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Infortunio e perdita del lavoro: possibile riduzione del risarcimento
Con l’ordinanza n. 16604 del 20 giugno 2025, la Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, si è espressa su un caso riguardante la liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa a seguito di un infortunio.
La questione riguardava una persona che, dopo aver perso il lavoro a causa dell’incidente, non si era attivata per cercare una nuova occupazione confacente al proprio stato di salute residuo. Il danneggiato chiedeva il risarcimento integrale del danno da perdita di guadagno, sostenendo che l’infortunio aveva compromesso la propria capacità lavorativa.
La compagnia assicurativa convenuta aveva però eccepito che il danneggiato, pur potendo svolgere attività lavorative compatibili con le proprie condizioni fisiche, non si era adoperato per cercare nuove opportunità lavorative. Tale comportamento, secondo la difesa, avrebbe dovuto essere considerato alla luce dell’art. 1227, secondo comma, del codice civile, che impone al danneggiato di limitare le conseguenze pregiudizievoli del fatto lesivo.
Implicazioni pratiche della decisione
La Suprema Corte ha accolto il principio sostenuto dalla compagnia assicurativa, chiarendo che la condotta del danneggiato che non si adoperi per cercare un nuovo impiego, pur potendo svolgere attività compatibili con il proprio stato di salute, può rappresentare una forma di aggravamento del danno.
Tale comportamento, se accertato in concreto, legittima quindi una riduzione del risarcimento, secondo quanto previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c.
Tale norma stabilisce che “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
Si tratta, quindi, di una regola che limita il diritto al risarcimento nella misura in cui il danneggiato contribuisce con il proprio comportamento omissivo o negligente all’ampliamento delle conseguenze dannose.
Nel caso in esame, la Cassazione ha ribadito che la valutazione in ordine alla mancata ricerca di un’occupazione alternativa deve essere effettuata dal giudice del merito, che dovrà verificare la sussistenza di tutte le condizioni sostanziali e processuali previste dalla norma. In particolare, è necessario accertare:
- che il danneggiato abbia la possibilità concreta di reperire un impiego compatibile con la nuova condizione fisica;
- che il contesto sociale e lavorativo offra effettive opportunità in tal senso;
- che vi sia stato un comportamento colposo o negligente nella mancata attivazione lavorativa.
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Dipendente pubblico con Partita IVA per attività agricola: ok dal Consiglio di Stato
Nella sentenza del Consiglio di stato del N. 05854/2025 su ricorso N. 03715/2023 è stato precisato che non esiste alcuna normativa che vieti ai dipendenti pubblici l’esercizio dell’attività agricola non professionale e non ha rilievo in merito il divieto di munirsi di partita IVA previsto da una circolare interna del Corpo della Guardia di finanza, non trattandosi di una fonte normativa. Il caso oggetto di analisi riguardava infatti un maresciallo dell Guardia di Finanza sanzionato a seguito della scoperta di una Partita IVA aperta dal militare per l’attività di coltivazione di ulivi. Vediamo di seguito piu in dettaglio la vicenda e le indicazioni del Supremo tribunale amministrativo.
Attività agricola con Partita IVA e Guardia di finanza: il caso
La vicenda trae origine dalla sanzione disciplinare di quattro giorni di consegna inflitta a un maresciallo capo della Guardia di Finanza, per l’attività agricola connessa alla titolarità della Partita IVA, non previamente comunicata, che secondo il Comando risultava incompatibile con il servizio, in forza di quanto previsto dalla circolare interna n. 200000/109/4 del 20 giugno 2005, che vieta le attività extraprofessionali — incluse quelle agricole — da parte del personale del Corpo.
Il militare, da parte sua, ha sostenuto che la Partita IVA, aperta nel 2008 e chiusa nel 2017, non era legata a un’attività economica in senso commerciale, ma esclusivamente alla cura di due terreni di proprietà familiare, destinati alla produzione di olio d’oliva per consumo domestico. Inoltre, ha precisato di aver comunicato l’esistenza della Partita IVA al comando già nel 2015.
