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ISA e concordato biennale: le cause di esclusione
Pubblicata l'attesa Circolare n 18/2024 con i chiarimenti ADE per il CPB, Concordato preventivo biennale.
In proposito, l’articolo 17 della legge delega, al comma 1, lettera g), punto 2), ha previsto l’introduzione del CPB per i contribuenti titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo di minori dimensioni.
Tale platea di contribuenti è rappresentata, in linea generale, da:
- soggetti tenuti all’applicazione degli Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA);
- soggetti che aderiscono al Regime dei forfetari.
Il corposo documento di 64 pagine, oltre al riepilogo di tutte le regole, riporta una utile sezione, l'ultima, con risposte a domande dei contribuenti.
In particolare, la sezione 6 replica a 18 quesiti e tra questi ve ne sono alcuni con chiarimenti sulle cause di esclusione dalla misura agevolativa per i soggetti ISA.
Prima di evidenziarne alcune, si sintetizza quanto specificato anche durante il convegno Telefisco 2024 tenutosi oggi 19 settembre a proposito dei vantaggi di adesione al CPB per gli ISA:
- viene stabilito che al contribuente spettano i vantaggi previsti dall’articolo 9-bis, comma 11, del Dl 50/2017, previsti per i soggetti Isa (compresi quelli Iva),
- risulta irrilevante il maggiore reddito dichiarato rispetto a quello oggetto di concordato (e il maggior valore della produzione netta rispetto a quello concordato),
- risultano inibiti gli accertamenti di cui all’articolo 39 del Dpr 600/1973,
- viene prevista una tassazione sostitutiva sul maggior reddito concordato rispetto a quello del 2023.
Concordato preventivo biennale: cause di esclusione ISA
Relativamente ai soggetti ISA la Circolare n 18/2024 ha innanzitutto evidenziato che, tenuto conto che: “l’Agenzia delle entrate formula una proposta per la definizione biennale del reddito derivante dall'esercizio d'impresa o dall'esercizio di arti e professioni” (art 7 decreto CPB) nel caso in cui il contribuente le eserciti entrambe l’Agenzia formulerà due distinte proposte per le due diverse tipologie reddituali a cui il contribuente potrà aderire sia congiuntamente che individualmente.
Successivamente, si replica ad un quesito con cui un contribuente ISA domandava se dopo l’accettazione della proposta, qualora si verificasse una causa di esclusione dagli indici sinteci di affidabilità, lo stesso venga escluso dal CPB.
Le Entrate hanno evidenziato che le fattispecie che determinano la cessazione o la decadenza dal CPB sono specificatamente individuate dal decreto CPB.
A tal proposito viene osservato che, tra esse non vi è l’eventuale insorgenza di una causa di esclusione dalla applicazione degli ISA durante i periodi d’imposta per i quali il contribuente ha aderito alla proposta di CPB.
Pertanto, si ritiene che, laddove ricorra una causa di esclusione dalla applicazione degli ISA nelle annualità per le quali il contribuente abbia aderito al CPB, detto regime continuerebbe ad avere efficacia.
Concordato preventivo biennale: ISA e multiattività
Un contribuente esercita due attività non rientranti nel medesimo ISA.
Per l’attività non prevalente dichiara ricavi superiori al 30 per cento rispetto all’ammontare totale dei ricavi dichiarati. Ricorrendo tale condizione il contribuente è escluso dall’applicazione degli ISA anche se è tenuto alla presentazione del modello ISA riferito all’attività principale.
Si domandava se in questo caso il contribuente possa aderire alla proposta CPB prevista per i soggetti ISA per il biennio 2024/2025.
La Circolare, evidenzia che l’articolo 2 del decreto ministeriale CPB ISA prevede che sia formulata una proposta di CPB per i contribuenti che, nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2023, hanno applicato gli ISA.
Restano pertanto esclusi dal CPB coloro che non hanno applicato gli ISA per tale periodo di imposta pur avendo presentato il relativo modello.
