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Busta paga: il CNEL propone codice contratto e inquadramento in evidenza
Il 24 luglio l’Assemblea generale del CNEL si è riunita e ha approvato alcuni importanti provvedimenti tra cui :
- la composizione della Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, la cui istituzione è stata prevista dalla recente legge 76/2025 e
- due nuovi Disegni di legge sulla trasparenza contrattuale e sulla contrattazione di secondo livello.
Le proposte, se approvate, avranno importanti risvolti operativi e di contenuto per i datori di lavoro e i dipendenti
Disegno di legge trasparenza contrattuale
Il primo disegno di legge ha l’obiettivo di garantire una piena trasparenza contrattuale e retributiva nelle relazioni di lavoro, valorizzando la funzione del codice alfanumerico unico attribuito dal CNEL all’atto di deposito dei CCNL presso l’Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro.
Il Ddl impone al datore di lavoro di comunicare al dipendente il contratto collettivo nazionale che disciplina il rapporto individuale di lavoro, attraverso la puntuale indicazione del codice alfanumerico unico, che deve essere specificato anche nel prospetto paga.
QUI IL TESTO DEL DISEGNO DI LEGGE
Il secondo Disegno di legge invece , non ancora Disponibile, è volto a consolidare e valorizzare iniziative che diano concreta attuazione al valore della fraternità umana nei luoghi di lavoro, ricomprendendo ambiti quali:
- la conciliazione dei tempi di vita e lavoro,
- il welfare aziendale,
- l’adozione e il rispetto dei codici etici e di condotta, a
attraverso lo sviluppo della contrattazione aziendale o territoriale, su iniziativa delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Nello specifico si prevede l'istituzione , da parte dei sindacati, di una apposita Commissioni che proponga le linee guida per la contrattazione di secondo livello
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Bando INAIL Bric 2025: finanziamenti per la ricerca
L’INAIL ha pubblicato il nuovo Bando Bric 2025 per finanziare progetti di ricerca collaborativa nell’ambito del Piano di attività 2025-2027. L’obiettivo è rafforzare la rete scientifica italiana e sviluppare soluzioni innovative per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Il bando mette a disposizione 14,4 milioni di euro per il primo anno di attività, con progetti della durata di due anni che coinvolgano università, enti di ricerca pubblici e istituti scientifici. Ogni progetto dovrà riguardare una delle tematiche indicate da INAIL e puntare a risultati concreti, trasferibili al mondo produttivo. Gi enti coinvolti possono migliorare il proprio punteggio con il coibvolgimento delle imprese con sede stabile in Italia, che possono contribuire alla sperimentazione delle soluzioni e ottenere un ulteriore punteggio premiale se in possesso della certificazione di parità di genere prevista dalla legge n. 162/2021 (UNI/PdR 125:2022).
Ulteriori materiali e i dettagli nella sezione dedicata ai bandi di ricerca INAIL
Come partecipare: requisiti e modalità di domanda
Per partecipare al Bando Bric 2025, i destinatari istituzionali (università, enti di ricerca e IRCCS) devono rispettare alcuni requisiti:
- ogni progetto deve avere durata biennale;
- il cofinanziamento a carico dei proponenti e dei partner deve essere almeno del 40% del costo totale del progetto;
- ciascun ente può presentare al massimo tre proposte;
- non sono ammesse proposte già finanziate da INAIL o da altri enti pubblici
.Le domande si presentano esclusivamente online tramite l’applicativo “Bando Bric”, disponibile nei servizi online INAIL
. La procedura sarà attiva dal 4 agosto 2025 al 6 ottobre 2025 (ore 14:00). Per accedere è necessario utilizzare SPID, CIE o CNS. La piattaforma rilascia una ricevuta elettronica al termine della compilazione, che costituisce prova di avvenuta presentazione.
