• IMU e IVIE

    Aree urbane: sono aree edificabili ai fini IMU

    Con la sentenza n. 26673/2025, la Corte di cassazione ha ribadito un principio chiave in materia di imposizione patrimoniale locale: le aree urbane classificate in catasto come F/1 devono essere considerate aree edificabili ai fini IMU, anche in assenza di rendita catastale, se la destinazione urbanistica lo consente.

    Il caso nasce dal ricorso di una cooperativa che aveva versato l’IMU per un’area urbana di oltre 11.000 mq, classificata in categoria F/1 (area urbana priva di rendita) e ritenuta pertinenziale a un piccolo deposito. L’ente impositore, il Comune, aveva negato il rimborso richiesto dal contribuente sostenendo che l’area, in quanto edificabile urbanisticamente, andava tassata autonomamente in base al valore venale.

    La Commissione tributaria regionale aveva inizialmente dato ragione alla cooperativa, ma la Cassazione ha annullato la sentenza, confermando la posizione del Comune. 

    IMU e aree urbane: non sono equiparabili ai fabbricati

    La Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto ha  espresso il seguente principio:  

    «Ai fini dell'IMU, le c.d. "aree urbane", il cui classamento catastale in categoria F/1 esclude l'attribuzione di una rendita, a norma dell'art. 3, comma 2, lett. d), del DM 2 gennaio 1998, n. 28, non possono essere equiparate ai "fabbricati", a causa della carenza di un'edificazione in senso tecnico con la realizzazione di costruzioni coperte su uno o più livelli, né ai "terreni agricoli", a causa dell'alterazione subita dallo stato naturale del suolo per effetto delle opere ascrivibili all'intervento antropico, ma devono essere considerate alla stregua di "aree fabbricabili" nell'accezione sancita dall'art. 5, comma 5, del DLgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (quale richiamato dall'art. 13, comma 3, del DL 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), con la conseguenza che l'imposta deve essere liquidata sulla base del "valore venale in comune commercio", tenendo conto dell'edificabilità desumibile dalle previsioni della pianificazione urbanistica».

    Volendo in pratica riassumere i contenuti della pronuncia, la rendita nulla è cosa diversa dalla esenzione IMU: per le F/1 conta il valore venale.

    La pertinenza può escludere l’autonoma tassazione solo se rigorosamente provata nel caso concreto non è stata provata e la Cassazione ha dato ragione al Comune impositore.

    Le aree urbane vanno considerate, ai fini Imu come aree edificabili e non come aree meramente pertinenziali. 

  • Dichiarazione 770

    770/2025: le novità del quadro SX con il bonus Natale

    Entro il 31 ottobre, con il Modello 770 i sostituti di imposta comunicano all’Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nel periodo d’imposta 2024, i relativi versamenti e le eventuali compensazioni effettuate, il riepilogo dei crediti, nonché gli altri dati richiesti.

    Per tutte le regole di invio del modello leggi anche: Modello 770/2025: regole per invio entro il 31 ottobre             

    A tale proposito vediamo la novità del Bonus Natale introdotto solo per il 2024 dall'art 2 bis del DL n 113/2024 per i lavoratori dipendenti.

    770/2025: le novità del quadro SX con il bonus Natale

    Tra le novità del Modello 770/2025 vi è l'indicazione, nel quadro SX del bonus una tantum, cosiddetto Natale, previsto per il solo anno 2024.

    Ricordiamo che tale Bonus spetta ai dipendenti:

    • con reddito complessivo del lavoratore (personale) non superiore a 28.000 euro nel 2024, indipendentemente dalla tipologia contrattuale del rapporto di lavoro dipendente di cui è titolare;
    • con almeno un figlio a carico;
    • fiscalmente capienti (imposta lorda sui redditi da lavoro dipendente superiore alle detrazioni fiscali spettanti).

    Attenzione al fatto che il bonus non è concesso al lavoratore se il coniuge, non legalmente ed effettivamente separato o la parte dell’unione civile o il convivente di fatto è beneficiario del bonus Natale.

    Relativamente alle istruzioni per il 770/2025 occorre evidenziare il quadro SX con la novità della casella 7.

    Il quadro SX, in generale riguarda il riepilogo dei crediti e delle compensazioni effettuate ai sensi dell'art 17 del DLgs. 241/97 e dell'art 15 del DLgs. 175/2014. 