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Dilazione cartelle: le 120 rate dal 2025
Durante il convegno Telefisco 2024 tenutosi in data 19 settembre come sempre l'Agenzia delle entrate ha fornito risposte a dubbi frequenti emersi in merito alle normative fiscali.
Relativamente alla recente novità introdotta con la Riforma della Riscossione sulla dilazione dei debiti da cartelle esattoriali, ha chiarito che ai fini dell’applicazione della dilazione a 120 rate mensili con l’agente della riscossione, occorre attendere la pubblicazione del decreto attuativo delle Finanze, che stabilirà le modalità di funzionamento dei criteri per comprovare lo stato di difficoltà del debitore.
Tuttavia, le nuove regole sulla rateazione potranno operare dalle istanze presentate dal 1° gennaio dell’anno prossimo.
Dilazione cartelle in 120 rate: il via dalle domande 2025
Il decreto attuativo della riforma della riscossione (Dlgs 110/2024) ha revisionato il testo dell’articolo 19 del DPR 602/1973, riferito alle rateazioni con l’agenzia delle Entrate-Riscossione al fine di allungare al massimo i piani di rientro.
L'agenzia ha confermato che le disposizioni in esame sono destinate ad avere efficacia a partire dalle istanze presentate dal 1° gennaio 2025.
La riforma fiscale ha introdotto appunto una maxi rateazione a 120 rate mensili come strumento "ordinario" per il contribuente.
Secondo le norme attuali, il debitore, per accedere alla dilazione deve dimostrare di non poter sostenere la rata determinata secondo le normali scadenze massime, che non possono eccedere le 72 rate mensili.
Dal 2025 quindi, l'accesso alla dilazione decennale è disciplinato dagli stessi criteri applicabili alle altre rateazioni, con la differenza che occorrerà sempre dimostrare lo stato difficoltà del debitore, anche se il debito da dilazionare non supera 120.000 euro.
Secondo le norme attuali gli indicatori dello stato di difficoltà sono stabiliti in direttive dell’Agenzia.
Per le persone fisiche, l’indicatore è il valore dell’Isee, per i soggetti diversi da questi, il riferimento è ad alcuni indici di bilancio.
Con le novità della riforma fiscale le modalità applicative degli indicatori saranno stabiliti da un prossimo decreto attuativo delle Finanze.
La risposta dell’Agenzia in telefisco 2024 ha confermato che i parametri di ingresso nella nuova dilazione a 120 rate mensili dovranno essere fissati da tale decreto.
Anche la disciplina della rateazione ridisegnata, come modificata dalla Riforma Fiscale, è stata inserita nello schema di Testo Unico della riscossione, appena approvato in via preliminare e trasmesso alle commissioni competenti per i pareri.
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Liquidazione ordinaria di società: no alla nota di variazione post estinzione
Con la Risoluzione n 47 del 19 settembre le Entrate hanno replicato ad un ricorrente quesito.
Più volte è stato chiesto di chiarire se alla liquidazione ordinaria di una società possano essere applicati i principi enunciati per le operazioni straordinarie in merito agli effetti successori negli adempimenti fiscali e, in particolare, con riguardo alla possibilità di emettere note di variazione, ex articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Viene chiarito che non è possibile e pertanto nel caso la società emittente la fattura si estingua prima di avere esercitato la facoltà di emissione della nota di variazione in diminuzione, il diritto di credito verso l’Erario alla restituzione della maggiore Iva a debito non può essere trasferito per successione ai soci, ma si estingue insieme ad essa, diversamente da quanto, invece, accade nell’ambito di una operazione straordinaria con effetti successori, dove il soggetto che sopravvive e prosegue l’attività imprenditoriale eredita anche le posizioni soggettive ad essa correlate e la possibilità di assolvere ai connessi adempimenti fiscali.
