni 2025 e 2026, chiede se il cambio di codice ATECO, che implica anche il passaggio da un modello ISA (CM09U) a un altro (EG61U), comporti la cessazione dell’efficacia del Concordato, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 13/2024.
Non è causa di cessazione del CPB il cambiamento dell’ATECO
L’art. 21, co. 1, lett. a), del D.Lgs. n. 13/2024 stabilisce che il CPB cessa di avere efficacia a partire dal periodo d’imposta in cui: «il contribuente modifica l’attività svolta nel corso del biennio concordatario rispetto a quella esercitata nel periodo d’imposta precedente».
Tuttavia, la cessazione non si verifica se per la nuova attività è prevista l’applicazione del medesimo indice sintetico di affidabilità fiscale (ISA) (art. 9-bis del D.L. n. 50/2017).
L’Agenzia conferma che la variazione del codice ATECO dovuta all’aggiornamento ISTAT non comporta, di per sé, la cessazione del CPB, anche se implica l’utilizzo di un diverso modello ISA, purché non vi sia una modifica sostanziale dell’attività realmente svolta.
Il cambio codice ATECO obbligatorio dal 1° aprile 2025 non implica automaticamente la cessazione del CPB.
- il nuovo codice 77.51.00 riflette con maggiore precisione l’attività effettivamente svolta dall’istante, senza rappresentare una modifica sostanziale rispetto al passato;
- anche se si passa da un ISA all’altro (CM09U → EG61U), la ratio della norma è rispettata, perché l’attività rimane invariata nella sostanza.
Secondo l’Agenzia, per la corretta gestione del CPB e delle dichiarazioni:
- nel modello UNICO 2025 (anno d’imposta 2024) deve già essere utilizzato il nuovo codice ATECO 77.51.00 e il relativo ISA EG61U, non più il precedente modello DM09U;
- non è necessario presentare una variazione dei dati anagrafici per il solo aggiornamento del codice ATECO, salvo diversa disposizione normativa.
L'Ade evidenzia quindi che l’eventuale variazione di indice sintetico di affidabilità fiscale (Isa) dovuto alle modifiche nei codici attività derivante dalla nuova classificazione Ateco 2025 non è, di per sé, motivo di esclusione dall’opzione per il concordato preventivo biennale (Cpb) per i periodi d’imposta 2025-2026.
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Costi non ancora certi: condizione di deducibilità dalla Cassazione
Con la sentenza n. 24485 depositata il 4 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per la fiscalità d’impresa: quando un costo o un ricavo legato a una controversia giudiziaria può essere imputato a bilancio ai fini fiscali.
La decisione introduce un principio interpretativo che si discosta sensibilmente dalla prassi consolidata dell’Amministrazione finanziaria e dalla precedente giurisprudenza di legittimità, riconoscendo rilievo prioritario al requisito della “certezza” rispetto a quello della competenza temporale.
La vicenda trae origine da un accertamento per l’anno d’imposta 2014, notificato a una azienda speciale comunale, nata da una scissione parziale.
L’Agenzia delle Entrate contestava due voci:
- a deduzione nel 2014 di un costo da risarcimento derivante da una sentenza di primo grado del 2009, poi riformata in appello nel 2014;
- l’omessa contabilizzazione nel 2014 del risarcimento attivo per danni indiretti stabilito nella sentenza di secondo grado, ma ancora oggetto di contestazione da parte della compagnia assicurativa.
La CTR aveva avallato la tesi dell’Ufficio, ritenendo che:
- la sentenza del 2009, pur non definitiva, fosse esecutiva e che quindi il relativo costo dovesse essere imputato all’anno 2009;
- le somme attive da risarcimento dovessero essere tassate nel 2014, a prescindere dalle contestazioni pendenti.
Vediamo la decisione della Corte di Cassazione, in controtendenza rispetto all'orientamento consolidato.
Costi non ancora certi: principio Cassazione sulla deducibilità
La Corte di Cassazione ha censurato integralmente la motivazione della CTR, riaffermando che la sola esecutività formale non implica automaticamente la certezza fiscale del componente.
In particolare:
- la sentenza del 2009 era stata sospesa dalla Corte d’Appello nel 2010 e successivamente riformata,
- la certezza dell’obbligo di pagamento è maturata solo nel 2014, anno della sentenza definitiva.
