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Credito d’imposta beni strumentali nuovi: spetta per l’acquisto con rent to buy?
Con la Risposta a interpello n 198 del 10 ottobre le Entrate chiariscono il perimetro di spettanza del credito d'imposta per investimenti in beni strumentali nuovi (art. 1, commi da 1051 a 1063, della legge n. 178 del 2020) nel caso di acquisto con contratto di ''rent to buy'', vediamo perché l'agevolazione è esclusa da questa modalità.
Credito d’imposta beni strumentali nuovi: spetta per l’acquisto con rent to buy?
Nel caso di specie la Società evidenzia che intende ampliare la dotazione di beni strumentali, nello specifico ritiene di avere le caratteristiche tecniche per poter accedere al credito d'imposta e che la tipologia di contratto che intende adottare per l'acquisizione ed il godimento di detti beni è il ''rent to buy'' in cui il potenziale acquirente/locatario ottiene immediatamente la disponibilità del bene contro il pagamento di canoni, con la possibilità di acquistare successivamente il bene trascorso un lasso di tempo predeterminato.
L'operazione realizzata tramite detto schema contrattuale, a suo avviso, si articola in due fasi:
- nella prima, si realizza l'immediato godimento del bene a fronte del pagamento di un canone;
- nella seconda, ''il conduttore ha l'obbligo di acquisto del bene, imputando al prezzo di vendita del bene una quota parte del canone indicato nel contratto''.
Ciò premesso, la Società chiede conferma che ''il mancato richiamo ai contratti di leasing, o ad altre modalità di acquisizione dei beni agevolabili, nei successivi commi da 1055 a 1058 dello stesso articolo della L. 178/2021, riferiti invece ai beni ''4.0'' non rappresenti una esclusione degli stessi dal novero delle modalità di acquisizione dei beni che danno diritto al credito d'imposta''
Le Entrate evidenziano che con la circolare n. 9/E del 23 luglio 2021 è stato chiarito che i beneficiari del Credito d'imposta in esame sono i proprietari e i locatari finanziari.
Con riferimento al mancato richiamo ai contratti di leasing quale modalità di effettuazione degli investimenti agevolabili nei commi da 1055 a 1058 dell'articolo 1 della Legge di Bilancio 2021, la suddetta circolare evidenzia che ''il mancato riferimento ai contratti di locazione finanziaria nei commi 1055, 1056, 1057 e 1058 della legge di bilancio 2021, ai fini della individuazione degli investimenti agevolabili, sia da imputare a un mero difetto di coordinamento formale e non alla volontà del legislatore di circoscrivere le modalità di effettuazione degli investimenti agevolabili alla sola acquisizione in proprietà dei beni'', essendo tale criterio ''finalizzato ad assicurare nel tempo, in relazione alle mutevoli condizioni di mercato, la necessaria neutralità fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni in proprietà o in leasing''.
Il medesimo documento specifica che per il locatario finanziario il parametro di commisurazione del Credito d'imposta spettante è rappresentato dal ''costo per l'acquisto del bene'' sostenuto dal locatore, concludendo che ''ai fini della determinazione del credito d'imposta spettante al locatario, non assume alcuna rilevanza il prezzo di riscatto dallo stesso pagato all'atto di esercizio del diritto di opzione''
La disciplina del contratto di ''rent to buy'' è stata introdotta dall'articolo 23 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, con riferimento all'acquisto di immobili.
le Entrate ricordano che come evidenziato nella circolare n. 4/E del 19 febbraio 2015, ''si tratta di una fattispecie contrattuale, diversa dalla locazione finanziaria, volta a conferire al conduttore l'immediato godimento dell'immobile, rinviando al futuro il trasferimento della proprietà del bene, con imputazione di una parte dei canoni al corrispettivo del trasferimento''.
Con la norma in esame si è inteso disciplinare il rapporto contrattuale nel periodo antecedente l'alienazione dell'immobile, pur lasciando ampi spazi all'autonomia delle parti.