Società liquidata non può emettere nota variazione: chiarimenti ADE
L'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 47/E del 19 settembre 2024, ha chiarito che i principi successori applicabili alle operazioni straordinarie, come le fusioni, non si estendono alla liquidazione ordinaria di una società, in particolare per quanto riguarda la possibilità di emettere note di variazione ex articolo 26 del Decreto IVA.
Nelle operazioni straordinarie, come la fusione o l'incorporazione, la società risultante subentra nei diritti e negli obblighi della società incorporata, inclusa la facoltà di emettere note di variazione in diminuzione.
Tuttavia, la liquidazione ordinaria, che comporta la conclusione definitiva dei rapporti sociali e la cancellazione della società dal Registro delle imprese, non prevede tale subentro.
Di conseguenza, se la società si estingue senza aver emesso una nota di variazione, i soci non possono sostituirsi ad essa per recuperare l'IVA su crediti non incassati.
L’Agenzia ha ribadito che, in caso di liquidazione, non si realizza una prosecuzione dell'attività e non vi è alcuna successione nei diritti fiscali della società estinta, come invece avviene nelle operazioni straordinarie.
Pertanto, il diritto di emissione della nota di variazione si estingue con la società stessa, escludendo qualsiasi trasferimento ai soci.
Questo principio si pone in linea con precedenti interpretazioni giurisprudenziali e prassi dell’Agenzia, rafforzando il concetto che la liquidazione ordinaria e le operazioni straordinarie hanno finalità diverse, con implicazioni diverse in termini di adempimenti fiscali.
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Rimborsi IVA soggetti britannici: entro il 30.09 per le operazioni 2023
Con Risoluzione n 22 del 2 maggio le Entrate hanno annunciato l'accordo di reciprocità tra la Repubblica italiana e il Regno Unito di Gran Bretagna e di Irlanda del Nord ai fini dei rimborsi IVA (articolo 38-ter del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) dopo la Brexit.
In particolare viene chiarito che, in base all'accordo esistono i presupposti di reciprocità dei due stati per richiedere i rimborsi IVA.
A tal proposito, occorre evidenziare che la scadenza per i rimborsi per le operazioni 2023 è fissata al 30 settembre prossimo, vediamo i contenuti della risoluzione.
Come richiedere i rimborsi IVA dopo la Brexit
Con l’uscita dall’Unione europea, dal 1° febbraio 2020 il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord è considerato Paese terzo rispetto alla Ue, ma per un periodo di transizione che è terminato il 31 dicembre 2020, ai fini doganali, Iva e accise ha continuato a operare come Stato membro.
In particolare, durante il periodo di transizione, per i soggetti stabiliti nel Regno Unito trovava applicazione l’articolo 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, rubricato “Esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro della Comunità”, che detta i limiti e le modalità di rimborso IVA in ipotesi di soggetti stabiliti in uno Stato appartenente all’Unione europea e privi di stabile organizzazione in Italia.
A decorrere dal 1° gennaio 2021, il Regno Unito non fa più parte del territorio doganale e IVA dell’Unione europea.
In tale contesto, è stato stipulato un accordo di reciprocità tra l’Italia e il Regno Unito, mediante scambio di Note Verbali dei rappresentanti dei due Paesi, entrato appunto in vigore il 7 febbraio 2024 per regolare i rimborsi IVA tra i due paesi.
I Governi dei due Stati dichiarano di ritenere formalmente sussistenti i presupposti giuridici per il riconoscimento della condizione di reciprocità ai fini dell’erogazione del rimborso IVA:- per gli acquisti effettuati dagli operatori italiani sul territorio britannico,
- e dagli operatori britannici sul territorio italiano,
nell’ambito delle loro attività, a partire dal 1° gennaio 2021, rilevato che il Regno Unito non ha mai interrotto l’erogazione dei rimborsi agli operatori italiani.