    Al rigo SX1 va indicato il credito derivante dall’erogazione dell’indennità una tantum di importo massimo di 100 euro prevista dall'art 2 bis del DL 113/2024 in favore dei lavoratori dipendenti con i requisiti su indicati.

    Attenzione al fatto che, il credito maturato per effetto della erogazione del bonus Natale da parte del datore di lavoro, sostituto d’imposta, insieme alla tredicesima mensilità, deve essere riportato nella casella n. 7 del rigo SX1 denominata “Indennità tredicesima mensilità” e tale importo corrisponde alla somma indicata nel campo 723 delle Certificazioni Uniche 2025 trasmesse.
    In merito, si evidenzia inoltre che, nella casella 7 non va essere inserito il bonus Natale fruito dal lavoratore in sede di dichiarazione dei redditi.
    A seguito della introduzione della casella relativa al bonus Natale, il campo denominato “Credito utilizzato in F24” viene spostato nella casella n. 8.

  • Identità digitale

    PEC Commercialisti: chiarimenti sulla violazione dell’obbligo

    Con il Pronto Ordini n. 63/2025 il CNDCEC preplica ad un quesito sull'obbligo di comunicazione e gestione della PEC professionale.

    In particolare si domandava: "in ordine al tema della tenuta/gestione della casella PEC da parte dei professionisti iscritti all'Albo, e delle conseguenze nei confronti degli stessi nelle differenti ipotesi della mancata gestione, da parte dell'iscritto, della propria casella PEC e dell'eventuale inattività della stessa e nelle ipotesi della mancata comunicazione all'Ordine ab origine del proprio indirizzo digitale o, in caso di intervenuta variazione, della comunicazione del successivo e aggiornato indirizzo digitale, specificando a quale organismo istituzionale spetti la competenza ad agire.

    Con il quesito formulato viene anche specificato che: "Tali chiarimenti si rendono necessari in ragione delle difficoltà operative nel perfezionamento agli iscritti delle notifiche di procedimenti disciplinari, soprattutto nelle ipotesi di indirizzo PEC non valido o inattivo o di casella PEC satura".

    Vediamo il dettaglio.

    PEC Commercialisti: chiarimenti sulla violazione dell’obbligo

    Il pronto ordini evidenzia che nel sistema normativo attuale il domicilio digitale rappresenta il canale di comunicazione tra professionisti, pubbliche amministrazioni (inclusi, quindi, gli ordini professionali) e imprese avente pieno valore legale, equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno.
    L'obbligo della PEC è stato introdotto dall'articolo 16 comma 6, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 (convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) che prevede che i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunichino ai rispettivi ordini o collegi il proprio domicilio digitale di cui all'art 1, comma 1, lettera n-ter del decreto-legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. CAD).

    Per rafforzare tale obbligo, il legislatore con decreto-legge 16 luglio 2020 n 76 ha successivamente introdotto un sistema sanzionatorio molto stringente per le ipotesi di inadempimento da parte degli iscritti dell'obbligo di comunicazione all'Ordine del proprio indirizzo di posta elettronica certificata (a seguito del D.L. semplificazioni "domicilio digitale"), prevedendo che l'iscritto che non comunichi all'Ordine il proprio domicilio digitale sia obbligatoriamente soggetto a diffida ad adempiere, entro trenta giorni, da parte dell'Ordine di appartenenza e che, in caso di mancata ottemperanza alla diffida, sia soggetto all'applicazione della sanzione della sospensione dal relativo albo o elenco fino alla comunicazione del domicilio digitale.
    A tal proposito, il Ministero della Giustizia ha chiarito che la sanzione prevista dall'art 37 del D.L. n. 76/2020, vale a dire la "sospensione dal relativo albo" degli iscritti fino alla comunicazione all'Ordine del domicilio digitale, non riveste carattere disciplinare ma amministrativo, con la necessaria conseguenza che essa debba essere disposta dal Consiglio dell'Ordine e non dal Consiglio di Disciplina.
    La ratio dell'obbligo, finalizzato a garantire l'efficienza, la trasparenza e la certezza giuridica delle comunicazioni mediante l'utilizzo di canali che garantiscano l'immediata disponibilità, tracciabilità e valore legale delle stesse, richiede che la PEC – oltre che ad essere, naturalmente, univocamente riferita all'iscritto – sia attiva, valida e idonea a ricevere comunicazioni.
    Ne consegue che la presenza di un indirizzo comunicato che risulti:

    • inattivo, perché la casella PEC è scaduta, è stata disattivata oppure non è mai stata attivata dopo la registrazione
    • o non valido perché l'indirizzo PEC indicato non è corretto o non è riconosciuto come casella PEC attiva

    possa essere equiparata,  sul piano degli effetti giuridici, alla mancata comunicazione del domicilio stesso in quanto non viene consentita la funzione propria del domicilio digitale. 

