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Irpef autonomi: il decreto di riforma riprende il suo iter di approvazione
In primavera il testo del Decreto legislativo di riforma Irpef/Ires è stato rinviato in quando necessitava di cambiamenti.
Oggi 15 ottobre risulta che il Decreto bollinato ha ripreso il suo iter verso le commissioni tecniche parlamentari al fine di continuare il percorso di definitiva approvazione.
Molte delle misure in esso contenute dovrebbero entrare in vigore dal 1° gennaio 2025 e pertanto il tempo a disposizione per modifiche si assottiglia.
Il decreto contiene modifiche alle disposizioni su redditi:
- da lavoro autonomo e dipendente,
- agrari e diversi,
- d’impresa.
Vediamo cosa contiene la bozza dell'art 6 rubricato Revisone della disciplina dei redditi di lavoro autonomo relativamente al nuovo art 54 del TUIR per la determinazione dei redditi da lavoro autonomo.
Riforma Fiscale: le novità per l’irpef del lavoro autonomo
Il bollinato consegnato alle Commissioni tecniche del Parlamento, contine previsioni di modifica al testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
In particolare, per il reddito di lavoro autonomo si prevede un nuovo art 54 del TUIR.
Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica o professionale e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività, salvo quanto diversamente stabilito nel presente articolo e negli altri articoli del capo V.
Le somme e i valori in genere percepiti nel periodo di imposta successivo a quello in cui gli stessi sono stati corrisposti dal sostituto d’imposta si imputano al periodo di imposta in cui sussiste l’obbligo per quest’ultimo di effettuazione della ritenuta.
Non concorrono a formare il reddito le somme percepite a titolo di:
- a) contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde;
- b) rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente;
- c) riaddebito ad altri soggetti delle spese sostenute per l’uso comune degli immobili utilizzati, anche promiscuamente, per l’esercizio di tali attività e per i servizi a essi connessi.
Le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista.
Le plusvalenze dei beni mobili strumentali, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, concorrono a formare il reddito se:
- a) sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
- b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;
- c) i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell’esercente l’arte o la professione o a
- finalità estranee all’arte o professione.
La plusvalenza è costituita, nelle ipotesi di cui al comma 1, lettere a) e b), dalla differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo percepito e il costo non ammortizzato del bene e, nell’ipotesi di cui al comma 1, lettera c), dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato del bene. In ogni caso, la plusvalenza rileva nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato.
In caso di cessione del contratto di locazione finanziaria avente a oggetto beni immobili e mobili strumentali, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, concorre a formare il reddito il valore normale del bene al netto del prezzo stabilito per il riscatto e dei canoni relativi alla residua durata del contratto, attualizzati alla data della cessione medesima, nonché, in caso di beni immobili, della quota capitale dei canoni, già maturati,
indeducibile in quanto riferibile al terreno.
Relativamente ai rimborsi e riaddebiti le spese di cui all’articolo 54, comma 2, lettere b) e c), non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo del soggetto che le sostiene, salvo quanto previsto nel presente articolo.
Le spese di cui all’articolo 54, comma 2, lettera b), non rimborsate da parte del committente sono deducibili a partire dalla data in cui:
- a) il committente ha fatto ricorso o è stato assoggettato a uno degli istituti di regolazione disciplinati dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, o a procedure estere equivalenti, previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni;
- b) la procedura esecutiva individuale nei confronti del committente sia rimasta infruttuosa;
- c) il diritto alla riscossione del corrispondente credito si è prescritto.
