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Contratto collettivo concerie 2024: le novità
E' stato siglato il 7 marzo 2024 tra Unic-Concerie Italiane, Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil l' accordo per il rinnovo del Ccnl dei lavoratori dipendenti delle aziende conciarie , in vigore dal 1° luglio 2023 e con validità fino al 30 giugno 2026.
Vediamo le principali novità economiche e normative e le nuove tabelle retributive
CCNL Concerie 2024: novità economiche
Le Parti hanno stabilito un aumento salariale medio pari ad euro 191,00 per il livello D2 suddivisi in 3 tranches:
- euro 96,00 con la retribuzione di marzo 2024;
- euro 55,00 con la retribuzione di gennaio 2025;
- euro 40,00 con la retribuzione di gennaio 2026.
Nello specifico di ogni livello gli aumenti sono i seguenti:
Aspetti normativi: contratti a termine, part -time
In materia di contratto a termine viene previsto che il periodo di prova, nel caso di assunzioni con contratti a tempo determinato di durata fino a 6 mesi, sia ridotto alla metà e comunque non possa essere superiore al 50 per cento della durata del contratto.
Vengono individuate anche le specifiche esigenze per la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato che sono:
- – sviluppo straordinario delle attività di impresa, anche legate a ricerca, progettazione, avvio e/o sviluppo di nuove attività;
- – sperimentazioni tecniche, produttive, organizzative aventi carattere di temporaneità;
- – esecuzione di particolari lavori a carattere temporaneo che, per la loro specificità, richiedono l'impiego di professionalità e specializzazioni diverse da quelle normalmente impiegate;
- – investimenti nei processi produttivi che abbiano l'obiettivo di implementare la gestione sostenibile delle attività di impresa (ad. es. salute e sicurezza, ambiente, responsabilità sociale);
- – interventi di manutenzione straordinaria degli impianti o finalizzati alla introduzione di nuove apparecchiature nell'ambito della digitalizzazione, della automazione, della riconversione ambientale/energetica, della sicurezza.
Le clausole elastiche se previste nel contratto di assunzione o nell’accordo di trasformazione a tempo parziale possono essere attivate dal datore di lavoro con un preavviso di almeno 2 giorni e devono prevedere il riconoscimento di una maggiorazione oraria del 15 per cento.
Sono previsti inoltre:
- nuovi permessi per donatori di midollo osseo e la conservazione del posto di lavoro di 2, 3 e 4 mesi in caso di malattie comportanti una limitazione fisica, psichica o mentale
- per le donne vittime di violenza di genere un congedo massimo di 3 mesi con il riconoscimento di un’indennità a carico dell’Inps.
- l'istituzione della“banca ore solidale”.
- il recepimento del “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” individuandolo come importante strumento per la conciliazione di vita e di lavoro.
Assistenza sanitaria integrativa
Con decorrenza 1° luglio 2021 è prevista l’iscrizione di tutti i lavoratori dipendenti al fondo sanitario integrativo Sanimoda. Il contributo mensile da versare è di euro 12,00 per 12 mensilità per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato o determinato.
Dal 1° aprile 2026:
- il predetto contributo viene fissato a euro 15,00;
- viene introdotto un contributo integrativo di euro 2,00 mensili per 12 mensilità interamente a carico del datore di lavoro per il finanziamento di un’assicurazione contro la non autosufficienza.
Ccnl concerie 2017: l'accordo precedente
Il 05 aprile 2017, tra l'Unione Nazionale Industria Conciaria e FILCTEM-CGIL – FEMCA-CISL – UILTEC- UIL è stata stipulata l'ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli addetti delle aziende conciarie, con vigenza dal 1° novembre 2016 e scade il 31 ottobre 2019.
Il rinnovo prevede l' avvio alla Previdenza integrativa attraverso la confluenza in un fondo di previdenza complementare già esistente, entro il 30 giugno 2017.
Dal punto di vista delle retribuzioni l'aumento contrattuale è pari a euro 85,00 al livello D2 così erogati:
- euro 35 dal 1° novembre 2017;
- euro 30 dal 1° maggio 2018; e
- euro 20 dal 1° maggio 2019.
L'accordo prevedeva il recesso da tutti i contratti provinciali: e una delega per la nuova contrattazione alle aziende e alle Associazioni imprenditoriali territoriali e alle Rappresentanze sindacali unitarie (R.S.U.) e/o Organizzazioni Sindacali Territoriali dei lavoratori.