Nonostante le sue osservazioni, l’Amministrazione ha confermato la sanzione, rigettando anche il ricorso gerarchico.
Il militare ha quindi presentato ricorso al TAR del Lazio, che con sentenza favorevole ha annullato il provvedimento sanzionatorio e condannato le amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di lite. Contro tale decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando generale della Guardia di Finanza hanno presentato appello al Consiglio di Stato, articolando un motivo basato sulla violazione degli articoli 748 e 894 del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010), dell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 e della suddetta circolare interna.
Tuttavia, l’appello è stato dichiarato irricevibile per tardività, poiché la prima notifica via PEC effettuata dagli appellanti non è andata a buon fine per errore nell’indirizzo e la rinotifica è avvenuta oltre il termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 92 del Codice del processo amministrativo. Il Consiglio di Stato ha anche rigettato l’istanza di rimessione in termini per errore scusabile, rilevando che il corretto indirizzo PEC era comunque noto agli appellanti e disponibile nei pubblici registri.
La legittimità dell’attività agricola con Partita IVA
Al di là del vizio procedurale, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato anche il merito dell’appello, osservando che l’attività agricola occasionale e non professionale esercitata su fondi di proprietà non è vietata ai dipendenti pubblici.
Tale attività, infatti, non è assimilabile all’esercizio di industria o commercio vietato dall’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001.
La sentenza sottolinea che una circolare interna, priva di rango normativo, non può introdurre divieti non previsti dalla legge, e che l’apertura di una Partita IVA, se finalizzata esclusivamente alla gestione del fondo rustico in modo non imprenditoriale, è pienamente legittima.
Il Consiglio di Stato ha inoltre ribadito che l’attività agricola, anche se assistita da Partita IVA, può rientrare tra le prerogative del diritto di proprietà costituzionalmente garantite (art. 42 Cost.) e tutelate anche dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un’interpretazione più restrittiva, secondo i giudici, comporterebbe un’irragionevole compressione del diritto di godimento del bene.
La sentenza si conclude con la condanna del Ministero e del Comando generale al pagamento delle spese processuali in favore del militare, per un totale di 4.000 euro oltre accessori di legge.
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Congedo per la mamma intenzionale dal 24 luglio; le istruzioni INPS
Con la sentenza n. 115 del 2025, depositata il 21 luglio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 27-bis del D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui esclude dal congedo di paternità obbligatorio le lavoratrici che, in una coppia di due donne, siano riconosciute come genitori nei registri dello stato civile.
Come chiarito dall’INPS nel Messaggio n. 2450/2025, dal 24 luglio 2025 le lavoratrici dipendenti che, in una coppia omogenitoriale femminile, risultano “madre intenzionale” nei registri di stato civile o in virtù di un provvedimento di adozione/affidamento, possono fruire del congedo obbligatorio di 10 giorni lavorativi (20 in caso di parto plurimo), retribuito al 100% e coperto da contribuzione figurativa.
Congedo alla madre “intenzionale”: il ragionamento della Consulta
A sollevare la questione dell'equiparazione per le coppie omosessuali era stata la Corte d’appello di Brescia nel corso di una causa intentata da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ Aps, che denunciava una discriminazione da parte dell’INPS. Il problema nasceva dalla procedura informatica dell’ente previdenziale che, nella domanda di congedo, accettava esclusivamente l’indicazione del “padre”, escludendo la “seconda madre” legalmente riconosciuta.La Corte ha fondato il proprio giudizio sull’art. 3 della Costituzione, che vieta disparità di trattamento in assenza di ragioni oggettive
. È stata infatti ritenuta irragionevole la differenziazione tra il padre lavoratore di una coppia eterosessuale e la madre intenzionale di una coppia omogenitoriale femminile, quando entrambe le figure sono legalmente riconosciute e partecipano alla cura del figlio.
La sentenza richiama anche la precedente pronuncia n. 68/2025, ribadendo che il vincolo genitoriale nasce dall’assunzione condivisa di responsabilità.
