• Pensioni

    Pensione marittimi: obbligo neutralizzazione dei periodi sfavorevoli

    Inps ha fornito con la circolare 66 del 20 luglio 2023  le istruzioni  sulle  nuove modalità di calcolo delle pensioni dei lavoratori marittimi a seguito della sentenza della corte costituzionale  224 2022, in particolare sulla neutralizzazione dei periodi di prolungamento  che abbiano effetti negativi sugli importi (articolo 24 della legge 26 luglio 1984, n. 413).

    Contributi marittimi e  impoverimento pensione: la decisione della Consulta

    La Consulta confermando una decisione precedente  ha dichiarato  l'illegittima costituzionale degli artt. 24 e 25 della legge n. 413 del 1984,  in contrasto con l’art. 3 Cost.  in quanto " benché siano volte a colmare uno svantaggio (come la difficoltà di conseguire il minimo contributivo per l’accesso al trattamento pensionistico), si traducono in un danno e producono l’effetto di depauperare il trattamento pensionistico a cui l’assicurato avrebbe virtualmente diritto”.

     Si ricorda che la norma  si applica ai lavoratori marittimi che al momento dello sbarco risolvano il rapporto di lavoro, prevede che i singoli periodi di effettiva navigazione mercantile svolti successivamente al 31 dicembre 1979 vengano prolungati in successione temporale, ai fini dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche, di un ulteriore periodo corrispondente ai giorni di sabato, domenica e festivi trascorsi durante l’imbarco e alle giornate di ferie maturate durante l’imbarco stesso. In tali casi, la retribuzione pensionabile relativa a ogni singolo periodo viene ripartita sull’intero periodo comprensivo del prolungamento stesso e, per la determinazione della retribuzione pensionabile, i prolungamenti dei periodi sono neutralizzati solo quando l’assicurato raggiunga il massimo dei servizi utili a pensione.

    Nella sentenza la Corte riafferma che  “la contribuzione aggiuntiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo vale ad incrementare il livello della prestazione pensionistica, ma non può compromettere il livello già maturato (sentenze n. 433 del 1999 e n. 264 del 1994). Pertanto, quando la contribuzione aggiuntiva comporta un depauperamento del trattamento pensionistico, questa deve essere esclusa dal computo della base pensionabile indipendentemente dalla natura dei contributi, siano essi obbligatori, volontari o figurativi”.

    Pensione marittimi:  istruzioni per neutralizzazione periodi sfavorevoli

    Sulla base dei principi affermati dalla Corte costituzionale, l’interessato ha diritto al calcolo del proprio trattamento pensionistico, senza la valutazione dei periodi di prolungamento che si collochino nell’ultimo quinquennio precedente la decorrenza della pensione, solo se  la neutralizzazione determini un importo più favorevole. 

    La sentenza trova applicazione esclusivamente nei casi in cui, nelle ultime 260 settimane antecedenti alla decorrenza della pensione, siano presenti periodi di prolungamento ai sensi dell’articolo 24 della legge n. 413 del 1984 e i requisiti per il diritto a pensione risultino perfezionati indipendentemente da tale prolungamento.

    Le pensioni interessate  sono:

    •  quelle liquidate con il sistema di calcolo retributivo
    •  quelle pensioni liquidate con il sistema di calcolo misto, solo per la quota retributiva 

    ovvero 

    • –    pensioni di vecchiaia aventi decorrenza dal mese successivo al compimento dell’età pensionabile. 
    • –    pensioni di anzianità e pensioni anticipate di cui all’articolo 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, 
    • –    pensioni di reversibilità provenienti da pensione di vecchiaia con decorrenza dal mese successivo a quello di compimento dell’età pensionabile o da pensione di anzianità o anticipata il cui titolare sia deceduto dopo avere compiuto l’età per il pensionamento di vecchiaia.

    L'istituto precisa che  per l'applicazione della neutralizzazione su pensioni  già in essere, occorre presentare esplicita richiesta, sempreché non sia intervenuta una sentenza  con esito negativo per l’assicurato.

    La pensione  rideterminata  sarà posta in pagamento soltanto nel caso in cui questa risulti,di importo più favorevole di quello calcolato con l’intera contribuzione.