I rappresentanti dei due Stati precisano, poi, che l’accordo di reciprocità sarà attuato nel rispetto delle legislazioni britannica e italiana, nonché del diritto internazionale applicabile e, con riferimento alla posizione dello Stato italiano, degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, non comportando oneri aggiuntivi a carico dei bilanci previsti dalla normativa vigente di entrambi i PaesiPertanto, relativamente alle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2021 con il Regno Unito è applicabile l’articolo 38-ter del D.P.R. n.633/1972 ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA e pertanto:
- i soggetti stabiliti in Italia possono proporre istanza di rimborso IVA al Regno Unito in conformità alla normativa ivi vigente;
- i soggetti stabiliti nel Regno Unito possono avanzare richiesta di rimborso IVA al ricorrere dei presupposti di cui all’articolo 38-ter che, a sua volta, rinvia al primo comma dell’articolo 38-bis, comma 1 del D.P.R. n. 633/1972.
L’istanza di rimborso deve essere presentata secondo le modalità stabilite dall'ADE con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 1° aprile 2010 con regole e modello.
E' bene evidenziare che, l’Agenzia delle Entrate non ha precisato, tuttavia, se entro il medesimo termine sia ancora possibile chiedere anche il rimborso dell’imposta riferita agli anni 2021 e 2022, trattandosi della prima scadenza successiva all’entrata in vigore dell’accordo con il quale è stata riconosciuta la reciprocità di rimborso IVA tra Italia e Regno Unito.
Allegati: -
Concordato preventivo biennale: chiarimenti ADE per i forfettari
La Circolare n 18/2024 ADE sul concordato preventivo biennale, reca, oltre ad un sintetico riepilogo delle norme sul CPB, risposte a dubbi su vari aspetti della misura agevolativa.
Ricordiamo prime che entro il 31 ottobre è consentito l’accesso al CPB ai contribuenti tenuti all’applicazione degli ISA o che applicano il regime dei forfetari per i quali non si verificano le condizioni ostative previste dal decreto CPB.
Prima dei dettagli dei chiarimenti forniti nella circolare per i contribuenti forfettari, vediamo una sintesi delle peculiarità del concordato preventivo per tali soggetti:
- la proposta si riferisce solo all’anno in corso e non anche al 2025,
- assenti l’aspetto IVA e la necessità di normalizzare il reddito effettivo per confrontarlo con quello proposto,
- sono esclusi i soggetti che aderiscono per il primo periodo concordatario al regime forfettario, no ai “nuovi” forfettari 2024,
- esclusi anche i contribuenti forfettari che hanno iniziato l’attività nel periodo d’imposta precedente a quello di riferimento della proposta (attualmente si tratta del 2023),
- l’articolo 2 del decreto 15 luglio 2024 prevede la proposta solo per i forfettari che nel 2023 non hanno superato gli 85.000 € di ricavi/compensi (da definire la posizione di chi ha superato i 100.000 €).
CPB forfettari: può aderire chi ha superato 85mila euro di soglia nel 2023?
L’articolo 2 del decreto ministeriale CPB forfetari prevede che sia formulata una proposta di CPB solo ai soggetti forfettari che nel periodo di imposta 2023 non hanno superato la soglia di 85.000 euro di ricavi/compensi.
Si domandava se chi ha superato tale soglia nel periodo 2023 può aderire alla proposta CPB prevista per i soggetti ISA per il biennio 2024/2025
Le Entrate hanno replicato negativamente, specificando che l’articolo 2 del decreto ministeriale CPB ISA prevede che sia formulata una proposta di CPB per i contribuenti che, nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2023, hanno applicato gli ISA.
Pertanto, in riferimento al quesito posto, il contribuente che nel periodo di imposta 2023 ha superato la soglia prevista per l’applicazione del regime forfetario non può aderire alla proposta CPB prevista per i soggetti ISA per il biennio 2024/2025 non avendo applicato gli ISA nel p.i. 2023.