Ai fini del comma 2, lettera a), il committente si considera che abbia fatto ricorso o sia stato assoggettato a uno degli istituti disciplinati dal citato codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019:
- a) in caso di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata del sovraindebitato, dalla data della
- sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o controllata;
- b) in caso di liquidazione coatta amministrativa, dalla data del provvedimento che la dispone;
- c) in caso di procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, dalla data di ammissione alla procedura;
- d) in caso di procedura di concordato preventivo, dalla data del decreto di apertura della procedura;
- e) in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti e di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, dalla data di omologazione dell’accordo ovvero del piano;
- f) in caso di piano attestato di risanamento, dalla data certa degli atti e dei contratti di cui all’articolo 56, comma 5, del predetto codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019;
- g) in caso di contratto o accordo di cui all’articolo 23, comma 1, lettere a), b) e c), del citato decreto legislativo n. 14 del 2019, dalla data certa di tali atti;
- h) in caso di concordato semplificato di cui all’articolo 25-sexies del medesimo decreto legislativo n. 14 del 2019, dalla data del decreto previsto dal citato articolo 25-sexies, comma 4;
- i) in caso di concordato minore, dalla data di apertura della procedura;
- l) in caso di ristrutturazione dei debiti del consumatore di cui all’articolo 67 e seguenti del citato codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, dalla data della pubblicazione della relativa proposta ai sensi dell’articolo 70 del medesimo decreto.
Le spese di cui all’articolo 54, comma 2, lettera b), di importo, comprensivo del compenso a esse relative, non superiore a 2.500 euro che non sono rimborsate dal committente entro un anno dalla loro fatturazione sono in ogni caso deducibili a partire dal periodo di imposta nel corso del quale scade il detto periodo annuale.
Le minusvalenze dei beni mobili strumentali, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, determinate con gli stessi criteri stabiliti per le plusvalenze, sono deducibili se realizzate ai sensi dell’articolo 54-bis, comma 1, lettere a) e b).
Per i beni strumentali, esclusi i beni immobili e gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ridotti alla metà per il primo periodo d’imposta.
È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo d’imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,40. In caso di eliminazione dall’attività di beni non ancora completamente ammortizzati, esclusi i beni immobili e gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, il costo residuo è ammesso in deduzione. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui all’articolo 54-septies, comma 2, è
ammessa:
- a) in caso di beni immobili, per un periodo non inferiore a dodici anni;
- b) in caso di beni di cui all’articolo 164, comma 1, lettera b), per un periodo non inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo;
- c) in tutti gli altri casi, per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d’imposta in cui maturano. Ai fini del calcolo dei canoni di locazione finanziaria deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l’articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Le spese relative all’ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria di immobili sono deducibili in quote costanti nel periodo d’imposta in cui sono sostenute e nei cinque successivi.
Le spese relative all’acquisto di beni mobili, diversi da quelli indicati nell’articolo 164, comma 1, lettera b), adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte o professione e all’uso personale o familiare del contribuente, sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a euro 516,40, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all’impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile un importo pari al 50 per cento della rendita ovvero, in caso di immobili acquisiti mediante locazione, anche finanziaria, un importo pari al 50 per cento del relativo canone, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione. Per la determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria deducibili si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al comma 1. Nella stessa misura del 50 per cento sono deducibili le spese per i servizi relativi agli immobili utilizzati promiscuamente nonché quelle relative alla manutenzione ordinaria dei medesimi. Le spese relative all’ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria di tali immobili sono deducibili per un importo pari al 50 per cento del relativo ammontare in quote costanti nel periodo d’imposta in cui sono sostenute e nei cinque successivi.
Le quote d’ammortamento, i canoni di locazione anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica a uso pubblico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera fff), del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono deducibili nella misura dell’80 per cento.
Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore al 50 per cento del costo.
Le quote di ammortamento del costo degli altri diritti di natura pluriennale sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.
Le quote di ammortamento del costo di acquisizione della clientela e di elementi immateriali relativi alla denominazione o ad altri elementi distintivi dell’attività artistica o professionale sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del costo.
Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta.
Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell’1 per cento dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l’acquisto o l’importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l’esercizio dell’arte o professione, nonché quelle sostenute per l’acquisto o
l’importazione di beni destinati a essere ceduti a titolo gratuito.
Sono integralmente deducibili, entro il limite annuo di 10.000 euro, le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni e congressi, comprese quelle di viaggio e soggiorno. Sono integralmente deducibili, entro il limite annuo di 5.000 euro, le spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all’auto-imprenditorialità, mirate a sbocchi
occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro, erogati dagli organismi accreditati ai sensi della disciplina vigente.