Confindustria Vicenza e le organizzazioni sindacali hanno già sottoscritto il 12 settembre 2017 il nuovo integrativo di settore, nel quale la provincia di Vicenza è leader nazionale. L'accordo prevedeva misure di welfare per 1200 euro annui in particolare nella previdenza integrativa , mantenendo però la possibilità di riconoscere il premio economico.
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Disoccupazione lavoratori rimpatriati: le regole INPS
Inps ha ricapitolato le regole da applicare per l'indennità di disoccupazione di lavoratori in caso di rientro da un Paese straniero nel messaggio 1398 2024 indirizzato alle proprie sedi territoriali, a seguito di specifiche richieste di chiarimenti.
Si fa riferimento alla legge 402/1975 che disciplina il trattamento di disoccupazione in favore dei lavoratori rimpatriati e viene richiamata la circolare INPS 106/2015 riguardante le domande di disoccupazione per i lavoratori italiani che rimpatriano
- da Paesi soggetti alla normativa comunitaria (Paesi Ue, Stati See – Islanda, Liechtenstein e Norvegia – e Svizzera) o
- da uno Stato estero non convenzionato.
Vediamo nei paragrafi seguenti le principali indicazioni.
Indennità di disoccupazione lavoratori italiani dopo lavoro all’estero
Per i cittadini italiani che dopo un periodo di i lavoro all'estero e rientrano in Italia in situazione di disoccupazione per licenziamento o per mancato rinnovo del contratto di lavoro stagionale è prevista l'indennità di disoccupazione calcolata sulla base delle retribuzioni convenzionali stabilite con decreti ministeriali annuali.
La prestazione decorre :
- dal giorno del rimpatrio, se il disoccupato ha dichiarato la disponibilità al lavoro al centro per l’impiego entro sette giorni dal rimpatrio;
- dal giorno della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, se è stata dichiarata tra l’ottavo e il trentesimo giorno successivi alla data del rimpatrio.
La durata massima della prestazione è di 180 giorni e il pagamento viene effettuato direttamente dall’Inps con accredito su conto corrente bancario o postale, su libretto postale oppure tramite bonifico domiciliato presso un ufficio postale.
Disoccupazione dopo lavoro all’estero come fare domanda
Per accedere alla prestazione di disoccupazione il lavoratore italiano rimasto disoccupato deve presentare apposita domanda e soddisfare i seguenti requisiti:
- essere rimpatriato entro 180 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;
- avere reso la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro entro 30 giorni dalla data del rimpatrio.
La domanda di disoccupazione non è soggetta a prescrizione Nel caso di prima domanda la durata del rapporto di lavoro all’estero è ininfluente. Per le domande successive si deve aver svolto un periodo di lavoro subordinato di almeno dodici mesi, di cui sette effettuati all’estero.
La domanda deve essere presentata online all’INPS attraverso il servizio dedicato, in alternativa si può fare la domanda tramite il contact center o agli enti di patronato e intermediari dell’Istituto attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.
Il termine ordinario per la risposta stabilito dalla legge 241/1990 è di 30 giorni
Disoccupazione dopo lavoro in stati convenzionati con l’Italia
In base all’articolo 64 del regolamento Ce 884/2004, la persona che beneficia di prestazione di disoccupazione a carico di uno Stato estero che rientra in Italia alla ricerca di un lavoro, può conservare il diritto alla prestazione, di norma, per un massimo di tre mesi, prorogabili, nel caso di alcuni Stati, fino a sei mesi.
disoccupati rimpatriati da uno Stato che applica la normativa comunitaria (Paesi UE, SEE – Islanda, Liechtenstein e Norvegia – e Svizzera) devono allegare il documento portatile U1 che riporta i periodi di assicurazione, la data e il motivo della cessazione e la qualifica del lavoratore, più tutta la documentazione che comprova l'attività lavorativa all'estero (contratto di lavoro, buste paga, ecc.).
Se la persona non è in possesso del documento portatile U1, le informazioni necessarie saranno richieste direttamente dalla struttura INPS competente all'istituzione estera.
Il trattamento di disoccupazione per i rimpatriati viene erogato quindi solo dopo avere acquisito le informazioni relative all’eventuale diritto a carico dello Stato estero interessato.