- le somme attive per risarcimento non dovevano essere tassate nel 2014, poiché contestate in modo non pretestuoso dalla compagnia assicurativa (sulla base della mancata copertura assicurativa dei danni indiretti).
Questo approccio rafforza l’idea che la contabilizzazione fiscale dei componenti da contenzioso non può avvenire automaticamente in base alla sentenza di primo grado, ma solo quando vi sia ragionevole certezza sia dell’an (esistenza del debito o credito) che del quantum (ammontare).
La Corte formula un principio che ha valenza generale, destinato a incidere in modo rilevante sulla prassi contabile e fiscale:“Quando gli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il reddito sono portati da un provvedimento emesso in seguito ad un giudizio di cui sia parte il contribuente, quest’ultimo non è tenuto a contabilizzarli se essi sono messi in discussione mediante la proposizione di mezzi di impugnazione ammissibili e non manifestamente infondati, dovendo la contabilizzazione essere effettuata solo quando quegli elementi siano divenuti ragionevolmente certi sia nell’an che nel quantum.”
La pronuncia non solo smentisce la posizione dell’Agenzia delle Entrate, ma si pone in contrasto con precedenti decisioni della stessa Corte di Cassazione.
Con questa decisione, invece:
- il momento rilevante per la deducibilità o tassazione non è più la data della sentenza, ma il momento in cui il componente è “ragionevolmente certo”.
- si introduce una valutazione sostanziale e prudenziale del principio di competenza.
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Immobile pignorato e venduto post mortem imprenditore: imponibilità IVA
Con Risposta a interpello n 232 dell'8 settembre le Entrate trattano il caso di una vendita di immobile strumentale per morte dell'imprenditore.
In particolare, si chiarisce che, nelle vendite forzate di immobili aziendali dopo il decesso dell’imprenditore, la rilevanza IVA permane se il bene resta strumentale e riconducibile a un soggetto passivo.
Non bastano la chiusura della partita IVA o la cancellazione dal Registro imprese a escludere l’applicazione del tributo.
Per i professionisti, ciò significa dover gestire con attenzione sia la fatturazione elettronica che le imposte indirette collegate.Immobile pignorato e venduto post mortem imprenditore: imponibilità IVA
L'Agenzia con la risposta in oggetto fornisce chiarimenti sul corretto trattamento Iva da applicare alla vendita di un complesso immobiliare aziendale pignorato a seguito di una esecuzione forzata, dopo il decesso del debitore esecutato.
L’istanza è stata presentata da un avvocato delegato alla vendita nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare.
Il bene oggetto di vendita era un complesso alberghiero (cat. D/2) pignorato in danno di un imprenditore individuale, deceduto nel 2012.Gli elementi principali del caso di specie sono:
- l’attività imprenditoriale risultava cessata;
- la partita IVA del defunto era stata chiusa nel 2012 e la ditta cancellata dal Registro imprese nel 2014;
- gli eredi non avevano effettuato gli adempimenti IVA di subentro (nuova partita IVA o rappresentante della comunione ereditaria).
L’avvocato istante per tali motivi, riteneva che la vendita fosse fuori campo IVA e dovessero applicarsi solo imposte di registro, ipotecaria e catastale.
L'’Agenzia dissente precisando che si tratta di un immobile strumentale per natura, un albergo e spiega il motivo.
Secondo la prassi ADE (circ. 12/E/2007 e ris. 193/E/2001):
- nelle vendite giudiziarie l’assoggettamento a IVA richiede che il debitore sia soggetto passivo IVA e che i beni siano strumentali all’attività d’impresa;
- il pignoramento e la custodia non fanno uscire i beni dal patrimonio del debitore;
- la procedura esecutiva toglie al debitore (o ai suoi eredi) la disponibilità, ma non incide sulla titolarità del bene.
Nel caso in esame:
- l’immobile, pur dopo la morte del titolare, è rimasto nella sfera aziendale come bene strumentale (cat. D/2, alberghi e pensioni);
- il decesso non ha comportato l’estromissione del bene dall’impresa;
- il fatto che non siano stati completati gli adempimenti successori (nuova partita IVA, dichiarazione di successione) non è rilevante ai fini IVA.
L’Agenzia conclude quindi che la cessione va considerata rilevante ai fini IVA e soggetta al regime di esenzione ex art. 10, comma 8-ter, salvo eventuale opzione per l’imponibilità.