Sono integralmente deducibili gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà.
I contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge si deducono dal reddito determinato ai sensi delle disposizioni del capo V.
Tra le spese per prestazioni di lavoro deducibili si comprendono, salvo il disposto di cui al comma 7, anche le quote delle indennità di cui all’articolo 17, comma 1, lettere a) e c), maturate nel periodo di imposta. Le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti degli esercenti arti e professioni sono deducibili nelle misure previste dall’articolo 95, comma 3.
Non sono ammesse deduzioni per i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti dell’artista o professionista ovvero dei soci o associati per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti dell’artista o professionista ovvero della società o associazione. I compensi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti.
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Imposta di successione: come cambia dal 1° gennaio 2025
Il Decreto successioni e donazioni pubblicato in GU n 231 del 2 ottobre ha introdotto molte novità sull’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, il Bollo e i servizi ipotecari e catastali, in attuazione della legge delega per la riforma fiscale n. 111/2023.
Vediamo le novità sull’autoliquidazione dell'imposta sulle successioni.
Imposta di successione: come cambia dal 1° gennaio 2025
Il Decreto legislativo n. 139/2024 persegue, tra gli obiettivi fissati dall’articolo 10 della legge delega, quello relativo alla previsione di un sistema di autoliquidazione per l’imposta sulle successioni.
Con la revisione del decreto legislativo n. 346/1990 (Testo unico sulle successioni, Tus), si è appunto intervenuti sulle procedure di liquidazione e versamento dell’imposta.
Secondo la norma attuale in caso di successione si procede come segue:
- a seguito della presentazione della dichiarazione di successione, da parte del contribuente all’ufficio competente, quest’ultimo provvede a liquidarne l’imposta principale;
- il relativo avviso di liquidazione viene notificato al contribuente, nel termine decadenziale di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione della successione o della dichiarazione sostitutiva o integrativa;
- qualora l’ufficio ritenga che la dichiarazione sia incompleta o infedele, procede alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta complementare, con avviso, da notificarsi entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell'imposta principale;
- se la dichiarazione della successione è stata omessa, invece, l’imposta è accertata e liquidata d’ufficio.
Dal 1° gennaio 2025, a seguito dell’intervento normativo in esame, il procedimento di liquidazione dell’imposta sulle successioni è stato modificato come segue:
- l’imposta di successione è liquidata dai soggetti obbligati al pagamento della stessa in base alla dichiarazione di successione;
- in caso di successiva presentazione di dichiarazione sostitutiva o integrativa, l’imposta è nuovamente autoliquidata;
- il versamento dell’imposta di successione deve essere effettuato entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione; in alternativa, è possibile procedere al pagamento dell’imposta sulle successioni autoliquidata nella misura non inferiore al 20 per cento, entro il medesimo termine di 90 giorni e, per il rimanente importo, in 8 rate trimestrali o in un massimo di 12 rate trimestrali (qualora si tratti di importi superiori a 20 mila euro). Non è consentito rateizzare importi inferiori a 1.000 euro;
- resta fermo il termine di liquidazione e versamento delle imposte ipotecaria e catastale, che deve essere effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione di successione.
Il Dlgs n 139 ha anche previsto che nel caso di unico erede di età non superiore a 26 anni, e vi siano beni immobili nell’asse ereditario, le banche e gli altri intermediari finanziari devono consentire lo svincolo delle attività cadute in successione, nei limiti del valore necessario all’erede per effettuare il versamento delle imposte catastali, ipotecarie e di bollo.
Successivamente, gli uffici effettuano il controllo della regolarità dell’autoliquidazione delle imposte e tasse effettuata dal contribuente, nonché dei versamenti e la loro rispondenza con i dati indicati nella dichiarazione.
L’ufficio provvede a correggere eventuali errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile o dell’imposta dovuta.
