• CCNL e Accordi

    CCNL Tabacco firmato il rinnovo 2025: aumento di 200 euro

    Il 2 luglio 2025 è stata sottoscritta l’ipotesi di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti delle aziende di lavorazione della foglia di tabacco secco allo stato sciolto, con decorrenza dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2028. 

    L’accordo è stato firmato dalle Segreterie nazionali di Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil, con le rispettive delegazioni e dall’APTI – Associazione Professionale Trasformatori Tabacchi Italiani.

    Ecco le principali novità retributive e normative,  con la tabella  completa dei nuovi minimi salariali.

    CCNL Tabacco 2025-28: novità normative

    Dal punto di vista normativo, il rinnovo introduce varie disposizioni:

    • ulteriori 90 giorni di conservazione del posto per i lavoratori con disabilità certificata;
    • integrazione al 100% della retribuzione per malattia degli apprendisti, per un massimo di sei mesi;
    • aggiornamenti sul fronte formazione continua e sicurezza, con maggiore utilizzo dei fondi For.Agri.,
    •  incremento dei permessi retribuiti per gli RLS (da 40 a 48 ore),
    •  introduzione di due riunioni periodiche annue e assistenza legale per i preposti.

    Sul piano della conciliazione vita-lavoro, sono previste:

    • integrazione al 100% della maternità obbligatoria per cinque mesi;
    • permessi retribuiti per malattia dei figli, anche oltre gli otto anni d’età;
    • permessi retribuiti in caso di decesso di conviventi o affini di primo grado;
    • permessi per inserimento all’asilo nido e assistenza a familiari non autosufficienti.

    Per quanto riguarda l’orario di lavoro, è confermata la validità di accordi aziendali che prevedono riduzioni orarie a parità di salario. Le ore annue di riduzione passano da 68 a 76 (per il lavoro su turno unico), con ulteriori 8 ore di riduzione per chi lavora su più turni.

    Infine, viene istituita una Commissione nazionale paritetica per la revisione del sistema di classificazione del personale, che sarà attiva dal settembre 2025, con conclusione prevista entro il 2026. 

    Sul fronte previdenziale, si prevede un aumento della contribuzione aziendale ad Alifond all’1,50%, e iniziative informative sui temi della previdenza integrativa.

    CCNL Tabacco 2025-28: novità sulle retribuzioni

    Il nuovo contratto prevede un aumento retributivo complessivo pari al 12,1%, equivalente a 200 euro lordi sul livello 4ªA, suddivisi in quattro tranche:

    • 60 euro dal 1° gennaio 2025
    • 50 euro dal 1° gennaio 2026
    • 50 euro dal 1° gennaio 2027
    • 40 euro dal 1° gennaio 2028

    ATTENZIONE: Per le categorie inferiori al parametro 100, l’aumento è diviso: 50% fisso + 50% proporzionale.

    Tra le misure economiche introdotte si segnalano anche:

    • una indennità di 30 euro mensili per le aziende prive di contrattazione di secondo livello;
    • il raddoppio degli importi per gli scatti di anzianità;
    • l’incremento delle indennità di fine campagna per i lavoratori stagionali.

    Ecco la tabella dei nuovi minimi retributivi

    Categoria Al 31.12.2024 Dall’1.1.2025 Dall’1.1.2026 Dall’1.1.2027 Dall’1.1.2028
    1ªS 1.995,35 2.078,10 2.147,06 2.216,02 2.271,18
    1.844,17 1.922,92 1.988,55 2.054,18 2.106,68
    1.605,57 1.678,01 1.738,38 1.798,75 1.847,04
    3ªA 1.402,00 1.469,06 1.524,95 1.580,84 1.625,55
    3ªB 1.251,85 1.314,94 1.367,52 1.420,10 1.462,16
    4ªA 1.134,90 1.194,90 1.244,90 1.294,90 1.334,90
    4ªB 1.083,78 1.142,43 1.191,31 1.240,19 1.279,29
    1.049,77 1.107,52 1.155,65 1.203,78 1.242,28
    933,62 988,31 1.033,88 1.079,45 1.115,90