    Vale lo stesso per i casi di casella di posta "satura", in quanto inidonea a ricevere messaggi.
    Il Consiglio dell'Ordine, qualora ricorra uno dei casi su elecanti procederà a diffidare l'iscritto a fornire, entro 30 gg dal ricevimento della diffida, un proprio domicilio digitale valido e funzionante, ovvero a svuotare la casella che risulti "satura" per consentire la ricezione dei messaggi, informando che – in caso di mancato adempimento nei termini indicati – il Consiglio dell'Ordine provvederà, senza ulteriore preavviso, alla sospensione dell'iscritto fino all'adempimento di quanto richiesto.
    Viene infine ricordato che l'art. 26, comma 1, del Regolamento per l'esercizio della funzione disciplinare territoriale stabilisce che "I provvedimenti disciplinari di cui agli articoli 10 e 25 del presente Regolamento, vengono notificati entro 30 giorni dalla pubblicazione a mezzo PEC o lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante ufficiale giudiziario …" per cui in caso di impossibilità di utilizzo della PEC/domicilio digitale il Consiglio di Disciplina dovrà procedere a notifica nei termini previsti secondo una delle altre modalità indicate dal Regolamento stesso.

  • Accertamento e controlli

    Notifica cartelle nelle procedure fallimentari

    Con Ordinanza 29 settembre 2025, n. 26313, la Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in tema di notifica delle cartelle di pagamento durante le procedure fallimentari.

    Viene ribadito che la notifica delle cartelle esattoriali al solo curatore fallimentare non produce effetti nei confronti del fallito tornato “in bonis”.

    Di conseguenza, la cartella notificata esclusivamente al curatore non comporta per il fallito, l’interruzione della prescrizione del credito tributario.

    Sostanzialmente gli atti impositivi devono essere notificati in modo effettivo e diretto ai soggetti interessati.

    Vediamo il caso di specie.

    Notifica cartelle nelle procedure fallimentari

    L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione hanno proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la presentazione dell’istanza di insinuazione al passivo fallimentare avesse interrotto la prescrizione, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale (avvenuta nel 2011).

    Secondo i ricorrenti, il termine prescrizionale decennale, nei confronti del soggetto fallito, sarebbe ricominciato a decorrere nel 2011 ed era stato interrotto tempestivamente con la notifica dell’atto impugnato del 2014.

    La questione centrale riguardava, dunque, l’efficacia della notifica delle cartelle al solo curatore fallimentare e la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di far valere l’interruzione della prescrizione nei confronti della contribuente tornata in bonis.

    Con l’ordinanza n. 26313/2025, la Sezione tributaria della Cassazione ha respinto il ricorso delle Agenzie.

    La Corte ha richiamato un principio già affermato in precedenza (Cass. n. 10760/2024):

    L’ente impositore che notifichi la cartella di pagamento al solo curatore fallimentare non può poi giovarsi di tale notificazione nei confronti del fallito tornato in bonis. Quest’ultimo, se riceve successivamente un atto che presuppone quella cartella, può contestarne la validità e la fondatezza, eccependo la prescrizione del credito.”

    Poiché né l’ente impositore né l’agente della riscossione avevano dimostrato che la contribuente fosse venuta a conoscenza delle cartelle prima della notifica della proposta di compensazione, la Corte ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione e ha confermato la sentenza della CTR.

  • Oneri deducibili e Detraibili

    Spese rappresentanza commercialista: inerenza per la deducibilità

    Secondo l'Ordinanza n 26553/2025 la Cassazione ribadisce un importante principio per le spese di rappresentanza: sono indeducibili le spese per il commercialista se non dimostra la diretta riconducibilità all’attività professionale.

    Vediamo il caso di specie giunto in Cassazione.

    Spese rappresentanzacommercialista: deducibilità solo se provata l’inerenza

    La deducibilità delle spese di rappresentanza è da sempre un terreno delicato per i professionisti.

    La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 26553 del 2 ottobre 2025 ha ribadito un principio chiave: non basta che la spesa rientri astrattamente tra quelle deducibili, occorre dimostrare la concreta destinazione all’attività professionale.