Disoccupazione in stati non convenzionati: documenti necessari
Per i lavoratori italiani che rimpatriano da uno Stati esteri privi di convenzione in tema di sicurezza sociale con l'Italia resta confermato quanto indicato nella circolare INPS 106/2015.
Nello specifico il cittadino italiano, in stato di disoccupazione e in possesso dei requisiti previsti ha diritto alla prestazione per un massimo di 180 giorni.
Alla domanda non vanno allegati i modelli U1 e U2, bensì una autocertificazione attestante il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto, rilasciata dal datore di lavoro all’estero ovvero dalla competente autorità consolare italiana.
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No al licenziamento per scioperi in nome della sicurezza
La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 6787 del 14 marzo 2024, si pronuncia in merito ad un licenziamento intimato a fronte di uno sciopero indetto da dei lavoratori per la tutela della loro sicurezza e incolumità.
Licenziamento e diritto di sciopero: il caso
Nel caso giunto al vaglio della Cassazione alcuni lavoratori avevano aderito ad uno sciopero e partecipato a manifestazioni di protesta per il miglioramento delle condizioni di sicurezza aziendali e il datore di lavoro aveva ritenuto che i danneggiamenti che ne erano seguiti costituissero giusta causa di licenziamento per abbandono del posto di lavoro.
In appello i licenziamenti venivano giudicati illegittimi per mancanza di prove sulle responsabilità individuali dei dipendenti licenziati con conseguente annullamento e obbligo di reintegra .
Veniva anche accertato che una delle motivazioni dello sciopero era collegata alla richiesta di trasferimento di un lavoratore responsabile di aggressione e e di aver portato un arma sul luogo di lavoro , che l'azienda aveva respinto.
I giudici di merito avevano affermato che la richiesta sindacale di allontanamento del lavoratore è prevista dell'art. 2087 c.c. e che i datore di lavoro non puo valutare le motivazioni di uno sciopero ma solo le modalità con cui si realizza veniva escluse violazioni in quanto di danneggiamenti non avevano riguardato la capacità produttiva dell'azienda ma solo alcuni beni di produzione aziendale.
La sentenza: il datore di lavoro non ha voce sulle motivazioni dello sciopero
Nella sentenza la Cassazione richiama l'art. 40 Cost sul diritto di sciopero che è attribuito ai lavoratori e precisa, vista la mancata realizzazione di una precisa disciplina legislativa in materia, che , in linea generale,
- lo sciopero consiste in un'astensione dal lavoro decisa dai lavoratori per la tutela di qualsiasi interesse collettivo che incida sui rapporti di lavoro;
- sono vietate le forme di attuazione con modalità delittuose, cioè lesive dell'incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende.
- non sono rilevanti le valutazioni sulla fondatezza delle ragioni né la mancanza di preavviso
- è costitutivo dello sciopero il fatto di creare un danno al datore di lavoro ed è illegittimo solo il comportamento che pregiudichi irreparabilmente la capacità produttiva dell'azienda.
Nello specifico la Corte considera legittima la richiesta di piena tutela della sicurezza sul luogo di lavoro a fronte di comportamenti pericolosi del soggetto che si chiedeva di allontanare e giudica non rilevanti i danni prodotti dalla manifestazione in quanto non lesivi della produttività aziendale.
Ha confermato in oltre la valutazione del giudizio di merito in relazione alle mancate prove sulle responsabilità individuali dei lavoratori per cui respinge il ricorso dell'azienda in quanto i licenziamenti impartiti come punizione collettiva per l'esercizio del diritto di sciopero in assenza di giusta causa o giustificato motivo risultano illegittimi.
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Prestazioni INAIL ai cittadini/e moldavi: le istruzioni
E' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 25 luglio 2023 la Legge n. 94 dell'11 luglio con la Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Moldova in materia di sicurezza sociale. L'accordo è entrato in vigore il 26 luglio 2023 e ha durata illimitata.
Con la circolare 9 del 11 aprile 2024 anche INAIL fornisce le proprie indicazioni e riepiloga le previsioni , riprendendo anche la circolare INPS N. 2 2024 sullo stesso tema.
Accordo Italia-Moldova: campo di applicazione e prestazioni escluse
Con riferimento alla legislazione di sicurezza sociale italiana, l'accordo ricomprende
a) le prestazioni di invalidità, di vecchiaia e ai superstiti previste dall'assicurazione generale obbligatoria, dai regimi speciali dei lavoratori autonomi, dalla gestione separata, dai regimi esclusivi e sostitutivi dei regimi assicurativi generali obbligatori istituiti per alcune categorie di lavoratori e gestiti dall'Inps;
b) le rendite e le altre prestazioni in denaro dovute per infortunio sul lavoro o malattia professionale gestite dall'Inail.