  • Lavoro Dipendente

    Sanzioni per omesse ritenute: la Consulta conferma la misura in vigore

    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 103 del 2025, ha affrontato una questione sollevata dal Tribunale di Brescia riguardante la legittimità dell’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638), come modificato dall’art. 23, comma 1, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (convertito nella legge 3 luglio 2023, n. 85). La norma prevede che, in caso di omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali per un importo non superiore a 10.000 euro annui, si applichi una sanzione amministrativa da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.

    La sentenza riconferma la legittimità della cornice sanzionatoria prevista per gli omessi versamenti contributivi inferiori alla soglia penale, ribadendo il principio secondo cui la discrezionalità legislativa è limitata solo da evidenti profili di irragionevolezza, qui ritenuti insussistenti.  Ecco tutti i dettagli.

    Il caso: sanzioni INPS per omessi versamenti sotto i 10.000 euro

    La questione era stata sollevata nell’ambito di due giudizi promossi da soggetti sanzionati dall’INPS per omessi versamenti riferiti agli anni 2013-2015.

     I ricorrenti contestavano la sproporzione della sanzione minima e l’impossibilità di graduarla in base alle condizioni soggettive, soprattutto nei casi in cui l’inadempimento del datore di lavoro  fosse dovuto a gravi difficoltà finanziarie. 

    Si ricorda anche che già nel 2023 la Consulta era stata chiamata a valutare la legittimità delle sanzioni amministrative nella misura prevista prima delle modifiche  apportate dall’art. 23 comma 1 del DL 48/2023, . in quel caso gli atti erano stati rimessi al giudice per una rivalutazione in attesa dell'entrata in vigore delle novità. 

    Il giudizio della Corte: discrezionalità del legislatore e proporzionalità

    Nel valutare la questione, la Consulta ha ricordato che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione delle sanzioni, purché rispetti il principio di proporzionalità. Inoltre secondo la Corte, l’omesso versamento di ritenute  di competenza dei lavoratori è un comportamento particolarmente grave, poiché comporta la distrazione di somme destinate alla copertura previdenziale, incidendo su diritti fondamentali costituzionalmente tutelati (artt. 1, 4, 35, 38 Cost.).

    La Corte ha ritenuto che la previsione sanzionatoria – anche nel suo minimo – sia coerente co la finalità deterrente della norma, volta a contrastare efficacemente l’evasione contributiva. Ha inoltre sottolineato che eventuali situazioni soggettive che impediscano l’adempimento (come lo stato di necessità o l’assenza di dolo) non incidono sulla misura della sanzione ma, semmai, sulla sussistenza o meno della responsabilità, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

    Il confronto con il reato penale e le conclusioni della Consulta

    Un altro aspetto critico sollevato dal giudice a quo riguardava l’apparente paradosso per cui la sanzione amministrativa per omessi versamenti sotto soglia, in certi casi, può risultare economicamente più gravosa rispetto al quella prevista  per l’omesso versamento superiore alla soglia di 10.000 euro, che costituisce reato. 

    Tuttavia, la Corte ha respinto anche questa osservazione, precisando che la responsabilità penale comporta una serie di conseguenze ulteriori (processo penale, possibili pene accessorie, limitazioni reputazionali e contrattuali) che non si esauriscono nella pena pecuniaria e che rendono improprio un mero confronto aritmetico.

    Pertanto, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale. 

     Rispondendo anche alle obiezioni della Presidenza del Consiglio ha anche sottolineato che nessun vuoto normativo   sarebbe comunque derivato da un eventuale accoglimento, poiché la disciplina generale delle sanzioni amministrative prevede un minimo edittale residuale (art. 10, legge n. 689/1981). 

    Ma, nel merito, la previsione di una sanzione minima elevata si giustifica per l’importanza del bene giuridico tutelato e la gravità dell’illecito.