Il diritto del minore a ricevere cura e attenzione da entrambe le figure genitoriali – siano esse biologiche o intenzionali – prevale su qualsiasi considerazione legata all’orientamento sessuale, come già sancito anche dalla sentenza n. 33/2021.
Di conseguenza, il beneficio del congedo – dieci giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100% – deve estendersi anche alla madre intenzionale, in linea con l’interesse superiore del minore.
Impatti e prospettive della decisione
Si ricorda che la disposizione sul congedo obbligatorio di 10 giorni era stata introdotta con il D.lgs. 30 giugno 2022, n. 105, attuativo della direttiva (UE) 2019/1158 sull’equilibrio tra vita professionale e familiare.
La decisione della Corte rappresenta un passo significativo verso la piena equiparazione dei diritti delle famiglie omogenitoriali rispetto a quelle tradizionali.
Oltre a sanare un vulnus normativo, la pronuncia valorizza il principio di funzionalità della genitorialità: ciò che rileva, sottolinea la Consulta, è il contributo attivo e consapevole alla cura del minore, e non il genere del genitore.
Da evidenziare che tale concetto potrebbe essere esteso anche alle coppie maschili che abbiano ottenuto il riconoscimento del rapporto genitoriale tramite adozione in casi particolari (stepchild adoption).
Congedo obbligatorio di paternità alla seconda mamma: come fare
Per fruire del congedo obbligatorio la lavoratrice deve comunicare al datore di lavoro l’intenzione di fruire del congedo, rispettando i tempi e le modalità già previste per il congedo di paternità obbligatorio. Il datore di lavoro provvede ad anticipare l’indennità per conto dell’INPS, per poi conguagliarla nei flussi contributivi.
La domanda telematica diretta all’INPS è necessaria solo nei casi in cui non sia previsto l’anticipo da parte del datore di lavoro (es. lavoratrici domestiche o assimilate). In tal caso, la domanda va presentata attraverso i consueti canali:
- tramite portale INPS con SPID/CIE/CNS, oppure
- Contact Center, o
- tramite patronato.
Le lavoratrici della Pubblica Amministrazione devono rivolgersi esclusivamente al proprio ente datore di lavoro, poiché l’INPS non gestisce né l’istruttoria né l’erogazione dell’indennità per il personale pubblico.
Il messaggio ricorda che oltre alla registrazione come genitore intenzionale o a un provvedimento giudiziale, il congedo deve essere fruito entro i termini previsti dall’art. 27-bis del D.Lgs. 151/2001 (solitamente entro 5 mesi dalla nascita, adozione o affidamento).
In sintesi
Destinataria Canale di richiesta Soggetto che eroga l’indennità Scadenze e termini Lavoratrice dipendente del settore privato
(datore di lavoro con anticipo indennità)Comunicazione scritta al datore di lavoro secondo modalità aziendali Datore di lavoro (con conguaglio INPS) Entro i termini dell’art. 27-bis D.Lgs. 151/2001
(di norma entro 5 mesi da nascita/adozione/affidamento)Lavoratrice dipendente senza anticipo indennità
(es. lavoro domestico)Domanda telematica diretta all’INPS via portale con SPID/CIE/CNS, Contact Center o patronato INPS Entro i termini dell’art. 27-bis D.Lgs. 151/2001 Lavoratrice dipendente di Pubblica Amministrazione Comunicazione diretta all’ufficio del personale dell’ente Ente datore di lavoro Entro i termini dell’art. 27-bis D.Lgs. 151/2001 -
Semplificazioni: requisito di reddito sospeso per gli IAP
Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2025 introduce importanti novità per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), con l’obiettivo di sostenere l’avvio e lo sviluppo delle imprese agricole. Una delle modifiche più rilevanti riguarda i requisiti necessari per ottenere tale qualifica nei primi cinque anni dall’avvio dell’attività.