Con riferimento all'inquadramento civilistico del contratto, il paragrafo 1 della richiamata circolare n. 4/E riassume le caratteristiche del contratto di ''rent to buy'', chiarendo che ''[i]n sintesi, i contratti di godimento di immobili in funzione della successiva alienazione, disciplinati dall'articolo 23 in commento, sono caratterizzati dai seguenti elementi: immediata concessione in godimento di un immobile verso il pagamento di canoni; diritto del conduttore di acquistare successivamente il bene; imputazione di una quota dei canoni, nella misura indicata nel contratto, al corrispettivo del trasferimento''
In base a quanto evidenziato nell'istanza e considerato il richiamo da parte della Società alla figura contrattuale del ''rent to buy'', si rileva che il conduttore avrebbe ''l'obbligo di acquistare il bene alla fine del contratto di ''Rent to buy'' dal che si desume che: esclusivamente al termine del periodo convenuto nell'ambito del contratto dedotto in istanza di concessione in godimento del bene da parte del fornitore concedente, il cliente conduttore acquisirà la piena proprietà del bene; durante tale periodo (quello di concessione in godimento), il cliente conduttore utilizzerà un bene non di sua proprietà (ma del fornitore concedente).
Alla luce di quanto detto si ritiene che il contratto di ''rent to buy'' come rappresentato in istanza non integri una utile modalità di acquisizione dei beni eleggibili ai fini del Credito d'imposta. Conseguentemente, non si concorda con la soluzione interpretativa prospettata della Società, ritenendosi che quest'ultima non possa fruire del Credito d'imposta per l'acquisto dei beni agevolabili tramite il descritto contratto di ''rent to buy'' perché detti beni risultano al momento del loro acquisto già utilizzati a diverso titolo della stessa Società in base al descritto contratto di ''rent to buy'' e, pertanto, sono privi dell'imprescindibile requisito della novità del bene oggetto d'investimento.
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Impugnazione dell’estratto di ruolo ancora più difficile
L’articolo 12 comma 4-bis del DPR 602/1973, come modificato dall’articolo 3-bis del DL 146/2021, prevede dei ben definiti limiti alla possibilità di impugnare l’estratto di ruolo da parte del contribuente.
L’estratto di ruolo non costituisce documento formale, ma è uno strumento attraverso il quale il contribuente viene a conoscenza dell’iscrizione di carichi a suo nome: quelli considerati non legittimi potrebbero essere impugnati davanti al giudice, portando appunto l’estratto di ruolo a dimostrazione dell’iscrizione del ruolo contestato.
Tale situazione fino a qualche anno fa era piuttosto comune, ma con la nuova versione del comma 4-bis dell’articolo 12 del DPR 602/1973 l’estratto di ruolo diviene impugnabile solo nei casi in cui il contribuente che agisce in giudizio possa dimostrare che dall’iscrizione a ruolo di un debito illegittimo a suo carico possa derivargli pregiudizio:
- per la partecipazione a una procedura d’appalto;
- per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici;
- per la perdita di un beneficio nei confronti della pubblica amministrazione.
Quindi il legislatore identifica tre specifiche situazioni in cui il contribuente può impugnare un debito iscritto a ruolo portando dinanzi al giudice il solo estratto di ruolo, sempre che da queste situazioni gli possa derivare un pregiudizio.
Tale norma, limitando i casi di contestazione, costituisce chiaramente una contrazione del diritto di difesa del contribuente, contrazione dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale con le sentenze 190/2023 e 81/2024.
L’ordinanza 17606/2024 della Corte di Cassazione
Recentemente è stata pubblicata l’ordinanza numero 17606 del 26 giugno 2024 con la quale la Corte di Cassazione delinea una ulteriore contrazione del diritto di difesa del contribuente, rispetto all’interpretazione fin qui assunta della norma.
L’interpretazione finora effettuata, infatti, considerava un ruolo contestabile, attraverso l’estratto di ruolo, in tutti i casi in cui al contribuente potesse derivare un pregiudizio per una procedura d’appalto, per la riscossione di somme dovute da soggetti pubblici, per la perdita di un beneficio nel confronti della pubblica amministrazione, come già detto.
Tuttavia il pregiudizio si riteneva dovesse essere solo potenziale: in questo modo il contribuente che avesse avuto un interesse da difendere, in una delle situazioni prima indicate, avrebbe potuto contestare l’estratto di ruolo per tempo, evitando che tale pregiudizio divenisse concreto.