  • Lavoro Dipendente

    Licenziamento e legge 104: obbligo di repechage personalizzato

    Con la sentenza n. 18063 del 3 luglio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – si è espressa in merito al licenziamento di un lavoratore beneficiario della legge 104/1992, avvenuto a seguito della soppressione del posto di lavoro e del rifiuto del dipendente di accettare una ricollocazione con diversa articolazione oraria.

     Il lavoratore, da vent’anni in azienda, aveva sempre prestato servizio con un orario a ciclo continuo e beneficiava dei permessi previsti dalla legge 104 per assistere la moglie con disabilità grave.

    Il datore di lavoro, a fronte della soppressione della posizione occupata, gli aveva offerto un impiego alternativo come carrellista nel reparto spedizione, ma su doppio turno, rifiutata dal dipendente per incompatibilità con le esigenze di assistenza. 

    In prima istanza, il Tribunale aveva annullato il licenziamento, ma in secondo grado la Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto legittimo il recesso dell'azienda, affermando che l’azienda avesse assolto all’obbligo di repêchage e che il rifiuto del lavoratore fosse ingiustificato

    L’intervento della Cassazione: errori nella valutazione del repêchage

    La Cassazione ha ribaltato la sentenza della Corte d’Appello, accogliendo due dei motivi di ricorso presentati dal lavoratore: l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la mancata pronuncia sulla domanda di licenziamento discriminatorio (art. 112 c.p.c.). 

    In particolare, è stato ritenuto erroneo non considerare che,  come evidenziato dagli atti di causa e dal Libro Unico del Lavoro (LUL), l’azienda aveva successivamente assunto altri dipendenti anche con l’orario richiesto dal lavoratore, dimostrando l’esistenza di soluzioni alternative alla cessazione del rapporto.

    Secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro è tenuto – in forza del principio di buona fede e correttezza e ai sensi dell’art. 2103 c.c. – a ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori, qualora queste siano compatibili con le sue capacità e con l’organizzazione aziendale vigente. Tale obbligo risulta ancora più stringente nei confronti di lavoratori che fruiscono dei benefici previsti dalla legge 104/1992. La Corte ha anche richiamato i principi costituzionali a tutela del lavoro (artt. 4, 35 e 41 Cost.) e la giurisprudenza consolidata secondo cui il licenziamento deve essere sempre considerato una “extrema ratio”.

    Conclusione: illegittima la mancata verifica di possibile demansionamento

    La Cassazione ha ritenuto che la Corte territoriale non abbia correttamente verificato se fosse davvero impossibile una ricollocazione del dipendente in mansioni compatibili con l’orario a ciclo continuo. Il fatto che altri lavoratori siano stati successivamente assunti con tale regime orario, e che lo stesso fosse ancora in uso in vari reparti aziendali, dimostra che l’opzione era praticabile e andava valutata attentamente.

    Inoltre, la Corte ha censurato il mancato esame della domanda relativa alla natura discriminatoria o comunque illecita del licenziamento, ritenendo sufficiente la sua riproposizione da parte del lavoratore nella memoria di costituzione in appello.

    Alla luce di tali considerazioni, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna è stata cassata con rinvio ad altra sezione, che dovrà riesaminare la vicenda considerando il principio per cui il repêchage, soprattutto in presenza di lavoratori tutelati dalla legge 104/1992, non può limitarsi a una proposta standard, ma deve essere concreto, documentato e calibrato anche sulle esigenze di cura e assistenza familiare del dipendente.

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  • Lavoro Dipendente

    Licenziamenti collettivi: cosa prevede la normativa europea

    Una sentenza della Corte di Giustizia chiarisce i limiti della direttiva 98/59/CE nei casi di lavoratori messi a disposizione da imprese esterne ai fini del calcolo complessivo dei dipendenti in una procedura di licenziamento collettivo. Ecco il caso e le motivazioni della sentenza C -419/24  del 19 giugno 2025.