Le proposte saranno valutate da commissioni di esperti secondo criteri tecnico-scientifici. Verranno premiate l’originalità, la trasferibilità dei risultati, la qualità dei partner e il livello di cofinanziamento. Non saranno ammesse le domande con un punteggio inferiore a 50 su 100.
ATTENZIONE
Per informazioni e assistenza dal 26 agosto 2025 è disponibile il seguente indirizzo e-mail: [email protected].
Chiarimenti e informazioni possono essere richiesti entro e non oltre le ore 14:00 del 29 settembre 2025.
Quali imprese possono partecipare
Il bando prevede la possibilità di coinvolgere le imprese private , con alcuni vincoli precisi:
- le imprese devono avere stabile organizzazione in Italia;
- non devono avere impedimenti a contrattare con la Pubblica Amministrazione;
- non possono ricevere finanziamenti diretti né fornire beni e servizi al progetto finanziato;
- devono essere selezionate attraverso una manifestazione pubblica di interesse da parte degli enti proponenti;
la loro partecipazione dà diritto a un punteggio premiale nella graduatoria degli enti, che aumenta se l’impresa ha la certificazione di parità di genere
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Bonus maternità per atlete non professioniste 2025
Anche per l'anno 2025, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato il 27.06.2025, sono state stanziate risorse nel Fondo Unico per lo Sport, per la tutela delle atlete non professioniste che interrompono l’attività agonistica a causa di una gravidanza.
Si tratta del contributo di maternità di 1.000 euro al mese, erogato per un massimo di 12 mesi, destinato a coloro che si trovano prive di una copertura previdenziale in caso di maternità.
L’articolo 6 del DPCM stabilisce criteri chiari e selettivi, che puntano a sostenere chi pratica sport agonistico di alto livello ma resta fuori dai meccanismi classici di tutela del lavoro subordinato o degli enti militari. La dotazione economica destinata alla misura è pari a 1 milione di euro per l’anno 2025.
A chi spetta il contributo: tutti i requisiti richiesti
Possono accedere al beneficio, le atlete che al momento della domanda soddisfano contemporaneamente le seguenti condizioni:
- svolgimento nell’attuale o nella precedente stagione sportiva, in forma esclusiva o prevalente di un’attività sportiva agonistica riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano o dal Comitato Italiano Paralimpico;
- assenza di redditi derivanti da altra attività per importi superiori a 15.000,00 euro lordi annui;
- mancata appartenenza a gruppi sportivi militari o ad altri gruppi che garantiscono una forma di tutela previdenziale in caso di maternità;
- mancato svolgimento di un’attività lavorativa che garantisca una forma di tutela previdenziale in caso di maternità;
- possesso della cittadinanza italiana o di altro paese membro dell’Unione Europea oppure, per le atlete cittadine di un paese terzo, possesso di permesso di soggiorno in corso di validità e con scadenza di almeno sei mesi successiva a quella della richiesta.
In aggiunta, devono trovarsi in almeno una delle seguenti situazioni sportive:
- aver partecipato negli ultimi cinque anni a una olimpiade o a un campionato o coppa del mondo oppure a un campionato o coppa europei riconosciuti dalla federazione di appartenenza;
- aver fatto parte almeno una volta negli ultimi cinque
anni di una selezione nazionale della federazione di appartenenza in occasione di gare ufficiali - aver preso parte per almeno due stagioni a un campionato nazionale federale.
Periodo e modalità di erogazione: cosa sapere sul beneficio
Il contributo di maternità può essere richiesto a partire dalla fine del primo mese di gravidanza e non oltre gli 11 mesi successivi.
La prestazione cessa automaticamente alla ripresa dell’attività agonistica. In caso di interruzione della gravidanza, il contributo continua per un massimo di tre mesi o fino alla ripresa dell’attività sportiva, se antecedente.
L’importo previsto è pari a 1.000 euro mensili per un massimo di 12 mesi, erogati a partire dall’ultimo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.
Le somme ricevute sono fiscalmente qualificate come redditi diversi, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR.