    Il caso deciso dalla Cassazione con l'Ordinanza n 26553/2025 trae origine da un avviso di accertamento notificato a un commercialista.

    L’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione alcune spese di rappresentanza, ritenute non inerenti. Secondo l’Ufficio, mancavano prove che collegassero tali spese ai clienti effettivamente destinatari degli omaggi.

    Il professionista impugnava l’atto davanti al giudice tributario, ma sia in primo che in secondo grado il ricorso veniva respinto. 

    La Cassazione è stata adita per chiarire se la deducibilità fosse subordinata all’indicazione analitica dei clienti destinatari o meno.

    La Corte ha ricordato che le spese di rappresentanza sono deducibili entro il limite dell’1% dei compensi percepiti

    Tuttavia, l’elemento decisivo è l’inerenza: spetta al professionista dimostrare che la spesa sia stata effettivamente sostenuta per finalità promozionali e professionali, e non personali.

    Per la Cassazione non è sufficiente dimostrare che il bene rientri nella categoria delle spese di rappresentanza (es. opere d’arte, gioielli, omaggi di pregio) ma occorre fornire prova concreta della destinazione

    La valutazione spetta al giudice di merito e non può basarsi su semplici presunzioni di verosimiglianza.

    Ricordiamo anche che per le spese di rappresentanza le percentuali di deducibilità sono:

    • per i professionisti con il limite dell' 1% dei compensi annui,
    • per le imprese le percentuali sono progressive in base ai ricavi (art. 108 TUIR).

  • Rimborso Iva

    Recupero dell’IVA indebitamente versata: chiarimenti Ade

    L'art 30 del Decreto IVA definisce il sistema di recupero dell’IVA indebitamente versata.
    In particolare, il comma 1 consente al soggetto passivo di presentare «domanda di restituzione dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il
    termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».

    Il successivo comma 2 contempla, invece, il «caso di applicazione di un'imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall'Amministrazione finanziaria»prevedendo che, in tale ipotesi, «la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall'avvenuta restituzione al cessionario o committente dell'importo pagato a titolo di rivalsa».
    In altri termini, la isciplina del rimborso dell’IVA, nel rispetto della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta inizialmente versata all’Erario.

    Recupero dell’IVA indebitamente versata: chiarimenti Ade

    Con la Risoluzione n 50 del 3 ottobre,  a seguito di richieste di chiarimento pervenute, le Entrate hanno chiarito che la possibilità prevista dall'art 30 su indicato, è espressamente subordinata all’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura, imposta che lo stesso cessionario/committente deve aver restituito all’Erario a seguito di un accertamento definitivo.
    Inoltre le norme richiamate sono da leggersi in combinato disposto con il successivo comma 3 del medesimo articolo 30-ter, a mente del quale «[l]a restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale».
    Così, per riprendere l’esempio formulato nel quesito in cui il contratto di appalto di servizi sia stato riqualificato in contratto di somministrazione di lavoro a seguito dell’attività di controllo da parte degli uffici, e conseguentemente escluso il diritto alla detrazione dell’IVA collegata alle prestazioni afferenti al contratto, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, non potrà darsi luogo ad alcuna restituzione dell’imposta.

    In sintesi, hnon avrà luogo la restituzione dell’IVA se, a seguito di accertamento, il rapporto contrattuale fra le parti venga riclassificato in ragione dell’invalidità del titolo giuridico da cui scaturiscono le prestazioni.

    Nel caso di specie il contratto di appalto di servizi è stato riqualificato in contratto di somministrazione di lavoro, e non è ammesso il rimborso dell’imposta laddove l’operazione sia stata posta in essere in un contesto fraudolento.

  • Agricoltura

    Bonus formazione giovani agricoltori: percentuale al 100%

    E' scaduto il 24 settembre il termine per l'invio delle domande per il bonus formazione giovani agricoltori.

    Lo sportello aperto il 25 agosto scorso è stato regolamentato con il Provvedimento n. 305754 del 24 luglio 2025, delle Entrate che hanno pubblicato il modello e istruzioni per le richieste del credito d’imposta per le spese sostenute per la partecipazione a corsi di formazione attinenti alla gestione dell’azienda agricola da parte degli imprenditori agricoli di età superiore a 18 anni e sotto i 41 anni. 