CPB: superamento della soglia dei ricavi, chiarimenti
L’articolo 32, comma 1, lettera b-bis), del decreto CPB, prevede che il concordato cessa di avere efficacia a partire dal periodo d'imposta in cui il contribuente supera il limite dei ricavi di 100mila euro (di cui all'articolo 1, comma 71, secondo periodo, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) maggiorato del 50 per cento (150.000 euro).
Si domandava se, nel caso in cui nel corso del periodo di imposta 2024 il contribuente percepisca ricavi o compensi superiori a 100.000 euro ma inferiori a 150.000 euro, potrà optare, per tale annualità d’imposta, per il regime opzionale di imposizione sostitutiva sul maggior reddito concordato di cui all’articolo 31 bis del decreto CPB.
Le Entrate hanno chiarito che, nel caso rappresentato la risposta è positiva poiché la previsione di cui alla lettera b-bis all’articolo 32, comma 1 del decreto CPB, ove si verifichino le condizioni dalla stessa previste, consente, anche laddove il regime forfetario cessa di avere applicazione per il superamento del limite di ricavi/compensi, di applicare le disposizioni correlate all’istituto del CPB compresa quella di cui all’articolo 31 bis del decreto CPB.
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Contratti di locazione con penale: regole per l’imposta di registro
Con Risposta a interpello n 185 del 18 settembre le Entrate chiariscono l'applicazione dell'imposta di registro ad un contratto di locazione contenente disposizioni relative ad una clausola penale.
In sintesi, l'Agenzia conferma che, per contratti di locazione con clausola penale, l'imposta di registro deve essere applicata alla disposizione più onerosa, che nel caso di specie è il contratto di locazione.
Locazione con penale: come si applica l’imposta di registro
L'Istante intende locare un proprio immobile adibito a studio medico che «sarà locato ad un professionista, ancora da individuare, esercitante professione medica o sanitaria».
Fa presente che intende inserire nel contratto le seguenti clausole penali volontarie:
- a) Il mancato pagamento puntuale del canone e degli oneri accessori di cui al successivo paragrafo, costituisce motivo di risoluzione del presente contratto ed obbliga il conduttore alla corresponsione degli interessi di mora nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque Punti;
- b) In caso di mancata riconsegna della cosa locata alla scadenza prevista in contratto o a quella di una sua eventuale rinnovazione, il conduttore, oltre al pagamento del corrispettivo, si obbliga al pagamento di una penale giornaliera pari ad un trentesimo del triplo dell'ultimo canone corrisposto salvo i maggiori danni.
Ciò premesso, il contribuente chiede se, in sede di registrazione del predetto contratto, si applichi, ai fini dell'imposta di registro, l'articolo 21, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR) ovvero la disciplina degli atti contenenti più disposizioni più onerosa.
Le Entrate ricordano innanzitutto che la clausola penale è disciplinata dagli articoli 1382 e seguenti del codice civile.
In particolare, il citato articolo 1382 del codice civile stabilisce che «La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno».
In base alla predetta disposizione normativa, la clausola penale ha la finalità di predeterminare il valore del risarcimento del danno in caso di ritardo o di inadempimento della prestazione dedotta nel contratto, esonerando il creditore dall'onere di provarne l'entità.
Ai fini fiscali, il pagamento che consegue, in caso di inadempimento, dalla clausola è escluso dalla base imponibile Iva, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e assoggettato ad imposta di registro ai sensi dell'articolo 40 del TUR (c.d. principio di alternatività Iva/ Registro).
Con riferimento al trattamento ai fini dell'imposta di registro della clausola penale inserita in un contratto di locazione, ricompreso nell'ampia categoria generale dei contratti a prestazioni corrispettive, occorre considerare le previsioni dettate dall'articolo 21 del TUR («Atti che contengono più disposizioni»), secondo cui: «Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto» (comma 1);
«Se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa» (comma 2).