Domanda e graduatoria: come si presenta la richiesta
Le istanze devono essere trasmesse al Dipartimento per lo Sport tramite posta elettronica certificata (PEC) utilizzando un modulo disponibile sul sito istituzionale.
La graduatoria di accesso al beneficio è determinata secondo l’ordine cronologico di ricezione, fino ad esaurimento delle risorse stanziate per l’anno.
Il decreto prevede inoltre l’istituzione di un tavolo tecnico per monitorare l’efficacia della misura e promuovere campagne di comunicazione sulla maternità nello sport, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e rafforzare le tutele a favore delle atlete.
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Dipendente pubblico con Partita IVA per attività agricola: ok dal Consiglio di Stato
Nella sentenza del Consiglio di stato del N. 05854/2025 su ricorso N. 03715/2023 è stato precisato che non esiste alcuna normativa che vieti ai dipendenti pubblici l’esercizio dell’attività agricola non professionale e non ha rilievo in merito il divieto di munirsi di partita IVA previsto da una circolare interna del Corpo della Guardia di finanza, non trattandosi di una fonte normativa. Il caso oggetto di analisi riguardava infatti un maresciallo dell Guardia di Finanza sanzionato a seguito della scoperta di una Partita IVA aperta dal militare per l’attività di coltivazione di ulivi. Vediamo di seguito piu in dettaglio la vicenda e le indicazioni del Supremo tribunale amministrativo.
Attività agricola con Partita IVA e Guardia di finanza: il caso
La vicenda trae origine dalla sanzione disciplinare di quattro giorni di consegna inflitta a un maresciallo capo della Guardia di Finanza, per l’attività agricola connessa alla titolarità della Partita IVA, non previamente comunicata, che secondo il Comando risultava incompatibile con il servizio, in forza di quanto previsto dalla circolare interna n. 200000/109/4 del 20 giugno 2005, che vieta le attività extraprofessionali — incluse quelle agricole — da parte del personale del Corpo.
Il militare, da parte sua, ha sostenuto che la Partita IVA, aperta nel 2008 e chiusa nel 2017, non era legata a un’attività economica in senso commerciale, ma esclusivamente alla cura di due terreni di proprietà familiare, destinati alla produzione di olio d’oliva per consumo domestico. Inoltre, ha precisato di aver comunicato l’esistenza della Partita IVA al comando già nel 2015.
Nonostante le sue osservazioni, l’Amministrazione ha confermato la sanzione, rigettando anche il ricorso gerarchico.
Il militare ha quindi presentato ricorso al TAR del Lazio, che con sentenza favorevole ha annullato il provvedimento sanzionatorio e condannato le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di lite. Contro tale decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando generale della Guardia di Finanza hanno presentato appello al Consiglio di Stato, articolando un motivo basato sulla violazione degli articoli 748 e 894 del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010), dell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 e della suddetta circolare interna.
Tuttavia, l’appello è stato dichiarato irricevibile per tardività, poiché la prima notifica via PEC effettuata dagli appellanti non è andata a buon fine per errore nell’indirizzo e la rinotifica è avvenuta oltre il termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 92 del Codice del processo amministrativo. Il Consiglio di Stato ha anche rigettato l’istanza di rimessione in termini per errore scusabile, rilevando che il corretto indirizzo PEC era comunque noto agli appellanti e disponibile nei pubblici registri.
La legittimità dell’attività agricola con Partita IVA
Al di là del vizio procedurale, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato anche il merito dell’appello, osservando che l’attività agricola occasionale e non professionale esercitata su fondi di proprietà non è vietata ai dipendenti pubblici.
Tale attività, infatti, non è assimilabile all’esercizio di industria o commercio vietato dall’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001.
La sentenza sottolinea che una circolare interna, priva di rango normativo, non può introdurre divieti non previsti dalla legge, e che l’apertura di una Partita IVA, se finalizzata esclusivamente alla gestione del fondo rustico in modo non imprenditoriale, è pienamente legittima.