L’Agenzia chiarisce inoltre che:
- il momento impositivo IVA coincide con il pagamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario e non con l’aggiudicazione;
- la proprietà si trasferisce solo con il decreto del giudice dell’esecuzione dopo il saldo.
Viene anche chiarito che oltre all’IVA:
- l’imposta di registro è sempre in misura fissa;
- le imposte ipotecaria e catastale si applicano rispettivamente al 3% e all’1%.
Immobile pignorato e venduto post mortem imprenditore: risvolti pratici
Ai fini pratici i professionisti delegati alle vendite devono verificare se il bene rientra ancora nella sfera d’impresa del debitore, anche in caso di decesso dell'imprenditore e pertanto:
- la fatturazione elettronica deve essere predisposta correttamente, con attenzione al ruolo del delegato.
- occorre considerare che, se il bene è strumentale e riconducibile a un soggetto passivo, l’operazione ricade nell’ambito IVA, anche se formalmente non sono stati completati tutti gli adempimenti successori.
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770/2025: la compilazione nelle operazioni straordinarie
Il Modello 770/2025 deve essere presentato entro il 31 ottobre 2025, come previsto dal comma 4bis dell’art. 4 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 esclusivamente per via telematica:
- a) direttamente dal sostituto d’imposta;
- b) tramite un intermediario abilitato ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 e successive modificazioni
- c) tramite altri soggetti incaricati (per le Amministrazioni dello Stato);
- d) tramite società appartenenti al gruppo.
Relativamente alle operazioni straordinarie, vediamo i particolari adempimenti e il quadro SX.
770/2025: cosa fare nelle operazioni straordinarie
Nell’ipotesi di prosecuzione dell’attività da parte di un altro soggetto come nei casi di:
- fusioni anche per incorporazione,
- scissioni totali,
- scioglimento di una società personale e prosecuzione dell’attività sotto la ditta individuale di uno soltanto dei soci,
- cessione o conferimento da parte di un imprenditore individuale dell’unica azienda posseduta in una società di persone o di capitali,
- trasferimento di competenze tra amministrazioni pubbliche,
chi succede nei precedenti rapporti è tenuto a presentare un’unica dichiarazione dei sostituti d’imposta che deve essere comprensiva anche dei dati relativi al periodo dell’anno in cui il soggetto estinto ha operato.
Nei casi di operazioni societarie straordinarie o successioni avvenute nel corso del 2024 o del 2025, prima della presentazione della dichiarazione Modello 770/2025, il dichiarante deve procedere alla compilazione dei singoli quadri del Modello 770/2025 per esporre distintamente le situazioni riferibili ad esso dichiarante ovvero a ciascuno dei soggetti estinti.Relativamente ai soggetti estinti, i il dichiarante deve indicare, per l’anno d’imposta relativo alla presente dichiarazione, tutti i dati riguardanti il periodo compreso fra il 1° gennaio 2024 e la data, nel corso dell’anno 2024, di effettiva cessazione dell’attività o in cui si è verificato l’evento a prescindere dagli eventuali differenti effetti giuridici delle operazioni.
Si precisa che il quadro SX è unico e deve riguardare sia i dati del dichiarante che dei soggetti estinti.
Come evidenziato dalle stesse istruzioni, il soggetto A, avendo incorporato il soggetto B il 28 febbraio 2025, sarà tenuto a presentare per l’anno 2024 una sola dichiarazione modello 770/2025 contenente i quadri riferiti ad entrambi i soggetti.
770/2025: la compilazione per i soggetti estinti
Relativamente alla compilazione dei quadri concernenti i soggetti estinti, il dichiarante deve indicare nello spazio in alto a destra di ciascun quadro, contraddistinto dalla dicitura “Codice fiscale”, il proprio codice fiscale e, nel rigo “Codice fiscale del sostituto d’imposta”, quello del soggetto estinto.
Sempre con riferimento ai soggetti estinti, laddove previsto, deve essere indicato nella casella 3, “Eventi eccezionali”, l’eventuale codice dell’evento eccezionale relativo a tale sostituto, rilevabile dalle istruzioni riferite alla casella “Eventi eccezionali” posta nel frontespizio del Modello 770.
Nel caso di successione mortis causa avvenuta nel periodo d’imposta 2024, o nel 2025 prima della presentazione della dichiarazione, con prosecuzione dell’attività da parte dell’erede, quest’ultimo ha l’obbligo di presentare un’unica dichiarazione dei sostituti d’imposta anche per la parte dell’anno in cui ha operato il soggetto estinto secondo le modalità di compilazione sopra indicate.