Qualora risulti dovuta una maggiore imposta, l’ufficio notifica apposito avviso di liquidazione nel termine di decadenza di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione della successione, con l’invito a effettuare, entro 60 giorni, il pagamento.
Secondo le novità normative quindi devono pertanto considerarsi:
- “imposta principale” quella autoliquidata dai soggetti obbligati al pagamento e quella liquidata dall’ufficio sulla base della dichiarazione
- “imposta complementare” l’imposta, o la maggiore imposta, liquidata dall’ufficio in base ad accertamenti d’ufficio o di rettifica.
In ragione del nuovo procedimenti di autoliquidazione è stata eliminata la definizione di “imposta suppletiva".
Inoltre, la presentazione della dichiarazione deve avvenire per via telematica, con modalità stabilite mediante provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.
E' consentita la spedizione tramite raccomandata (o altri mezzi equipollenti, a condizione che risulti con certezza la data di spedizione) ai soggetti non residenti, e in tale ipotesi, la data di presentazione della dichiarazione di successione viene fatta coincidere con quella di spedizione.
Infine i contribuenti non sono più tenuti ad allegare alla dichiarazione di successione gli estratti catastali relativi agli immobili indicati in successione, poichè essi dovranno essere acquisiti d’ufficio dall’Agenzia delle entrate.
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Credito transizione 5.0: obblighi documentali e i controlli
I soggetti che si avvalgono del credito d’imposta transizione 5.0 sono tenuti a conservare, pena la revoca del beneficio, la documentazione idonea a dimostrare:
- l’effettivo sostenimento,
- la corretta determinazione dei costi agevolabili.
In sintesi è la precisazione che arriva dalla Circolare MIMT del 16 agosto che ha specificato tanti aspetti di questa agevolazione.
Ricordiamo anche che l'art 38 comma 15 del DL N 19/2024 specifica che “le fatture, i documenti di trasporto e gli altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere l’espresso riferimento alle disposizioni di cui al presente articolo”.
Vediamo ora maggiori dettagli sulla documentazione utile a non perdere il credito transizione 5.0 e dettagli sui controlli specificando che le FAQ del GSE sono state aggiornate al giorno 8 ottobre e sono disponibile dal sito MIMIT e GSE in un documento PDF.
Credito Transizione 5.0: gli obblighi documentali
Come specificato anche dalle slide riassuntive dei requisiti del credito transizione 5.0 i soggetti che si avvalgono del credito d’imposta devono conservare, pena la revoca del beneficio:
- la documentazione necessaria a dimostrare l’effettivo sostenimento e la corretta determinazione dei costi agevolabili (fatture, documenti di trasporto, altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere l’espresso riferimento alle disposizioni di cui al presente articolo);
- la certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti che dimostri l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile.
Per le imprese non obbligate per legge alla revisione legale dei conti:
- la certificazione è rilasciata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale dei conti iscritti nella sezione A del registro di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39.ù
- le spese sostenute per adempiere all’obbligo di certificazione della documentazione contabile sono riconosciute in aumento del credito d’imposta per un importo non superiore a 5.000 euro, fermi restando, comunque, i limiti massimi di fruibilità del credito d’imposta.
Credito Transizione 5.0: controlli su requisiti tecnici e risparmio energetico
Ai sensi di quanto previsto all’art. 20, comma 2, del DM “Transizione 5.0”, i controlli hanno ad oggetto:
- a) la sussistenza dei requisiti tecnici e dei presupposti previsti dal DM “Transizione 5.0” per beneficiare dell’agevolazione, ivi inclusa la conformità degli interventi realizzati alle dichiarazioni, informazioni e ai dati forniti sulla base dell’articolo 12 e alle disposizioni normative di riferimento;
- b) la congruenza tra i risparmi energetici certificati nell’ambito delle certificazioni tecniche ex ante di cui all’articolo 15, comma 1, lettera a), ed i risparmi energetici effettivamente conseguiti attraverso la realizzazione del progetto di innovazione, oggetto delle certificazioni tecniche ex post di cui all’articolo 15, comma 1, lettera b).