Il Consiglio di Stato ha inoltre ribadito che l’attività agricola, anche se assistita da Partita IVA, può rientrare tra le prerogative del diritto di proprietà costituzionalmente garantite (art. 42 Cost.) e tutelate anche dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un’interpretazione più restrittiva, secondo i giudici, comporterebbe un’irragionevole compressione del diritto di godimento del bene.
La sentenza si conclude con la condanna del Ministero e del Comando generale al pagamento delle spese processuali in favore del militare, per un totale di 4.000 euro oltre accessori di legge.
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Colloqui post-malattia e privacy: pesante sanzione dal Garante
Con un provvedimento del 10 luglio 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato una società per aver trattato in modo illecito i dati dei lavoratori in occasione di colloqui di rientro dopo assenze per motivi di salute.
L’uso di un modulo specifico per raccogliere informazioni personali, seppur finalizzato al reinserimento lavorativo, è risultato non conforme al Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e alla normativa nazionale in materia di privacy.
Il caso: questionario per il rientro al lavoro
La vicenda trae origine da una segnalazione sindacale relativa alla prassi aziendale di sottoporre i dipendenti, dopo periodi di assenza per malattia, infortunio o ricovero, a un colloquio strutturato con un proprio responsabile. In tale occasione veniva compilato un modulo denominato Return to Work Interview (RTWI), successivamente archiviato nelle risorse umane.
La finalità dichiarata dall’azienda era quella di tutelare la salute e il benessere psico-fisico dei lavoratori e facilitare il loro reinserimento. Tuttavia, il Garante ha riscontrato che il modulo poteva raccogliere dati sanitari, anche indirettamente, in violazione delle disposizioni che riservano tali trattamenti al solo medico competente. Inoltre, non veniva fornita un’informativa adeguata né era garantita la libertà del consenso.
La decisione del Garante: gravi violazioni accertate
L’Autorità ha evidenziato dunque diverse serie criticità, tra cui:
- Mancanza di un’informativa chiara e completa: le poche righe presenti all’inizio del modulo non descrivevano in modo esaustivo il trattamento dei dati. Anche le informazioni fornite nei portali aziendali risultavano generiche e non riferibili allo specifico trattamento.
- Trattamento illecito di dati sanitari: alcune domande contenute nel modulo potevano comportare, direttamente o attraverso i commenti del lavoratore, la rivelazione di dati sensibili. Secondo il GDPR, tali trattamenti devono essere autorizzati dal diritto dell’Unione o nazionale, oppure essere effettuati esclusivamente dal medico competente, come previsto dal D.lgs. 81/2008.
- Base giuridica inadeguata: la società faceva riferimento alternativamente a obblighi di legge (art. 2087 c.c.), consenso o legittimo interesse. Il Garante ha ribadito che, nel rapporto di lavoro, il consenso non è di norma valido a causa del disequilibrio tra le parti, e che il trattamento di dati sanitari richiede presupposti specifici.
- Violazione dei principi di minimizzazione e limitazione della conservazione: le informazioni raccolte erano in parte superflue, già note all’ufficio del personale, e conservate fino a 10 anni, senza criteri chiari per la loro cancellazione.
Le misure: sanzione e obbligo di cancellazione –
Il Garante ha concluso che il trattamento non rispettava diversi articoli del Regolamento (in particolare artt. 5, 6, 9, 13 e 88) e l’art. 113 del Codice Privacy.
Ha quindi disposto:
- Il divieto di proseguire nel trattamento dei dati raccolti tramite i moduli;
- La cancellazione dei dati già acquisiti, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento;
- L’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari a 50.000 euro.
Il provvedimento è stato pubblicato sul sito dell’Autorità, anche per l’alto numero di lavoratori coinvolti e la durata della violazione, protrattasi dal 2020.
Questo caso sottolinea l’importanza, per le aziende, di coniugare le buone prassi organizzative con il rispetto della normativa in materia di privacy.
Inoltre, anche iniziative finalizzate alla tutela del benessere lavorativo devono essere progettate nel rispetto del principio di liceità e della normativa sul trattamento dei dati. In particolare, quando si sfiorano dati relativi alla salute, occorre che il trattamento sia strettamente necessario, autorizzato dalla legge e condotto da soggetti legittimati.
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INPS e Commercialisti: risposte a quesiti su maternità, bonus e decontribuzione
Presso la Direzione Centrale dell’INPS si è tenuta nei giorni scorsi una nuova riunione del tavolo tecnico tra l’Istituto e il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che ha fornito risposte dirette a molti quesiti posti dai professionisti per la gestione previdenziale dei propri clienti .
L’incontro ha visto la partecipazione della consigliera delegata Marina Andreatta, del ricercatore Alessandro Ventura e dei commercialisti Domenico Barbuzza, Cinzia Brunazzo e Stefano Danieli.
A coordinare i lavori è stato il direttore centrale Entrate dell’INPS, Antonio Pone, che ha ribadito l’importanza di un confronto strutturato e costante con la categoria
In questa cornice è stata annunciata anche la programmazione di eventi formativi dedicati.
Di seguito una sintesi dei principali chiarimenti forniti dall’Istituto, come riportati nell’ allegato all'informativa 123/2025 del CNDCEC.
Maternità, congedi e prestazioni INPS
Sul congedo di maternità, l’INPS ha chiarito la procedura da seguire nel caso in cui una lavoratrice, dopo aver inizialmente richiesto la flessibilità del congedo, acquisisca nel corso dell’ottavo mese di gravidanza le condizioni mediche per posticipare interamente l’astensione al post-parto: sarà necessario presentare una nuova domanda con le date aggiornate, senza annullare la precedente.
In merito al congedo parentale, è stata confermata la prevalenza della malattia su quest’ultimo, anche in presenza della nuova indennità all’80% per tre mesi. Ciò assicura continuità interpretativa per i consulenti che assistono i datori di lavoro nella corretta gestione delle assenze.
Sulla cassa integrazione, l’INPS ha ribadito la compatibilità tra prestazioni e lavoro subordinato part-time (orizzontale o verticale) se non interferenti. In caso di collaborazione o lavoro autonomo, occorrerà valutare i guadagni e la loro collocazione temporale per determinare l’eventuale quota di integrazione salariale spettante.
Bonus occupazionali ZES, donne e giovani
In riferimento al Bonus giovani ZES, è stato confermato che la domanda di esonero contributivo può essere inoltrata prima della trasformazione a tempo indeterminato, purché antecedente all’invio della Comunicazione Obbligatoria.
Per il Bonus giovani e donne, l’Istituto ha consigliato di stimare la dote agevolativa sulla base della retribuzione media dei mesi lavorati in caso di contratti part-time verticali. Si suggerisce inoltre di evitare l’indicazione della percentuale di part-time, in quanto le procedure INPS effettuano automaticamente il riproporzionamento del massimale.
Infine, in tema di Contratti di Solidarietà, l’INPS ha precisato che lo sgravio contributivo può riferirsi all’orario effettivamente lavorato anche se superiore a quello inizialmente previsto, ma entro i limiti autorizzati dal Ministero del Lavoro. In caso di variazioni sostanziali, occorrerà una nuova istanza di modifica della riduzione concessa.
Decontribuzione Sud e smart working
Sul regime di Decontribuzione Sud, l’INPS ha confermato che il requisito territoriale si fonda sulla sede operativa aziendale e sulla sua corretta indicazione nel flusso Uniemens, anche in presenza di accordi di lavoro agile senza vincoli di presenza al Sud. Rimane quindi decisivo il luogo di lavoro “fiscale” e non quello da cui viene svolta la prestazione da remoto.