    Il contesto del caso: lavoratori esterni e licenziamento collettivo

    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata recentemente chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di cassazione francese, relativa all’interpretazione dell’art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi. 

    Il caso trattato nella causa  C 419 2024 nasce da una controversia tra una società francese del settore alberghiero e una lavoratrice licenziata nel quadro di una procedura collettiva avviata a seguito della chiusura temporanea della struttura ricettiva per ristrutturazione.

    In particolare, la questione ruotava attorno al numero complessivo di dipendenti da considerare per valutare se vi fosse l’obbligo di predisporre un piano di salvaguardia dell’occupazione, previsto dalla normativa francese per le imprese con almeno 50 dipendenti che intendano licenziare almeno 10 lavoratori in 30 giorni.

     Il nodo interpretativo riguardava il computo, ai fini del raggiungimento della soglia, anche dei lavoratori messi a disposizione da una  società esterna  presenti stabilmente nei locali dell’albergo.

    L’inquadramento giuridico e la posizione delle parti

    La direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 stabilisce le regole minime comuni tra gli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, con particolare attenzione alla procedura di consultazione e informazione dei rappresentanti dei lavoratori. Tuttavia, non prevede alcun obbligo di predisporre piani specifici per la salvaguardia dell’occupazione. La normativa francese invece, in particolare l’articolo L.1233-61 del Code du travail, stabilisce tale obbligo per imprese con almeno 50 dipendenti e licenziamenti consistenti.

    La Corte d'appello francese aveva annullato il licenziamento perché la società datrice non aveva incluso, nel calcolo dell'organico, gli 11 lavoratori della società esterna operanti da lungo tempo nell'albergo. La Corte di cassazione ha quindi chiesto alla Corte di Giustizia se, ai sensi della direttiva europea, tali lavoratori potessero essere considerati abitualmente impiegati presso l’impresa utilizzatrice.

    Secondo la società, i lavoratori esterni non potevano essere computati, in quanto non potevano essere oggetto del licenziamento né beneficiari del piano di salvaguardia. 

    Di diverso avviso la Corte d’appello, che li ha considerati come parte della forza lavoro effettiva dell’impresa.

    La decisione della Corte di Giustizia e le sue implicazioni

    Con la sentenza del 19 giugno 2025 nella causa C-419/24, la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale, stabilendo che la direttiva 98/59/CE non trova applicazione in un caso come quello descritto. La Corte ha chiarito che tale direttiva non impone alcun obbligo specifico in merito alla predisposizione di piani di salvaguardia dell’occupazione e che, di conseguenza, le disposizioni nazionali che impongono tale onere restano di esclusiva competenza degli Stati membri.

    La decisione si fonda su un principio consolidato: le norme dell’Unione si applicano solo se la situazione oggetto della controversia rientra nel loro ambito. La direttiva 98/59/CE, che armonizza solo parzialmente le procedure di licenziamento collettivo, non prevede criteri rigidi per il calcolo della soglia di dipendenti né obbliga alla predisposizione di piani di tutela, lasciando ampia discrezionalità alla legislazione nazionale. In questo quadro, l’art. L.1233-61 del codice del lavoro francese si configura come una norma più favorevole ai lavoratori, pienamente lecita ma autonoma rispetto alla normativa europea.

    In definitiva, la Corte non si è espressa nel merito della definizione di “lavoratore abitualmente occupato”, ma ha rinviato ogni valutazione al giudice nazionale. 

     Si ribadisce il principio secondo cui le direttive europee non possono essere invocate per valutare disposizioni nazionali che impongono obblighi ulteriori rispetto al quadro armonizzato. La disciplina francese sul computo dei lavoratori esterni e sull’obbligo di elaborare un piano di salvaguardia resta, dunque, esclusiva prerogativa del legislatore nazionale.

  • Inail

    Tecnici radiologi e medici radiologi prestazioni INAIL 2025 : le istruzioni

    E' stato pubblicato  il 16 maggio 2025 sul sito istituzionale del Ministero del lavoro  il decreto 59  del 24 aprile  con la definizione della retribuzione convenzionale  per il 2025  ai fini della determinazione dei nuovi importi delle prestazioni economiche erogate dall’Inail per  tecnici radiologi e allievi esposti all'azione di raggi X e sostanze radioattive che avranno decorrenza dal 1 luglio 2025  con le misure riportate nel paragrafo successivo 

    Il 28 maggio è apparso anche il decreto del 24 aprile 2025  sulla  retribuzione convenzionale da assumersi per la liquidazione delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL a favore dei medici esposti a radiazioni ionizzanti, con decorrenza 1° luglio 2025,

    In data 4 luglio INAIL ha pubblicato le consuete circolari di istruzioni.(v. ultimo paragrafo).

    Retribuzioni convenzionali 2025 tecnici radiologi

     Sulla base della legge 4 agosto 1965 n. 1103, recante “Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica” e, in particolare, l'articolo 15, come sostituito dall'articolo 6 della legge 31 gennaio 1983, n. 25, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 4 agosto 1965, n. 1103, e al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968, n. 680, sulla regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'attività di tecnico sanitario di radiologia medica”, il quale, al comma 1, prevede che "La retribuzione convenzionale annua da assumere come base per la liquidazione delle rendite è fissata, annualmente (…) in relazione alla media delle retribuzioni iniziali, comprensive dell'indennità integrativa speciale dei tecnici sanitari di radiologia medica dipendenti dalle strutture pubbliche, sentita la Federazione nazionale dei collegi tecnici di radiologia medica", le retribuzioni convenzionali  dal 1 luglio  2025 sono le seguenti:

    Anno Retribuzione convenzionale
    Anno 2016 e precedenti 29.370,51 €
    Anno 2017 29.611,96 €
    Anno 2018 30.134,54 €
    Anno 2019 29.917,09 €
    Anno 2020 30.004,82 €
    Anno 2021 – 2025 30.620,24 €

    Retribuzioni convenzionali e rivalutazione INAIL per medici esposti a radiazioni

    La retribuzione convenzionale da assumersi per la liquidazione delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL a favore dei medici esposti a radiazioni ionizzanti, con decorrenza 1° luglio 2025,   è stabilita nella misura di euro 66.866,83

    Le  medesime prestazioni economiche in corso di  godimento sono riliquidate applicando il coefficiente di rivalutazione dell’1,008.

    Le istruzioni INAIL circolari 41 e 42 del 4.7.2025

    La Circolare n. 41/2025  sulla rivalutazione delle prestazioni per i medici esposti a radiazioni comunica  ni particolare  che le  Sedi INAIL procederanno alla liquidazione d’ufficio con i modelli standard di comunicazione (170/IMec e 171/IMec), prevedendo aggiornamenti anagrafici entro 15 giorni dalla ricezione.

    La Circolare n. 42/2025 riguardante la rivalutazione delle prestazioni economiche e la determinazione della retribuzione convenzionale per i tecnici sanitari autonomi di radiologia medica e per gli allievi dei relativi corsi, precisa che , la liquidazione delle prestazioni avverrà d’ufficio nel rateo di rendita di agosto 2025, accompagnata da apposita comunicazione tramite i modelli INAIL. Le eventuali variazioni anagrafiche dovranno essere comunicate tempestivamente per l’aggiornamento degli archivi informatici. 

  • Rubrica del lavoro

    AI: DDL sull’intelligenza artificiale approvato dalla Camera

    Dopo il Senato anche la Camera dei deputati ha approvato  il disegno di legge A.C. 2316 contenente disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale. 

    Il provvedimento,  rappresenta un passo importante per dotare l’Italia di un quadro normativo che regoli lo sviluppo, l’uso e la sperimentazione dell’intelligenza artificiale (IA), in coerenza con il regolamento europeo “AI Act” (Regolamento UE 2024/1689) e tenendo conto delle esigenze del contesto nazionale.