Per la Repubblica di Moldova, l’Accordo si applica :
- alla pensione per limite d'età,
- alla pensione di disabilità causata da una malattia generale,
- alla pensione e indennità di disabilità causata da infortunio sul lavoro o malattia professionale e
- alla pensione per i superstiti.
Restano, invece, escluse dal campo di applicazione dell’intesa bilaterale le seguenti prestazioni:
- – per l'Italia: l'assegno sociale e le altre prestazioni non contributive di tipo misto erogate a totale o parziale carico della fiscalità generale, nonché l'integrazione al trattamento minimo e le prestazioni per le quali l'Italia richiede il requisito della residenza in Italia2;
- – per la Moldova: le pensioni speciali, le pensioni anticipate per limite di età e gli assegni sociali.
- In materia di esportabilità delle prestazioni, l’Inail provvederà a erogare ai lavoratori aventi diritto le prestazioni in denaro derivanti da infortunio sul lavoro o da malattie professionali, senza limitazioni e restrizioni.
Prestazioni economiche INAIL: esportabilità e presentazione domande
La circolare precisa che l'articolo 4 dell’Accordo prevede l'esportabilità delle prestazioni moldave ai lavoratori che risiedono o dimorano in Italia.
I lavoratori beneficiari di rendite e di altre prestazioni in denaro erogate dall’Inail e residenti in Moldova continuano a beneficiare delle medesime prestazioni, senza limitazioni.
Le domande di prestazioni italiane relative a infortuni sul lavoro e malattie professionali possono essere presentate, per il tramite dell’istituzione competente moldava, CNAS, all’Inail. L’istituzione competente moldava procederà senza indugio a trasmettere all’Inail le domande e le relative informazioni, unitamente ai documenti rilevanti
Ugualmente, le domande di riconoscimento o di esportabilità delle prestazioni moldave possono essere presentate dai residenti in Italia all'istituzione competente moldava (CNAS) per il tramite delle Strutture territoriali dell'Inail che le trasmettono allo CNAS.
Accordo Italia Moldova Esami medici per prestazioni INAIL
In tema di accertamenti medici , come da linee guida dell’Istituto in materia di visite e altri accertamenti medico-legali nei confronti di assicurati residenti all'estero (cfr Circolare Inail 13 maggio 2013, n. 25) l'accordo prevede che per eventuali prestazioni che richiedano esami medici questi vengono effettuati dall'istituzione del luogo di residenza e/o dimora su richiesta e a spese dell'istituzione competente dell'altro Stato.
Nel caso in cui l'esame medico venga effettuato anche nell'interesse dell'istituzione del luogo di residenza o dimora della persona interessata, questa istituzione ne sostiene le spese e provvede a trasmettere l’esame medico all'istituzione dell'altra Parte.
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Piano nuove competenze 2024: linee guida per la formazione
E' stato pubblicato il 6 aprile 2024 sul sito del ministero del lavoro il decreto interministeriale Lavoro- Economia che approva il nuovo Piano Nuove Competenze – Transizione, ( PNC-Transizione), allegato A,, in aggiornamento e integrazione del Piano Nuove Competenze del Decreto Ministeriale 14 dicembre 2021 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Si tratta del documento programmatico del Governo in tema di formazione finanziata per il lavoro da realizzare in sinergia con agenzie per il lavoro regioni e provincie autonomi .
La novità principale rispetto al Piano precedente, in attuazione di quanto previsto dal decreto 48 2023, per raggiungere entro dicembre 2025 gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è il maggiore coinvolgimenti degli attori privati . Vediamo maggiori dettagli di seguito.
Le novità del Piano nuove competenze 2024
A seguito delle novità ordinamentali introdotte dal Decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 convertito Legge 3 luglio 2023 n. 85, e anche delle prime evidenze sull’andamento del programma PNRR emerse dal monitoraggio dicembre 2023 e gli esiti dei gruppi di lavoro con le amministrazioni regionali , con il parere positivo della Conferenza Stato – Regioni , si è reso necessario aggiornare il Piano Nuove Competenza, in coerenza con la necessità di perseguire e raggiungere, entro dicembre 2025, gli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza.