    Viene anche comunicato che  in presenza di ricorsi amministrativi in materia non ancora definit gli uffici teritoriali verificheranno  se sussistono i presupposti per il riesame  d'ufficio in autotutela 

  • Rubrica del lavoro

    INAIL rimborso spese sostenute per infortuni in UE

    L’INAIL ha pubblicato con la circolare 32 del 18 luglio 2023 in allegato   l’Accordo  firmato con il Ministero della Salute  in materia di  rimborso delle prestazioni sanitarie relative a infortuni e malattie professionali nei paesi UE o dello Spazio economico europeo e Svizzera .

    Si tratta in particolare dei costi che  rimborsa  Inail  , di competenza del Ministero della Salute, anticipate da Stati aderenti al Regolamento (CE) n. 883/2004 e al Regolamento (CE) n. 987/2009 ,  relativi a prestazioni sanitarie fornite ai lavoratori che hanno subito  da infortunio sul lavoro e malattia professionale nei paesi sopracitati .

    Giova ricordare che nel caso di un assicurato INAIL che si infortuni in uno Stato aderente ai Regolamenti  comunitari ( paesi UE , Islanda, Norvegia e Liechtenstein e Svizzera    e,che abbia diritto alle cure presso il medesimo Stato, l’INAIL quale  istituzione competente deve provvedere ai rimborsi anche per le prestazioni sanitarie di  competenza del Servizio Sanitario Nazionale.

    A questo fine  l’INAIL e il Ministero della Salute convengono  di definire le modalità operative indicate  nell'accordo al fine di  regolare il flusso informativo e finanziario dei rimborsi che devono avvenire entro 180 giorni dalla richiesta. effettuata via PEC.

    Nella circolare l'Istituto di assicurazione contro gli infortuni evidenzia  anche con il nuovo Accordo le modalità di scambio di dati e documentazione

    rimangono invariate fra la Sede e la Direzione centrale rapporto assicurativo, in qualità di organismo di collegamento con le istituzioni estere 

  • Lavoro estero

    Proroga regime impatriati senza iscrizione AIRE: no dal MEF

    Il requisito della iscrizione all'aire non è  più tassativo per l'accesso al  regime fiscale agevolato per gli "impatriati" ma lo è ancora per l'opzione di proroga. L'interpretazione restrittiva è stata ribadita dal ministero dell'Economia in risposta ad una interrogazione presso la Commissione Finanze alla Camera del 19 luglio 2023

    Si ricorda che il regime  fiscale agevolato per i lavoratori impatriati introdotto dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015  è stato modificato e ampliato più volte, da ultimo, ai sensi dell’articolo 1, comma 50 della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio per il 2021).

    La stessa interpretazione  era stata data in un  caso particolare affrontato dall'Agenzia in un interpello. 

    Il disegno di legge sulla delega per la Riforma Fiscale prevede il riordino della materia. Leggi : Riforma Fiscale: novità per la residenza fiscale e stabile organizzazione.

    Vediamo di seguito  ulteriori dettagli  forniti dal Ministero e dall'Agenzia 

    Regime impatriati  e  iscrizione AIRE: Interrogazione Camera 19 luglio 2023

    Gli Interroganti facevano riferimento alla modifica introdotta con il decreto-legge 30 aprile 2019,  n. 34 (cosiddetto « decreto Crescita »), convertito con modificazioni dalla legge 8 giugno 2019, n. 58, che ha previsto che l’iscrizione all’AIRE non rappresenti più un requisito indispensabile per l’accesso all’agevolazione in questione, facendo invece riferimento al diverso presupposto del trasferimento all’estero della residenza fiscale secondo le Convenzioni contro le doppie  imposizioni stipulate dall’Italia con il Paese estero di riferimento .

    Veniva quindi chiesto di  chiarire  l’ambito di applicazione del quadro normativo  con particolare  riferimento al requisito  formale di iscrizione all’AIRE.

    La risposta della sottosegretaria al MEF Albano ricorda che la  norma della legge di bilancio per il 2021 ha stabilito che possono  fruire dell’estensione del regime le persone fisiche che:

    • durante la loro permanenza all’esterosono state iscritte all’Anagrafe degli italiani
    • residenti all’estero (AIRE) ovvero 
    • sono cittadini di Stati membri dell’Unione Europea e 
    • hanno trasferito la residenza fiscale in Italia prima del 2020; 
    • già beneficiavano del regime speciale per i lavoratori impatriati alla data del 31  dicembre 2019.