Il GSE effettua verifiche documentali e controlli in loco in relazione ai progetti di innovazione, a partire dalla trasmissione della comunicazione preventiva di cui all’articolo 12, comma 1, del DM “Transizione 5.0”, in ogni fase di vita del progetto, al fine di accertare il rispetto delle condizioni previste per l’accesso al credito d’imposta dal Decreto legge 2 marzo 2024, n. 19 – “Transizione 5.0”, verificando la corretta realizzazione degli interventi secondo quanto previsto dal progetto e il mantenimento in esercizio degli stessi per i cinque anni successivi alla data di erogazione
dell’ultima agevolazione.
Al fine di agevolare i controlli, i soggetti beneficiari del credito d’imposta sono pertanto tenuti a conservare, pena la revoca del beneficio, la documentazione idonea a dimostrare la rispondenza degli interventi a quanto previsto dal Decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19 – “Transizione 5.0” e alle dichiarazioni rese nell’ambito delle comunicazioni trasmesse al GSE per l’accesso alla misura del progetto di investimento.
A tal fine, le fatture, i documenti di trasporto e gli altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere l’espresso riferimento alle disposizioni di cui alla presente disciplina.
L’effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa devono risultare da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti.
Credito Transizione 5.0: controlli sulla documentazione
Con una recente FAQ datata 8 ottobre viene anche aggiunto che ai sensi dell’art. 20 del Decreto attuativo, il Ministero esercita, avvalendosi del GSE, la vigilanza sulle attività svolte dai soggetti abilitati al rilascio delle certificazioni, verificando:
- a) la correttezza formale delle certificazioni rilasciate;
- b) la rispondenza, sulla base di piani di controllo definiti nella convenzione tra il GSE ed il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, del contenuto delle stesse alle disposizioni del DM “Transizione 5.0” e ai modelli e alle istruzioni rese disponibili sul sito istituzionale del GSE, nonché alla verifica in capo ai soggetti abilitati del possesso dei requisiti previsti dall’articolo 15 del DM “Transizione 5.0”, ivi compreso il possesso di idonee coperture
assicurative.
Il GSE può effettuare, inoltre, verifiche documentali ed ispezioni in situ sui singoli interventi agevolati.
Nel caso in cui, all’esito dei controlli, nonché delle verifiche documentali e in situ, si rilevi l’indebita fruizione, anche parziale, del credito d'imposta, il GSE, per quanto di competenza, ne dà comunicazione all’Agenzia delle entrate indicando i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche della decadenza per l’avvio degli atti di recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni
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Fatture false: quando sono considerate dichiarazione fraudolenta
Con ordinanza n 34407 del 12.09.2024 la Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio: integra il reato di dichiarazione fraudolenta l’utilizzo, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite ad un contratto di appalto di servizi che costituisca solo lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera.
Vediamo il caso di specie.
ture false per contratto di appalto: sono dichiarazione fraudolenta
La Cassazione rigettava il ricorso di un imprenditore che, aveva dissimulato un contratto di somministrazione di manodopera con un contratto di appalto di servizi.
Per tale contratto venivano emesse fatture false per cui la Corte ha statuito che l'emissione di tali fatture integra il reato di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell'art. 2 del Dlgs n. 74/2000.
La Corte rigettava il ricorso poiché le fatture utilizzate erano relative a operazioni inesistenti, poiché le prestazioni di lavoro fornite erano in realtà somministrazioni irregolari di manodopera.
L'imprenditore, attraverso contratti di appalto di servizi per logistica e distribuzione di merci, avrebbe subappaltato il lavoro a cooperative fittizie che emettevano fatture per costi di manodopera non detraibili ai fini IVA.
Le cooperative, a loro volta, non pagavano correttamente l'IVA o omettevano i versamenti, da tali operazioni scaturiva un'evasione di imposte sia IVA che IRES.
Il Tribunale applicava all'imprenditore gli arresti domiciliari per i reati previsti dagli articoli 2 e 8 del Dlgs n. 74/2000, riguardanti l'utilizzo e l'emissione di fatture per operazioni inesistenti.