In particolare, il nuovo testo normativo ( ancora in corso di esame) prevede che, durante questo quinquennio iniziale, non sarà richiesto il rispetto del requisito reddituale precedentemente stabilito dal Decreto Legislativo n. 99 del 2004. Tale previsione rappresenta un’importante misura di semplificazione, volta a favorire i giovani agricoltori e coloro che intendono avviare una nuova attività agricola, permettendo loro di accedere alla qualifica IAP anche in assenza di redditi agricoli consolidati.
I requisiti richiesti nel periodo agevolato
Ai sensi del nuovo comma 1-bis che si intende inserire nell’articolo 1 del D.Lgs. 99/2004, per i primi cinque anni decorrenti dalla presentazione dell’istanza di riconoscimento della qualifica di IAP non sarebbe piu necessario dimostrare che almeno il 50% del reddito complessivo derivi da attività agricole.
Questo requisito, previsto attualmente dal comma 1 dello stesso articolo (e ridotto al 25% per gli imprenditori operanti in zone svantaggiate), tornerebbe ad applicarsi solo a partire dal sesto anno.
Restano invece fermi, fin dall’inizio, gli altri due requisiti fondamentali:
- il possesso di adeguate conoscenze e competenze professionali in campo agricolo e
- la destinazione di almeno il 50% del tempo di lavoro complessivo (o 25% in zona svantaggiata) alle attività agricole di cui all’art. 2135 del Codice Civile.
In questo modo, si garantisce comunque un effettivo impegno professionale nel settore, pur alleggerendo il carico degli adempimenti iniziali.
Implicazioni fiscali e opportunità per le imprese agricole
Il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale, anche in regime agevolato, conserva la sua rilevanza fiscale e contributiva. Infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del DLgs. 99/2004, le persone fisiche in possesso della qualifica IAP e iscritte alla relativa gestione previdenziale possono accedere a numerose agevolazioni, tra cui benefici fiscali sull’imposizione indiretta, facilitazioni nell’accesso al credito, riduzioni sull’IMU e regimi più favorevoli per la tassazione dei redditi fondiari.
Con questa modifica normativa, si intende quindi incentivare l’avvio di nuove imprese agricole, rafforzare il ricambio generazionale nel settore e valorizzare il ruolo dell’agricoltura professionale nel contesto economico nazionale.
La novità si aggiunge ad altre misure di incentivo all'agricoltura come il Bonus per la formazione giovani agricoltori a quelle recentemente previste dal nuovo DDL Agricoltura 2025
Se confermata con l'approvazione definitiva della legge, sarà un’opportunità concreta, da valutare attentamente nella pianificazione delle attività da parte di imprenditori e consulenti.
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Mancata verifica su richieste di informazioni assicurative: multa del Garante
Con provvedimento n. 389 del 10 luglio 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha accertato una grave violazione della normativa in materia di privacy da parte di una compagnia assicurativa, sanzionata con 80.000 euro.
Il caso ha origine da un reclamo presentato ai sensi dell’art. 77 del Regolamento (UE) 2016/679, che ha evidenziato la comunicazione non autorizzata di informazioni personali relative a tre polizze vita a un indirizzo email estraneo alla titolare.
Secondo quanto ricostruito, la compagnia aveva ricevuto diverse richieste contenenti informazioni dettagliate sulle polizze, corredate da firma autografa e altri dati identificativi. In buona fede, ritenendo legittime le richieste, l’azienda ha fornito riscontro a tali comunicazioni tra il 2021 e il 2023, senza verificare con certezza l’identità del mittente. Solo nel settembre 2024, a seguito della segnalazione della reale intestataria, è emerso che le comunicazioni erano state inviate da un soggetto terzo che si era finto lei, utilizzando un indirizzo email tedesco mai registrato dalla cliente, in un caso di "phishing" contro il quale la compagnia non aveva messo in atto le dovute precauzioni.
L’istruttoria del Garante e le responsabilità accertate
La compagnia ha riferito di aver agito con diligenza e in buona fede, spiegando che le richieste apparivano verosimili per la presenza di dettagli specifici, come importi e date dei versamenti, e la firma autografa dell’intestataria. Tuttavia, il Garante ha sottolineato che la cliente non aveva mai fornito un indirizzo email per ricevere comunicazioni ufficiali e che pertanto l’azienda avrebbe dovuto adottare misure più rigorose per verificare l’identità del richiedente.
Nel corso dell’istruttoria è emerso che, pur essendo a conoscenza del disconoscimento dell’indirizzo email già da settembre 2024, la compagnia ha notificato la violazione all’Autorità solo a gennaio 2025, superando il termine di 72 ore previsto dall’art. 33 del Regolamento (UE) 2016/679. Secondo le Linee guida 9/2022 del Comitato europeo per la protezione dei dati, il titolare del trattamento è considerato “a conoscenza” della violazione non appena ha ragionevole certezza che si sia verificato un incidente di sicurezza.
Il Garante ha evidenziato come la mancanza di verifica preventiva e il ritardo nella notifica abbiano costituito violazioni dei principi di liceità, correttezza e sicurezza dei dati (art. 5, par. 1, lett. a) e f), e art. 33, par. 1 del Regolamento), dichiarando illecito il trattamento dei dati personali da parte della compagnia
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La sanzione e le misure correttive adottate
Alla luce della natura colposa della violazione e del fatto che questa ha interessato dati personali riferiti a polizze vita, il Garante ha disposto una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 80.000 euro. Nella determinazione dell’importo sono state considerate anche le misure correttive adottate dalla compagnia, tra cui:
- sospensione immediata delle comunicazioni all’indirizzo email disconosciuto;
- avvio di una revisione delle procedure aziendali per rafforzare i controlli sull’identità dei richiedenti;
- collaborazione con l’Autorità durante il procedimento;
- assenza di precedenti specifici.
Inoltre, la società ha presentato denuncia contro ignoti e ha previsto che, in futuro, le richieste relative ai rapporti contrattuali potranno essere evase solo in presenza di specifiche condizioni, come l’uso di recapiti certificati o l’allegazione di un documento di identità.
Il Garante ha disposto la pubblicazione dell’ordinanza di ingiunzione sul proprio sito istituzionale, come previsto dall’art. 166 del Codice in materia di protezione dei dati personali, per garantire la massima trasparenza e informare cittadini e operatori sulle conseguenze delle violazioni in materia di trattamento dei dati personali.
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Disoccupazione agricola: non si perde con la riclassificazione dell’impresa
Con il messaggio 2425 del 1° agosto 2025 INPS fornisce indicazioni per la gestione delle domande di disoccupazione risultate indebite a seguito dei provvedimenti, adottati d’ufficio dall’Istituto, di riclassificazione dell’attività economica svolta dall’impresa con conseguente cambio di iscrizione dei lavoratori dalla gestione contributiva agricola a un’altra gestione (tipicamente, e viceversa.
Il caso tipico è quello della modifica dalla gestione agricola alla gestione aziende dipendenti non agricoli.
L'istituto informa innanzitutto che, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, si è stabilito di non fare ricadere gli effetti della riclassificazione, per quanto riguarda le prestazioni di disoccupazione, sui lavoratori. Di seguito le istruzioni per le diverse situazioni.
Chiarimenti e adempimenti nei diversi casi di riclassificazione
Il messaggio precisa dunque che, posto che i lavoratori non sono responsabili degli errori del datore di lavoro e che la retroattività della riclassificazione ( potrebbe danneggiarli, privandoli della tutela prevista in caso di disoccupazione dalla Costituzione (art. 38)
- In caso di riclassificazione da agricolo a non agricolo, se i lavoratori non hanno potuto fare domanda NASpI nei tempi previsti, non devono restituire l’indennità agricola che avevano già ricevuto.
- In caso di riclassificazione da non agricolo ad agricolo:
- se i termini per presentare la domanda di disoccupazione agricola sono già scaduti, i lavoratori mantengono il diritto alla NASpI ricevuta. L’INPS non chiederà la restituzione delle somme.
- se i termini per fare domanda non sono scaduti, il lavoratore può presentare una nuova domanda per il settore corretto (NASpI o disoccupazione agricola).
Inoltre, se ha già ricevuto un’indennità per il settore sbagliato, è possibile la compensazione: la nuova prestazione verrà ridotta dell’importo già ricevuto.
Ricorsi e contestazioni: Per le situazioni in cui i lavoratori avevano ricevuto una richiesta di restituzione (indebito) e avevano fatto ricorso, l’INPS potrà chiudere il caso in autotutela, applicando le regole sopracitate
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Malattia durante le ferie: quando si possono sospendere
Si possono interrompere le ferie per l'insorgere di una malattia e come fare?
La situazione non è regolata da norme di legge, ma occorre basarsi sulle pronunce della giurisprudenza e sui contratti collettivi di lavoro.
Va ricordata in primo luogo il principio costituzione sulla fruizione delle ferie del dipendente che afferma che le ferie annuali retribuite sono un diritto costituzionale al quale non si puo rinunciare perché finalizzato al recupero delle energie psicofisiche e alla partecipazione alla vita familiare e sociale (art. 36 comma 3 della Costituzione disciplinato dall’art. 2109 del codice civile e dall’art. 10 del DLgs. 66/2003).
In generale si può affermare che se un lavoratore si ammala durante le ferie, è possibile interrompere il periodo di riposo solo se la malattia compromette significativamente la sua capacità di recuperare le energie psicofisiche.
La malattia deve essere certificata e comunicata al datore di lavoro, il quale può richiedere verifiche.
Un caso particolare affrontato dalla Cassazione riguarda l'interruzione delle ferie per malattia di un figlio.
Vediamo più in dettaglio.
Ferie e malattia: le sentenze e i CCNL sul tema
Come detto non esiste una normativa specifica che regoli cosa succede se ci si ammala durante le ferie. Questa lacuna è stata colmata da diverse sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
Interventi della Corte Costituzionale:
La Sentenza n. 616/1987 ha dichiarato incostituzionale l'art. 2109 c.c. nella parte in cui non prevedeva la sospensione delle ferie in caso di malattia. Ciò significa che le ferie possono essere sospese.
La Sentenza n. 297/1990 ha poi chiarito che la sospensione delle ferie a causa di malattia non è automatica, ma dipende dalla specificità della malattia e delle cure necessarie.
Pronunce della Corte di Cassazione:
La Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 1947/1998 ha stabilito che la sospensione delle ferie per malattia deve essere valutata caso per caso, in base all'impatto della malattia sulla capacità di recupero delle energie psicofisiche del lavoratore.
Contrattazione Collettiva:
Alcuni contratti collettivi, ad esempio il contratto metalmeccanici industria, prevedono condizioni specifiche per la sospensione delle ferie, come il ricovero ospedaliero o una durata minima della malattia.
Conversione delle ferie in malattia: indicazioni INPS e gli obblighi del lavoratore
Nella circolare n. 109/1999 INPS ha affermato che le ferie possono essere interrotte solo se la malattia comporta un danno biologico significativo, compromettendo la vita personale e relazionale del lavoratore.
Esempi di malattie che interrompono le ferie sono :
- elevati stati febbrili,
- ricoveri ospedalieri,
- ingessature di grandi articolazioni,
- malattie gravi.
Si tratta dunque di stati morbosi da far certificare dal medico curante che indica i giorni di prognosi prevista e fornisce la certificazione.
Malattie che non interrompono le ferie: cefalea, stress psicofisico o altre patologie che non impediscono il recupero delle energie psicofisiche
In caso di malattia grave quindi le ferie si interrompono automaticamente quando il datore di lavoro riceve la certificazione medica
Il lavoratore deve di conseguenza rispettare le fasce di reperibilità e comunicare il recapito eventualmente diverso dalla residenza se si trova in località di vacanza anche all'estero.
Ferie e malattia del figlio
Le ferie del dipendente possono essere interrotte anche nel caso di ricovero ospedaliero del figlio fino a 8 anni, a norma dell’art. 47 comma 4 del D.Lgs.151/2001.