    La modifica  intende consentire anche ai contribuenti che hanno trasferito la loro residenza prima del 30 aprile 2019 , la possibilità di fruire, per un ulteriore quinquennio, del regime  speciale  ma  le condizioni alle quali il richiamato comma 50 subordina tale facoltà devono considerarsi tassative e, in quanto  tali, non suscettibili di interpretazione estensiva. 

    Si ribadisce quindi che devono ritenersi in ogni caso esclusi dalla possibilità di esercizio dell’opzione coloro che, benché beneficiari, al 31 dicembre 2019, del regime speciale per i lavoratori impatriati:

    • non sono stati iscritti all’AIRE;
    • sono cittadini extra-comunitari

     anche se beneficiari del regime speciale per i  lavoratori impatriati.

    Proroga regime impatriati negata senza  precedente iscrizione all'AIRE

    Si ricorda che il   concetto era stato affermato dall’Agenzia delle entrate, anche con la risposta n. 321 del 3 giugno 2022 all'Interpello proposto da  una cittadina italiana (tale solo dal 2018,)  che, nel periodo antecedente al trasferimento della residenza in Italia, non era (ovviamente) iscritta all'AIRE .

     Di seguito i dettagli del caso sottoposto al vaglio delle Entrate.

    L'Istante ha  oggi doppia cittadinanza, italiana e serba, è in possesso di titolo di laurea  in giurisprudenza e ha vissuto a Belgrado fino al 2016 . Da quella data la banca datrice di lavoro l'ha distaccata in Italia e la lavoratrice ha  presentato richiesta di permesso di soggiorno e successivamente richiesta di iscrizione all'Anagrafe della popolazione residente.

    Alla scadenza del contratto di distacco, considerata l'elevata qualificazione e  specializzazione la società italiana distaccataria le ha offerto una nuova posizione lavorativa  con un autonomo contratto avviato il 1° luglio 2018, dopo le dimissioni dall'azienda serba.

    A decorrere dall'anno 2017 e per i cinque successivi, la lavoratrice aveva beneficiato del regime  dei lavoratori impatriati ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015,  n. 147.

    Chiedeva quindi  la possibilità di  fruire del regime speciale previsto dall'articolo 1, comma 50, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, per l'ulteriore quinquennio 2022 – 2026,  considerato che:

    • nel periodo antecedente al trasferimento della residenza fiscale in Italia, l'  Istante non era iscritta all'AIRE in quanto cittadina extra-comunitaria in attesa di cittadinanza Italiana,  e 
    • ha una figlia minorenne a carico.

    Secondo l'Agenzia, che richiama la circolare  di chiarimenti n. 33/E del 28 dicembre 2020, i requisiti della richiedente non soddisfano quanto previsto dalla normativa vigente.  

    Per effetto della lettura congiunta con la disposizione di cui all'articolo 5, comma 2-bis del decreto Crescita, l'opzione  risulta, di fatto, riservata a coloro che hanno acquisito la residenza fiscale italiana prima del 30 aprile 2019 (sempreché al 31 dicembre 2019 risultino beneficiari del regime agevolato ) ma sono in ogni caso esclusi:

    – coloro che non sono stati iscritti all'AIRE;

    – i cittadini extra-comunitari anche se beneficiari del regime speciale per lavoratori  impatriati.

  • PRIMO PIANO

    Invalidità: i redditi da considerare – precisazioni 2023

    A seguito di richieste di chiarimento da parte delle sedi  Inps  aveva pubblicato ai fini interni un utile riepilogo completo dei redditi da considerare per i soggetti con invalidità totale e parziale ai fini delle prestazioni di invalidità civile, nel messaggio 1688  2022..

     Con  un nuovo messaggio  del 18 luglio 2023 sono state fornite precisazioni di parziale rettifica.( Vedi ultimo paragrafo)

    Il messaggio 1688 2022  precisava anche le modalità di acquisizione   delle comunicazioni sugli oneri deducibili  da  coloro che già ricevono le prestazioni di invalidità civile.

    I requisiti di reddito per l'invalidità civile

    Le prestazioni di  invalidità civile sono riconosciute in presenza di  precisi requisiti reddituali posseduti dal richiedente al momento della domanda che sono definiti da un limite fissato annualmente sulla base delll'Indice Istat.

    Il requisito del reddito  non si applica per:

    1. l’indennità di accompagnamento (legge n. 18/80),
    2. l’indennità di accompagnamento per cieco assoluto (Legge n. 406/1968 – Legge n. 508/1988), 
    3. l’indennità  speciale (Legge n. 508/88) e 
    4. l’indennità di comunicazione (Legge n. 508/88),

    Nella determinazione del reddito rilevante sono computati tutti i redditi di qualsiasi natura, calcolati ai fini IRPEF che  vanno  computati al netto degli oneri deducibili e delle ritenute fiscali.

    Non sono quindi ricomprese nella valutazione del reddito le seguenti prestazioni economiche:

    • l'importo stesso della prestazione di invalidità;

    • le rendite Inail;

    • le pensioni di guerra;

    • l'indennità di accompagnamento;

    • il reddito della casa di abitazione (circolare Inps n. 74 del 2017).

    Va ricordato anche che in sede di prima liquidazione dell'assegno sono considerati  i redditi dell'anno della domanda  mentre  per gli anni successivi al primo, sia per le liquidazioni, sia per le eventuali ricostituzioni si tiene  conto  redditi da pensione conseguiti nell'anno mentre  per tutti gli altri redditi fa fede l'importo dell'anno precedente , che vanno comunicati ogni anno obbligatoriamente dall'interessato con  il modello Red.

    L'istituto precisa anche che in materia di redditi  da immobili sono da computare :

    – i redditi dei terreni detenuti a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto; il reddito dominicale e il reddito agricolo;

    – i redditi da fabbricati, diversi dalla casa di abitazione e le relative pertinenze.

    Non vanno considerati invece:

    1. gli immobili relativi a imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di arti e professioni e 
    2. le  costruzioni rurali  destinate ad abitazioni per persone addette alla coltivazione della terra; custodia fondi/bestiame/vigilanza; ricovero animali; custodia macchine agricole; protezione piante”

    Per quanto riguarda gli oneri deducibili da non considerare nel reddito  si segnalano ad esempio 

    • i contributi previdenziali e assistenziali personali  
    • gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato,
    •  i contributi pagati al personale domestico,
    • le donazioni a organizzazioni non governative,

    Il messaggio infine ricorda  che "nel caso in cui l’interessato, percettore delle prestazioni assistenziali collegate al reddito (pensione di inabilità, pensione per cieco civile, pensione per sordo,  assegno mensile o indennità di frequenza), non comunichi i propri redditi all’Istituto o qualora, in  sede di controllo, le dichiarazioni risultino inesatte o incomplete, la prestazione è da considerarsi  indebita. In tal caso, successivamente ai citati adempimenti di sospensione e revoca, l’Istituto è  chiamato a recuperare quanto erogato".

    AGGIORNAMENTO 20 LUGLIO 2023 

    Con il Messaggio n. 2705 del 18 luglio 2023 l'INPS  ha parzialmente rettificato le istruzioni precedenti , precisando che nella determinazione del reddito rilevante ai fini della verifica del diritto i redditi soggetti a IRPEF  vanno computati al lordo delle ritenute fiscali.

  • Amministrazione e Controllo

    Trattamento di fine mandato: le condizioni per la deducibilità

       

     La Cassazione conferma l'orientamento  restrittivo sulle possibilità di deduzione del trattato di fine mandato all'amministratore nella Ordinanza 18445 del 10 luglio 2023.

    Il caso riguardava una verifica ispettiva a una SRL relativamente ai  periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009, sulla base della quale  l’Agenzia notificava3 avvisi di accertamento : 

    1.  avviso di accertamento xxx,  con il quale, riprendeva a  tassazione oneri riguardanti agevolazione ambientale (ex art.  6 legge 23 dicembre 2000, n. 388) riteneva utilizzati impropriamente, per un importo di € 1.151.515,00, 
    2.  avviso di accertamento  zzz con il quale, riprendeva a tassazione l’importo di € 2.070.699,07,  quale accantonamento per il trattamento di fine mandato (TFM) non deducibile, accertando un reddito complessivo di €  2.995.997,00,e liquidando una maggiore imposta in € 569.442,00 per IRES ed € 80.757,00 per IRAP, irrogando sanzioni per complessivi € 650.199,00; 
    3.   accertamento   yyy con il quale venivano ripresi a tassazione altri costi  non deducibile ai sensi  degli artt. 105 e 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917  per operazioni imponibili non fatturate e non dichiarate; costi non deducibili in quanto  non documentati; costi non deducibili in quanto non inerenti .