I motivi del ricorso erano basati sul fatto che l'ordinanza impugnata ha omesso di considerare che le società cooperative erano imprese effettivamente esistenti ed attive, come da essa stessa riconosciuto, e che la difesa, in sede di appello, aveva depositato cospicua documentazione idonea ad ulteriormente dimostrare l'effettiva operatività delle società cooperative.
Inoltre, secondo la difesa, il Tribunale non solo ometteva di confrontarsi con le deduzioni e la produzione documentale della difesa, ma, per affermare la fittizietà delle cooperative, valorizzava un dato in sé irrilevante, quale l'esistenza di un'amministrazione di fatto unica per la la spa.
Si osservava in proposito che il fenomeno di c.d. "eterodirezione" di un ente non implica la fittizietà di quest'ultimo, quando questo abbia comunque una sua realtà strutturale.
Tutto ciò specificato la difesa del ricorrente non è riuscita a dimostrare l'effettività delle prestazioni di servizi indicate nelle fatture, che invece celavano una somministrazione irregolare di manodopera, punto cruciale per la Cassazione che ha confermato la sentenza del Tribunale, precisando appunto che la fittizietà delle fatture non risieda tanto nell'esistenza delle cooperative, quanto nell'effettiva natura delle prestazioni, qualificabili come somministrazione di lavoro anziché appalto di servizi.
La somministrazione irregolare di manodopera è contraria alla normativa (art. 38, comma 1, Dlgs n. 81/2015) e non consente la detrazione dei costi ai fini IVA, rendendo le fatture utilizzate per tali operazioni inesistenti sotto il profilo fiscale.
In conclusione, viene ribadito che l'uso di fatture per operazioni inesistenti costituisce reato di dichiarazione fraudolenta, condannando l'imprenditore al pagamento delle spese processuali.
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Immobile locato a S.a.s: al locatore spetta la cedolare secca?
In tema di redditi da locazione, il locatore può optare per la cedolare secca anche nell'ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell'esercizio della sua attività professionale, visto che l'esclusione di cui all' art 3, comma 6, del Dlgs n 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell'esercizio di una attività d'impresa o di arti e professioni.
Questo è il principio enunciato dalla Cassazione n 12395/2024, vediamo il caso di specie.
Spetta la cedolare se l’immobile è adibito ad abitazione dell’amministratore di SAS
Una Commissione tributaria regionale riformava la prima decisione, resa sui ricorsi riuniti del contribuente, che aveva ritenuto illegittimi gli avvisi di liquidazione, con irrogazione di sanzioni, notificati dall'Agenzia delle Entrate per omesso integrale versamento dell'imposta di registro, relativamente alle annualità 2012 e 2013, in ordine al contratto di locazione, stipulato nel 2010 con una Sas, avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo, sito in Milano, destinato al legale rappresentante della società (parte conduttrice del contratto di locazione).
La Commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che il comma 6 dell'art. 3, D.Lgs. n. 23 del 2011 esclude l'applicazione del regime sostitutivo di tassazione (c.d. "cedolare secca") previsto dal comma 1, a favore del locatore persona fisica che non esercita attività imprenditoriale, "alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell'esercizio di una attività d'impresa, o arti e professioni", perché in tale esclusione rientra anche l'ipotesi in cui sia il conduttore ad esercitare attività d'impresa o arti o professioni.
Il contribuente nel ricorso in Cassazione ha prospettato, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 23 del 2011, per avere la CTR erroneamente equiparato, ai fini qui considerati, i conduttori ai locatori, atteso che soltanto questi ultimi, per poter usufruire del regime della cedolare secca, non devono agire nell'esercizio di un'impresa, arte o professione.
Deduce, altresì, che la formulazione del testo normativo non offre alcun argomento a supporto della restrittiva interpretazione fornita dall'Amministrazione finanziaria nella Circolare del 1/6/2011 n. 26/E, essendo tale limite soggettivo, al regime opzionale della "cedolare secca" sugli affitti, riferibile unicamente ai locatori.