Nell’ipotesi invece di non prosecuzione dell’attività da parte di un altro soggetto (liquidazione, fallimento/liquidazione giudiziale e liquidazione coatta amministrativa), la dichiarazione deve essere presentata dal liquidatore, curatore fallimentare/curatore della liquidazione giudiziale o commissario liquidatore, in nome e per conto del soggetto estinto relativamente al periodo dell’anno in cui questi ha effettivamente operato.In particolare, nel frontespizio del modello, nel riquadro “dati relativi al sostituto” e nei quadri che compongono la dichiarazione, devono essere indicati i dati del sostituto d’imposta estinto ed il suo codice fiscale; il liquidatore, curatore fallimentare/curatore della liquidazione giudiziale o commissario liquidatore che sottoscrive la dichiarazione, deve invece esporre i propri dati esclusivamente nel riquadro del frontespizio “dati relativi al rappresentante firmatario della dichiarazione”.
Anche in caso di successione ereditaria, qualora l’attività delle persone fisiche decedute non sia proseguita da altri, la dichiarazione deve essere presentata con le medesime modalità da uno degli eredi in nome e per conto del deceduto, relativamente al periodo dell’anno in cui esso ha effettivamente operato; l’erede che sottoscrive la dichiarazione, pertanto, deve invece indicare i propri dati esclusivamente nel riquadro “dati relativi al rappresentante firmatario della dichiarazione”.770/2025: operazioni straordinarie che non determinano l’estinzione del soggetto
Nel caso di operazioni straordinarie non comportanti l’estinzione di società quali le trasformazioni (ad esempio di società di capitali in società di persone e viceversa), il Modello 770/2025 deve essere compilato secondo le regole generali poiché tali operazioni, pur potendo determinare la nascita di nuovi soggetti d’imposta, non incidono sull’esistenza del soggetto e sui suoi adempimenti in qualità di sostituto d’imposta.
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Controlli formali dichiarazione 2023: invio documenti entro il 30 settembre
Il MEF ha confermato che i contribuenti e i professionisti avranno tempo fino a settembre per rispondere alle comunicazioni di irregolarità (art 36 ter dDPR 600/73) relative alle dichiarazioni dei redditi 2023 (anno d’imposta 2022), inviate a partire da giugno.
Era sta l'informativa n 110 del 14 luglio del CNDCEC che sottolienava la possibilità, accordata dall'agenzia delle entrate, di trasmettere la documentazione relativa al controllo formale delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2022 fino ai primi quindici giorni di settembre.
Con una pec del MEF ad ANC si forniscono i dettagli sull'invio degli eventuali dati a supporto.
Controlli formali dichiarazioni 2023: c’è tempo fino a settembre
Nell’ultima decade del mese di giugno e nel mese di luglio sono state recapitate dall’Agenzia delle Entrate richieste di documentazione relative al controllo formale, ex art. 36-ter del D.P.R. 600/1973, delle dichiarazioni dei redditi per il periodo d’imposta 2022, con cui si invitano i contribuenti a trasmettere la documentazione richiesta entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione.
Cadendo il termine di trenta giorni in un periodo già critico per gli studi professionali per i numerosi adempimenti in scadenza nel mese di luglio, il CNDCEC si era attivato immediatamente con i vertici dell’Agenzia delle Entrate al fine di sensibilizzarli sul punto e valutare la possibilità di uno slittamento del predetto termine a dopo la pausa estiva.
L’Agenzia ha rappresentato che, come esplicitamente indicato nelle comunicazioni inviate, “in ogni caso, la documentazione sarà valutata anche se trasmessa oltre il suddetto termine” di trenta giorni (termine non previsto dalla legge e, quindi, da considerarsi meramente ordinatorio) e che per la trasmissione dei documenti e delle informazioni richieste vige la sospensione dei termini dal 1° agosto al 4 settembre prevista dall’art. 37, comma 11-bis, secondo periodo, del D.L. 223/2006.Considerato quindi che, come detto, le comunicazioni sono state recapitate a partire dall’ultima decade di giugno, ragionevolmente la trasmissione della documentazione e delle informazioni richieste potrà avvenire, senza conseguenze, indicativamente anche nei primi quindici giorni del prossimo mese di settembre.