Con l’ordinanza 17606/2024, invece, la Corte di Cassazione dichiara il seguente principio di diritto: “ai fini dell’ammissibilità della diretta impugnazione dell’estratto ruolo ai sensi dell’articolo 3-bis del DL 146/2021 il debitore che agisce in giudizio deve dimostrare la sussistenza di un interesse ad agire come delineato nella menzionata disposizione, con riferimento alla ricorrenza di un pregiudizio determinato dall’iscrizione a ruolo per la partecipazione a una procedura di appalto in forza delle previsioni del codice dei contratti pubblici, o per la riscossione di somme dovute da soggetti pubblici o per la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione, la cui esistenza dev’essere valutata al momento della pronuncia”.
In questo modo, ai fini dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo, il pregiudizio per il contribuente non può essere più potenziale, ma attuale ed effettivo, da valutare al momento del giudizio, e quindi già avvenuto.
Con questa interpretazione il contribuente quindi non potrà più agire anticipatamente per evitare di avere un pregiudizio dall’iscrizione a ruolo di un debito illegittimo, contestando l’estratto di ruolo, ma dovrà attendere di aver subìto il pregiudizio, senza avere strumenti per evitarlo.
Questa interpretazione costituisce a tutti gli effetti una ulteriore contrazione di un già molto limitato diritto alla difesa del contribuente, che ormai difficilmente potrà difendersi dall’iscrizione d’ufficio di un debito a ruolo, anche quando non dovuto.
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Rimborso Irpef nella successione testamentaria: regole ADE
Con una FAQ datata 9 ottobre, le Entrate replicano ad un contribuente che domanda quali documenti servano per riscuotere un rimborso irpef spettante al de cuius nella successione testamentaria.
Prima dei dettagli ricordiamo che, il testamento è l’atto con cui si dispone dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte.
Le disposizioni testamentarie si distinguono in:
- istituzione di erede, con cui colui che redige il testamento dispone dell'intero patrimonio o di una sua quota senza specificazione dei beni oggetto del lascito;
- legato, con cui il testatore dispone di uno o più beni specificamente identificati.
Vediamo come richiedere il rimborso irpef per il contribuente deceduto che ha lasciato un erede con testamento.
Rimborso Irpef nella successione testamentaria: regole ADE
In linea generale, i rimborsi fiscali intestati a un contribuente deceduto possono essere chiesti tramite la dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Redditi PF) relativa alla persona deceduta, oppure presentando un’istanza all’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate.
Quando l’eredità non è devoluta per legge, come nel caso illustrato nel quesito, tranttandosi di successione testamentaria, o nei casi in cui la dichiarazione di successione non sia stata presentata, per richiedere il pagamento del rimborso, gli eredi possono inviare all’ufficio territoriale competente per la lavorazione del rimborso i seguenti modelli:
- Dichiarazione sostitutiva di certificazione/atto di notorietà, con la quale attestare la qualità di eredi,
- Istanza di voltura dei rimborsi, per chiedere che le somme spettanti al contribuente deceduto siano erogate a favore degli eredi,
- Delega per l’incasso (che va utilizzata quando i coeredi chiedono che la propria quota di rimborso venga erogata a uno di loro), sottoscritta con firma autenticata o con firma digitale del delegante.
Il tutto può essere consegnato anche on line avvelendosi del servizio consegna documenti e istanze.
Il servizio in oggetto, consente all’utente in possesso delle credenziali di accesso all’area riservata del sito dell’Agenzia di inviare documenti e istanze agli uffici dell’Agenzia, sia a seguito di una specifica richiesta dell’Agenzia sia su iniziativa spontanea.
È possibile utilizzare il servizio per esigenze personali oppure per conto di un altro soggetto.
Si possono inviare fino a 10 file della dimensione massima di 20MB ognuno.
Oltre che file in formato PDF e TIF/TIFF, è possibile inviare file firmati digitalmente nei formati PAdES e CAdES.
Il canale è sempre aperto e permette, inoltre, di ottenere la ricevuta di protocollazione analogamente a quanto avviene con la consegna diretta in Ufficio, ma senza doversi recare fisicamente allo sportello.
Fornendo l’indirizzo pec o la mail e/o un numero di cellulare è possibile ricevere l’avviso di disponibilità della ricevuta di consegna o della ricevuta di scarto, qualora l’invio non vada a buon fine.
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Imposta sostitutiva rivalutazione TFR: ultilizzo in F24 del credito da eccedenza
ll quadro ST del modello 770 si compone di quattro sezioni.