Il documento pubblicato descrive il piano in risposta alle necessità emerse dalla Commissione Europea nell'ambito del capitolo RepowerEU.
Questo piano si propone in particolare di affrontare il fenomeno dello skills mismatch, ovvero la discrepanza tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle possedute dai lavoratori, con un focus particolare verso i settori chiave della crescita intelligente e sostenibile, inclusi quelli relativi alla transizione ecologica.
I principali aspetti del piano includono:
- Maggiore Coinvolgimento del Settore Privato: Si punta a un coinvolgimento più marcato del settore privato nella programmazione e realizzazione dell'offerta formativa. Questo aspetto si estende dalla promozione dei Patti per le competenze alla realizzazione di percorsi di specializzazione tecnologica post diploma, collegati strettamente con le politiche industriali.
- Promozione della Formazione Continua: Importanza viene data alla valorizzazione della formazione sul lavoro e all'evoluzione dei sistemi di riconoscimento delle competenze, garantendo così la loro effettiva utilità e spendibilità. Implementazione di Sistemi di Analisi Ex Ante: Si mira all'introduzione di sistemi analitici avanzati per il mercato del lavoro, per anticipare i fabbisogni di competenze e contribuire a ridurre lo skills mismatch.
- Monitoraggio degli Effetti Occupazionali: Particolare attenzione verrà data al monitoraggio degli effetti che la formazione finanziata ha sull'occupazione, specialmente per quanto riguarda la formazione continua gestita dai Fondi paritetici interprofessionali. Il piano si propone, dunque, di rafforzare il legame tra formazione, mercato del lavoro e politiche industriali, promuovendo una crescita sostenibile e inclusiva, attenta alle transizioni ecologiche e digitali in atto. L'obiettivo finale è quello di migliorare l'occupabilità dei lavoratori attraverso un allineamento più stretto tra le loro competenze e i fabbisogni del mercato, rendendo l'economia italiana più competitiva e resiliente.
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Cigs per cessazione unità solo comunicando i criteri di scelta
Nel caso di cessazione di attività di una delle sue sedi, l'azienda che fa ricorso alla CIGS a zero ore, deve includere nell'informativa ai sindacati tutte le informazioni necessarie a giustificare i criteri di scelta dei lavoratori e l'eventuale mancato ricorso a rotazione con altre sedi.
È quanto conferma la Cassazione nell'Ordinanza n. 7642 del 21 marzo 2024, nella quale ha precisato che, nel caso di specie, il datore avrebbe dovuto indicare che l'unità interessata dalla CIGS era del tutto autonoma sotto il profilo organizzativo ed economico, e che le attività svolte erano cessate e non trasferite ad altri siti, nonché il fatto che le professionalità dei dipendenti del sito interessato dalla CIGS erano utilizzabili solo in tale unità.
Vediamo alcuni dettagli nel caso specifico.
CIGS per chiusura unità produttiva: il caso
La Corte d'Appello di Roma aveva accolto il ricorso presentato da alcune lavoratrici poste in cassa integrazione dall'azienda per chiurura del sito produttivo e, cambiando la decisione precedente del Tribunale, ha stabilito che l'utilizzo della CIGS era illegittimo. Ha quindi ordinato alla società di pagare alle lavoratrici la differenza tra quello che avrebbero guadagnato lavorando normalmente e quello che hanno ricevuto come integrazione straordinaria con gli interessi aggiornati secondo l'inflazione misurata dall'ISTAT.
La Corte ha evidenziato che la società avrebbe dovuto informare dettagliatamente le organizzazioni sindacali sulla sua decisione, inclusi i criteri usati per decidere chi mettere in CIGS. In fatti la comunicazione della società del 28 agosto 2012 non spiegava adeguatamente perché non avesse considerato la possibilità di far ruotare i lavoratori tra diversi siti, né chiariva se le mansioni dei lavoratori potessero essere considerate intercambiabili con quelle di altri siti produttivi
Dopo questa decisione, la società ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che, invece, aveva fornito tutte le informazioni necessarie nella sua comunicazione sulla cassa integrazione, indicando i criteri per l'individuazione dei lavoratori da sospendere.