Viene evidenziato che come da ultimo chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7 febbraio 2024, n. 3466, l'espressione ''disposizioni'', utilizzata dalla norma, deve essere intesa nel senso di ''disposizioni negoziali'', ognuna contraddistinta da una autonoma causa negoziale, e non di pattuizioni o clausole concernenti un unico negozio giuridico.
La Corte di Cassazione, con la citata sentenza nel pronunciarsi sul trattamento fiscale ai fini dell'imposta di registro della clausola penale contenuta in un contratto di locazione, ha ritenuto che «ai fini di cui all'art. 21 d.P.R. 131/86, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell'imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata».
A tali conclusioni, la Corte di Cassazione è pervenuta puntualizzando che: ''Stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l'obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale; ne consegue che, se il debitore è liberato dall'obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest'ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo».
In sostanza, secondo la Cassazione, la funzione della clausola in esame, desumibile dal dettato normativo degli articoli 1382 e seguenti del codice civile, non può ritenersi eterogenea rispetto all'obbligazione derivante dal contratto di locazione cui accede, «perché sul piano giuridico, l'obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene si attivi conseguentemente all'inadempimento dell'obbligazione, non si pone come causa diversa dall'obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente coercitiva rispetto all'adempimento sua propria, dunque finalizzata a disincentivare e 'riparare' l'inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò, ab initio, la parte adempiente. È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all'inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma come confermato da Cass. del 26.09.2005, n.18779 rispetto al contratto che la prevede, l'obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale […]».
Ciò premesso le entrate hanno ritenuto, in linea generale, che in sede di registrazione del contratto di locazione, contenente una clausola penale ai sensi del citato articolo 21, comma 2, del TUR, sia applicata la tassazione della disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa, tra la disposizione afferente al contratto e quella relativa alla clausola penale stessa.
Come precisato dalla risoluzione 16 luglio 2004, n. 91/E, ai fini della valutazione della disposizione più onerosa di cui all'articolo 21, comma 2, del TUR, alla clausola penale si applica la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva, di cui all'articolo 27 del TUR, secondo cui «Gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell'imposta in misura fissa» (ovvero 200 euro).
La clausola penale, infatti, non opera diversamente da una condizione sospensiva: gli effetti di quest'ultima sono ricollegati al verificarsi di un evento successivo alla registrazione del contratto (quello, futuro ed incerto, dedotto in condizione ovvero l'eventuale ritardo/inadempimento se si tratta di clausola penale).
Il verificarsi degli eventi che fanno sorgere l'obbligazione (tardività/ inadempimento) e, quindi, l'ulteriore liquidazione d'imposta «devono essere denunciati entro trenta giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all'ufficio che ha registrato l'atto al quale si riferiscono», ai sensi dell'articolo 19 del TUR
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Concordato preventivo biennale: non è possibile l’adesione con la dichiarazione tardiva
Introdotto dal Decreto Legislativo 13/2024, il Concordato preventivo biennale è quello strumento, al suo primo anno di applicazione, che permette, ai soggetti ISA e ai contribuenti in regime forfetario, di fare un patto preventivo con il fisco con il quale si determina anticipatamente la base imponibile su cui calcolare imposte e contributi.
Una delle caratteristiche del funzionamento del CPB è che l’adesione avviene contestualmente all’invio della dichiarazione annuale dei redditi del contribuente, e che, per questa, in base all’articolo 35 comma 1 del Decreto Legislativo 13/2024, è esclusa la possibilità di accedere al concordato posteriormente attraverso la remissione in bonis.
La remissione in bonis, istituita dall’articolo 2 comma 1 del Decreto Legge 16/2012, è quell’istituto attraverso il quale i contribuenti possono sanare il tardivo o l’omesso invio di comunicazioni che danno accesso a benefici fiscali o a regimi opzionali, prima che la violazione sia stata contestata.