La prima sezione deve essere utilizzata per indicare i dati relativi alle ritenute alla fonte operate e per assistenza fiscale
effettuata, nonché per esporre tutti i versamenti relativi alle ritenute e imposte sostitutive sotto indicate:- ritenute operate e versate sugli emolumenti erogati nel 2023. Vanno indicate, altresì, le ritenute operate, ai sensi degli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 600 del 1973, sulle somme e valori corrisposti entro il 12 gennaio 2024, se riferiti al 2023 nonché le ritenute operate a seguito di conguaglio di fine anno effettuato nei primi due mesi del 2024
- ritenute e effettuate a titolo di saldo e acconti IRPEF, di acconto su taluni redditi soggetti a tassazione separata a seguito di assistenza fiscale prestata nel 2023 nonché ai relativi versamenti;
- imposte sostitutive effettuate a titolo di saldo e acconti sulla cedolare secca locazioni a seguito di assistenza fiscale prestata nel 2023 nonché ai relativi versamenti;
- imposte sostitutive operate e versate entro il 16 dicembre 2023 relativamente all’acconto sulle rivalutazioni TFR, entro il 16 febbraio 2024 per il saldo.
In merito all'imposta sostitutiva, in data 9 ottobre le Entrate hanno pubblicato un chiarimento con FAQ in risposta a chi domandava, quali siano le modalità di utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito derivante dalle eccedenze di versamento dell’acconto dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione del TFR (codici tributo 1712 e 119E).
Si domandava anche se sia necessaria l’apposizione del visto di conformità sul modello 770 da cui emerge il credito, vediamo la replica ADE.
Credito derivante da eccedenze di acconto della sostitutiva su rivalutazione TFR
Il credito derivante dalle eccedenze di versamento dell’acconto dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione del TFR può essere utilizzato dal sostituto d’imposta in compensazione tramite modello F24, indicando il codice tributo 1627 (155E per il modello F24 EP), ai fini del versamento delle ritenute.
Invece, se le ritenute versate si riferiscono all’anno successivo a quello di maturazione del credito, deve essere indicato il codice tributo 6781 (166E per il modello F24 EP).
In ogni caso, tali operazioni non rappresentano compensazioni di tipo orizzontale o esterno e dunque non sono richieste né la preventiva presentazione del modello 770 da cui emerge il credito, né l’apposizione del visto di conformità su tale dichiarazione.
In caso di errata indicazione del codice tributo, può essere richiesta la correzione tramite il servizio telematico CIVIS.
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L’IVA è detraibile anche quando il contratto è nullo
I profili civilistici e quelli fiscali, nel diritto italiano, come in quello unionale, spesso si intersecano ma poi seguono traiettorie divergenti.
Un interessante esempio può essere rappresentato dalla vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione in occasione della sentenza numero 16279 pubblicata il 12 giugno 2024.
Nel caso in esame la corte di legittimità prende in esame la detraibilità dell’IVA in relazione a una operazione di compravendita il cui contratto è risultato nullo dal punto di vista civilistico.
Nel caso specifico la nullità civilistica del contratto derivava da un conflitto di interessi del notaio rogante.
La Corte di Cassazione afferma che, anche nel caso in cui il contratto relativo alla cessione di un bene sia nullo in base al diritto civile, al cessionario, che è soggetto passivo, non può essere comunque negata la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Ciò poiché, da un punto di vista tributario, la nullità civilista non è sufficiente per delegittimare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Il fondamento di questa considerazione della Corte di Cassazione affonda le radici nel diritto unionale: la Corte di Giustizia UE, nella causa C-114/22 del 25 maggio 2023, ha infatti dichiarato illegittimo il divieto del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in conseguenza del fatto che l’operazione imponibile alla base risulti viziata da nullità.
Infatti, le motivazioni che possono legittimare la negazione alla detrazione dell’imposta sono ben diverse dalla nullità civilista dell’operazione imponibile, che non rileva da un punto di vista tributario; più precisamente la detrazione può essere negata, alternativamente:
- se non può essere fornita prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione (per cui la cessione o la prestazione può essere considerata fittizia);
- quando in relazione all’operazione sia stata individuata una situazione di abuso del diritto;
- nel caso in cui l’operazione tragga origine da un’evasione dell’imposta.
Il principio di diritto
Così, per puntualizzare tutto ciò, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 16279 del 12 giugno 2024, emana il seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta o da un abuso di diritto”.
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Anticipi PAC: regole Agea per le domande dal 16 ottobre
Con la Circolare n 775 del 16 settembre Agea, Agenzia per la promozione dell'agricoltura, ha pubblicato le regole per gli Anticipi PAC 2024 – Interventi pagamenti diretti e in ambito sviluppo rurale – interventi SIGC.
Anticipi PAC 2024: regole Agea
Come evidenziato in premessa del documento si disciplina il pagamento degli anticipi PAC erogabili a partire dal 16 ottobre 2024 fino al 30 novembre 2024.
In particoalre, ai sensi dell’art. 44, paragrafo 2, secondo comma, del Reg. (UE) 2021/2116 e dell’art. 75, paragrafo 1, terzo comma, del Reg. (UE) n. 1306/2013, a partire dal 16 ottobre è consentito agli Stati membri di versare anticipi fino al 50 % per gli interventi sotto forma di pagamento diretto e fino al 75 % per gli interventi di sviluppo rurale basati sulle superfici e sugli animali.
Con Regolamenti di esecuzione (UE) n. 2024/2434 e n. 2024/2445, la Commissione europea ha innalzato le suddette percentuali, fino al 70% per gli interventi sotto forma di pagamento diretto e fino all’85 % per gli interventi di sviluppo rurale basati sulle superfici e sugli animali, riferiti sia agli impegni assunti ai sensi del Reg. (UE) n. 1305/2013 sia agli impegni di cui al Reg. (UE) n. 2021/2115.
Il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, con nota prot. n. 352518 del 5 agosto 2024, ha demandato ad AGEA l’attivazione delle procedure necessarie per consentire il pagamento degli anticipi da parte degli Organismi pagatori.
Gli anticipi, come previsto dall’art. 4, comma 2, del DM 4 agosto 2023 n. 410739, sono erogati in relazione alle domande risultate ammissibili all’esito dei controlli amministrativi e di monitoraggio, tenendo conto delle risultanze delle attività di verifica già svolte sui requisiti non monitorabili, per tutti gli interventi soggetti al sistema di monitoraggio delle superfici (AMS).Anticipi PAC 2024: interventi erogabili in fase di anticipo
La circolare evidenzia che i pagamenti diretti interessati dall’anticipo, nei limiti di quanto previsto dalla circoalre in oggetto, sono i seguenti:
- a) sostegno di base al reddito per la sostenibilità;
- b) sostegno ridistributivo complementare al reddito per la sostenibilità;
- c) sostegno complementare al reddito per i giovani agricoltori
- d) egimi per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali, articolati nei seguenti eco-schemi:
- pagamento per la riduzione dell’antimicrobico resistenza e per il benessere animale;
- pagamento per inerbimento delle colture arboree;
- pagamento per la salvaguardia olivi di valore paesaggistico;
- pagamento per sistemi foraggeri estensivi con avvicendamento;
- pagamento per misure specifiche per gli impollinatori.
- e) il sostegno accoppiato al reddito, esclusivamente riferito ai seguenti settori relativi alle superfici:
- frumento duro;
- semi oleosi: colza e girasole (esclusa la coltivazione di semi di girasole da tavola);
- riso;
- barbabietola da zucchero;
- pomodoro destinato alla trasformazione;
- olio d’oliva;
- agrumi;
- colture proteiche comprese le leguminose.
Sono altresì erogabili gli anticipi relativi agli interventi di sviluppo rurale basati sulle superfici e sugli animali, riferiti sia agli impegni assunti ai sensi del Reg. (UE) n. 1305/2013 sia agli impegni di cui al Reg. (UE) n. 2021/2115
Anticipi PAC 2024: misure degli anticipi
Come previsto dal citato Reg. (UE) n. 2024/2434, il limite massimo del pagamento dell’anticipo relativo agli interventi dei pagamenti diretti non può superare il 70%.
Si precisa che per taluni interventi oggetto di anticipo vi sono delle condizioni di ammissibilità che possono maturare fino al 31 dicembre 2024 mentre per altri interventi è necessario eseguire verifiche ulteriori per garantire il rispetto dei plafond stabili dal Piano Strategico Nazionale (PSP).
Conseguentemente, al fine di tutelare i Fondi UE e rispettare la percentuale massima di aiuto erogabile in fase di anticipo, è opportuno in tali casi fissare percentuali di erogazione dell’anticipo inferiori al 70% e adottare ulteriori cautele nella determinazione dell’importo erogabile.Per le tabelle di riferimeto per gli anticipi, clicca qui e consulta gli inporti da pagina 5 della circolare in oggetto.
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Autofattura denuncia: l’IVA duplicata deve essere rimborsata
L’articolo 6, comma 8, del Decreto Legislativo 417/1997 stabilisce l’obbligo, per il cessionario o committente che non riceve una fattura per l’acquisto di un bene o di un servizio entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione, di emettere una autofattura per regolarizzare la sua posizione.
Tale adempimento prende il nome di autofattura denuncia perché, attraverso questa, il contribuente mette a conoscenza l’Agenzia delle Entrate della violazione effettuata dal cedente o prestatore.
Ciò che caratterizza la procedura, però, è il fatto che, contestualmente all’emissione dell’autofattura, il cessionario o committente debba versare all’erario l’IVA dovuta sull’operazione.
Va segnalato che la mancata effettuazione di questi adempimenti, da parte del cessionario o committente, comporta l’applicazione di una sanzione pari al 100% dell’imposta non versata.
La duplicazione dell’imposta e il rimborso
Si evidenzia chiaramente come, nel momento in cui il cessionario o committente paga il bene o la prestazione al cedente o prestatore, lo fa versando contestualmente l’IVA dovuta sull’operazione.
Però, nel momento in cui il cedente o prestatore non emette il documento fiscale e il cessionario o committente regolarizza la sua posizione secondo le previsioni dell’articolo 6 comma 8 del Decreto Legislativo 417/1997, questi dovrà versare di nuovo l’imposta dovuta sull’operazione che così verrà corrisposta due volte.
La recente sentenza numero 374/2/24 della Corte di Giustizia di II grado della Liguria , pubblicata il 17 maggio 2024, prende in esame un caso del genere, in quanto un contribuente in questa situazione, trovandosi ad avere versato due volta l’imposta per la medesima operazione, ha richiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso dell’imposta duplicata, producendo istanza di rimborso ex articolo 30-ter del DPR 633/1972.
Il caso è stato affrontato in sede di contenzioso in quanto l’ente ha negato il rimborso dell’imposta al contribuente, asserendo l’insussistenza della duplicazione, che si configurerebbe solo in caso di doppio versamento dell’IVA da parte del medesimo soggetto.
La corte ha bocciato la tesi dell’agenzia riconoscendo che la duplicazione dell’imposta non deve essere verificata in relazione al soggetto versante, ma all’operazione in relazione alla quale l’IVA è stata versata: e, in considerazione di ciò, un doppio prelievo dell’imposta per la medesima operazione si deve considerare illegittimo.
Una tale situazione sarebbe quindi un doppio pagamento dell’IVA sulla stessa operazione, che in applicazione al generale principio della neutralità dell’imposta, legittima il rimborso dell’IVA versata due volte.
Il principio di neutralità dell’imposta costituisce un cartine fondamentale della direttiva IVA 2006/112/CE, costantemente difeso anche dalla Corte di Giustizia UE: su questo si fonda quel meccanismo in ragione del quale, per le attività economiche, l’IVA è una imposta neutrale nei vari passaggi, finché non raggiunge il soggetto passivo consumatore finale.
Le novità normative
Va segnalato che dal primo settembre 2024 l’autofattura denuncia è sostituita dalla comunicazione denuncia, ex articolo 2 del Decreto Legislativo 87/2024 che modifica l’articolo 6 comma 8 del Decreto Legislativo 417/1997.
La comunicazione denuncia è un adempimento analogo, da effettuarsi in luogo dell’autofattura denuncia, entro il più breve termine di 90 giorni dal termine nel quale doveva essere emessa la fattura.
Quello che più caratterizza la nuova procedura è il fatto che è stato abolito l’obbligo di versare (nuovamente) all’erario l’IVA relativa all’operazione in oggetto da parte del cessionario o committente: in questo modo si risolve il problema della duplicazione dell’imposta, che non dovrà essere versata una seconda volta.
Tuttavia anche la nuova procedura non risolve la problematica che il contribuente, che non riceve il documento fiscale, in carenza di certificazione, presumibilmente non potrà detrarre l’IVA sull’acquisto, anche se questa era stata regolarmente pagata contestualmente al corrispettivo.