CIGS per chiusura unità produttiva: obbligo di motivazione
Nella decisione della Corte di Cassazione , si pone enfasi sul dovere dell'azienda di fornire una comunicazione completa ed esaustiva in merito ai criteri di scelta per l'individuazione dei lavoratori da sospendere e sulle ragioni per cui non si è proceduto alla rotazione. Questo obbligo informativo assume particolare rilevanza in contesti di cessazione dell'attività di un'unità produttiva, dove si presume una maggiore complessità nella ricollocazione dei lavoratori.
Il cuore della questione è che, anche in caso di chiusura di un sito produttivo, le aziende devono dimostrare concretamente perché i lavoratori non possano essere impiegati in altre unità produttive o perché la rotazione non sia una soluzione praticabile. Ciò implica una valutazione dettagliata della fungibilità delle mansioni svolte dai lavoratori del sito in chiusura rispetto a quelli degli altri siti, al fine di determinare se effettivamente non esistano possibilità di impiego alternativo.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la comunicazione dell'azienda non avesse fornito una spiegazione adeguata su questi punti. In altre parole, la mancata dimostrazione della non-fungibilità delle mansioni e della reale impossibilità di utilizzare i criteri di rotazione ha contribuito alla valutazione di illegittimità della collocazione in CIGS dei lavoratori interessati dalla chiusura dell'unità produttiva.
Questa decisione sottolinea l'importanza per le aziende di valutare attentamente e di documentare adeguatamente le ragioni delle proprie scelte in situazioni di crisi aziendale, soprattutto quando queste scelte hanno un impatto significativo sui lavoratori. La mancanza di una prova convincente e dettagliata che giustifichi la mancata rotazione o la non-impiegabilità dei lavoratori in altre unità produttive può portare alla valutazione di pratiche non conformi alle disposizioni legislative, con le relative conseguenze legali e risarcitorie.
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Riconoscimento facciale dipendenti: no del Garante Privacy
Il Garante per la privacy ricorda che il Regolamento per la protezione dei dati personali non consente l'utilizzo del riconoscimento facciale per controllare le presenze sul posto di lavoro in quanto viola la privacy dei dipendenti.
A questo proposito infatti è stato reso noto che sono stati emanati 5 provvedimenti sanzionatori contro altrettante aziende di igiene ambientale riunite in associazione temporanea impegnate in siti di smaltimento rifiuti, per trattamento illecito dei dati biometrici dei lavoratori . (Provvedimenti n. 9995680, 9995701, 9995741, 9995762, 9995785)
Vediamo di seguito i dettagli sul provvedimento più severo emanato nei confronti della capogruppo con sanzione di 70mila euro per diverse violazioni al Regolamento.
Videsorveglianza con riconoscimento biometrico: il caso piu grave
Il Garante privacy era intervenuto a seguito dei reclami di numerosi dipendenti di aziende attive nel settore dei servizi ambientali che segnalavano l'obbligo per l'accesso al sito di lavoro, di utilizzare un rilevatore biometrico, basato sul riconoscimento facciale.
A seguito di sopralluoghi e indagini del Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza è stato accertato che per l'attività di un gruppo di imprese in associazione temporanea operanti in vari siti di smaltimento rifiuti la società capogruppo aveva fatto installare apparecchi biometrici di rilevamento presenze ,operanti per più di un anno.
Con memorie difensive la Società aveva dichiarato che il fenomeno dell’assenteismo, segnatamente accompagnato da timbrature fraudolente aveva dato origine a pesanti contenziosi in ambito lavoristico […] che hanno avuto esiti negativi proprio perché la società era impossibilitata a verificare con certezza l’effettivo orario di lavoro prestato in quanto venivano utilizzati fogli presenze cartacei.”;
Inoltre “la società, sulla base della dichiarazione e certificazione di conformità dell’apparato biometrico fornita dal produttore in cui veniva dichiarato che il dispositivo era pienamente conforme al GDPR, riteneva di potere utilizzare lo stesso ai sensi dell’art. 9 c.2, par. b. del Regolamento” in 9 siti operativi collegati con il numero di 13 apparecchi utilizzati per il controllo di un totale di 218 dipendenti
La guardia di finanza segnalava in particolare che :
- “gli apparati sono installati al fine di effettuare la rilevazione delle presenze tramite confronto uno a molti dell’impronta biometrica del volto dei dipendenti . La società fornitrice ha fornito il manuale di utilizzo e un tecnico effettuava la formazione sull’utilizzo del dispositivo al capocantiere”
- “i dati biometrici degli interessati risiedono esclusivamente nel dispositivo e non sono accessibili da remoto, né in locale, se non per la cancellazione, che può essere effettuata solo direttamente sul dispositivo” .