    Il beneficio fiscale è pari all’80% delle spese sostenute nel 2024 e opportunamente documentate, fino a un importo massimo di 2.500 euro per ciascun beneficiario: scarica qui il Modello con le istruzioni

    Le comunicazioni delle spese effettuate nel 2024 andava appunto inviata entro ill 24 settembre in via telematica.

    Il credito d’imposta riconosciuto è cumulabile con altri aiuti di Stato e sarà utilizzabile a partire dal terzo giorno lavorativo successivo alla pubblicazione Provvedimento n 364506 del 3 ottobre che ha reso nota la percentuale massima fruibile, tenendo conto del limite di spesa complessivo previsto ovvero il 100%.

    L’utilizzo è in compensazione tramite modello F24, da inviare solo attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui le spese sono state sostenute.

    Le Entrate pubblicheranno inoltre il codice tributo da utilizzare con risoluzione successiva.

    Bonus giovani agricoltori: benificiari e spese ammesse

    Possono beneficiare del contributo gli imprenditori agricoli in possesso dei seguenti requisiti:

    • età superiore a 18 anni e inferiore a 41 anni compiuti alla data di sostenimento delle spese,
    • che abbiano iniziato l’attività a decorrere dal 1° gennaio 2021.

    Sono ammessi al credito solo i soggetti che svolgono attività individuate con codice della classificazione ATECO 2025 che inizia con 01.

    Ai fini della agevolazione sono ammesse due tipi di spese:

    • a) le spese per l’acquisizione di competenze, come corsi di formazione, seminari, conferenze e coaching, attinenti alla gestione dell’azienda agricola
    • b) le spese di viaggio e soggiorno per la partecipazione a tali iniziative, fino a un importo massimo del 50% dell’ammontare delle spese agevolabili.

    L’Iva è ammissibile all’agevolazione solo se rappresenta per il beneficiario un costo effettivo non recuperabile.

    Le spese devono essere tracciabili e pertanto sostenute tramite conti correnti intestati al beneficiario e con modalità di pagamento che ne permettano l’immediata riconducibilità a fatture o ricevute.

    Bonus giovani agricoltori: domande entro il 24 settembre

    Il provvedimento delle entrate prevede che gli aventi dirittto possono inviare dal 25 agosto 2025 al 24 settembre 2025 in via telematica, la comunicazione per la fruizione dell’agevolazione, utilizzando l’apposito modello, nel quale devono essere indicati l’ammontare delle spese sostenute e il credito spettante.

    Le comunicazioni devono essere inviate esclusivamente mediante il canale telematico dell’Agenzia delle entrate, direttamente dal beneficiario oppure avvalendosi di un soggetto incaricato della trasmissione della dichiarazione.

    La trasmissione telematica della comunicazione è effettuata utilizzando esclusivamente il software denominato “GESTIONE AZIENDA AGRICOLA”.

    Nella stessa finestra temporale e con le stesse modalità è possibile inviare una nuova comunicazione, sostitutiva della precedente, o presentare la rinuncia integrale al credito di imposta già comunicato.

    Attenzione al fatto che si considera tempestiva anche la comunicazione trasmessa dal 20 settembre al 24 settembre 2025 ma scartata dal servizio telematico, purché ritrasmessa entro il 29 settembre 2025, con l’avvertenza che, in caso di scarto dell’intero file (ad esempio, per “codice di autenticazione non riconosciuto”, “codice fiscale del fornitore incoerente con il codice fiscale di autenticazione del file”, “file non elaborabile”) non è consentito l’invio della comunicazione oltre la data del 24 settembre 2025.

    Bonus giovani agricoltori: come utilizzare il credito d’imposta

    Il credito d’imposta riconosciuto è cumulabile con altri aiuti di Stato purché riguardino costi diversi o non comportino un doppio finanziamento e sempre che il cumulo non porti al superamento dell'intensità di aiuto o dell'importo di aiuto più elevati in caso di altri aiuti di Stato concessi o richiesti in relazione alle stesse tipologie di spese, nonché a causa del superamento del limite massimo degli aiuti “de minimis” concessi a un’impresa unica.

    Sarà utilizzabile a partire dal terzo giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento che renderà nota la percentuale massima fruibile, tenendo conto del limite di spesa complessivo previsto.

    L’utilizzo è in compensazione tramite modello F24, da inviare solo attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui le spese sono state sostenute. Un apposito codice tributo verrà reso noto con specifica risoluzione dell’Agenzia.

    Allegati: