• IMU e IVIE

    Esenzione IMU fabbricato rurale: spetta con l’annotazione catastale

    Con l'Ordinanza n 32300 del 13 dicembre 2024 la Cassazione ha statuito un principio importante che dovrebbe risolvere molte controversie, tra agricoltori e Comuni, relativamente all'IMU di terreni con immobili prima destinati ad abitazione e oggi utilizzati a supporto delle attività (depositi attrezzi, locali per protezione piante, conservazione prodotti, mangimi e altro).

    Esenzione IMU fabbricato rurale: basta l’annotazione

    Un società agricola propone ricorso in Cassazione contro il rigetto del ricorso proposto avverso un avviso di accertamento IMU emesso dal Comune.

    In particolare, con unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 708, L. n. 147/2013, nonché dell'art. 5, D.M. Min. Economia e Finanze 26 luglio 2012 e dell'art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. n. 557/1993 per avere la Corte di giustizia tributaria di secondo grado, nell'escludere la natura rurale dei fabbricati in possesso della ricorrente sul presupposto che gli stessi risultavano accatastati nelle categorie A/3 e A/4 (e non quali A/6), senza aver valorizzato e considerato l'avvenuta annotazione catastale, predisposta a seguito di specifica domanda, attestante la natura rurale e strumentale degli stessi.

    Secondo la Cassazione la doglianza è fondata.

    Viene evidenziato che la Corte di giustizia tributaria di secondo grado, nel caso di specie, ha ritenuto insussistente i requisiti per la richiesta esenzione IMU evidenziando che "la società contribuente risulta proprietaria degli immobili in questione, accatastati come A3 e A4 (e quindi con destinazione abitativa), per i quali non è stata presentata alcuna richiesta di variazione e/o fornita prova della loro natura di beni "rurali strumentali".

    La Cassazione afferma che, un fabbricato rurale classificato dalle origini in una categoria catastale abitativa, se in possesso dell’annotazione della sussistenza dei requisiti di ruralità negli atti del catasto, può avere il trattamento agevolato Imu destinato ai fabbricati rurali strumentali all’esercizio delle attività agricole.

    Tale annotazione apposta secondo il Dm 26 luglio 2012, emanato in virtù dell’articolo 13, comma 14-bis, del Dl 201/2011 è idonea a certificare il rispetto dei requisiti impartiti dall’articolo 9, comma 3-bis, del Dl 557/1993.

    Secondo la Cassazione nelle cause pendenti l’indagine dei giudici di merito deve essere indirizzata sclusivamente alla verifica circa la presenza dell’attestazione di ruralità nella relativa certificazione non rilevando la categoria catastale, inidonea a rivelare se un immobile sia rispettoso dei requisiti di ruralità. 

     In origine i fabbricati rurali avrebbero dovuto essere classificati in categoria A/6 se abitativi e D/10 se strumentali, ma, come rileva la Cassazioen questa impostazione è stata superata in quanto l’articolo 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del Dl 70/2011, secondo cui doveva presentarsi domanda per l’attribuzione delle predette categorie, è stato abrogato dall’articolo 13, comma 14-bis, del Dl 201/2011. 

    Qunidi il Dm 14 settembre 2011 è stato sostituito dal Dm 26 luglio 2012 secondo il cui articolo 1, comma 2, per i fabbricati diversi da quelli censibili nella categoria D/10, al fine di iscrivere negli atti del catasto la sussistenza del requisito di ruralità, è apposta una specifica annotazione dietro domanda dell’interessato. 

  • Successioni

    Dichiarazione di successione: in arrivo i nuovi modelli

    Sul sito delle Entrate nella sezione dedicata alla Dichiarazione di Successione è pubblicato il seguente avviso:

    è in corso di predisposizione la versione aggiornata del modello della dichiarazione di successione, che tiene conto delle novità previste a partire dal 1° gennaio 2025 introdotte dal Decreto legislativo 18 settembre 2024, n. 139.
    Il nuovo modello sarà pubblicato sul sito dell’Agenzia delle entrate entro l’inizio del mese di febbraio 2025, insieme alle istruzioni per la compilazione e all’applicativo per la presentazione telematica della dichiarazione.
    Qualora vi sia l’urgenza di presentare la dichiarazione di successione prima che sia disponibile la nuova procedura, è possibile utilizzare il Modello 4 cartaceo recandosi presso l’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente in relazione all’ultima residenza del defunto.

    Leggi anche 

    Dichiarazione di successione: chi la presenta

    E’ in corso di predisposizione la versione aggiornata del modello della dichiarazione di successione, che tiene conto delle novità previste a partire dal 1° gennaio 2025 (decreto legislativo 18 settembre 2024, n. 139).

    Viene anche ricordato che la dichiarazione di successione deve essere presentata dagli eredi, dai chiamati all'eredità, dai legatari entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, che coincide, generalmente, con la data del decesso del contribuente.

    La dichiarazione può essere presentata direttamente dal contribuente:

    • tramite i servizi telematici
    • tramite un intermediario abilitato o
    • presso l'ufficio competente dell'Agenzia delle Entrate.

    Di seguito anche i dettagli sulla Dichiarazione di successione web.

    Leggi anche: Imposta di successione: come cambia dal 1° gennaio 2025

    Dichiarazione di successione web: che cos’è

    La Dichiarazione di successione web offre diversi vantaggi: 

    • una dichiarazione in parte precompilata con contestuale richiesta di voltura catastale degli immobili –  Grazie al caricamento in dichiarazione di diversi dati già in possesso dell’Agenzia, viene lasciato al contribuente il solo compito di validare o eventualmente modificare tali informazioni, ottenendo così una compilazione più veloce,
    •  calcolo automatico delle somme dovute per le formalità ipo-catastali –  Quando nell’attivo ereditario è presente un immobile, prima di presentare la dichiarazione di successione occorre autoliquidare le imposte ipotecaria, catastale, di bollo e la tassa per i servizi ipotecari e catastali. Grazie alla dichiarazione telematica tale calcolo viene effettuato in automatico a conclusione della fase di compilazione del modello,
    • attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione – In fase di compilazione e quindi con la presentazione della dichiarazione di successione telematica è possibile richiedere l’Attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione in formato elettronico, necessaria, ad esempio, per ottenere lo sblocco dei conti. Anche le somme dovute per ottenere l’Attestazione vengono calcolate in automatico e versate direttamente con la presentazione della dichiarazione telematica,
    • segnalazione  immediata errori causati da una errata compilazione del modello dichiarativo o dall’inserimento di documenti non conformi. – Grazie ai  controlli attivati dall’Agenzia  si  eliminano le situazioni di scarto nelle fasi successive  all’invio,
    • visualizzazione e stampa delle ricevute telematiche – Direttamente nell’applicativo web, in una specifica area dedicata, è possibile ottenere informazioni sullo stato di elaborazione delle ricevute telematiche, in base ad ogni fase del processo di lavorazione della dichiarazione, dalla sua trasmissione fino ad arrivare agli esiti delle volture automatiche, qualora richieste. Inoltre, nella stessa area è possibile prelevare la copia semplice e l’Attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione (se richiesta in dichiarazione),
    • non è necessario installare e configurare alcun software  di compilazione  e di invio telematico.

  • Antiriciclaggio

    Antiriciclaggio: il CNDCEC approva le regole tecniche

    Il CNDCEC approva l’aggiornamento delle Regole Tecniche emanate ai sensi dell’art. 11, co. 2, d.lgs. 231/2007 per l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio da parte dei Commercialisti, con parere favorevole del Comitato di Sicurezza Finanziaria.

    Il Presidente De Nuccio ha evidenziato che Le nuove Regole Tecniche contengono, oltre che il dovuto aggiornamento normativo, importanti novità sui principali adempimenti antiriciclaggio a carico dei Commercialisti in tema di autovalutazione del rischio, adeguata verifica della clientela e conservazione documentale”.

    Vengono snellite le precedenti regole del 2019 in un’ottica di semplificazione e più agevole assolvimento degli obblighi antiriciclaggio negli studi, nel rigoroso rispetto delle prescrizioni normative

    Significative le novità su:

    • riparametrazione dei limiti dimensionali per l’istituzione di presidi antiriciclaggio, 
    • ampliamento delle prestazioni professionali con un livello di rischio non significativo ai fini della prevenzione dei reati di riciclaggio,
    • semplificazione della conservazione cartacea.

    Antiriciclaggio: il CNDCEC approva le regole tecniche

    L'informativa evidenzia che le Regole Tecniche, emanate dal CNDCEC in qualità di organismo di autoregolamentazione, sono applicate dagli iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili a far data dalla loro approvazione relativamente ai seguenti obblighi antiriciclaggio:

    1. valutazione del rischio (artt. 15-16 d.lgs. 231/2007);
    2. adeguata verifica della clientela (artt. 17-30 d.lgs. 231/2007);
    3. conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni (artt. 31, 32 e 34 d.lgs. 231/2007).

    Relativamente alla autovalutazione del rischio i professionisti devono identificare e valutare il rischio inerente alle loro attività e analizzare l’efficacia dei presidi interni per mitigare il rischio residuo.

    A tal fine si prevede l’uso di scale graduate per attribuire punteggi ai rischi e alle vulnerabilità, determinando il livello complessivo di rischio residuo e attivando eventuali misure correttive.

    L’autovalutazione è documentata e aggiornata periodicamente.

    L’obbligo di verifica della clientela si applica a prestazioni continuative e occasionali, con modalità commisurate al rischio rilevato, distinguendo tra verifica:

    semplificata: per clienti a basso rischio quali ad es. pubbliche amministrazioni,

    ordinaria che richiede identificazione e verifica del titolare effettivo

    rafforzata: per clienti ad alto rischio quali ad esempio persone politicamente esposte con necessità di verifiche aggiuntive

    La verifica può essere eseguita direttamente o tramite terzi pur essendo la responsabilità in capo al professionista.

    I documenti raccolti nell’ambito dell’adeguata verifica e delle operazioni devono essere conservati in formato cartaceo o digitale per almeno 10 anni.

    Si rimanda alla consultazione delle Regole tecniche dei commercialisti.

  • PRIMO PIANO

    E-DAS: novità dal 1° gennaio

    La legge di bilancio 2025 in vigore dal 1° gennaio 2025 prevede novità per l'E-DAS ossia i documenti di accompagnamento dei prodotti energetici.

    Vediamo il dettaglio delle novità.

    E-DAS: novità dal 1° gennaio

    In dettaglio l’articolo 1, comma 45, modifica l’articolo 25, comma 8, del testo unico accise che prevede, in via generale, con finalità antifrode, che i prodotti energetici assoggettati ad accisa devono circolare con il documento di accompagnamento previsto dall'articolo 12 (e-DAS o documento analogo all’e-DAS).

    Nella formulazione vigente il comma 8 prevede un’eccezione all’obbligo di circolazione con l’e-DAS, con riferimento ai prodotti energetici trasferiti in quantità non superiore a 1.000 chilogrammi a depositi non soggetti a denuncia ed ai gas di petrolio liquefatti per uso combustione trasferiti dagli esercenti la vendita al minuto.

    Con la novità si sopprime il riferimento ai prodotti energetici trasferiti in quantità non superiore a 1.000 chilogrammi a depositi non soggetti a denuncia estendendo anche a tale ultima fattispecie l’utilizzo del documento di accompagnamento.

    Viene per converso mantenuta l’esclusione dall’obbligo dell’e-DAS con riferimento ai gas di petrolio liquefatti per uso combustione trasferiti dagli esercenti la vendita al minuto.

    Si ricorda che l’e-DAS, introdotto con l’articolo 11 del decreto-legge n.124 del 2019 è il documento di accompagnamento semplificato necessario per la circolazione dei prodotti energetici assoggettati ad accisa.

  • Turismo

    Misure per il Turismo prorogate dal Milleproroghe

    Con un comunicato pubblicato sul proprio sito internet il Turismo riepiloga in sintesi le misure agevolative che riguardano le imprese operanti nel settore turistico che hanno subito delle proroghe a seguito della approvazione del Decreto Milleproroghe 2025, pubblicato in GU n 302 del 27 dicembe 2024.

    Sostegno al turismo nei Comuni della dorsale appenninica: cosa contiene il Milleproroghe

    La prima misura, relativa al sostegno al turismo nei Comuni all’interno dei comprensori e delle aree sciistiche della dorsale appenninica, proroga al 31 marzo 2025 il termine entro cui erogare i contributi in favore di alcune categorie di imprese.

    I destinatari del contributo a fondo perduto, riconosciuto alle attività che hanno subito una diminuzione delle presenze turistiche a causa della scarsità di precipitazioni nevose nel periodo dal 1° novembre 2023 al 31 marzo 2024, con conseguente riduzione dei ricavi non inferiore al 30% rispetto a quelli conseguiti nel periodo dal 1° novembre 2021 al 31 marzo 2022, sono:

    • esercenti attività di impianti di risalita a fune e di innevamento artificiale, nonché di preparazione delle piste da sci;
    • noleggiatori di attrezzature per sport invernali;
    • maestri di sci, iscritti negli appositi albi professionali, e delle scuole di sci presso le quali questi operano;
    • agenzie di viaggio;
    • tour operator;
    • gestori di stabilimenti termali;
    • imprese turistico-ricettive e imprese di ristorazione.

    Contributi imprese ricettive: cosa contiene il Milleproroghe

    La seconda misura proroga fino al 31 ottobre 2025 il termine per la conclusione di alcuni interventi, rispetto ai quali è previsto, a favore delle imprese turistiche, il riconoscimento di due contributi:

    • il credito d’imposta fino all’80% delle spese sostenute, 
    • il contributo a fondo perduto non superiore al 50% delle spese sostenute, relativamente a interventi di incremento dell’efficienza energetica delle strutture e di riqualificazione antisismica, di eliminazione delle barriere architettoniche, di interventi edilizi funzionali agli interventi precedenti, di realizzazione di piscine termali e acquisizione di attrezzature e apparecchiature per lo svolgimento delle attività termali, nonché interventi di digitalizzazione.

    I destinatari di questa misura sono:

    • le imprese alberghiere;
    • le imprese che esercitano attività agrituristica;
    • le imprese che gestiscono strutture ricettive all’aria aperta;
    • le imprese del comparto turistico, ricreativo, fieristico e congressuale, compresi gli stabilimenti balneari, i complessi termali, i porti turistici, i parchi tematici, inclusi i parchi acquatici e faunistici.

    Impianti fotovoltaici Turismo: cosa contiene il Milleproroghe

    La terza misura prevede la proroga al 31 dicembre 2025 della durata della misura di semplificazione per la realizzazione, previa dichiarazione di inizio lavoro asseverata (DILA), di impianti fotovoltaici all’interno di aree nella disponibilità di strutture turistiche o termali che, secondo la normativa vigente, produrrebbe i suoi effetti fino al 31 dicembre 2024.

    Lavoro imprese del turismo: cosa contiene il Milleproroghe

    La quarta misura proroga il termine entro il quale i datori di lavoro nel settore privato possono stipulare contratti a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi, in ogni caso non superiore a 24 mesi e in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti.

    Rischi catastrofali imprese del turismo: cosa contiene il Milleproroghe

    La quinta misura, infine, inserita nell’articolo relativo alle proroghe in materie di competenza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, proroga al 31 marzo 2025 il termine per la stipula di contratti assicurativi in capo alle imprese per la copertura dei rischi catastrofali, per consentire agli organismi associativi una compiuta azione informativa e divulgativa e alle imprese una scelta ponderata e ragionata della migliore polizza anche in ragione dei diversi rischi catastrofali indicati e definiti nella fonte secondaria.

    L’attuazione di queste proroghe consente di avere a disposizione più tempo per portare a termine le procedure necessarie e, quindi, per contribuire fattivamente alla ripresa delle attività economico-produttive degli operatori del settore, incentivando un potenziamento complessivo dell’offerta turistica nazionale.

  • Riforma dello Sport

    ASD: la Cassazione chiarisce i requisiti per il regime di favore

    Con l'ordinanza n 31924/2024 la Corte di Cassazione, ha stabilito che che ai fini dell'applicazione del regime di favore (di cui all'art. 1 della legge n. 398 del 1991), previsto per le Associazioni Sportive Dilettantistiche è necessario non soltanto il rispetto dei formali adempimenti previsti, ma anche l'effettivo svolgimento di un'attività non lucrativa da parte dell'ente. 

    Vediamo il caso giunto dinanzi ai giudici.

    ASD: requisiti per il regime di favore

    Una ASD è ricorsa presso la CTP per impugnare un avviso di accertamento con cui l'ADE a seguito del controllo della posizione fiscale della società intimata, verificata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno d'imposta 2013, disconosceva all'Associazione la qualifica di ASD e determinava un reddito d' impresa imponibile a fini IRES, IRAP e IVA.

    La CTP accoglieva il ricorso della ASD inducendo l'Agenzia a proporre appello avanti la Corte di giustizia tributaria di secondo grado CGT, evidenziando:

    • l'omessa indicazione nella denominazione della natura "sportiva" e "dilettantistica" delle attività poste in essere dall'associazione; 
    • la presentazione tardiva del Modello EAS; 
    • la pubblicizzazione dell'attività dell'ente alla stregua di un'attività commerciale; 
    • la mancata tenuta dei libri sociali; 
    • la mancanza di elementi rappresentativi della democraticità e della effettività della vita associativa dell'ente; 
    • la mancanza di percezione da parte dei "nuovi soci" di essere iscritti ad un ente sportivo; 
    • l'approvazione del rendiconto attuata da appena quattro soci; 
    • l'omessa valutazione complessiva sia della condotta dell'ente sia della documentazione allegata a sostegno della propria tesi.

    La CGT ha respinto l'appello, osservando che:

    • la dicitura per esteso di "Associazione Sportiva Dilettantistica" non è prevista a pena di decadenza; 
    • che dalla presentazione tardiva del modello EAS, circostanza incontestata, non deriva alcuna conseguenza, trattandosi di adempimento con finalità meramente informative; 
    • che la pubblicizzazione della propria attività su un sito internet, peraltro contestata e priva di riscontri probatori, non è prerogativa esclusiva delle attività commerciali; 
    • che la mancanza del requisito di democraticità non può essere desunta dalla riscontrata ridotta partecipazione dei soci alle assemblee societarie né dalla omessa tenuta di un libro dei soci; 
    • che l'associazione assolveva comunque alla finalità di contabilizzazione dei propri associati e monitoraggio degli stessi mediante la raccolta e conservazione di schede archiviate presso la sede;
    • che lo status effettivo di una associazione sportiva dilettantistica della stessa e la sua eventuale commercialità non può farsi discendere da sensazioni assolutamente soggettive, quali le percezioni dei soci.

    Contro tale decisione l'Agenzia ha proposto ricorso per Cassazione fondato su unico motivo.

    In dettaglio, l'Agenzia deduce, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., "Violazione e falsa  applicazione degli artt. 143, 148 e 149 del D.P.R. 917/86 e dell'art. 2697 c.c.", per aver la CTR annullato  l'avviso di accertamento senza verificare in concreto l'effettivo esercizio dell'attività dell'ente in conformità alle finalità statutarie. 

    Secondo l'Ufficio, la violazione degli obblighi statutari costituisce, invece, sintomo dell'esercizio di una attività difforme da quella istitutiva dell'ente e giustificativa della qualificazione di ASD, senza finalità di lucro. 

    In particolare, la non osservanza degli obblighi di comunicazione dei dati ai fini della non imponibilità dei ricavi, così come dei principi di democraticità, uguaglianza e collegialità degli organi assembleari, comporta la perdita della qualifica di ente non commerciale, sviando l'ente da quelle finalità "non di lucro" per cui è stata costituita. 

    La CTR aveva errato nel ritenere non rilevanti gli elementi denunziati, che erano in realtà sintomatici dell'assenza di democraticità dell'ente e dell'assenza di una effettiva vita associativa nonché della fondatezza della contestazione della perdita della qualifica di ente non commerciale e dei benefici fiscali connessi.
    Il motivo secondo la Cassazione è ammissibile, in quanto non chiede una rivalutazione degli accertamenti in fatto ma denunzia una difettosa applicazione dei principi in materia e un c.d. "vizio di sussunzione" cioè una  erronea riconduzione del fatto materiale alla fattispecie legale (Cass. n. 21772 del 2019).

    La censura va ricondotta al paradigma della "falsa applicazione di norme di diritto", che consiste nel controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l'esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora non era riconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo.
    La Corte di Cassazione ha già affermato con la recente sentenza n 6361/2023 che "Ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui  all'art. 1 della legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell'associazione sportiva dilettantistica  quale organismo senza fine di lucro da intendersi, in aderenza alla nozione eurounitaria, quello il cui  atto costitutivo o statuto escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati,  trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell' art. 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972 e, per  le imposte dirette, nell'art. 111, comma 4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del D.P.R. n. 917 del 1986 .
    Alla formale conformità delle regole associative al dettato legislativo si aggiunge, poi, l'esigenza di una  verifica in concreto sull'attività svolta al fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente  rispettoso degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f ) degli artt. 148, comma 8, del  vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di un'attività commerciale svolta in forma associata"
    (v. Cas. N. 30008 del 2021 ed altra giurisprudenza ivi citata; più recentemente, v. anche Cass. n. 6361 del 2023).
    Si è precisato che se è vero che l'applicabilità della disposizione è subordinata, innanzitutto, ad un requisito formale, cioè all'affiliazione dell'associazione alle federazioni sportive nazionali o a enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali (con riguardo alle imposte sul valore aggiunto e sui redditi), tuttavia il possesso di questo requisito non è sufficiente, essendo necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale, costituito dalla effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge

    In particolare, si è evidenziato in varie sentenze che le esenzioni d' imposta a favore delle associazioni non lucrative – e, specificamente, delle associazioni sportive dilettantistiche dipendono non dalla veste giuridica assunta dall'associazione (o, quantomeno, non soltanto da quella), bensì dall'effettivo esercizio di un'attività senza fine di lucro, sicché l'agevolazione fiscale (ma a n c h e quella contributiva) non spetta in base al solo dato formale (estrinseco e neutrale) dell'affiliazione al CONI, bensì per l'effettivo svolgimento dell'attività considerata, il cui oner  probatorio incombe sul contribuente.

    Sotto lo specifico profilo dell'onere probatorio, poi, va considerato che gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale (come si evince dall'art. 111, comma 2, ora 148 comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986 ), potendo anche le associazioni senza fini di lucro svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. 

    L'accertamento sulla spettanza del regime agevolato deve essere compiuto, oltre che sul piano formale, anche in concreto, con onere probatorio a carico del contribuente, esaminando le attività sportive effettivamente praticate, le modalità con cui le prestazioni dell'ente sono erogate e l'effettiva sussistenza delle caratteristiche soggettive dell'associazione sportiva.
    La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, poiché ha riconosciuto la natura non commerciale dell'ente – e, conseguentemente, il regime di agevolazione tributaria previsto per gli enti non aventi natura commerciale – in ragione dei soli dati formali, peraltro non valutati in tutti i loro aspetti, omettendo di verificare la natura (in tesi, non lucrativa) dell'attività in concreto esercitata, come se incombesse sull'Ufficio l'onere di provare l' insussistenza dei requisiti per accedere alle agevolazioni in oggetto.
    La sentenza non appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte neppure nella considerazione di singoli elementi laddove ha svalutato o minimizzato il rilievo delle violazioni denunziate. 

    Il ricorso deve essere accolto e, cassata di conseguenza la sentenza impugnata, la causa va rinviata al giudice del merito.

  • Redditi di Capitale

    Residente in Lussemburgo: tassazione per gli utili di società italiana

    Con Risposta a interpello n 6 del 17 gennaio le Entrate replicano ad un soggetto residente all'estero, iscritto AIRE, che percepisce redditi di lavoro dipendente in Lussenburgo e intende costituire in Italia una S.R.L.S. di cui sarà l'unico socio e amministratore, a cui dedicherà il 20 25 % del suo tempo. 

    Tale Società avrà come attività principale il brokeraggio assicurativo (codice ATECO 66.22.01), che si svolgerà esclusivamente in Italia.
    In relazione a tali circostanze, l'Istante chiede chiarimenti, anche ai sensi della Convenzione tra l'Italia e il Lussemburgo per evitare le doppie imposizioni, ratificata con legge 14 agosto 1982, n. 747 sul trattamento fiscale di: 

    1. redditi da lavoro dipendente percepiti in Lussemburgo (primo quesito); 
    2. utili prodotti della Società (secondo quesito).

    Vediamo i chiarimenti ADE sulla imposizione esclusiva in Lussemburgo del reddito da lavoro dipendente ivi prodotto da un cittadino ivi residente e imposizione esclusiva in Italia degli utili prodotti da una società di brokeraggio assicurativo residente senza una stabile organizzazione in Lussemburgo.

    Residente in Lussemburgo: tassazione per gli utili di società italiana

    Le Entrate evidenziano quanto segue:

    • nell'assunto di una residenza fiscale dell'Istante in Lussemburgo, l'articolo 3, comma 1, del Testo Unico dell'Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 prevede che ''l'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato''. Pertanto, il Contribuente, qualora sia fiscalmente residente all'estero, sarà soggetto ad imposizione in Italia soltanto sui redditi prodotti nel nostro Paese, individuati secondo i criteri previsti dall'articolo 23 del TUIR, il quale, al comma 1, lettera c), stabilisce che i redditi da lavoro dipendente si considerano prodotti in Italia se l'attività lavorativa è stata prestata nel territorio dello Stato. Da ciò ne consegue che, se l'attività di lavoro dipendente non è svolta in Italia, ma esclusivamente in Lussemburgo (Stato di residenza del Contribuente), i redditi che ne derivano non sono soggetti a tassazione in Italia. Tali conclusioni non sono derogate dalle disposizioni della Convenzione applicabili al caso di specie, a cui occorre dare prevalenza sul diritto interno secondo quanto sancito dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600. Ed infatti, l'articolo 15 della Convenzione, relativo ai redditi da lavoro subordinato, al paragrafo 1, prevede che ''i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato''.
      Pertanto, anche secondo il diritto convenzionale, se l'Istante è fiscalmente residente e svolge attività di lavoro subordinato solamente in Lussemburgo, è soggetto ad imposizione per i redditi che ne derivano soltanto in tale Paese.
    • per gli utili di cui tratta l'istante si osserva che, nell'assunto di una residenza fiscale della Società in Italia e dello svolgimento dell'attività interamente nel nostro Paese, senza alcuna stabile organizzazione all'estero circostanze non riscontrabili in questa sede, gli utili costituiscono un reddito imponibile esclusivamente in Italia, ai sensi del combinato disposto degli articoli 73, comma 1, lettera a), 81 e 83 del TUIR.
      Peraltro, la potestà impositiva esclusiva dell'Italia è confermata dall'articolo 7 della Convenzione, relativo agli utili delle imprese, che stabilisce che ''Gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata''. Da ciò ne deriva che, anche secondo la Convenzione (di cui si ribadisce la prevalenza sul diritto interno), se la Società è fiscalmente residente e svolge la propria attività esclusivamente in Italia, senza una stabile organizzazione all'estero, i redditi alla stessa imputabili sono soggetti a tassazione soltanto nel nostro Paese.

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