- Veniva anche verbalizzato che “probabilmente su molti dispositivi installati è stata mantenuta la password di default, presente sul dispositivo della sede principale"
- “il dispositivo è dotato di uno speciale algoritmo per criptare i dati biometrici in modo non reversibile” (verbale cit., p. 4);
- i template biometrici cifrati, acquisti in fase di registrazione dei lavoratori , risultavano associati ai suddetti codici numerici, senza alcuna memorizzazione nel dispositivo del nome e cognome degli interessati”.
Dati biometrici : normativa e parere del Garante
Nella propria analisi l'autorità osserva primariamente che il trattamento di dati biometrici (di regola vietato ai sensi dell’art. 9, par. 1 del Regolamento) è consentito esclusivamente qualora ricorra una delle condizioni indicate dall’art. 9, par. 2 del Regolamento e, con riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando il trattamento sia “necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento … in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato”
Viene riconosciuto che le finalità di rilevazione delle presenze dei dipendenti e di verifica dell’osservanza dell’orario di lavoro possano rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 9, par. 2, lett. b) del Regolamento, tuttavia il trattamento dei dati biometrici è consentito solo “nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri […]
Allo stato, l’ordinamento vigente non consente il trattamento di dati biometrici dei dipendenti per finalità di rilevazione della presenza in servizio. In particolare ricorda che il decreto legge 10/5/2023, n. 51, con l’art. 8-ter ha prorogato al 31 dicembre 2025 la sospensione dell’installazione e utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale “in luoghi pubblici o aperti al pubblico, da parte delle autorità pubbliche o di soggetti privati”, ciò al fine di “disciplinare conformemente i requisiti di ammissibilità, le condizioni e le garanzie relativi all'impiego di tali sistemi" come già ribadito dal Garante con i provvedimenti n. 369 2022 (doc. web n. 9832838) e n. 16 2021 (doc. web n. 9542071).
L’utilizzo del dato biometrico nel contesto dell’ordinaria gestione del rapporto di lavoro non è dunque conforme ai principi di minimizzazione e proporzionalità del trattamento.
II Garante precisa che per gli stessi fini sul luogo di lavoro avrebbero potuto essere adottate misure utili allo scopo ma meno invasive per i diritti degli interessati (es. controlli automatici mediante badge, verifiche dirette, etc.).
In secondo luogo il Garante ricorda che il datore di lavoro, inoltre, è tenuto ad applicare i principi generali del trattamento, in particolare quelli di liceità, correttezza e trasparenza, minimizzazione, integrità e riservatezza dei dati .
La società ha operato invece senza rispettare il principio di trasparenza, che prevede l’obbligo di indicare ai propri dipendenti quali siano le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati effettuati nonché degli strumenti attraverso i quali sono effettuati.
Ancora, è stato violato l'obbligo di indicare il responsabile del trattamento dei dati personali , che era affidato alla società fornitrice dei dispositivi
Infine, la circostanza che il produttore e il fornitore dei dispositivi di riconoscimento facciale avessero prodotto una “dichiarazione e certificazione di conformità non può far venir meno la responsabilità della Società, considerato che il titolare del trattamento, alla luce di quanto stabilito dall’art. 5, par. 2, del Regolamento, in base al c.d. principio di responsabilizzazione, “è competente per il rispetto [dei principi generali del trattamento] e in grado di comprovarlo”.
Controllo biometrico lavoratori: le conclusioni del Garante privacy
In conseguenza di queste risultanze la società capogruppo è stata sanzionata con ammenda di 70mila euro considerando, a sfavore della Società,
- la natura della violazione che ha riguardato i principi generali e le condizioni di liceità del trattamento e il trattamento di dati particolari,
- la durata della violazione che si è protratta per più di un anno e il numero significativo degli interessati coinvolti;
- con riferimento al carattere doloso o colposo della violazione e al grado di responsabilità del titolare, è stata presa in considerazione la condotta della Società e il grado di responsabilità della stessa che non si è conformata alla disciplina in materia di protezione dei dati relativamente a una pluralità di disposizioni;
Invece, a favore della Società, si è tenuto conto della cooperazione con l’Autorità di controllo e della decisione di sospendere le attività di trattamento dopo l’inizio delle attività ispettive.