La Cassazione, con la sentenza di cui si tratta, ha ritenuto fondato il ricorso.
Il proprietario o il titolare di un diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative, e relative pertinenze, locate ad uso abitativo, che abbia optato per il regime della "cedolare secca", assolve il proprio obbligo tributario mediante versamento, in acconto e a saldo, della "cedolare secca", secondo le modalità definite con il Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 7 aprile 2011, emesso in forza di quanto previsto dall'art. 3, comma 4, del decreto legislativo citato.
La base imponibile è determinata sulla scorta del canone di locazione annuo stabilito dalle parti ed in ragione di una aliquota del 21%.
Il locatore, che opta per tale regime tributario agevolato, non può chiedere l'aggiornamento del canone.
Ai sensi dell'art. 3, sesto comma, del D.Lgs. n. 23 del 2011 le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5 del presente articolo, che prevedono il descritto regime della cedolare secca, non si applicano alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell'esercizio di una attività d'impresa o di arti e professioni.
Stante la necessità di coordinare la disposizione in esame con quelle richiamate, di cui ai precedenti commi, che attribuiscono esclusivamente al locatore la possibilità di optare per il regime tributario della cedolare secca, senza che il conduttore possa in alcun modo incidere su tale scelta, l'esclusione logicamente deve essere riferita, esclusivamente, alle locazioni di unità immobiliari effettuate dal locatore nell'esercizio della sua attività di impresa o della sua arte/professione, restando, invece, irrilevante la qualità del conduttore e la riconducibilità della locazione, laddove ad uso abitativo, alla attività professionale del conduttore (ad esempio, come avvenuto nel caso di specie, per esigenze di alloggio dei suoi dipendenti).
La circostanza che il regime tributario in esame avvantaggia anche il conduttore (in considerazione dell'esclusione dell'imposta di registro e dell'aggiornamento del canone) non può certo giustificare un'interpretazione dell'art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 23 del 2011, da cui derivi una riduzione dell'ambito applicativo della cedolare secca in danno del locatore, a cui è riservata la relativa scelta e che è il beneficiario principale di tale regime.
La Cassazione specifica anche l'Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte: di fronte alle norme tributarie, essa ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce mai fonte di diritto Conseguentemente, la Circolare del 1/6/2011 n. 26/E, in quanto non manifesta attività normativa, essendo atto interno della stessa Amministrazione, è destinata ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti ed è, altresì, inidonea ad incidere sugli elementi costitutivi del rapporto tributario.
In conclusione, il ricorso merita accoglimento in virtù del seguente principio di diritto: in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per la cedolare secca anche nell'ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell'esercizio della sua attività professionale, atteso che l'esclusione di cui all'art. 3, sesto comma, D.Lgs. n. 23 del 2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell'esercizio di una attività d'impresa o di arti e professioni.
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L’IVA è detraibile anche quando il contratto è nullo
I profili civilistici e quelli fiscali, nel diritto italiano, come in quello unionale, spesso si intersecano ma poi seguono traiettorie divergenti.
Un interessante esempio può essere rappresentato dalla vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione in occasione della sentenza numero 16279 pubblicata il 12 giugno 2024.
Nel caso in esame la corte di legittimità prende in esame la detraibilità dell’IVA in relazione a una operazione di compravendita il cui contratto è risultato nullo dal punto di vista civilistico.
Nel caso specifico la nullità civilistica del contratto derivava da un conflitto di interessi del notaio rogante.
La Corte di Cassazione afferma che, anche nel caso in cui il contratto relativo alla cessione di un bene sia nullo in base al diritto civile, al cessionario, che è soggetto passivo, non può essere comunque negata la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Ciò poiché, da un punto di vista tributario, la nullità civilista non è sufficiente per delegittimare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Il fondamento di questa considerazione della Corte di Cassazione affonda le radici nel diritto unionale: la Corte di Giustizia UE, nella causa C-114/22 del 25 maggio 2023, ha infatti dichiarato illegittimo il divieto del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in conseguenza del fatto che l’operazione imponibile alla base risulti viziata da nullità.