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     La proposta di legge si fonda su un approccio antropocentrico, ispirato ai principi di trasparenza, sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali. 

    Il testo si compone di 28 articoli, suddivisi in sei capi tematici, e introduce sia norme generali sia misure specifiche per settori strategici come sanità, lavoro, giustizia e pubblica amministrazione.

    Con il prossimo ultimo passaggio in Senato la legge sarà approvata definitivamente.

    Principi generali e finalità della legge: sicurezza, trasparenza e centralità della persona

    Il Capo I del disegno di legge definisce i principi generali, le finalità e le principali definizioni. 

    L’obiettivo è promuovere un uso corretto e responsabile dell’IA, valorizzandone le opportunità e prevenendone i rischi. Si richiama esplicitamente l’esigenza di proteggere i diritti fondamentali, la privacy, la sicurezza e la non discriminazione. L’IA deve rispettare l’autonomia decisionale umana, favorire la spiegabilità delle decisioni automatizzate e garantire la sicurezza informatica durante tutto il ciclo di vita dei sistemi.

    La legge stabilisce che i dati personali utilizzati devono essere trattati in modo lecito e trasparente, con particolare attenzione ai diritti degli utenti, inclusi i minori e le persone con disabilità. Per i minori di 14 anni è necessario il consenso dei genitori all’uso di sistemi di IA, mentre per quelli con età superiore è ammesso un consenso autonomo, a condizione che le informazioni siano rese in modo chiaro e comprensibile.

    Dal punto di vista economico, la legge incoraggia l’adozione dell’IA per rafforzare la competitività delle imprese italiane, sostenere l’innovazione, garantire la disponibilità di dati di qualità e favorire la localizzazione dei server sul territorio nazionale. Particolare attenzione è riservata alla sicurezza e alla difesa: l’uso dell’IA da parte di organismi preposti alla sicurezza nazionale e alle forze armate è escluso dall’ambito applicativo del provvedimento, ma resta soggetto a garanzie di tutela dei diritti fondamentali.

    DDL Intelligenza artificiale su sanità, e pubblica amministrazione

    In ambito sanitario l’IA è riconosciuta come uno strumento utile a migliorare prevenzione, diagnosi e cura, ma non può sostituirsi alla decisione medica, che rimane prerogativa esclusiva dei professionisti sanitari. Viene valorizzato l’impiego dell’IA anche per favorire l’autonomia e l’inclusione delle persone con disabilità, nell’ambito dei progetti di vita individualizzati.

    L’articolo 14 invece stabilisce regole generali per l’uso dell’IA nella pubblica amministrazione, sottolineando la necessità che i sistemi siano strumentali alle decisioni umane, e non sostitutivi, nel rispetto dei principi di tracciabilità e trasparenza.

    DDL Intelligenza artificiale: lavoro dipendente, professionisti, diritti d’autore

    Un focus particolare è dedicato al mondo del lavoro, con una serie di articoli specifici:

    • L’articolo 11 disciplina l’impiego dell’intelligenza artificiale per migliorare le condizioni lavorative, promuovere la produttività e salvaguardare l’integrità psico-fisica dei lavoratori. Il testo impone il rispetto della dignità umana, della privacy e dei diritti inviolabili dei lavoratori, richiedendo trasparenza sull’uso delle tecnologie da parte dei datori.
    • L’articolo 12 istituisce l’Osservatorio sull’adozione dell’IA nel mondo del lavoro, con il compito di monitorare gli impatti occupazionali, promuovere strategie di formazione e definire linee guida per un impiego etico e sostenibile delle tecnologie.
    • L’articolo 13 interviene sulle professioni intellettuali, precisando che l’IA può essere utilizzata solo per attività di supporto.
    •  Il professionista resta sempre responsabile della prestazione, e ha l’obbligo di informare il cliente qualora impieghi sistemi di intelligenza artificiale.

    Nel Capo IV che contiene norme a tutela degli utenti   sono presenti  anche disposizioni  in materia di diritto d’autore. Si stabilisce che anche le opere create con l’ausilio dell’intelligenza artificiale debbano rispettare la normativa vigente, riconoscendo agli autori i diritti connessi alle opere generate.

    DDL Intelligenza artificiale: governance, tutele e sanzioni

    Il Capo III disciplina la governance dell’intelligenza artificiale in Italia.

     È previsto un aggiornamento periodico della Strategia nazionale per l’IA, con l’obiettivo di promuovere l’adozione di queste tecnologie nei settori produttivi, la ricerca scientifica e la formazione.

     L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) sono designate come autorità nazionali per l’IA e avranno un ruolo di coordinamento e vigilanza sull’attuazione della normativa. Viene conferita una delega al Governo per adeguare la legislazione italiana alle disposizioni del regolamento europeo AI Act.

    Il Capo V introduce infine un primo nucleo di disposizioni penali. Sono previste sanzioni per l’uso ingannevole o pericoloso dei sistemi di IA, specialmente se comportano rischi per l’integrità delle persone o la sicurezza nazionale. 

    Il Capo VI chiude il provvedimento con le disposizioni finanziarie, ribadendo la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica.

  • Appalti

    Manodopera appalti: le regole per l’equivalenza dei CCNL

    Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha risposto a un quesito giuridico in merito alla corretta applicazione dell’art. 4 dell’Allegato I.01 del D.lgs. 36/2023, così come modificato dal D.lgs. 209/2024,   nella Nota 3522 del 3.6.2025

    n particolare, si chiede se, nel caso in cui un operatore economico (OE) proponga in offerta l’applicazione di un contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) diverso da quello indicato nella legge di gara, la valutazione di equivalenza delle tutele economiche e normative debba essere effettuata seguendo esclusivamente i criteri stabiliti nei commi 2 e 3 del citato articolo.

    Qui il testo del decreto correttivo

    Valutazione delle Tutele Economiche e normative

    Il MIT conferma che la valutazione dell’equivalenza delle tutele economiche deve basarsi puntualmente sui parametri indicati nel comma 2 dell’art. 4. Tali parametri includono:

    • Retribuzione tabellare annua
    • Indennità di contingenza
    • Elemento distinto della retribuzione (EDR)
    • Mensilità aggiuntive
    • Ulteriori indennità

    Ai sensi del comma 4, la tutela economica può ritenersi equivalente quando il valore complessivo delle componenti fisse della retribuzione annua non risulta inferiore a quello previsto dal CCNL indicato nel bando.

    Il comma 3 dello stesso articolo elenca invece gli elementi su cui si basa la valutazione dell’equivalenza delle tutele normative. Questi comprendono istituti come:

    • Lavoro straordinario e supplementare
    • Lavoro part-time
    • Trattamento per malattia e maternità
    • Permessi retribuiti, ecc.

    Il MIT specifica che anche tali aspetti devono essere analizzati con attenzione. L’equivalenza può ritenersi sussistente solo se eventuali differenze risultano marginali.

    Attesa linee guida ministeriali

    Per individuare concretamente cosa si intenda per “scostamenti marginali” in ambito normativo, è previsto che il Ministero del Lavoro, di concerto con il MIT, adotti apposite linee guida entro 90 giorni dall’entrata in vigore dell’Allegato I.01. In attesa di tali linee guida, è ammesso richiamare le indicazioni contenute nella relazione illustrativa al Bando-tipo ANAC n. 1/2023.

    In sintesi, il MIT ribadisce che l’equivalenza delle tutele economiche e normative è subordinata al rispetto rigoroso dei criteri previsti dall’art. 4 e che le valutazioni devono essere documentate e fondate su parametri oggettivi, in attesa delle linee guida ministeriali definitive.