In conseguenza di ciò, risulta oggi fondamentale che l’adesione al CPB avvenga entro il termine di invio della dichiarazione annuale dei redditi, come del resto chiaramente precisato dal Decreto Legislativo 13/2024.
Ciò che invece ci si domanda è se il contribuente, che ha aderito o non aderito attraverso l’invio della dichiarazione annuale dei redditi, possa successivamente cambiare idea, cambiando la sua scelta attraverso l’invio di una dichiarazione correttiva nel termini, una dichiarazione tardiva o una dichiarazione integrativa.
Per rispondere a questa domanda viene in soccorso la Circolare dell’Agenzia delle Entrate numero 18/E, pubblicata il 17 settembre 2024.
leggi anche CPB: pubblicate le istruzioni ADE per aderire entro il 31 ottobre
La dichiarazione tardiva
La dichiarazione tardiva è quella dichiarazione inviata entro il termine dei 90 giorni dalla scadenza della dichiarazione annuale dei redditi: questa dichiarazione, in base alle previsioni dell’articolo 2 comma 7 del DPR 322/1998, è considerata valida, anche se sono applicate sanzioni.
Premesso che il legislatore ha previsto come data per l’accettazione della proposta di Concordato preventivo biennale il 31 ottobre 2024 (per il primo anno di applicazione, mentre per i successivi la data sarà il 31 luglio), al punto 2.3 della Circolare 18/E/2024 l’Agenzia delle Entrate puntualizza che quanto segue: “deve ritenersi che il termine previsto per aderire al CPB sia perentorio, in quanto il legislatore, per il solo 2024, rinvia espressamente alla data del 31 ottobre, in deroga al termine ordinario del 31 luglio (v. articolo 9, comma 3, ultimo periodo, del decreto CPB). Tale espressa formulazione avalla la conclusione che la data del 31 ottobre 2024 sia tassativa e, pertanto, ai fini dell’accettazione della proposta di CPB non trovi applicazione l’articolo 2, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica del 22 luglio 1998, numero 322 in base al quale sono valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine”.
Motivo per cui, in ragione di ciò, è da ritenersi che, il contribuente che abbia o non abbia aderito al Concordato preventivo biennale non possa modificare la sua scelta trasmettendo una dichiarazione integrativa.
La dichiarazione correttiva nei termini
Il legislatore però permette al contribuente, che ha già inviato la sua dichiarazione dei redditi, di inviare nuovamente, entro il termine previsto per l’invio della dichiarazione (per questo è definita nei termini), una dichiarazione che sostituisce completamente la precedente; a tale invio non si applica alcuna sanzione.
È lecito chiedersi se ai fini del Concordato preventivo biennale sia lecito modificare la propria adesione con una dichiarazione correttiva nei termini.
La Circolare 18/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate non prende esplicitamente in esame il caso il caso, ma logica vuole che, entro il limite del termine “perentorio” di scadenza della possibilità di accettare il Concordato preventivo biennale, il contribuente possa modificare la sua scelta attraverso l’invio di una dichiarazione correttiva nei termini. Fermo restando che la scelta effettuata si cristallizza nel momento in cui scade il termine perentorio del 31 ottobre 2024 (o del 31 luglio per gli anni successivi). Anche in ragione del fatto che, in questo caso, l’adesione sarebbe da considerarsi tempestiva, essendo avvenuto entro i termini prescritti.
La dichiarazione integrativa
Infine la dichiarazione integrativa è quella dichiarazione, trasmessa oltre i termini previsti per la trasmissione ma entro il termine di decadenza previsto per l’accertamento dell’annualità fiscale in oggetto, che modifica la dichiarazione originariamente presentata.
Per questo tipo di dichiarazione, come è facile dedurre, alla luce della previsione legislativa che esclude la remissione in bonis per il CPB e delle precisazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate sulla Circolare 18/E2024, è da escludere che possa essere utilizzata per modificare la precedente adesione o mancata adesione al Concordato preventivo biennale.