La Direzione centrale servizi fiscali dell’Agenzia ha inviato una PEC al Presidente dell’Associazione nazionale commercialisti, Marco Cuchel, che aveva portato all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria il problema dell’invio della documentazione in risposta agli avvisi ricevuti dal Fisco.
Cuchel faceva notare che il termine per rispondere a tali avvisi di irregolarità sarebbe scaduto in un periodo già pieno di scadenze, e a ridosso della sospensione feriale (art 7 quater comma 16 del DL 193/2016), senza poterne beneficiare, pertanto vi era stata la richeista di "proroga" al 30 settembre per invio dei dati.
La richeista è stata accolta dall’Agenzia che, nella PEC recapitata all’ANC, ribadisce quanto già spiegato al Consiglio nazionale e riportato nell’Informativa n. 110/2025. “Premesso che nella comunicazione dell’Agenzia delle Entrate è stato espressamente indicato che la documentazione sarà valutata anche se pervenuta oltre il termine di 30 giorni, si rappresenta che gli uffici dell’Agenzia sono stati invitati a non procedere, nell’immediato, alla comunicazione degli esiti del controllo formale, nel caso in cui il suddetto termine scada in prossimità del periodo di sospensione e non sia ancora pervenuta alcuna documentazione. Pertanto, in relazione alle richieste in oggetto recapitate alla fine dello scorso mese di giugno, si segnala che la trasmissione della documentazione potrà ragionevolmente avvenire a partire da settembre" .
Il termine parrebbe quindi il 30 settembre e quindi non il15 come prima anticipato dai Commercialisti.
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La comproprietà nello stesso comune preclude la prima casa
La Corte di Cassazione con la pronuncia n 24477 del 3 settembre ha confermato che l’agevolazione “prima casa” è esclusa anche nei casi di comunione ordinaria tra coniugi, non solo in caso di comunione legale.
Si segna un punto sulla interpretazione della Nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/1986 sulla agevolazione prima casa.
Vediamo il caso di specie.
Comproprietà casa nello stesso comune preclude la prima casa
La vicenda trae origine da un avviso di rettifica notificato dall’Agenzia delle Entrate a una contribuente che aveva acquistato un immobile chiedendo l’agevolazione prima casa.
L’Ufficio contestava la spettanza del beneficio, rilevando che essa già risultava contitolare, in comunione ordinaria con il coniuge, di un altro immobile situato nello stesso comune.
Secondo l’Agenzia, questo elemento bastava a precludere l’accesso all’agevolazione, sulla base della lett. b) della Nota II-bis del DPR n. 131/1986.
La contribuente eccepiva che tale preclusione valesse solo per i casi di comunione legale e che, nel suo caso, il regime patrimoniale era di separazione dei beni, dunque con titolarità individuale delle quote.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, sposando integralmente la tesi dell’Agenzia delle Entrate.
Secondo i giudici, la dicitura “in comunione con il coniuge” di cui alla lett. b) della Nota II-bis deve essere interpretata in senso letterale, senza limitazioni al solo caso della comunione legale.
La Corte ha enunciato il seguente principio: "In materia di agevolazione prima casa, la circostanza che l'acquirente sia già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione ordinaria di altra abitazione idonea nello stesso Comune preclude il riconoscimento dell'agevolazione”
Viene chiarito che, essendo la lett. b) riferita specificamente al comune in cui è situato l’immobile, non è corretto interpretarla in senso restrittivo alla sola comunione legale.
Al contrario, tale distinzione è esplicitata solo nella lett. c) della stessa Nota, che riguarda invece la titolarità su tutto il territorio nazionale.
Secondo i giudici di legittimità le norme fiscali agevolative, essendo eccezionali, sono soggette a stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.
Non è quindi possibile ampliare il significato delle espressioni normative con interpretazioni analogiche o estensive.
Il termine “comunione con il coniuge” va preso nel suo senso ordinario, che include qualsiasi forma di contitolarità, anche se non legata al regime patrimoniale legale.
La Corte ha anche escluso che la titolarità pro-quota di un immobile in comunione ordinaria con il coniuge equivalga a inidoneità abitativa, specificando che in presenza di matrimonio in essere (quindi non in caso di separazione legale), si presume la coabitazione e l’idoneità abitativa del bene comune, a prescindere dalla quota posseduta.