La sessione si è conclusa con l’impegno reciproco a consolidare il canale di dialogo tecnico-istituzionale, considerato uno strumento chiave per l’efficace applicazione delle normative previdenziali sul territorio.
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Fallimento e cessione d’azienda: niente TFR se il rapporto prosegue
Con ordinanza n. 21676 del 28 luglio 2025, la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro) ha respinto il ricorso di un lavoratore che chiedeva l’ammissione allo stato passivo del fallimento di una Srl per il credito relativo al proprio TFR. Il lavoratore sosteneva che, a seguito della cessione di ramo d’azienda a un nuovo soggetto , si fosse determinata la cessazione del rapporto di lavoro con la società cedente, con conseguente insorgenza del diritto al trattamento di fine rapporto.
Il Tribunale di Reggio Calabria aveva però escluso tale diritto, ritenendo che il rapporto fosse semplicemente proseguito con la cessionaria e che, in assenza di cessazione, il diritto al TFR non fosse ancora sorto. Aveva inoltre rilevato che non vi era stata omologazione del concordato preventivo proposto dalla società cedente, condizione necessaria – nella normativa applicabile ratione temporis – per l’immediata esigibilità del TFR.
Il lavoratore aveva impugnato il decreto del Tribunale sostenendo la violazione degli articoli 105 della Legge Fallimentare, 47 della Legge 428/1990 e 2112 del Codice Civile, ma la Suprema Corte ha confermato l’interpretazione dei giudici di merito che hanno ritenuto applicabile la normativa previgente l'entrata in vigore del d.lgs 14 2019.
Il quadro normativo applicabile “ratione temporis”
La Corte ha chiarito che, nel caso di trasferimento d’azienda, il trattamento di fine rapporto non matura automaticamente se il rapporto di lavoro continua senza interruzioni presso il nuovo datore. In base all’art. 2112 c.c., in caso di trasferimento d’azienda, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti dal precedente rapporto, senza che questo venga considerato cessato.
La norma invocata dal ricorrente, l’art. 47 della L. 29 dicembre 1990, n. 428, nella formulazione modificata dal D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), prevede effettivamente che, in presenza di procedure concorsuali, il TFR divenga esigibile anche in caso di trasferimento del lavoratore, ma tale novella normativa è entrata in vigore solo il 15 luglio 2022.
Essendo la cessione aziendale oggetto del caso avvenuta nel 2018, la Corte ha correttamente escluso l’applicazione della nuova disposizione per motivi temporali.
La versione previgente dell’art. 47, comma 5, richiedeva l’omologazione del concordato preventivo per rendere esigibile il TFR, ma nel caso concreto tale omologa non era intervenuta. Pertanto, la Corte ha ritenuto corretto il rigetto dell’insinuazione al passivo da parte del Tribunale.
Il principio della Cassazione: il TFR non è dovuto senza cessazione effettiva
La Cassazione ha dunque ribadito un principio consolidato: il TFR matura in modo progressivo, ma la sua esigibilità è legata alla cessazione del rapporto di lavoro. Se il lavoratore passa, senza soluzione di continuità, alle dipendenze di un nuovo datore per effetto di una cessione d’azienda, il rapporto non si considera interrotto e, quindi, il credito relativo al TFR non può essere fatto valere nei confronti del precedente datore fallito.
Va sottolineato che con il D.Lgs. n. 14/2019 sono stati previsti casi di esigibilità del TFR, non applicabili pero alle procedure aperte prima del 15 luglio 2022.
Infine, la Corte ha respinto le deduzioni del lavoratore secondo cui il nuovo datore lo avrebbe assunto ex novo, sottolineando che si trattava di un accertamento fattuale difforme da quanto verificato dai giudici di merito, i quali avevano invece constatato una mera prosecuzione del rapporto. Né è risultato dimostrato che vi fosse stata una nuova assunzione formalmente distinta dalla prosecuzione del contratto.