    Il ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano   veniva rigettato e anche la  Commissione tributaria regionale della Lombardia,  confermava la legittimità   dell'avviso  relativo alla deducibilità degli accantonamenti ai fini del trattamento di fine mandato (TFM).

    Nel ricorso in cassazione la ricorrente sosteneva che la sentenza impugnata era incomprensibile ed illogica, in  quanto, da un lato, affermava – con riferimento agli  accantonamenti di fondi per il trattamento di fine mandato –  che  si trattava  di costi non deducibili, e, dall’altro, concludeva per la parziale deducibilità degli stessi.  

    In particolare,   sottolinea che la corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado, aveva implicitamente legittimato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2120 cod. civ., come richiamato dall’art. 105, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, affermando la deducibilità dal reddito della società dell’accantonamento ai fini del trattamento di  fine rapporto per una quota pari all’importo della retribuzione dovuta per l’anno diviso per 13,5, 

    L'orientamento della Cassazione sulla deducibilità del TFM 

    Nell'ordinanza la Cassazione conferma le conclusioni della Commissione regionale   la cui sentenza appare  motivata, ed in ogni caso la deducibilità degli accantonamenti è stata esclusa, indipendentemente dal profilo della  incongruità, ma soltanto in considerazione della non  sussumibilità di tali accantonamenti nelle fattispecie di cui  all’art. 105 d.P.R. n. 917/1986.

    Precisa infatti "Per ormai consolidata giurisprudenza, l'art. 105, comma 4, opera un rinvio "pieno" all'art. 17, comma 1,  lett. c) cit., cioè un rinvio non limitato all'identificazione della  categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l'indennità,  ma esteso alle condizioni richieste dalla stessa disposizione,

    nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi  accantonamenti il diritto all'indennità deve risultare da atto di   data certa anteriore all'inizio del rapporto (Cass. 19 agosto  2020, n. 17367; Cass. 20 luglio 2018, n. 19368)". 

     Ricorda inoltre che sotto il profilo civilistico, il compenso pagato senza una delibera preventiva non può essere ricollegato alla volontà dell'assemblea, che, ai sensi dell'articolo 2389 cod.  civ., è l'unica a poterlo determinare. 

    In  assenza di un  espresso atto assembleare  sul diritto e  sull'ammontare del compenso, di data certa anteriore  all'inizio del rapporto,  l'onere sostenuto dalla società risulta deducibile  SOLO nell'esercizio di erogazione dell'indennità di fine mandato  (ossia per cassa). 

    In tal senso, la Cassazione richiama anche  l'orientamento  consolidato sia dell'Amministrazione finanziaria (Risoluzioni  n. 211/E/2008 e n. 124/E/2017), sia della giurisprudenza di legittimità  (cfr., tra le altre, Cass. 3 marzo 2021, n. 5763;Cass. 20 febbraio 2020 n. 4400; Cass. n. 17367/ 2020).

    Viene anche sottolineato che  il ricorso non contesta che l’attribuzione del  TFM all’amministratore sia avvenuta coevamente alla sua  nomina, essendo entrambe avvenute nell’assemblea del 2  luglio 2001, ragion per cui non vi è un atto avente data certa  anteriore alla nomina medesima, anzi essendo stato  l'amministratore dimissionario e  immediatamente rinominato,  l’attribuzione del TFM in questo caso , è stata addirittura successiva all’inizio del rapporto.

  • Pensioni

    Pensioni: al via l’assistenza online con l’intelligenza artificiale

        

    E' partita e in questi giorni una nuova sperimentazione  sul INPS   che prevede il supporto dell’intelligenza artificiale  nell'assistenza online agli utenti INPS , in particolare riguardante le pensioni e il regime Opzione Donna

     L'iniziativa , come molte altre introdotte di recente, fa parte del programma di digitalizzazione della pubblica amministrazione,  finanziato dal  Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e ha una durata inizialmente prevista di 4 settimane 

    L'istituto lo ha comunicato con il messaggio 2956 -2023  .

     Il nuovo  “assistente virtuale” al motore di ricerca   sostituisce il vecchio con capacità enormemente potenziate dall'intelligenza artificiale di tipo generativo. Sarà infatti in grado di rispondere alle domande in maniera più completa in quanto  può mantenere memoria di tutte le conversazioni precedenti. Questo consentirà agli utenti di avere risposte anche  a  domande di tipo logico-comparativo, ad esempio sulle differenze tra una prestazione ed un’altra, o  sua quale sia  la convenienza di alcune prestazioni sulla base dei dati specifici forniti dallindividuo  come l’età od il numero di figli a carico.

    Oggi invece gli assistenti virtuali anche di altre piatteforme digitali forniscono  via chat risposte standardizzate a una serie predefinita di domande , del tipo di quelle  date " per iscritte nelle FAQ ordinarie 

    Il messaggio precisa infatti  che in questo modo l’Assistente:

    •  supporta l’utente in modo specifico sull’argomento ricercato;
    • instaura con l’utente un dialogo, alimentato anche in base al contesto della conversazione, in modo da migliorare le risposte in modo progressivo ed efficace;
    •  risponde a quesiti puntuali, fornendo risposte articolate, corredate sempre da link al Portale internet per approfondire e passare all’azione, utilizzando come fonti informative le pagine del Portale internet individuate dal motore di ricerca;
    • •supporta l’utente nel precisare la propria domanda facendo richieste specifiche di chiarimenti  e  di indicare la categoria di appartenenza, tra diverse opzioni. L’importanza di questo passaggio varia con il grado di specificità della domanda e di trasversalità sulle prestazioni di concetti chiave come “disoccupazione”, “pagamento dei contributi”: quanto più la domanda è generica ed il concetto è trasversale su molte prestazioni tanto più la disambiguazione diventa determinante. L’Assistente potrà così dare una risposta più precisa e l’utente otterrà un aiuto sostanziale nella sua ricerca.

    Assistenza online per Opzione donna

    In via sperimentale, oltre al supporto sul motore di ricerca, nell’area “Pensione e Previdenza / Domanda di pensione” è offerto un secondo tipo di servizio, sempre con adozione dell’Intelligenza Artificiale, che permette di sottoporre domande più approfondite sulla prestazione “opzione donna”. In questo caso è possibile ricevere risposte 

    • sia su aspetti attinenti i requisiti per la prestazione 
    •  che sulle procedure operative.

    A seguire, una volta terminata la sperimentazione  il servizio risponderà anche su altre prestazioni.

    Viene  sottolineato che Inps si impegna a garantire la privacy e la sicurezza dei dati dei suoi utenti, assicurando la riservatezza delle informazioni fornite durante la comunicazione con il sistema.

  • Lavoro Dipendente

    Lavoro part time: ok al corso di formazione oltre l’orario

    La corte di Cassazione ha affermato nella sentenza 20259 del  14 luglio  2023 che anche il dipendente in orario part time ha l'obbligo di frequenza dei corsi sulla sicurezza pena il licenziamento.  Nell'orario di lavoro infatti vanno conteggiate le ore di possibile  lavoro supplementare previste dal contratto applicato. Di seguito vediamo in dettaglio il caso e le motivazioni  dell'interpretazione ampia  della Suprema Corte sulla normativa applicabile

    Licenziamento per mancata formazione del dipendente con contratto a tempo parziale 

    un dipendente a tempo parziale di s.p.a. è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo motivato con la impossibilità per la società datrice di  lavoro avvalersi della  sua prestazione in quanto  il dipendente aveva rifiutato di  completare il corso di formazione sulla sicurezza di lavoro  . Si trattava di 4 ore residue  per le quali il lavoratore aveva rifiutato  per sei volte di completare la partecipazione al corso  anche in orari concordati tra le parti . Il suo ricorso contro  il licenziamento in cui adduceva la motivazione ritorsiva da parte delle società,   veniva accolto dal tribunale e respinto invece dalla Corte  di appello la quale ha ritenuto che il lavoratore fosse tenuto all'effettuazione della formazione nell'orario a tal fine stabilito dalla società, come prestazione di lavoro  straordinario, esigibile dalla società.

    Il dipendente ha quindi chiesto la cassazione della sentenza sostenendo che la normativa  prescrive che la formazione deve avvenire durante l'orario di lavoro, oltre  che senza oneri economici a carico dei lavorator  ,e  implica, in ipotesi di lavoro a tempo parziale, la necessità dell'espletamento dei corsi di formazione in orario corrispondente  all'orario contrattuale , il quale nello specifico prevedeva  una prestazione  di 20 ore settimanali su cinque giorni alla settimana, dalle ore 6.00 alle ore 10, in  modo fisso e senza clausole di flessibilità. Il ricorso specificava che il d. Igs. n. 81/2015,  consente il potere datoriale di variazione dell'orario solo con le modalità e alle condizioni previste dalla  contrattazione collettiva (d. Igs. n. 61/2000) e regola con rigore anche il ricorso al lavoro supplementare

    Il ricorso affermava  inoltre che costituiva onere della società dimostrare sia la impossibilità di effettuazione dei corsi di formazione in orario corrispondente all'orario  di lavoro del dipendente, sia la «intollerabilità» per la società del periodo di. assenza, inferiore all'anno dal rientro, determinato dalla mancata ammissione al lavoro   per non avere il dipendente completato il prescritto iter formativo, sia la concreta  rilevanza di tale assenza, a fronte di una società con migliaia di lavoratori, rispetto alle mansioni semplici  di pulitore quale era il ricorrente.

    Orario supplementare nel contratto part time: la decisione della Cassazione 

     La Cassazione nella sentenza precisa che  il licenziamento è legittimo in quanto è preponderante   l'obbligo per il soggetto datore di. assicurare ai dipendenti una adeguata formazione in materia di tutela della salute e sicurezza, è previsto dal  d. Igs. 81/2008, di attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123. In particolare , il comma 12  stabilisce che "La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività' del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori".

    Per quanto riguarda il  lavoratore a tempo parziale la norma chiede di verificare se la formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro debba necessariamente essere impartita in orario 

    corrispondente a quello concordato tra le parti in sede di contratto o anche u, successivamente, o, invece, ed in che limiti, possa avvenire in orario non coincidente  con la normale articolazione oraria della prestazione.

    Il collegio ha ritenuto che il  dato testuale dell'art. 37, comma 12, d. Igs. n. 81/2008,  si limita a stabilire che la formazione debba avvenire "durante l'orario di lavoro", senza ulteriori  specificazioni .

    Facendo  riferimento all'art. 1, comma 2 I. n. 66/2003 , gli ermellini affermano che  l'orario di lavoro è "qualsiasi periodo in cui il  lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni" e che si puo trattare anch di attività prestata in orario eccedente a quello ordinario o  "normale",  fermo restando l'applicazione delle prescritte   maggiorazioni della retribuzione 

    La Cassazione aggiunge inoltre  una considerazione di ordine generale che   scaturisce dalla rilevanza, anche  costituzionale,  della ratio di tutela del bene "sicurezza" e del bene "salute" sui luoghi di lavoro del d. Igs. n. 81/2015. La necessità per il dipendente un'adeguata formazione è indispensabile a prevenire rischi per la sicurezza e la salute non solo del singolo ma  della intera comunità dei lavoratori nonché dei terzi che vengano in contatto con  l'ambiente di lavoro per cui  la pretesa del ricorrente è giudicata meno rilevante e sarebbe irragionevole una lettura rigida della normativa quale quella presentata dal lavoratore.

    Necessario  quindi intendere l' espressione "orario di lavoro", come  comprensiva anche dell'orario relativo a prestazioni esigibili :

    • al di fuori dell'orario di  lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno, e
    • al di fuori  di quello concordato, (ovvero il lavoro supplementare) per i lavoratori a tempo parziale.

    Va quindi verificato il  limite di esigibilità della prestazione di lavoro in orario  diverso da quello concordato con il dipendente a tempo parziale,  che la  disciplina nel DLgs. 81/2015,  art. 6 comma 2 p statuisce in  misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali 

    Nel caso di specie le 4 ore richieste  rispetto alle 20 ore settimanali del contratto  sarebbero  perfettamente rientrate nel limite del 25% .

    Per questi motivi la Suprema corte conferma la sentenza di merito sulla legittimità del licenziamento intervenuto.