Infatti, le motivazioni che possono legittimare la negazione alla detrazione dell’imposta sono ben diverse dalla nullità civilista dell’operazione imponibile, che non rileva da un punto di vista tributario; più precisamente la detrazione può essere negata, alternativamente:
- se non può essere fornita prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione (per cui la cessione o la prestazione può essere considerata fittizia);
- quando in relazione all’operazione sia stata individuata una situazione di abuso del diritto;
- nel caso in cui l’operazione tragga origine da un’evasione dell’imposta.
Il principio di diritto
Così, per puntualizzare tutto ciò, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 16279 del 12 giugno 2024, emana il seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta o da un abuso di diritto”.
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Titolare effettivo: come si individua nelle società di persone
Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili ha pubblicato, in data 1 ottobre, il documento “L’individuazione del titolare effettivo nelle società e negli enti di diritto privato”, curato dalla Commissione “Operatività del Registro dei Titolari Effettivi e adempimenti conseguenziali”.
In attesa della pubblicazione della decisione di merito assunta dal Consiglio di Stato il 19 settembre 2024, il Consiglio Nazionale ha ritenuto opportuno fornire agli Iscritti all'Albo uno strumento di analisi e commento della casistica maggiormente ricorrente relativa al Titolare Effettivo, con lo specifico obiettivo di supportarli sia in sede di adempimento e nell’ambito dell’attività di assistenza e consulenza alle società e alle altre entità giuridiche di natura privatistica tenute alla comunicazione al Registro.
L'informativa del CNDCEC specifica che si è tenuto conto delle FAQ “Titolarità Effettiva e il Registro titolari effettivi” pubblicate dal Dipartimento del Tesoro del MEF con la Banca d’Italia e l’Unità di Informazione Finanziaria in data 20 novembre 2023. Il documento sarà in ogni caso aggiornato alla luce dell’evoluzione normativa.
Titolare effettivo: come si individua nelle società di persone
Il documento, a supporto dei commercialisti, è composto da 29 pagine ed è cosi suddiviso:
- Nozione di titolare Effettivo,
- Modalità di individuazione,
- Casistica.
Relativamente alla casistica, il documento ne riporta alcune elaborate in risposta a specifici quesiti posti in merito all’individuazione del titolare effettivo, precisando che le stesse sono frutto di un mero orientamento interpretativo e che in ogni caso la valutazione da parte del soggetto obbligato è strettamente connessa alle particolarità del singolo caso.
Per le società di persone, il documento evidenzia che la norma non ha definito un criterio specifico per la individuazione della titolarità effettiva; si ritiene, pertanto, opportuno applicare, nei limiti della compatibilità, il criterio individuato in caso di società di capitali.
In particolare, i beneficiari di dette società possono essere individuati nei conferenti il capitale che, in relazione alla gestione della società, possono vedere incrementato (o decrementato) il valore della quota, nonché gli stessi conferenti quali destinatari della suddivisione degli utili.
In relazione a ciò, si ritiene essere titolari effettivi di queste società anche i soci che beneficiano della gestione della stessa in termini di incremento della quota o di partecipazione agli utili quando dette quote o le relative partecipazioni agli utili superino il 25%, indipendentemente dalla circostanza che gli stessi siano, nelle Sas, accomandanti o accomandatari.
Saranno da identificarsi come titolari effettivi i soggetti che, conformemente ai rispettivi assetti organizzativi o statutari, sono titolari di poteri di rappresentanza legale, amministrazione o direzione della società (nel caso di amministrazione anche con modalità disgiuntive, congiuntive o miste).
In sintesi, i titolari effettivi nelle società di persone possono essere individuati nei soggetti che:
- hanno conferito nel capitale importi superiori al 25% del capitale sottoscritto, oppure, nei casi di ripartizione di utili in modalità non proporzionali ai conferimenti, indipendentemente dalla quota conferita, hanno diritto ad una parte degli utili o alle perdite in misura superiore al 25%;
- hanno poteri di rappresentanza legale, di amministrazione o direzione della società.